La Polizia dell'Africa Italiana.

 

 

La "P.A.I." rappresento un modello di organizzazione e di efficienza. Persino il proverbiale orgoglio prussiano dovette ammettere la superiorità degli italiani quando berlino chiede di far frequentare ai suoi ufficiali migliori i corsi di formazione di questa scuola di addestramento ispirata a criteri inediti fino ad allora nella storia coloniale.

 

Ufficiali di prima nomina della PAI

 

Il proverbiale orgoglio prussiano degli alti comandi germanici si piegò in almeno tre circostanze a riconoscere la superiorità degli italiani. Una prima volta, quando il leggendario maresciallo Rommel, a commento dell'epica resistenza dei nostri fortini assediati nell'infuocato deserto libico, disse che "se il soldato tedesco ha stupito il mondo, il soldato italiano ha stupito il tedesco". Si tenga conto che il mito di Rommel era tale da aver indotto il generale C. J. Auchinleck, comandante supremo delle forze britanniche in Medio Oriente, a diramare un perentorio ordine a tutti i comandi perché nel parlare con i soldati inglesi, "che lo nominano troppo spesso", non venisse mai citato, "dobbiamo fare riferimento soltanto ai "tedeschi", alle "potenze dell'Asse"; al "nemico", e smetterla di ipnotizzarci con Rommel". La direttiva si concludeva con l'esortazione a far eseguire immediatamente e con rigoroso scrupolo l'ordine "perché si tratta di una questione psicologica della massima importanza".
La seconda volta, quando la rivista "Signal", la più famosa della seconda guerra mondiale (arrivò a vendere due milioni e mezzo di copie), dedicò nel gennaio del 1942 un numero speciale con un inserto di 24 pagine al valore dei nostri combattenti. In copertina un bersagliere nel deserto libico. Gli inglesi erano ammirati e indispettiti per il successo di questa pubblicazione. Il "Daily Mail" lamentò Che l'Inghilterra non avesse nessuna rivista paragonabile per efficacia, originalità e documentazione fotografica, a "Signal". Fotografie riprese perlopiù in azioni di combattimento che costarono la vita a ben 2.550 operatori. Furono tanto apprezzati i giornalisti di "Signal" che, finita la guerra, non rimasero disoccupati. L'ex direttore Giselher Wirsing, fondò un giornale, Chistoph von Imboff fu assunto come direttore di un altro giornale, mentre l'ex caposervizio Franz Mosslang, divenne addirittura direttore della scuola di giornalismo di Monaco.
La terza volta, quando Berlino chiese di poter far frequentare al suoi ufficiali migliori i corsi di formazione di un Corpo coloniale di altissima specializzazione, unico nella storia dei territori europei d'Oltremare: la Pai, Polizia dell'Africa Italiana.
Costituito nel 1937 e disciolto nel 1945, fu di grande aiuto anche dopo la nostra sconfitta, non solo nelle ormai ex colonie occupate dagli inglesi - dove continuò ad operare, sia pure senza armi - ma anche in Italia, con i reparti superstiti che, rientrati, riuscirono ad assicurare in molte città, Roma compresa, un minimo di ordine e di sicurezza nelle difficili ore del trapasso fra la ritirata dei tedeschi e l'arrivo degli alleati.
Di quale prestigio godesse questo organismo - contemporaneamente civile e militare, secondo un'originale concezione innovativa - lo dimostra un episodio di qualche tempo fa riferito dal mensile "Historia" dell'aprile 1966. Ad un'asta di cimeli coloniali, un pugnaletto della Pai fu aggiudicato per la cospicua somma di 8 milioni. Per i fregi dei berretti e delle mostrine - aquile che poggiano le zampe non su fasci littori ma su nodi sabaudi - le quotazioni dei collezionisti oscillano intorno alle 800 mila lire, le cartoline che riproducono a colori una coppia di effettivi, l'italiano e l'indigeno, si possono ancora trovare a 300-400 mila lire.
Il corpo deva Pai rappresentò un modello di organizzazione e di efficienza persino per i tedeschi, che in fatto di organizzazione e di efficienza non si sentono secondi a nessuno. Inviarono infatti più volte i loro "specialisti" a perfezionarsi nelle scuole della Pai.
