Nella mitologia celtica non vi è netta
distinzione tra divinità ed esseri umani: molti eroi hanno tratti e ascendenze
divine, e allo stesso modo alcuni déi o semidei non sono che figure
trasfigurate di mortali.
Ciò è dovuto essenzialmente a due cause: in
primo luogo alla trasmissione orale, che per secoli se non per millenni
caratterizzò ogni produzione scientifica, religiosa, storica e poetica dei
Celti. Furono perciò i Bardi, di regola, a curare il tramandamento delle
leggende e delle tradizioni del loro popolo, che vennero riversate su pergamena
solo in alcune zone, principalmente in Irlanda ed in Galles, e solo in seguito
alla cristianizzazione (cioè, nel caso dell'Irlanda, a partire dal VI secolo
d.C.) con l'intenzione di preservare ciò che rischiava di scomparire con il
declino della classe druidica. Nel corso della stesura di tali manoscritti,
affidata a monaci cristiani, fu però applicato un inevitabile
filtro, attraverso il quale le storie vennero talvolta (non sempre) ad
acquisire un carattere agiografico ed edificante, funzionale alla politica di
cristianizzazione allora in atto. Quando questo non avvenne, la differenza
rispetto all'originale si mantenne comunque significativa: oltre
all'inevitabile perdita del supporto ritmico e musicale, va notato che le
storie furono elaborate ed interpretate da persone che per forza di cose non
erano più in grado di coglierne i simboli, i riferimenti e i significati
originali, retaggio esclusivo di una cultura di formazione bardica. Molti
elementi vennero così travisati dai copisti, che oltretutto si preoccuparono di
far sparire (almeno a loro giudizio, poiché le loro correzioni sono per la
maggior parte superficiali e artificiose) ogni traccia del paganesimo che
inevitabilmente pervade ogni corpus mitologico. Ecco dunque che divinità come
Lugh, Dagda, la Morrigan o Manannan McLyr perdono il loro status divino
diventando antichi re, stregoni, giganti, esseri magici e fatati, quando non
addirittura demoni. In alcuni casi, al contrario, vengono assorbiti dalla cultura
cristiana e venerati come santi: è il caso, pare, di Santa Brigida. Per quanto
riguarda i druidi (e raramente ne compaiono), essi vengono presentati sotto una
luce di discredito che sicuramente non ha avuto origine dalla tradizione
celtica, e la loro magia è regolarmente ridicolizzata dai miracoli del Santo di
turno, che li batte sul loro stesso campo sventandone i perversi piani... (!!).
Un esempio geograficamente più vicino a noi di quanto detto sopra è costituito
dalla "Formella di Malciaussia", una piccola formella di pietra
tradizionalmente tenuta nascosta per tutto l'anno ed esposta periodicamente dai
margari, sulla cui superficie è scolpita (pare) la figura di un druido
nell'atto di compiere un sacrificio, e che per secoli è stata venerata come immagine
di San Bernardo (patrono della frazione montana) che uccide il demonio.
Tutto questo, si badi bene, non deve essere
inteso come una critica all'operato delle gerarchie ecclesiastiche del periodo
e tantomeno a quello dei copisti, senza i quali tutto ciò che oggi possediamo
(ed è incredibilmente poco!) sarebbe andato perso. Il loro lavoro, pur nei suoi
inevitabili limiti, è inestimabile. (E comunque già solo il fatto di voler
preservare elementi di una cultura più "debole" testimonia un'apertura
mentale sconosciuta a molte grandi "ideologie" del nostro stesso
secolo!).
Riprendendo il discorso originale, la
seconda causa a cui si è fatto cenno è invece un fattore
"intrinseco", che non dipende da influenze esterne: il processo di
trasfigurazione e di divinizzazione degli eroi del passato è comune a molte
culture, ed è stato studiato a fondo dagli antropologi. Nella cultura celtica è
un elemento molto comune, basti pensare al mito irlandese dei Tuathà De Danànn,
popolazione celtica che dominava l'isola prima dell'arrivo dei Milesians (o
Gaeli). Con il sopravvento di questi ultimi i Tuathà De Danànn, secondo le
leggende, "scomparirono", diventando un popolo fatato e semidivino
dell'Annwyn (l'Aldilà celtico), i cui componenti, immortali e
detentori di potentissime magie, partecipavano ad eterni banchetti in luoghi
fuori dallo spazio e dal tempo, spesso collocati all'interno degli antichi
tumuli neolitici o in prossimità di dolmen, laghi, sorgenti, uscendo per
giocare qualche occasionale scherzo (più o meno fatale) a chi si avvicinava ai
pochi luoghi ancora in loro potestà. Come è facilmente intuibile, i Tuathà De
Danànn non "scomparirono", ed é assolutamente da escludere che siano
stati sterminati dai nuovi venuti: la leggenda testimonia invece, attraverso il
filtro della poesia, il loro progressivo ritiro davanti all'invasore, la
migrazione che verosimilmente li portò dalle coste fino alle zone più interne
dell'isola e la successiva, lenta integrazione etnica e culturale con il
conquistatore.
