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STORIA DI ROMA



LA REPUBBLICA

La guerra sociale: la rivolta degli italici
(91-88 a.C.)



Sollevazione di Ascoli - I rivoltosi si organizzano - Primi anni di guerra -
Prime concessioni di cittadinanza agli alleati - Caduta del fronte settentrionale - Ridimensionamento del fronte meridionale





La sollevazione di Ascoli

Dopo la morte di Druso, i socii italici avevano capito che la questione della loro cittadinanza non sarebbe più stata combattuta sul solo piano politico. I tempi erano maturi per una rivolta generalizzata degli alleati italici contro Roma, la lega che era stata costituita fra gli alleati a scopi politici si tramutò in una organizzazione militare.

L'episodio che scatenò la guerra sociale accadde ad Ascoli Piceno nel 91 a.C. Il pretore Caio Servilio, venuto a sapere che Ascoli scambiava ostaggi con le città circostanti, si recò sul luogo con un piccolo reparto. Riuniti gli abitanti in un teatro, infiammò gli ascolani con un discorso dai toni ostili e minacciosi. Il clima era già teso, il discorso fu la goccia che fece traboccare il vaso: la platea assalì Servilio uccidendolo assieme al suo legato, successivamente, tutti i cittadini romani che si trovavano in città furono massacrati.


I rivoltosi si organizzano

La rivolta di Ascoli era il segnale che gli altri italici stavano aspettando. Si formarono due gruppi di rivolta:

1. Il fronte settentrionale, capitanata da Marsi e Piceni, oltre ad altre tribù satelliti quali i Peligni e i Vestini. Il capo de Marsi era Quinto Pompedio Silone, già amico di Druso, quello dei Piceni Caio Iudacilio. Silone e i Marsi, durante il conflitto, capitanarono le operazioni militari di questo gruppo.

2. Il fronte meridionale, capitanata da Sanniti e Lucani, i cui capi erano rispettivamente Caio Papio Mutilo e Ponzio Telesino. Papio Mutilo e l'agguerrita tribù sannitica furono al comando delle operazioni militari nel sud.

Con Roma rimasero L'Umbria e L'Etruria, oltre alle colonie greche del sud Napoli, Nola, Reggio e Taranto e le altre. Era una rivolta piuttosto pericolosa, all'interno della penisola, nel cuore stesso della società italico-romana. Inoltre i capi della rivolta, compresi gli uomini che avevano a disposizione, non erano certamente degli incapaci, essendo stati addestrati alla guerra proprio dai romani che se ne erano serviti in molte battaglie, a partire dalla riforma di Mario.

I rivoltosi potevano disporre di una forza di circa 100.000 uomini, erano addestrati, come si è già detto, equipaggiati con le stesse armi dei romani e forse maggiormente dediti alla causa per la quale combattevano rispetto ai nemici. I romani, per contro, mettevano sul piatto della bilancia lo stesso numero di uomini e potevano contare sull'appoggio delle proprie colonie, situate in posizioni strategiche su tutto il territorio italico.

Infine, la lega dei rivoltosi organizzò uno stato parallelo, con proprie leggi, proprie istituzioni, propri consoli e propri senatori, perfino una propria moneta (nella quale un toro, simbolo dei sanniti, prendeva a cornate la lupa capitolina!). La capitale dello stato italico fu Corfinio, nella regione dei Peligni, al centro della rivolta. Fu significamente ribattezzata "Italica".


I primi anni di guerra

Prima di attaccare, i rivoltosi fecero un ultimo tentativo di sistemare le cose inviando una delegazione a Roma nella quale si chiedeva la concessione della cittadinanza in cambio della pace. Il senato rifiutò. A ribadire la scelta, Quinto Vario, un tribuno della plebe sostenuto dagli equites, costituì una commissione incaricata di processare i traditori della patria. Druso fu accusato di aver innescato la rivolta degli italici, molti dei suoi sostenitori furono condannati.

La guerra ebbe inizio nel 91 a.C., lo stesso anno della sollevazione di Ascoli. I primi anni furono contraddistinti, per i romani, da numerosi insuccessi. Gli italici attaccarono dapprima le fortezze, dandosi all'azione di guerriglia, in un secondo momento cominciarono le battaglie campali vere e proprie.

Nel sud l'esercito romano era capitanato dal console Lucio Giulio Cesare (uno dei legati era Silla). Il tentativo di attaccare i sanniti portò ad una rovinosa sconfitta. I Romani persero l'importante citta di Venafro, sul confine sannitico, oltre ad arretrare in Campania, dove le città di Nola, Salerno, Pompei, Ercolano e Stabia passarono al nemico. Anche Isernia fu costretta alla resa dopo un assedio.

