Gli eroi delle navi bianche.
Numerosissime le nostre unità ospedaliere attaccate durante la seconda guerra mondiale dagli angloamericani. Molte furono danneggiate e altre affondate. Si trattò di episodi indegni, che ferirono l'onore militare di quanti, fra i belligeranti, avevano rispettato le norme internazionali (nella foto sotto l'attacco degli aerei americani alla nave ospedale "Virgilio" mentre sta imbarcando feriti nella rada di Tunisi il 4 maggio 1943. L'episodio è qui narrato in una tavola di Vittorio Pisani per "La Tribuna Illustrata").
Nelle Marine di tutto il mondo il principio della solidarietà nei confronti del nemico naufragato è legge sacra, assoluta, inviolabile. Nobili esempi non sono mancati. Per esempio quello dell'ammiraglio sir Andrew Cunningham (fratello del generale Alan Gordon Cumtingham, conquistatore dell'Africa Orientale Italiana nel 1941), comandante in capo della "Mediterranean Fleet" che il 29 marzo 1941, dopo aver affondato in combattimento i nostri incrociatori "Zara", "Fiume", "Pala", e i cacciatorpedinieri "Carducci" e "Alfieri", inviò un dispaccio urgentissimo a Supermarina comunicando l'esatta posizione dove una nave ospedale avrebbe potuto soccorrere le scialuppe dei superstiti. E partì immediatamente la maggiore delle nostre "navi bianche", la "Gradisca", che aveva appena sbarcato a Taranto 704 militari feriti o ammalati. Il mare grosso e il vento contrario avevano però ritardato di troppe ore la missione. Si poterono salvare soltanto 140 uomini. Ne avevamo perduti complessivamente 2.303. Protagonista di cinque episodi del tutto nuovi nella storia delle navi ospedale fu ancora la "Gradisca" nell'aprile 1942, con lo scambio nel porto neutrale di Smirne, in Turchia, fra prigionieri italiani e prigionieri inglesi, feriti, ammalati o appartenenti alle categorie "protette": ufficiali, medici, infermieri, crocerossine, personale sanitario, cappellani militari.
Soltanto nel corso della seconda guerra mondiale la "Gradisca", che operò prevalentemente lungo le rotte verso l'Africa italiana trasportò il più alto numero di feriti e naufragati, 15.662, ed ammalati, 43.676, in 77 missioni di trasporto e soccorso, come documentata in uno scrupoloso studio del contrammiraglio Vincenzo Martines, che abbiamo potuto consultare presso l'Ufficio storico della Marina.
Il più famoso ed ammirato salvatore di naufraghi fu il comandante sommergibilista Salvatore Todaro, siciliano di Messina, che dopo aver silurato un'unità nemica, emergeva, ordinava alle scialuppe di mettersi in fila, di legarsi l'una all'altra, e le trainava sottocosta per poi immergersi velocemente e dileguarsi. Cadrà in combattimento i14 dicembre 1942, mentre tentava di forzare il porto di Bona con un mezzo d'assalto della X Mas.
Non altrettanto esemplari furono le imprese di quei piloti anglo-americani - purtroppo non pochi - che, in violazione di tutte le convenzioni internazionali, non esitarono ad attaccare, mitragliare e bombardare le navi ospedale italiane, specialmente lungo le rotte del Mediterraneo fra l'Africa e l'Italia, nonostante alcune di queste unità ospedaliere avessero a bordo anche naufraghi inglesi appena recuperati.
Nessuno di questi responsabili di azioni tassativamente vietate dalle convenzioni dell'Aia (1906), e di Ginevra (1907 e 1929) è stato mai processato per crimini di guerra. I1 diritto internazionale prevede: obbligo di tutelate le navi ospedale da parte dei belligeranti; esenzione dalla cattura da parte del nemico e dall'internamento; dall'internamento da parte dei neutrali in caso di approdo nei loro porti; obbligo di rispettare e proteggere il personale sanitario che in ogni caso non può essere trattato come prigioniero di guerra; inviolabilità dei combattenti feriti.
Ovviamente tutte le navi ospedale hanno però l'obbligo di sottostare ai controlli delle unità nemiche, controlli che furono sempre minuziosi e rigorosissimi sin nei più inaccessibili ambienti delle stive e degli armadietti personali degli equipaggi. Sarebbe stato sufficiente trovare a bordo anche una sola pistola per legittimare la cattura e il sequestro della nave. Ma, per quanto riguarda le "navi bianche" italiane, non accadde mai.