Il caso dei Tuathà Dè Danànn non è unico,
si badi bene: anche sul continente la definizione irlandese Aes Sidhe ("Popolo
delle Colline") era applicata, con minime variazioni linguistiche, per
definire le creature fatate, probabilmente i primi abitatori neolitici
dell'Europa (costruttori di dolmen, tumuli e cromlech) sconfitti dai celti
nella loro migrazione ancestrale. Oltre a questi casi, in cui si parla più che
altro di interi popoli, si hanno chiare tracce, come si è accennato in
apertura, di diversi eroi e condottieri leggendari assurti al rango divino (o
per meglio dire ricordati come divinità): un esempio potrebbe essere costituito
da Brenno, re dei Senoni, protagonista di una simpatica gitarella (in cui mise
a ferro e fuoco Roma) nel 390 a.C., il cui nome può venir fatto risalire alla
radice Bran-wen, "Bianco Corvo", secondo alcuni riconducibile, in
ultima analisi, alla dea Morrigan. A parte questa etimologia, è storicamente
provato che la figura di Brenno fu identificata, ai tempi di Cesare, con una divinità.
Più in generale, è raro che un Eroe muoia davvero, nella mitologia celtica:
molto spesso egli dorme all'interno di un tumulo, sotto la superficie di un
lago, o su un'isola avvolta dalle nebbie, in una sorta di luogo fatato e fuori
dal tempo da cui un giorno farà ritorno per combattere nuove, gloriose
battaglie. L'ultima traccia di questo topos letterario celtico è facilmente
riscontrabile in Re Artù, che dopo il tradimento di Mordred si rifugiò
sull'isola di Avalon, ed ancora oggi è viva la "credenza" nel suo
ritorno, predetto il giorno in cui l'Inghilterra sarà di nuovo in gravi
difficoltà. Lo stesso Mago Merlino, tradito da Morgana, sarebbe tuttora vivo e
prigioniero, secondo la leggenda, in una grotta nella foresta bretone di
Broceliande. L'Eroe celtico, dunque, è per definizione immortale, ed in qualche
modo connesso con il mondo fatato dei Sidhe (pron. Shee).
Ferme restando queste premesse generali,
vediamo dunque come era articolato il pantheon celtico.
In Gallia la divinità principale era Teutates,
il protettore delle Tuath, dio che presiedeva alla sovranità regia
incarnandone le qualità di valore guerriero e di simbolo di fecondità. Questa
figura, assente nell'Europa insulare, è però riconducibile al capo del pantheon
irlandese, Lugh Lamfada ("Dal Lungo Braccio"), divinità
guerriera dai tratti "odinici" venerata in ogni terra celtica (si
pensi al nome originale della città di Lione, Lughdunum,
"Fortezza di Lugh", alla galiziana città di Lugo, e persino a Laon e
a Leyda): le molte similitudini tra le due figure hanno fatto pensare ad una
sostanziale identità, ed il nome di Lugh sarebbe verosimilmente servito ad
identificare Teutates nel suo aspetto guerriero. Tale tesi è rafforzata dal
fatto che la festa celtica di Lughnasad ("Assemblea di Lugh"),
presente ovunque nell'Europa celtica e tenuta la prima settimana di agosto, si
connotava come festa della sovranità e della classe guerriera. E' significativo
ancora notare che l'appellativo Belenos, il molto luminoso (in Irlanda
Bel) era usato a identificare Lugh nel suo aspetto di divinità solare,
della luce. Da qui discende fra l'altro il nome della festa druidica di Beltane,
letteralmente dei "Fuochi di Belenos". Si noti che in Gallia è
attestata persino un' identificazione femminile di Belenos, la dea Belisama;
poiché l'aggettivo luminoso è da intendersi nell'accezione francese di
lumière, che indica la luce spirituale oltre che quella fisica, non
pare azzardato identificare Belisama con la dea irlandese della parola, Brigit,
secondo alcuni controparte femminile del dio Ogmios, secondo altri,
invece, di Govannon.
