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La medaglia d'oro Giannino Ancillotto,medaglia d' argento e medaglia di bronzo al valor militare.

Nacque a San Donà di Piave nel 1897. Quando scoppiò la guerra aveva appena 17 anni, studiava all’Istituto Tecnico di Torino. Si arruolò volontario nell’aviazione il 4 novembre 1915. Segui per un mese il corso d’istruzioni militari al campo di Mirafiori, passò poi alla Scuola d’Aviazione di Cameri, dove cominciò il corso di pilotaggio.Nel Marzo del 1916 ottenne il primo brevetto. Volle presto sostenere le prove del secondo brevetto, prove che ultimò il 30 aprile dello stesso anno.
Il suo arrivo in squadriglia venne salutato con manifestazioni d’affetto, perchè dai Campi-Scuola era giunta al fronte la voce del suo ardimento e delle sue brillanti qualità. E mostrò subito di essere un pilota specializzato per apparecchi da ricognizione e da bombardamento.
Promosso caporale, meritò un encomio solenne, perché a Vippacco, il 20 maggio 1916, <<in una ricognizione aerea, eseguita a bassissima quota per le avverse condizioni di visibilità, continuò ad assolvere il suo compito, contribuendo alla riuscita dell’operazione...>>.
Nominato aspirante ufficiale, colse ogni occasione per conseguire scopi audacissimi. Per il suo ardimento dimostrato nel Trentino dal 23 giugno al 21 luglio 1916, e nel medio Isonzo dal 24 luglio 1916 al 28 marzo 1917, gli venne decretata la medaglia d’argento.
Durante le infauste giornate di Caporetto fu tra i piloti colpirono il nemico incessantemente <<aleggiando a bassissima quota, senza requie, senza pietà, senza perdono; che aggredirono in qualunque condizione di tempo, luogo e circostanza i velivoli nemici, ostacolando ovunque il rapido svolgersi della grave offensiva>>. E per la sua opera compiuta in quelle giornate, guadagnò la seconda medaglia d'argento.
Nel dicembre del 1917, gli fu decretata la medaglia d'oro con la seguente motivazione: << Pilota da caccia d’ammirevole slancio, dal 30 novembre al 5 dicembre 1917, in una serie d’attacchi audacissimi incendiava tre palloni nemici e ne costringeva altri a cessare dalle loro osservazioni. In una speciale circostanza assaliva l'avversario con tale impeto da attraversare l'areostato in fiamme, riportando sul proprio velivolo gravemente danneggiato lembi dell'involucro lacerato>>.
I tedeschi, giunti sulla sponda sinistra del Piave, in una corsa precipitosa, dopo le giornate di Caporetto, subito capirono che quelle rive sarebbero state insormontabili, e che su quel fiume si sarebbe decisa la storia della grande guerra, come pure si sarebbe giocata l'ultima carta della grandezza o della rovina di un impero. E lavorarono incessantemente per fortificare quelle posizioni acquistate a buon prezzo: scelti combattenti erano stati audacemente avventati sull'argine conteso.La vigilanza continua dei nostri soldati e la continua protezione delle acque travolgenti del Piave impedirono ogni impresa, resero quasi nulla ogni difesa, ma contemporaneamente i tedeschi escogitarono un mezzo per ostacolare tutte le nostre difese, per impedire tutti i nostri movimenti. E poiché di giorno non sarebbe stato possibile né spingere le pattuglie, né seguire dagli osservatori terrestri la vita sul fronte italiano, il nemico ricorse ai draken, perchè, innalzandosi alle prime luci dell'alba, cercassero bersagli e notizie.
Fra i draken, tozzi e mostruosi osservatori aerei che dondolavano minacciosi nel cielo Veneto, acquistò in breve tempo fama il pallone austriaco che quasi giornalmente si levava a sud di Oderzo, presso Rustignè, per vigilare ogni nostra attività fra Sette Casoni e Zenson di Piave, fin oltre San Biagio di Callalta.
Manovrato magistralmente, quel mostro scompariva non appena il fuoco dei nostri pezzi veniva aggiustato, o quando l'approssimarsi di cacciatori italiani rendeva pericolosa la permanenza in aria. Così, sfuggendo tempestivamente ad ogni insidia, fedelmente serviva le proprie batterie, e quando, ballonzolando sul robusto cavo che lo tratteneva a terra, si profilava sullo sfondo del cielo sempre bello e sempre limpido, le artiglierie austriache rovesciavano colpi su colpi.Quel draken infallibile, terribile, che dirigeva i grossi proiettili con precisione ed efficacia, divenne un incubo: tale era la potenza del suo intervento e la rapidità con la quale ritrovava ed indicava ai ciechi artiglieri il giusto bersaglio.Il “drago” di Rustignè lo chiamarono infatti i fanti, gli artiglieri e gli aviatori, perché appariva e scompariva sul Piave paurosamente, quasi fosse comandato da maghi e non da umani.
La mattina del 5 dicembre il drago ripeté la sua apparizione, poi scomparve: qualche istante dopo un rovinio di colpi cadde sui nostri fanti. I nostri aviatori piombarono su Rustignè; ma il drago rimase nascosto fino a quando il cielo non fu libero dalle nostre ali.
<<Sul suo piccolo Nieuport Bebè, che aveva all'estremità delle ali, e per ogni lato, sei tubi per il lancio di razzi incendiari, partì Giannino Ancillotto, deciso a battersi risolutamente>>. Tre cacciatori italiani lo strinsero dappresso per difenderlo da aggressioni di velivoli nemici; ma subito tre cacciatori austriaci apparvero a difendere il loro drago: i tre cacciatori italiani ingaggiarono un duello aereo con i tre avversari, mentre Giannino si diresse verso il drago abbattendolo.
Dopo quest’impresa si specializzò negli assalti notturni, compiendo altre eroiche missioni, con l'assegnazione di una terza medaglia d'argento.

Cessata la guerra, volò per primo da Roma a Trieste; fece parte del raid che da Roma portò, per conto del nostro governo, un messaggio a Varsavia; sorvolò, primo al mondo, le alte vette delle Ande peruviane.

Muore il 18 ottobre 1924 in un incidente automobilistico, quando le medaglie d'oro si riunirono a San Donà di Piave.

La Domenica del Corriere

Progetto del monumento a Giannino Ancillotto

Foto di Giannino Ancillotto

Monumento a Giannino Ancillotto(lato)

Monumento a Giannino Ancillotto(fronte)

Dedica di Gabriele D'Annunzio a Giannino Ancillotto