Gli attacchi alle nostre unità ospedaliere furono numerosissimi. Ne ricordiamo alcuni. Quello di cui fu vittima la "Principessa Giovanna", che al largo della costa tunisina aveva appena salvato 71 naufraghi del piroscafo "Campobasso" e del cacciatorpediniere "Perseo", affondati dagli inglesi. I quali, però, secondo la legge della solidarietà fra la gente del mare, avevano segnalato per radio la zona precisa dove recuperare i superstiti. Mentre la nave ospedale era intenta in questa operazione, veniva attaccata a 4 miglia dalla costa tunisina da aerei inglesi. In poche righe di un radiomessaggio il dramma: "Nave Ospedale Principessa Giovanna con 800 feriti a bordo uscita golfo Tunisi prossimità isola Zembra attaccata da aerei nemici bombardata e mitragliata ripetutamente. Danni e feriti a bordo. Proseguiamo navigazione propri mezzi". Firmato dal comandante Cesare Gotelli. Maggio 1943.
Ma non era finita Tre ore e venti minuti dopo, alle 18, altro attacco a bassa quota di aerei inglesi che si accanivano contro la "nave bianca" carica di feriti, con sventagliate di mitragliatrice e bombe che dopo aver sfondato diversi ponti esplosero nel cuore della "principessa Giovanna" provocando danni gravissimi e un esteso incendio. 51 morti, 52 feriti, spente tutte le luci, distrutti molti locali, compresi il gabinetto batteriologico e la farmacia. Malconcia e inclinata a sinistra, la nave riuscì tuttavia a riprendere la navigazione e a raggiungere Trapani. Successivamente fu portata a Napoli e sottoposta a notevoli lavori di riparazione.
Altra nave ospedale oggetto delle "attenzioni" dei bombardieri inglesi fu la "Virgilio", che era arrivata a Tripoli i191uglio 1941 per imbarcare un gran numero di feriti ed ammalati. Ne erano stati già ricoverati 728 quando una squadriglia di aerei britannici attaccò il porto, senza però risparmiare, come avrebbe dovuto, la "nave bianca", nonostante la visibilità delle sue vistose croci rosse sulle fiancate e sui fumaioli e della grande bandiera internazionale. Tutte queste insegne sono fortemente illuminate di notte, al contrario delle unità da guerra che navigano a luci spente. Danni ingentissimi e un violento incendio che si estese ad alcuni reparti di degenza, agli alloggi delle crocerossine, alle mense. 10 morti e 12 tra feriti e ustionati gravi.
Tornata in mare dopo le riparazioni, la "Virgilio" fu bersaglio di aerei inglesi e americani altre due volte, la seconda in un momento delicatissimo, mentre stava imbarcando feriti nella rada di Tunisi. Nuovamente danneggiata e 15 feriti. AI momento dell'armistizio dell'8 settembre '43 si trovava a La Spezia per le riparazioni. Requisita dai tedeschi, fu trasferita a Tolone e qui affondata per ostruire l'ingresso del porto.
Sul proditorio attacco alla "Virgilio" ecco quanto si legge nella relazione del colonnello medico Umberto Monteduro, direttore sanitario dell'unità, in data 4 maggio 1943: "Alle ore 19,37, in rada a Tunisi, quasi alla fine delle operazioni di imbarco, con mille tra ammalati e feriti a bordo, siamo stati attaccati da aerei nemici che hanno sganciato circa 25 tra spezzoni e bombe, cadute in mare la maggior parte ad una distanza compresa fra i 10 e i 20 metri dal bordo, e 3 0 4 a circa 200 metri. Feriti leggeri, un ferito grave. Si trattava del marinaio Giuseppe Musicò, operato d'urgenza sulla nave per gravi lesioni al rene sinistro e perforazione del colon.
Precisava il colonnello medico che nella rada di Tunisi vi era soltanto la "Virgilio", che la visibilità era ottima e che durante l'attacco, sulla terra non era stata lanciata alcuna bomba: "Si è pertanto assolutamente certi che l'attacco è stato diretto unicamente contro la nave ospedale".
Non sfuggì agli attacchi nemmeno la piccola nave ospedale "Meta", come si evince dal seguente messaggio in data 10 mano 1943 inviato dal capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi, all'equipaggio di quella unità: "Vi rivolgo un vivo elogio per l'ottimo comportamento e l'opera prestata da codesta Unità durante il periodo dell'evacuazione della Tripolitania nonostante i frequenti mitragliamenti aerei che il 22 gennaio provocarono 1 morto e 6 feriti". Alcuni mesi prima, il 15 giugno, alle ore 12, dunque in piena visibilità, la "Meta" era stata attaccata addirittura dopo aver salvato numerosi naufraghi del cacciatorpediniere inglese "Bedouin", affondato da nostre unità, durante la battaglia di Pantelleria.