Altra importante divinità continentale è
Taranis, una figura che presenta molte analogie con il Thor germanico,
presiedendo a tutti gli aspetti più violenti e impetuosi della natura, in particolar
modo al tuono, ai fulmini e alle tempeste. Ma Taranis non è solo un dio
guerriero: il suo simbolo è la Ruota Cosmica, immagine della ciclicità delle
stagioni e delle epoche, metafora del ciclo vitale che accompagna ogni creatura
dalla nascita alla morte alla successiva rinascita. Sotto questo aspetto,
Taranis è analogo al dio-druido Dagda, che nel pantheon irlandese è secondo per
importanza solo a Lugh. In quanto divinità druidica, Dagda è depositario della
scienza, del sapere sacerdotale, e presiede all'amicizia e ai contratti
(rispecchiando la funzione giuridica della classe druidica). Oltre a questo,
padroneggia la magia e il controllo sugli elementi, altro punto in contatto con
Taranis. Suoi attributi sono, oltre alla Ruota, la Mazza (che con un'estremità
uccide nove uomini in un colpo solo, e con l'altra li resuscita, rispecchiando
la dottrina druidica della morte vista come continuazione, su diverse basi,
della vita, nonché il concetto di dualità dell'essere); l'Arpa di quercia, che
può suonare le Tre Melodie Magiche del Riso, del Sonno e della Malinconia,
testimoniando così la connotazione bardica di Dagda, designata dal nome Ogmios,
"Signore della Parola"; ed infine il Calderone, (dalla cui
cristianizzazione in seguito sboccerà la leggenda medievale del Graal) che ha
il potere di nutrire magicamente un intero esercito e di resuscitare i cadaveri
che vengono gettati al suo interno, privati però della parola affinché non
possano descrivere l'Aldilà.
Mentre Teutates rispecchia la classe
guerriera (Flaith) e Taranis quella sacerdotale (Druid), la
terza classe sociale, l'Aes Dana, "la gente detentrice del
dono", ovvero gli artigiani o coloro che sono esperti in un lavoro
manuale, è incarnata da Govannon, presente sia sul continente che nell'Europa insulare:
Govannon è un artigiano dotato in ogni aspetto della sua arte, in grado di
forgiare armi invincibili come il suo equivalente greco, Efesto, ed in più
abile nella realizzazione di oggetti artistici di ogni tipo; nella mitologia
irlandese gli déi conquistano l'immortalità mangiando il cibo di un banchetto
preparato dallo stesso Gobniu.
Altro importante dio gallico è Cernunnos,
il "dio cornuto" rappresentato come un uomo dalla testa di cervo,
divinità druidica (probabilmente emanazione di Dagda) che presiedeva ai boschi
e alla vita vegetale e animale racchiusa al loro interno, incarnando il mistero
e il timore reverenziale della natura (il suo nome era considerato "troppo
sacro" per venir pronunciato); era conosciuto con lo stesso nome e con le
stesse caratteristiche anche in Bretagna insulare, ed è forse riconducibile al
dio guaritore irlandese Dian Cecht. Il dio gallico Sucellos, il
Camminatore, probabilmente è una sua diversa manifestazione.
Sempre legato alla forza degli elementi è Manannan
McLyr, Signore delle Maree e delle distese sottomarine; questa divinità è
propria del pantheon irlandese, ma la sua controparte gallica potrebbe essere Esus,
signore dell'acqua, specchio del fluire e rifluire dell'esistenza.
Divinità femminili, come si è sopra
accennato, non mancano. Si noti per inciso che nella società celtica la
separazione tra i sessi non era molto accentuata (in questo senso, erano forse
la più progredita delle civiltà antiche) e le donne, oltre a godere della
stessa libertà personale degli uomini, potevano ricoprire funzioni di grande
importanza anche politica, nessun ruolo essendo loro precluso, eccezion fatta
quello regale (ma si ha traccia di valenti guerriere come Scathach, maestra
d'armi dell'eroe Cu Chullain e di Regine quali Boadicea). Tornando alle
divinità, molto venerata era Brigantia, dea rurale della fertilità, dei
raccolti e dei corsi d'acqua; si ha traccia in Gallia anche di Epona, divinità
dei cavalli e della fertilità, e di Rosmerta, figura legata in qualche
modo a Teutates e connotata come divinità del benessere, della ricchezza,
dell'abbondanza e del focolare. Moltissime delle divinità locali, proprie di
una particolare Tuath o zona geografica, erano poi femminili: l'esempio più
famoso è costituito dalla dea Sequana (la Senna), che diede il nome
alla Tuath attestata presso le sue sorgenti. In Irlanda (ma non solo), infine,
grande rilievo aveva la Morrigan, potente divinità guerresca che incarnava la
violenza, il massacro, la sete di sangue e di vendetta, e che sopravvisse nella
leggenda cortese di Fata Morgana e, secondo alcuni, nella credenza popolare
concernente le masche, cioè (nel caso del Piemonte) le streghe.
Altre figure epiche sono il Bardo Amergin,
che giunse in Irlanda nell'ultima conquista, e di cui si sono conservate
persino alcune poesie; i suoi fratelli Find e Eremon, primi Re gaelici
d'Irlanda; Finn Mc Cuhal, guerriero leggendario dei Fianna, e il figlio Ossian
(pronuncia Usheen), famosissimo bardo a cui si rifece McPherson;
Fergus, che impugnava l'arcobaleno come una spada, e con un fendente durante
una battaglia decapitò una montagna... Dal Mabinogion, poema gallese, spiccano
invece le figure di Pwyll, il Principe dell'Annwyn, ed il figlio Prydery; il
gigantesco Bran, la cui testa, dopo la morte, continua a parlare per non
privare i camerati della propria compagnia; e molti altri, famosi come il Bardo
Taliesin, o meno noti come il mago Gwydyon.
