I mezzi d'assalto della Marina italiana.
La squadriglia delle Stelle. "Così sfidammo gli inglesi a due passi dalla base di Gibilterra". |
L'ammiraglio Ernesto Notari rievoca le sue prime prove dei "mailai" in acqua con Tesei.
Pericoli tanti, nella sua vita, il primo quando aveva soltanto quattro mesi. "Sì - dice sorridendo l'Ammiraglio Ernesto Notari, medaglia d'argento dei Mezzi d'Assalto della Marina Militare - avevo solo quattro mesi, quando mi buscai il terremoto di Messina. La casa ci crollò addosso; a me e ai miei, mia madre mi salvò saltando dalla finestra con me in braccio: tre metri d'altezza. Ci ritrovammo tutti, subito, salvo mio fratello di 2 anni, incastrato a testa in giù, con un piede fra due pali. Lo salvarono appena in tempo. Mia nonna, invece, ferita, morì poco dopo in una clinica di Palermo".
92 anni, ma sorridente e ricco di battute, Notari ci fa capire l'uomo che doveva essere a 30 anni, quando era in Marina. Uno di quei personaggi ai quali si pensa subito sentendo le note di "A noi la morte non ci fa paura", pronti alle imprese più spericolate, ed alle beffe anche, quando possibile.
"Sono stato il primo ufficiale palombaro di Stato Maggiore della Marina, brevetto n.l. Nel 1935 venni nominato ufficiale in 2" sul Titano, nave salvataggio sommergibili, e sostituii Borghese che andò al comando di un sommergibile. Sul Titano erano tutti sommergibilisti. Fra gli altri c'era Teppati, che avrebbe comandato, più tardi, il Marcello".
In quegli anni, sul Titano, Notari improntò subito il proprio lavoro di addestramento dei palombari all'uso di ogni più moderna tecnica ed allo sprezzo del pericolo. Da come parla di quel suo primo lontano incarico, si intuisce come uomini simili a lui possano calarsi in quelle autentiche tombe di metallo ("Le bare di ferro", le ha chiamate un autore tedesco) che sono i sommergibili affondati, per tentare di salvare qualcuno dei superstiti, com'è avvenuto, ma invano, col sommergibile russo di recente nel Mare Artico.
"Il Titano era un rimorchiatore a carbone che era stato trasformato in nave da ricerca e salvataggio sommergibili su progetto inglese. Sulla vecchia unità c'era una camera di decompressione e dei grossi cilindri pieni d'aria compressa. Con quei mezzi era possibile raggiungere - racconta Notari - la profondità di soli 40 metri. Per farlo, occorreva mettere due pompe in parallelo e quattro uomini a manovrarle. Si figuri un po'. Ma a un certo momento mi autorizzarono a dirigere un corso "Alti Fondali" : così ci trasferimmo col Titano da La Spezia a S. Margherita Ligure, dove, fuori dal porto, s'arriva subito a 80-90 metri. Al corso "Alti Fondali" eravamo in sette, tutti palombari. Io fui il primo ad immergermi, per l'etica di Comando, naturalmente. Senza alcuna difficoltà raggiungemmo la profondità di 78 metri. Per risalire, la decompressione ci portava via un'eternità di tempo, tre ore grosso modo. Per passare il tempo, inventammo un sistema: avendo il bilancino, andavamo in coppia sott'acqua. Elmo contro elmo chiacchieravamo sott'acqua, aspettando che fosse finita".
Era proprio in quei giorni che Tesei e Toschi (ufficiali del Genio Navale che Notari conosceva avendo fatto insieme l'Accademia seppure in corsi a distanza di un anno) idearono il "maiale". Le prime prove del "maiale" vennero fatte a La Spezia nel bacino n°5 dell'Arsenale.
"Però, siccome per andare sott'acqua occorreva tutta un'attrezzatura subacquea - dice Notari - Tesei si rivolse a me che ero l'unico che poteva fornirgli in quel momento i "costumi" per andar sott'acqua. Per farla breve, io feci con Tesei le prime prove del "maiale" in acqua".
Notari rientra a S. Margherita Ligure e, poco dopo, sbarca dal Titano, la nave dei palombari. Inizia la sua guerra a Lero, come comandante della torpediniera Libra: "Un certo giorno, a Lero incontro Martellotta, mio compagno di corso in Accademia. Che ci fai qui? gli chiedo. E lui, in gran segreto, mi confida di essere entrato nei Mezzi d'Assalto. Era a Lero per una crociera di ambientamento con un sommergibile. Io tornai in Italia e la prima cosa che feci fu di andare al Ministero e chiedere di entrare nei Mezzi d'Assalto. Questo accadde subito dopo l'impresa di Malta in cui Tesei morì. Allora venne nominato il comandante Forza alla testa di quegli spericolati, in sostituzione di Moccagatta, morto a Malta anche lui".
Al Serchio Notari arriva alla fine del luglio '41 e vi trova in addestramento De La Penne, Martellotta e Marceglia, il primo gruppo pronto per una missione. Al Serchio si faceva l'addestramento in mare con il "maiale", mentre a La Spezia c'era la vecchia S. Marco ch'era stata a Tobruk ed ora serviva da base addestrativa, ottima per gli attacchi sotto carena.
"Partivamo con un pullman dal Serchio, s'arrivava a La Spezia verso le sei, facevamo le nostre brave esercitazioni, tutte pianificate da me. Avrei voluto partire in missione subito, ma mi dissero riò, tu da qua non ti muovi. Così potei partecipare solo alle ultime due azioni di guerra, maggio e agosto '43, quando ormai la guerra era persa, e tutta la costa nordafricana era occupata dagli Alleati. Ma noi avevamo
l'Olterra".