Un'altra piccola nave ospedale, la "Capri", fu attaccata due volte, nel marzo '43, mentre si trovava nel porto di Trapani al rientro da una missione in Libia, e una seconda volta, il 21 aprile, mentre era in cantiere a Torre del Greco per le riparazioni. 2 morti e 15 feriti, fra i quali 3 ufficiali e il comandante Capezzuto.
Disavventure anche per la nave ospedale "Città di Trapani", molto impegnata in Africa settentrionale, con un bilancio di imbarchi, in soli nove mesi, dal maggio al dicembre de11942, di 2.496 ammalati e 1.430 tra feriti e naufraghi. Prima subì un attacco da parte di un aereo inglese, poi, alle 9 del mattino, mentre dirigeva verso Bengasi, a 17 miglia dalla costa fu squassata da una misteriosa esplosione. Siluro? Mina? Non fu possibile accertarlo. La nave affondò in 12 minuti ma tutti riuscirono a prendere posto nelle scialuppe: per primi i feriti più gravi, poi le crocerossine, quindi i feriti leggeri, gli infermi, il dottore sanitario colonnello medico Alfano, infine l'equipaggio e per ultimo, il comandante Scotto.
Affondata con un siluro il 10 agosto 1941 anche la nave ospedale di grande tonnellaggio "California", che l'anno precedente era stata impegnatissima nel recuperare e curare molti superstiti del cacciatorpediniere "Borea", della torpediniera "Cipro" e dei piroscafi "Maria Eugenia" e "Gloria Stella", colpiti la notte del 16 settembre 1940 durante una violenta incursione inglese su Bengasi, mentre anche il cacciatorpediniere "Aquilone" e la motonave "Francesco Barbaro" saltavano in aria per aver urtato contro mine magnetiche. Moltissimi i feriti. Le sale operatorie della "nave bianca" lavorarono intensamente tutta la notte, sino al mattino inoltrato.
Assai penosa la fine della "Arno", nave ospedale modello, l'11 settembre 1942 mentre era in navigazione verso la Libia con a bordo, per una visita ispettiva, il Direttore della Sanità militare marittima, generale medico Gregorio Gelonesi. Questa "nave bianca" aveva già effettuato 49 missioni di trasporto e cura di feriti ed infermi e 8 di soccorso ai naufraghi. Complessivamente aveva assistito 6.133 tra feriti e naufraghi e 17262 ammalata A circa 5 ore dalla costa - circa 62 miglia - l'attacco proditorio.
E la bella nave fu perduta, inabissandosi molto lentamente sotto lo sguardo commosso dei naufraghi a bordo di 9 scialuppe. Esemplare il comportamento delle crocerossine. Attaccata anche la nave ospedale "Toscana" alla sua terza missione, questa volta da aerei americani il 29 aprile 1943 in prossimità di Capo Cartagine dopo aver recuperato 7 naufraghi del piroscafo "Teramo" affondato dagli inglesi. L'attacce provocò 15 feriti, di cui alcuni molto gravi. Riuscì comunque a rientrare con ben 938 persone a bordo; molte di più di quelle che poteva accogliere.
Praticamente non ci fu "nave bianca" che non dovette subire attacchi, alcuni conclusisi con l'affondamento, altri, i più numerosi, con danneggiamenti e feriti. Questo l'elenco che abbiamo potuto attingere presso 1'Ufficio storico della Marina. Navi ospedale affondate: "Arno", "California", "Città di Trapani", "Po", "San Giusto", "Sicilia", "Tevere". Navi ospedale danneggiate da bombardamenti, mitragliamenti, siluramenti e mine: "Capri", "Laurana", "Meta", "principessa Giovanna", "Rombo N", "Toscana", "Virgilio".
Fu un bilancio drammatico di episodi indegni che ferirono l'onore militare di quanti fra i belligeranti - la maggioranza - avevano invece rispettato le norme internazionali a salvaguardia delle istituzioni sanitarie e specialmente delle navi bianche".
Quanto accaduto alle navi ospedale italiane fu considerato talmente grave da indurre i governi a convocare nel 1949 un'apposita conferenza a Ginevra per adeguare le convenzioni internazionali
riguardanti il trattamento dei feriti e dei loro soccorritori, del personale sanitario, delle unità navali specificatamente adibite al loro trasporto con le insegne della Croce Rossa, e dei prigionieri di guerra.
Ma nessuno se la sentì di proporre ai vincitori della seconda guerra mondiale l'avvio di un inchiesta per individuare e punire gli aggressori delle "navi bianche" italiane.