Negli ultimi tempi si è potuto assistere ad
un lento ma graduale riaffermarsi della cultura celtica, una vera e propria
rinascita avviatasi nel secolo scorso e culminata in questi ultimi anni.
Si è parlato di rinascita, ma il termine
non è del tutto appropriato, in quanto non ci fu una "morte":
piuttosto una brusca interruzione, coincidente con l'invasione romana. Gli
abitanti della Gallia Cisalpina (e prima ancora i Lusitani e i Celtiberi)
furono i primi a subire un processo, ancorché parziale, di romanizzazione,
iniziato già nel II Secolo a.C.; ciò tuttavia non impedì a molte popolazioni,
specie a quelle ubicate in Piemonte e Valle d'Aosta, di godere di una
indipendenza quasi assoluta, tanto che al momento della decisiva battaglia di
Alesia (nel 52 a.C.), teatro della definitiva sconfitta dell'Ard Ri (Sommo Re)
Vercingetorix, giunsero a combattere Cesare perfino gli Eporediesi, provenienti
dal Canavese! Altre zone, come ad esempio la Val di Susa (Segusio), caddero
molto dopo: si sono trovate le tracce di un'alleanza "paritaria" tra
il Re celtico Cozio I° e l'imperatore Augusto, alleanza che durò fino alla
rivolta contro Roma (naturalmente soffocata nel sangue) capeggiata dallo stesso
figlio del Re gallico. Ma si era al canto del cigno, perché proprio sotto
Augusto caddero anche gli ultimi dunum (roccaforti) dei Salassi, fra
cui Cordele, che verrà ribattezzata Aosta. Ciò tuttavia non impedì che in tutta
l'Italia del Nord sopravvivessero frammenti di cultura ed usanze celtiche,
riconoscibili in particolare dai nomi sopravvissuti ai secoli: Milano
(Mediolanum, "Fortezza/Santuario di Mezzo") fu
capitale degli Insubri; Torino (ovviamente) dei Taurini; Bologna fu capitale
della potente popolazione dei Boi, ed il Veneto prende il nome dall'omonima
popolazione ivi stanziata (i Veneti, originari della Francia del Nord); in
Veneto vi sono addirittura prove archeologiche attestanti l'origine di cognomi
caratteristici ancora attuali, fatti risalire, come in Scozia e in Irlanda, ad
eroi, clan o personaggi vissuti addirittura nel V Secolo a.C., e comuni ed
immutati ancora oggi!! A prescindere da questa curiosità, e volendo riassumere,
la romanizzazione dell'area cisalpina fu purtroppo presente, ma non
particolarmente aspra e repentina. Inoltre la presenza celtica in tutta
l'Italia Settentrionale e centrale era assai massiccia e antica, fin dal 600
a.C. allorché erano penetrate in queste zone le popolazioni dei Biturigi, Arverni,
Senoni, Edui, Ambarri, Carnuti ed Aulerci, ma anche prima (le popolazioni
"autoctone" come ad esempio i Liguri sarebbero verosimilmente di
ceppo celtico, ma giunte in tempi antecedenti: lo dimostra tra l'altro la
perfetta integrazione avvenuta in questo periodo.
Se in Gallia cisalpina, come si è detto, la
romanizzazione non fu particolarmente brusca, nel resto d'Europa tale processo
fu invece molto più rapido e drammatico: l'ostinata resistenza opposta a Cesare
e l'abbozzo di confederazione delle varie Tuath (popolazioni
capeggiate da un Re) convinsero quest'ultimo ad abbandonare la tanto decantata
tolleranza romana in fatto di religioni e costumi dei popoli assoggettati, e ad
attuare una ferrea persecuzione volta allo sterminio, né più né meno, della
classe druidica, giustamente percepita come elemento unificante e fondamento
della società celtica: si ha traccia di numerosi editti in questo senso,
promulgati ad intervalli regolari fin sotto l'imperatore Claudio. A questo
fatto si aggiunga inoltre l'effetto devastante della campagna di conquista
(solo sotto Cesare si parla di un milione di morti e di un altro milione di
uomini condotti in schiavitù): la civiltà celtica continentale semplicemente
cessò di esistere, tranne che in sacche isolate e destinate ad una omologazione
più o meno rapida.
Ciò che determinò questo brusco oblio fu
proprio la scomparsa della classe sacerdotale, da sempre unica depositaria
delle conoscenze scientifiche, giuridiche, mediche, religiose e mistiche, oltre
che della storia e del corpus mitologico locale. Tutto ciò andò interamente ed
irrimediabilmente perso in quanto era affidato unicamente alla memoria dei
Druidi.