L'addestramento era ispirato a criteri del tutto inediti nella storia dei corpi di polizia coloniali europei: prevenire più che reprimere, il consiglio prima della pena, la collaborazione meglio che la minaccia, l'aspetto civile e umano del colonizzatore, non il volto duro e vendicativo del colonialista conquistatore, elevare le popolazioni indigeno senza stupide e controproducenti oppressioni.
Dopo aver ricevuto dalle autorità consolari tedesche nell'Africa Italiana lusinghieri rapporti sull'alto grado di addestramento degli uomini della Pai, il luogotenente per la Baviera, von Epp, chiedeva nel 1939 di poter visitare la scuola della Paia Tivoli, per rendersi conto di persona di quanto potesse essere utile farla frequentare dagli ufficiali germanisti. Ne riportò una tale positiva impressione da sollecitare immediatamente Berlino a chiedere al ministero dell'Africa Italiana di consentire che, intanto, 250 sottufficiali e soldati dei corpi speciali del Reich seguissero un corso di addestramento di 6 mesi presso la scuola di Tivoli. Fu soltanto una prova sperimentale, cui seguirono altri mesi regolari per ufficiali tedeschi, nel maggio 1940, nel gennaio, febbraio e maggio 1941. Visitò la scuola anche il più grande esperto dei servizi di sicurezza tedeschi, il generale Eugen Tristan Reinhad Meydrich, il quale dichiarava che in vista di nuovi possibili impegni amministrativi della Germania in Africa (all'epoca la guerra volgeva in favore dell'Asse) la Pai rappresentava un modello per i futuri funzionari coloniali tedeschi. La scuola era stata allestita nel suggestivo anfiteatro di Tivoli, tra le meraviglie di Villa Adriana e Villa d'Este, al cospetto del Monte Celio e del Monte Rotondo. Un sito tranquillo e lussureggiante, ideale per immergersi nell'impegnativo studio delle molteplici discipline giuridiche, amministrative e militari che avrebbero formato i reparti specializzati da inviare nei territori italiani d'Oltremare.
Un primo battaglione uscito dalla scuola fu destinato in Somalia intestato al nome di Antonio Cerchi, il famoso esploratore trucidato il 26 novembre 1896 da predoni nomadi insieme con altri dieci compagni, fra i quali Francesco Mongiardini, comandante della nave "Volturno", e il conte Ferdinando Maffei, comandante la nave "Staffetta". Essersi richiamati a Cerchi, che si era molto adoperato per la nostra pacifica penetrazione nel Benadir e aveva firmato con il Sultano di Zanzibar la convenzione del 1892 in virtù della quale era stata attribuita all'Italia l'amministrazione dei porti del territorio, aveva un significato ben preciso in relazione al compiti della Pal. All'uccisione dell'esploratore non era stata infatti estranea la sua vigorosa e generosa campagna antischiavista in contrasto con gli interessi dei capi locali che praticavano il commercio di uomini.
Non è il caso di nascondere che quel primo battaglione addestrato in Italia fu accolto in Somalia con quella scettica sufficienza che i vecchi coloniali provavano per coloro che arrivavano dalla madrepatria senza alcuna esperienza africana. Ma fu diffidenza di breve durata, in quanto "quelli venuti dall'Italia" dimostrarono di saperne molto di più dei vecchi coloniali, in quanto la loro preparazione, con approfondimenti delle varie tematiche specificamente africane, era stata curata da esperti di lunga permanenza nei territori d'Oltremare.
A questo si aggiunga il fascino che la prestanza fisica e l'eleganza delle uniformi esercitava specialmente sui nativi. Di statura superiore al metro e 80, dotati di uniformi bellissime e per ogni condizione, di tessuto diagonale uguale per ufficiali, sottufficiali e guardie, estive bianche e invernali kaki, di servizio, di fatica, di libera uscita e di gala, pantaloni lunghi, alla cavallerizza, cotti, splendidi stivali, copricapi di vario tipo, berretto con visiera, casco coloniale, "bustina".
In breve, anche gregari indigeni, selezionati fra gli elementi locali di spiccate attitudini e prestanza fisica, rinforzarono e completarono quel primo nucleo che, intanto, aveva impiantato le sue "stazioni", sul modello metropolitano dei Carabinieri, in tutte le località della Somalia, al fine - era precisato nel primo articolo dell'atto costitutivo - di "assicurare l'ordine e la sicurezza nei territori dell'Africa Italiana e per salvaguardare la sanità fisica e morale delle popolazioni".