Al nord operavano per i romani il console Publio Rutilio Lupo, che aveva tra i suoi legati Caio Mario, ritornato dall'Oriente. Nel 90 a.C. i Marsi attaccarono l'esercito romano a sorpresa, presso il fiume Tolero, nel territorio degli Equi (interno del Lazio). Il console morì assieme a 8.000 soldati, solo Mario riuscì ad impedire la completa catastrofe continuando la resistenza sul quel fronte.

Lo sfavorevole volgere degli eventi ebbe come effetto un tentennamento degli alleati Umbri ed Etruschi: alcune comunità passarono con i rivoltosi, altre si mostravano indecise.


Prime concessioni di cittadinanza agli alleati

Per contrastare la pericolosa eventualità di un ampio isolamento, Roma decise di varare leggi speciali.
Alla fine del 90 a.C. il console Giulio Cesare decise di varare una legge che permetteva a quelle comunità che non erano ancora passate col nemico di acquisire la cittadinanza romana (lex Julia). Questa legge riuscì ad arrestare la rivolta in Umbria ed Etruria, dove le città ancora indecise ritornarono saldamente dalla parte di Roma.

Un altra legge successiva diede la spallata decisiva. All'inizio del 89 a.C. I tribuni Marco Pluzio Silvano e Caio Papirio Carbone vararono una legge che permetteva di estendere la cittadinanza romana a tutte le comunità che entro due mesi avessero manifestato a un pretore il desiderio di usufruire di tale diritto. La legge seminò grande discordia tra i ribelli italici, incrinandone l'iniziale compattezza d'intendi.

C'è da aggiungere che i nuovi cittadini non furono uniti alle tradizionali 35 tribù latine, ma furono divise in altre 8 tribù aggiuntive, piuttosto poche in rapporto al numero di nuovi cittadini, che pur essendo superiori di numero ai romani, avevano così minor rappresentanza nelle assemblee... ma comunque i primi passi in questa direzione erano stati fatti, e le prime conseguenze politiche non tardarono a ripercuotersi sulla compattezza dei nemici.

Sempre nell'89 infine, il console Strabone propose una legge speciale (lex Pompeia) che permetteva ai membri delle colonie della Gallia Cisalpina di acquisire la cittadinanza, oltre a quelle comunità latine al di là del Po che fossero rientrate nell'orbita romana.


La caduta del fronte settentrionale: la presa di Ascoli

Una volta pacificate Umbria ed Etruria, tra manovre politiche e battaglie minori, i romani sconfissero pesantemente i Marsi, che nel frattempo erano accorsi in aiuto degli Etruschi. Strabone e il suo esercito uccisero 15.000 avversari, spegnendo di fatto ogni velleità della tribù ribelle (89 a.C.).

Le operazioni si concentrarono quindi su Ascoli. La città venne assediata e vide la vittoria in battaglia dell'esercito romano, che però non potè subito entrare in città, occupata prontamente da Iudacilio, che ne era prontamente accorso in aiuto. L'assedio continuò ancora per qualche mese, finché i notabili della città decisero per la resa, con la disapprovazione di Iudacilio, che dopo averli condannati a morte, decise di suicidarsi col veleno. I Romani entrarono nella città, uccisero i notabili e deportarono la popolazione. Ascoli era caduta, e con lei Italica, che ritornò ad essere Corfinio (89 a.C.).

Tutto il fronte nord della ribellione crollò. Oltre ai Marsi e ai PIceni, si arresero anche i Vestini e i Peligni.


Ridimensionamento del fronte meridionale

All'inizio del'88 a.C. la capitale dei rivoltosi si era spostata ad Isernia, i Sanniti capeggiavano la rivolta.

Silla operava in Campania, mostrando oltre alla sua abilità militare anche la sua spietata crudeltà. Mentre un altro contingente romano aveva conquistato la Puglia, Silla invase la Campania meridionale riconquistando le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Penetrò poi nel Sannio fino a raggiungerne la città più importante, Boviano, che costrinse alla resa.

A questo punto la rivolta si estendeva solo ad alcune regioni della Campania, della Lucania, del Sannio e del Bruzio (Calabria meridionale), oltre che a Nola. Il movimento meridionale, che pur continuò a combattere fino all'82 a.C. si era ormai molto indebolito. Fu per questo che cercò l'appoggio di Mitriade, re del Ponto, che nel frattempo si preparava a combattere i romani per motivi personali, e che non fece in tempo comunque a portare aiuto ai rivoltosi.

Proprio Silla, che nel frattempo aveva iniziato l'assedio di Nola, fu costretto a tornare a Roma per far fronte alle nuove minaccie provenienti dall'Oriente. Pur non considerandosi definitivamente sedata, la rivolta interna era ormai decisamente ridimensionata.

 

 

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