I Celti ritenevano infatti che la scrittura
(che pure conoscevano) non fosse un mezzo adatto al tramandamento e alla
conservazione della conoscenza, che doveva invece essere interamente affidata
alla memoria e alla parola. Questo perché il sapere e le tradizioni erano
percepite come un qualcosa di vivo, in continua evoluzione, che veniva recepito
non passivamente ma rielaborato, riscoperto da colui che ne veniva messo a
parte: solo la parola, altrettanto viva, era dunque il mezzo idoneo a
comunicare la sapienza, mentre la scrittura era vista come uno strumento morto,
fisso e statico.
In seguito a questo fatto, e nel caso
specifico della cultura epica, la produzione continentale è andata
irrimediabilmente perduta, o quasi, come si vedrà più avanti; diverso il caso
dell'Europa insulare, in cui la penetrazione romana fu più blanda o addirittura
inesistente (in Irlanda): proprio da queste zone provengono le uniche opere che
tutt'oggi possediamo, trascritte più o meno fedelmente da monaci cristiani: è
il caso del manoscritto gallese del Mabinogion, dei tomi irlandesi del Tàin Bò
Cuailngé, del Libro delle Invasioni...
A parte queste opere frammentarie e
lacunose, nonostante l'impegno romano molti elementi prettamente celtici
sopravvissero come sostrato culturale: perfino la religione, sebbene minata
alle basi dalla scomparsa del druidismo, ebbe una sua continuità testimoniata
ad esempio da numerose epigrafi o da fenomeni locali come il "culto delle
matrone" attestato nelle Alpi Occidentali e sopravvissuto in toponimi
quali ad esempio Brigantium (da Brigantia, dea rurale e dei fiumi),
l'antico nome di Briançon. In Inghilterra sopravvisse fin nel medioevo la
credenza in Cernunnos, che assunse diversi nomi, divenendo di volta in volta
Herne il Cornuto, Robin Goodfellow oppure il Master of the Wild Hunt (una sorta
di angelo della morte che percorreva nottetempo le zone selvagge a bordo di un
carro da guerra e con una muta di ferocissimi cani), entrambi chiaramente
identificabili in quanto descritti come dalla forma umana e dalla testa di
cervo. Pare che in seguito il dio cornuto venisse addirittura identificato con
la figura di San Dunstano, patrono dei bracconieri, citato da Sir Walter Scott
in Ivanhoe, ma l'ipotesi non sembra rafforzata da adeguate basi scientifiche.
Fu proprio il sostrato di cui si è detto
sopra, comune per giunta a tutta l'Europa, a far sì che le braci della cultura
celtica non si spegnessero. Va inoltre notato che la cristianizzazione delle
terre celtiche fu relativamente rapida e indolore, persino in Irlanda dove,
all'arrivo di San Patrizio, la classe druidica era ancora presente. Questo poté
avvenire grazie alla sorprendente lungimiranza della Chiesa dell'epoca, che
seppe coniugare una propaganda capillare ed un rispetto illuminato per le
tradizioni locali. In quella fase della storia d'Irlanda non ci furono roghi né
inquisitori. San Patrizio e i suoi successori ebbero il merito di saper
tollerare gran parte del folklore locale, riproponendolo al popolo in chiave
cristiana e riuscendo a strumentalizzarlo ai propri fini. La Chiesa seppe
insomma portare avanti l'evangelizzazione del popolo irlandese senza cancellarne
completamente l'identità storica e culturale. Le divinità locali continuarono
ad esempio ad essere venerate come santi patronali, i luoghi considerati magici
(sorgenti, pozzi, tumuli...) divennero luoghi miracolosi grazie
all'intercessione di altri santi che vi erano in qualche modo legati (o che
spesso, verosimilmente, vennero inventati di sana pianta); e le varie feste
druidiche annuali, persa la loro connotazione pagana, continuarono ad essere
onorate con la benedizione della Chiesa. Valga per tutte l'esempio di Samhain,
che ricorreva in occasione della prima luna piena di Novembre e che metteva in
comunicazione il mondo degli uomini con l'Annwyn, il mondo degli
spiriti. Essa venne fissata al 1° Novembre, e divenne la festa di Ognissanti
(in questi ultimi tempi se ne è addirittura recuperata (a sproposito) la
connotazione pagana, con la festa (a mio parere piuttosto inutile ed estranea
alla nostra cultura) di Halloween). Si noti per inciso che altre feste come
Beltane, che sul continente non ricevettero un'investitura così ufficiale dalla
Chiesa, sopravvissero comunque in qualche forma nei piccoli centri rurali e
montani, fino al nostro secolo: si pensi ai fuochi di S.Giovanni, o alla festa
nordeuropea di Calendimaggio. Anche alcune tradizioni peculiari, come il bacio
sotto il vischio nella notte di Capodanno, risalgono direttamente ad usanze
celtiche quando non druidiche (il vischio era un potente simbolo di
rigenerazione, raccolto dai druidi con particolari rituali ed utilizzato come
pianta medicinale).