Olterra, la nave dei misteri. Alla banchina nel porto spagnolo di Algesiras, ufficialmente unità mercantile sinistrata, era la base segreta di quelli della X, in vista di Gibilterra. Da lì partirono straordinarie missioni senza che mai gli Inglesi capissero che la base degli assaltatori che distruggevano le loro navi era quel malandato piroscafo.
"Nel gavone di prora c'era il portellone immerso nel mare, i maiali potevano uscire uno alla volta ogni mezz'ora, se le cose andavano bene. Borghese, che ora comandava la X, mi aveva detto, quando partii: "Tu devi attaccare esclusivamente i piroscafi". Erano in bella mostra quei convogli alla fonda, venuti dall'Atlantico e diretti a varie basi nemiche nel Mediterraneo, da Alessandria a Malta e più in là. Io che ero il capogruppo, partivo per primo. Dall'Olterra guardavamo quelle navi, tu becchi questa, tu quell'altra. Il grosso problema, oltre al nemico, era la corrente, quella che dall'Atlantico viene nel Mediterraneo e viceversa. Quando eravamo sotto le carene, venivamo trascinati via, occorreva ripetere la manovra varie volte con grande pericolo d'essere visti. Comunque, nella prima missione affondammo ben tre piroscafi. Avevamo la doppia testa, si staccava prima una e poi l'altra".
Dopo la prima missione, tornano in Italia.
"Appena arrivati ci hanno appuntato la medaglia d'argento sul campo. E l'ammiraglio Riccardi ci ha detto: "State pronti, perché dovete tornare per nuove missioni" : Eravamo pronti, altroché. Siamo tornati sull'Olterra e abbiamo rifatto il nostro attacco, stessa tecnica, stesse difficoltà, analogo risultato. Gli Inglesi capirono tutto solo dopo la guerra, quando trovarono la nostra base dopo aver preso
l'Olterra. Con tutto il loro Secret Service non avevano mai capito nulla di quanto gli italiani, di solito così chiacchieroni, erano riusciti a fare per anni nel più assoluto segreto, a pochi passi da una grande base britannica come Gibilterra".
L'ammiraglio ride, soddisfatto.
Poi si fa serio e mi dice: "Ma sa, noi eravamo la Squadriglia dell'Orsa Maggiore. La Squadriglia delle Stelle".
Ferraro, a nuoto sotto le navi nemiche.
Fu autore di imprese memorabili contro la flotta anglo-americana. Nella foto sotto Luigi Ferraro e Orietta Romano nel giorno del matrimonio, il 24 maggio del '39 davanti alla Cattedrale di Tripoli.
Le
creature del profondo hanno qualche cosa in comune che le fa riconoscere subito
l'una all'altra e ne provoca amicizia se non fraternità. E per creature
intendiamo, ovviamente, anche quelle umane.
Nel
buio della notte.
Dài
e poi dài alla fine ha ceduto e così ci siamo ritrovati sotto la carena delle
navi nemiche negli anni '40, nel buio pesto delle notti mediterranee senza luna,
a cercare l'aletta di rollìo del bastimento per attaccarci la «bombetta» che
l'avrebbe fatto saltar per aria senza che nessuno capisse il perché.
L’attacco.
Le
navi nemiche si muovono e nessuno a bordo immagina che c'è, là sotto,
un'etichetta che libera il meccanismo di morte. Dopo qualche miglio saltano per
aria. Sarà forse stato un sommergibile. Ma questa è solo una parte della
vicenda di quest'uomo straordinario, quella più nota. Come è noto il progetto
di attacco alle navi britanniche giunte a Tripoli occupata avrebbe dovuto
compierlo insieme alla moglie Orietta, esperta nuotatrice, ma non fu mai
realizzato perché il ripiegamento verso la Tunisia delle nostre truppe impedì
ai due temerari coniugi di raggiungere la capitale della Libia.
Medaglia
d'Oro.
Nel
gennaio del 1951 la Marina Militare, con decreto del ministro della Difesa,
Pacciardi, trasforma le 4 medaglie d'Argento conferite durante la guerra a
Ferraro, nella Medaglia d'Oro. Nella motivazione si legge fra l'altro che
Ferraro «ha coscientemente affrontato e superato rischi mortali sempre
maggiori, dando prova di esemplare noncuranza del pericolo, di chiaroveggente
freddezza, d'insuperabile perizia tecnica e d'inesausto amor di Patria. I
risultati da lui ottenuti aggiungevano nuove glorie a quelle che già avevano
resi famosi nel mondo i mezzi navali d'assalto italiani».
L'impresa della Decima Flottiglia Mas nel dicembre 1941.
L’impresa
della Decima Flottiglia Mas - denominazione di copertura dei mezzi d'assalto
della Marina - contro la base inglese di Alessandria d'Egitto, fu sessant'anni
fa (18 dicembre 1941) la più memorabile di tutta la guerra in Mediterraneo. Per
audacia, preparazione tecnica, perizia marinaresca, l'operazione «G. A.3»
risultò un modello mai eguagliato.
Perfetta
la navigazione del sommergibile Sciré, salpato da La Spezia il 3 dicembre e da
Lero il 14 dicembre, per affrontare il tratto di mare più pericoloso. Quando lo
Scirè, dopo aver letteralmente strisciato sul fondo del mare, alzò il
periscopio, il faro di Ras el Tin, che segnava la rotta per penetrare nella
base, occhieggiava davanti alla prua.
Così
accadeva spesso che nella fase cruciale dell'azione, il «secondo» fosse il più
provato (si considerino anche i tempi: il materiale, dalla tuta di gomma ai
respiratori, a tutto il resto, non era quello di oggi). Sta di fatto che il
palombaro Emilio Bianchi venne a mancare e Luigi Durand De la Penne restò solo,
col mezzo piantato sul fondo.