GUIDO BLUMIR: FOTO CHOC, COSTI, DIVIETI. STRATEGIE DI "GUERRA" 
La Repubblica Salute del 30 ottobre 2008

di Guido Blumir

"Quest'anno sono stati uccisi 90.000 italiani e conosciamo i killer". Se, alla fine dell'anno, un presidente della Repubblica o della Camera, in un'occasione solenne, come il discorso a reti unificate, iniziasse con queste parole il suo intervento, i telespettatori farebbero un salto sulla sedia e la notizia rimbalzerebbe su tutte le prime pagine e le aperture dei tg, superando tutte le altre emergenze. Il discorso non viene tenuto, ma il fatto succede: tutti gli anni il fumo provoca la morte di 90.000 cittadini (250 al giorno).

Si spengono in silenzio, lontano dai riflettori: nessuno di loro "fa notizia". Non come quando muore l'attore del "Cavaliere oscuro" (Heath Ledger) per overdose di eroina. Ogni 7 anni i morti da tabacco sono 600.000, come quelli della prima guerra mondiale. Raffrontiamolo con le tante emergenze: sono 700 gli omicidi ogni anno, 1400 i morti sul lavoro, 600 i decessi per droghe (tutte), poche centinaia quelli per Aids, 5.669 le vittime della strada. Solo i decessi da alcol sono in una dimensione un po' simile: 30.000.

Per 50 anni in Italia non si è fatto nulla, anche se già negli anni 20 si sapevano i danni del tabacco e nel 1964 vengono ufficializzati dalla massima autorità sanitaria americana (il Surgeon General). Intanto, i produttori davano milioni di dollari alle star per fumare nei film: da John Wayne a Cary Grant. Poi, nel 2003, l'iniziativa del ministro della Salute Girolamo Sirchia (governo Berlusconi) per proibire il fumo in tutti i locali pubblici. La norma diventa operativa nel gennaio 2005. Da allora, i fumatori sono scesi da 13,5 milioni a 12.

La misura ha funzionato perché hanno interagito tre fattori combinati. Primo, il divieto è stato percepito come di buon senso e accettabile: chi fuma in ambiente chiuso (ristoranti, uffici, etc.) provoca danni sanitari a quelli che non fumano: il "fumo passivo". Quindi, malgrado le polemiche, la probizione è stata rispettata, senza grandi sforzi da parte di vigili e Forze dell'ordine. Secondo, è coinciso con l'obbligo (imposto dall'Unione Europea) di vistose scritte sui pacchetti di sigarette: con una notevole varietà di informazioni. Da un generico "il fumo uccide" a "il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno". "Il fumo provoca cancro mortale ai polmoni" e avvertimenti che puntavano anche sull'estetica: "il fumo invecchia la pelle". Le scritte non fanno miracoli, ma arrivavano dopo decenni di criminale assenza e quindi si sono "fatte vedere", hanno avuto il loro effetto. Lo Stato si prendeva le sue responsabilità.
Terzo. Da vent'anni (dallo spot post-mortem di Yul Brynner) era cresciuta una cultura internazionale che considera il fumo pericoloso per la salute, un discorso che ha permeato i media, la moda e la cultura di massa, anche attraverso le denunce degli scienziati più credibili come il professor Umberto Veronesi.

A qualche anno di distanza, due fenomeni nuovi. Le scritte ormai non si vedono più, la gente non ci fa più caso. E, fra i giovanissimi, il fumo, invece di diminuire, cresce. Gli adolescenti che hanno iniziato a fumare prima dei 14 anni, sono aumentati del 60 per cento. Per le scritte, gli inglesi sono stati i più veloci: da ottobre, foto choc su tutti i pacchetti. Immagini di polmoni anneriti e altro. E si studiano i pacchetti senza brand: tutti uguali, asettici, una misura temutissima dai produttori.

Si potrebbero programmare anche nuove scritte, spiazzanti e che farebbero discutere: "Attenzione: il fumo uccide più della droga", dando le cifre.

Guido Blumir
Sociologo, Presidente Comitato Libertà e Droga



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