La sopravvivenza di radici celtiche nella
cultura europea è, dunque, ben attestata fin dai primi secoli della nostra era,
ma non si può parlare, tranne in rari casi, di vere e proprie opere letterarie:
la cultura "ufficiale" era pur sempre di stampo classico; bisogna
dunque attendere l'Alto Medioevo per vederle legittimate ad un rango più
elevato. Accadrà nella letteratura cavalleresca e cortese, in cui molte
tematiche sono spiccatamente celtiche: in primis, l'elemento magico e fatato
che spesso pervade leggende, ballate e canzoni di questo periodo, da Chretién
de Troyes in avanti; in secondo luogo l'ideale cavalleresco, la guerra vista
come forma d'arte e rigidamente codificata secondo precise regole di
comportamento, è un elemento permeante dell'aristocrazia guerriera celtica, e
da essa è stato mutuato, filtrandolo naturalmente con la mentalità del tempo ed
integrandolo con ideali religiosi. Oltre a questi elementi di base, si
noti che Trovatori e Trovieri erano menestrelli di professione, veri e propri
Bardi, che, persa l'aura sacrale, continuavano almeno in parte a svolgere le
antiche funzioni, producendo e tramandando una cultura destinata
all'intrattenimento dell'aristocrazia guerriera. E le loro storie avevano
spesso radici molto più antiche di quanto essi stessi non immaginassero: il
Ciclo Arturiano, in particolare, è quanto di più squisitamente celtico sia mai
stato prodotto al di fuori dell'Irlanda, e personaggi e tematiche sono
ritrovabili in opere più antiche e più "pure" dal punto di vista filologico,
quali ad esempio il Mabinogion gallese.
A questa riscoperta del celtico (di cui ci
si renderà conto solo molti secoli dopo, e che vedrà la partecipazione di
autori del calibro di Maria di Francia, Beroul, Monmouth, Wace, Thomas, EIlhart
Von Oberg, Gottfried von Strassburg, e in epoca più avanzata Thomas Malory)
fece eco un nuovo periodo di silenzio: con la fine del medioevo la concezione
mistica, astratta della realtà tanto in sintonia con la cultura celtica divenne
fuori moda, e nel Rinascimento l'Umanesimo e la riscoperta dei Classici
infersero un nuovo decisivo colpo. Tuttavia qualcosa di tanto in tanto continuò
ad affiorare, specie in Europa settentrionale: si pensi ad alcune opere di
Shakespeare, ad esempio il "Macbeth", l'"Amleto", "La
Tempesta", per non parlare poi di "Sogno di una Notte di Mezza
Estate", in cui oltre ai personaggi del mondo fatato (i cosiddetti Sidhe) compare perfino... il dio celtico
Cernunnos, nei panni di Puck - Robin Goodfellow, folletto al servizio del Re
delle Fate, Oberon.
Bisognerà tuttavia attendere la seconda
metà del XVIII secolo per assistere ai primi, decisivi colpi letterari
inferti al Neoclassicismo: ad esempio da parte del Conte di Caylus, che
"riscoprì" i suoi antenati Galli e per primo "osò" il
paragone delle vestigia celtiche con le meraviglie egiziane. O Thomas Gray,
autore fra l'altro di due famosi poemi runici. Ma il più importante
riscopritore fu un poeta scozzese, James Macpherson, il primo a riproporre al
pubblico europeo poemi di stampo e tematiche squisitamente gaeliche, che ebbero
un influsso enorme, spianando fra l'altro la strada al Preromanticismo e al
Romanticismo (perfino in Foscolo si può parlare, in alcuni passaggi, di
"echi ossianici"). Macpherson fu insomma la scintilla che fece, dopo
due millenni, divampare il pagliaio: dopo di lui poeti del calibro di Burns o
di Yeats,riportarono alla luce, ammantandoli di nuova dignità letteraria,
elementi del folklore celtico, e il loro potente impulso non si è ancora
arrestato, né accenna a farlo. La cultura celtica trovò insomma nel
Romanticismo un ambiente fertile, persino in campo musicale: celebre è la
"Norma", opera lirica del Bellini (1830) che ha per protagonista
proprio una druidessa.