Considerata la natura speciale dei compiti cui la Pai doveva assolvere - anche con competenza di polizia portuale, ferroviaria e stradale - fu stabilito che il Comando generale dovesse risiedere a Roma, presso il Ministero dell'Africa Italiana, e ne dipendesse direttamente. Due ispettorati generali furono istituiti, a Tripoli, per la Libia, e ad Addis Abeba per l'Africa Orientale.
Da questo ambiente erano usciti splendidi reparti: la compagnia motorizzata autonoma, dotata anche di blindati, lo squadrone a cavallo, lo squadrone guardie del Viceré d'Etiopia, gli aggregati ai meharisti che operavano nel Sahara libico.
Oltre al reparti, i funzionari a capo degli uffici di polizia - equivalenti al commissariati metropolitani - dai capoluoghi di governo (come le questure), al centri minori con sottocommissariati, sezioni, stazioni e posti di polizia, a seconda della natura della regione, della densità della popolazione, della situazione ambientale, della vicinanza di confini con colonie straniere, dei traffici, del movimento stradale.
Dopo il primo battaglione inviato in Somalia, 1'"Antonio Cecchi", ne furono formati altri sei, tutti intitolati a famosi pionieri italiani in Africa: Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi, Giuseppe Giulietti, Eugenio Ruspoli, Gaetano Casati, Vittorio Bottego e Romolo Gessi.
Per costituire inizialmente il Corpo, gli ufficiali erano stati scelti fra i reparti speciali delle Forze Armate e di Polizia. Dovevano essere laureati, preferibilmente in Giurisprudenza, aver superato un severissimo esame di ammissione e aver compiuto con esito positivo - in genere con il massimo dei voti - uno speciale corso di addestramento presso la scuola. Non meno severa la selezione di sottufficiali e guardie.
Nelle dolorose vicende della guerra perduta, la Pai meritò il rispetto dei vincitori che se ne giovarono lasciando che continuassero a svolgere i loro compiti d'istituto per garantire la sicurezza - sia pure senza armi - nei territori africani non più italiani.
A loro il Duca d'Aosta, prima di cedere l'ultima disperata difesa dell'Amba Alagi, rivolgeva il 12 maggio 1941 un encomio solenne nel quale si affermava che "durante e dopo il ripiegamento delle forze militari, la Pai proteggeva le popolazioni nazionali rimaste in territori infestati da ribelli riuscendo a mantenere con sacrificio ed abnegazione l'ordine pubblico. In azioni belliche cooperava valorosamente alla difesa del territorio dell'Impero con generoso tributo di sangue".
Guardie nazionali e gregari indigeni furono effettivamente esemplari anche come combattenti Valga per tutti il generoso sacrificio del vicebrigadiere Luigi Orecchioni, un sardo che già prima di entrare nella Pai, ad appena 24 anni, aveva accumulato una notevole esperienza ambientale per aver partecipato alle battaglie dell'Endertà e alla marcia su Addis Abeba.
Superate con il massimo profitto tutte le difficili prove per essere ammesso nel Corpo della polizia coloniale, era stato assegnato a comandare un drappello di ascari Pai che aveva portato ad un alto grado di addestramento. E pur di restare con quei devoti indigeni aveva voluto rinviare il ricovero per un urgente intervento chirurgico perché nel frattempo si era determinata una situazione di emergenza nel territorio in cui operava, ai confini con la Somalia britannica. Infatti si trovò improvvisamente al centro di un violentissimo combattimento. Ferito più volte, aveva rifiutato di essere soccorso, finché, investito da una raffica di mitragliatrice, agli ascari che accorrevano per aiutarlo, rivolgeva ultime nobili parole di incitamento e di affetto. Era il 17 agosto 1940. Aveva 29 anni. Gli fu assegnata la medaglia d'Oro alla memoria. Completano il medagliere della Pai: 2 Ordini Militari di Savoia, 4 medaglie d'argento, 110 di bronzo, 150 Croci di guerra, 21 promozioni per merito di guerra, 29 encomi solenni, in parte concessi alla memoria.
Nessuna trama di questo Corpo nei libri di storia del nostro tempo. Come se la Pai, invidiataci dalle altre potenze coloniali, non fosse mai esistita.