Da queste premesse, ciò che era sopravvissuto
ai secoli poté finalmente sbocciare a nuova vita. Va detto inoltre che negli
ultimi anni la politica dell'Unione Europea, da sempre volta al riconoscimento
e alla valorizzazione delle differenze e delle radici etniche e culturali, ha
saputo dare una spinta particolarmente significativa a questo processo, il cui
risultato è attualmente sotto gli occhi di tutti: lingue a rischio di
estinzione solo fino a due generazioni fa sono oggi insegnate regolarmente
nelle scuole pubbliche (naturalmente, NON in Italia...), ed in alcuni casi sono
state risollevate all'antico rango di lingue nazionali (è il caso, nella
Repubblica Irlandese, del Gaelico, equiparato all'inglese anche per scopi
nazionalistici, e di molte altre lingue o dialetti locali, come il cimrico o il
bretone). Come si è accennato, nel nostro paese l'interesse per il sostrato
linguistico celtico è pressoché nullo (forse un'eredità di Gentile?), ed è
stato a malapena vagliato da qualche sporadico erudito, come Costantino Nigra
(personaggio chiave del risorgimento italiano).
Già questo fatto sarebbe, da solo, degno di
nota: la lingua è infatti l'espressione più alta della cultura e dell'identità
di un popolo. Ma la rinascita celtica è andata ben oltre: oggi si può parlare
infatti di una «nazione virtuale che si estende al di là dei mari» e «raggruppa
un po' meno di diciotto milioni di abitanti» comprendendo Scozia, Irlanda,
Galles, Bretagna... (cito traducendo da un articolo apparso sull'edizione
internazionale di "Le Monde", 8-9 Agosto 1998). In effetti chi ha
avuto occasione di visitare uno di questi paesi (la Bretagna in particolare) si
sarà sicuramente accorto di come la gente si senta celta, al di là
della nazionalità: sul piano politico sono sorti ovunque movimenti
indipendentisti, ma questo non sarebbe di per sé degno di nota se non fosse
accompagnato da un interesse sensazionale per ogni elemento tradizionale: il
Trischele, simbolo druidico che incarna l'equilibrio degli elementi, l'armonia
tra la Terra, l'Uomo e l'Annwyn, e più in generale la struttura tripartita
dell'Universo, è diventato vessillo di questo imponente movimento culturale, e
lo si trova dappertutto: bandierine, monili, decorazioni, gelati, adesivi sulle
macchine, catenine, gioielli, persino nelle vetrate delle cattedrali gotiche
(testimonianza fra l'altro della sopravvivenza medioevale degli elementi
decorativi tradizionali).
La riscoperta di questa identità culturale
si esprime oggi principalmente nella musica. Senza scendere nello specifico, ci
si soffermi un attimo su qualcuno degli ultimi successi del 1998, ad esempio la
celeberrima "My Heart Will Go On" di Céline Dion, ultratrasmessa
colonna sonora del polpettone-Titanic: ebbene, l'incipit (oltre all'impronta
vocale) è di stile inequivocabilmente celtico, così come "Live
Forever", altro hit delle Spice Girls; e non sono che esempi (potrei
citare persino una o due canzoni del canadese Brian Adams, o addirittura il
soundtrack dell'"Ultimo dei Mohicani", film di una decina di anni
fa...). Al di là di queste "citazioni", che testimoniano però
l'inclinazione attuale del pubblico mondiale verso un determinato filone,
decine e decine di gruppi musicali esclusivamente celtici sono sorti negli
ultimi anni: a parte i Chieftains (famoso gruppo folk irlandese) ed Enya
(musicista irlandese spesso in vetta alle classifiche ma a mio avviso un
po' troppo commerciale) si possono citare artisti come Loreena McKennit,
sofisticata cantante irlandese, l'arpista Alan Stivell, il gruppo
belga Orion, i galiziani Celtas Cortos, i bretoni Dan Ar
Braz oppure i Bagad Kemper, gli irlandesi Déanta,
e moltissimi altri, che hanno in comune il fatto di comporre canzoni in
cimrico, gaelico o bretone, e l'utilizzo degli antichi strumenti (arpa,
cornamuse, percussioni particolari, violino celtico, corni...) affiancati a
quelli moderni. Ultima novità "continentale", infine, è costituita
dai Manau, innovativo gruppo francese autore di un indefinibile rap
celtico, arricchito da stacchi strumentali molto suggestivi: nell'estate del
'98 il loro hit, "La Tribu de Dana", racconto di un'antica battaglia,
è stato trasmesso molte volte anche da emittenti italiane, e ancora nei primi
mesi del '99 il gruppo è nella top-ten delle classifiche europee dei singoli.
Peccato che ai loro testi manchi una più adeguata documentazione storica, che
forse verrà col tempo. Richiami celtici, specie negli stacchi strumentali, sono
infine facilmente individuabili nelle canzoni dei Corrs, gruppo rock
irlandese recente ma molto valido.
La vitalità di questo filone musicale,
comunque, è ulteriormente testimoniata dal successo dell'annuale Festival
Interceltico di Lorient, cittadina bretone in cui ogni anno affluiscono artisti
da ogni parte d'Europa, radunando più di 400.000 spettatori: il Festival è
ormai giunto alla sua 28^ edizione, ed è considerato in Francia un fenomeno
culturale di primissimo piano.
Lasciando da parte la musica, un altro
filone in cui la cultura celtica emerge con particolare forza è la letteratura
(soprattutto fiction), fin già dalla prima metà del secolo: la nascita
e l'affermazione del genere fantasy ha gradualmente portato alla
riscoperta di un gusto per storie di ambientazione e taglio celtico, che in
questi ultimi anni si sono configurate come una vera e propria branca del
genere. Accanto, dunque, ai primi tentativi di un fantasy
"preceltico" di Conrad e Vance (heroic fantasy alla Conan,
per intenderci) sono emerse opere di taglio più realistico e più fedele
all'epoca, specialmente grazie ad autori del calibro di Morgan Llywelyn,
Stephen Lawhead, e diversi altri. La linea di demarcazione si ebbe con un
grande scrittore inglese, l'unico del suo genere ad essere studiato nelle
Università di tutto il mondo, e che non ha bisogno di presentazioni o di
commenti: J.R.R. Tolkien. "Lo Hobbit" e "Il Signore degli
Anelli" (fra le molte altre sue opere) segnarono il passaggio ad un tipo
di fantasy più marcatamente fiabesco, pervaso da una genuina atmosfera celtica
ricostruita con pacata ironia e sapienti pennellate.
Anche nel campo dei fumetti si riscontra un
certo interesse per l'antichità celtica, anche se il prodotto non sempre
riproduce in modo fedele la storia o i costumi dell'epoca: vale comunque la
pena di citare l'inglese Slane, ispirato ad un antico re d'Irlanda ed
impregnato di misticismo celtico, ancorché piuttosto superficiale e
"grezzo"; caso a parte, ovviamente, è costituito dall'arcimitico Asterix,
che non ha assolutamente bisogno di commenti, visto il successo mondiale e
pluridecennale. Qui il discorso di fedeltà all'epoca è ben diverso, la
ricostruzione fatta da Uderzo e Goscinny è tale da interessare persino gli
studiosi, tanto che gli studenti di Storia Celtica di alcune Università se ne
vedono consigliati gli albi alla stregua di "libri di testo
integrativi"! (Credeteci, credeteci, è verissimo!)
Infine, anche nel mondo del cinema è in
atto una graduale riscoperta delle tematiche celtiche: chi di voi non ricorderà
il kolossal di Mel Gibson, "Braveheart", basato sulla storia (vera)
dell'eroe scozzese William Wallace? L'epoca è avanzata (1300 d.C.), l'ambientazione
è dunque celtico-cristiana, ma si tratta del primo film di un certo peso della
storia del cinema ad essere fatto "dalla parte dei Celti" e non dei
conquistatori di turno, siano essi Romani o Inglesi. Altro grande successo,
anche se di impronta ovviamente diversa, si prospetta essere il nuovo film su
Asterix, che vede nel cast attori del calibro di Gérard Depardieu e...
Roberto Benigni!
Un ultimo cenno lo meritano le arti
figurative: nel Romanticismo, e in particolar modo in epoca napoleonica, in
funzione della propaganda nazionalistica e della politica di grandeur da questi
propugnata, vennero ampiamente utilizzati soggetti attinenti al passato gallico
della Francia, o a tematiche genericamente celtiche: esempi famosi sono
"Il sogno di Ossian" di Ingres, commissionato dallo stesso Imperatore
per il Quirinale; o "Ossian accoglie gli spiriti degli eroi morti" di
Girodet, in cui è raffigurato lo stesso Napoleone nella veste dell'Eroe accolto
nei mondi superni... Continuando, si potrebbero citare un'infinità di
litografie, incisioni e quadri ad opera di svariati autori europei del XIX
secolo: tra gli altri, "Vercingetorige chiama i Galli in difesa di
Alesia" di Ehrmann, "Combattimento di Galli e Romani" e
"I Galli in vista di Roma" di Luminais, "Incontro di Cesare e
Ariovisto in Alsazia" di Schutzenberg, ed un'infinità di opere meno famose
ma altrettanto pregevoli.
Quanto si è detto riguarda le tematiche
esplicitamente celtiche delle arti figurative; per quanto concerne lo stile, invece,
il discorso è totalmente differente: gli elementi decorativi classici sono
stati utilizzati ininterrottamente in Nord Europa negli ultimi duemila anni, ed
ancora adesso sono incredibilmente attuali, dalla Bretagna alla Scozia,
dall'Irlanda al Québec. Essi sono caratterizzati da un astrattismo fondato su
rigorose simmetrie, nonostante l'andamento spiraleggiante ed estremamente
complesso: un vero dedalo di linee, curve e spirali dalla cui ripetizione
vengono formate figure umane o animali, figure che si intrecciano e si fondono
armoniosamente le une nelle altre, sfiorando la realtà delle cose senza mai
accostarla, fermandosi al piano dell'idea, dell'essenza.