La campanella suona la fine della 3 terza ora. La prof ci lascia andare. Torno verso la mia classe con i libri sottobraccio. La porta è ancora chiusa, evidentemente la lezione d’inglese non è ancora finita. Mentre aspetto faccio due chiacchiere con la mia amica Sara. Il prof l’ha buttata fuori perché lei gli ha detto “ma prof lei da i numeri”. Quando imparerà a tenere la bocca chiusa questa benedetta ragazza ? L’anno scorso ha avuto l’infelice idea di farsi sentire dal prof mentre sosteneva che “la matematica è un’opinione” Nel frattempo la lezione finisce e il prof se ne va. Bene mi preparo ad entrare, prendo un bel respiro, poi tappo bocca e naso. Butto i libri sul banco, per fortuna sono in prima fila, subito vicino alla porta, così non devo perdere tempo. Dopodiché mi dirigo di corsa verso la finestra aperta e ricomincio a respirare. Ora vi chiederete perché tutto questo casino solo per entrare in classe? Semplice, alla 1 ora del lunedì, alla 3 del mercoledì e alla 5 del venerdì abbiamo I lingua. Ciò significa che io e altri 6 fortunati andiamo in un’auletta a fare francese, mentre gli altri 20 disgraziati devono stare in classe a fare inglese. Dico disgraziati perché il loro prof d’inglese è quanto di peggio si possa immaginare. Oltre ad essere una capra nella sua materia (la mia prof d’inglese sostiene il contrario. Sarà ma a me happy new yaar, la sua traduzione di buon anno nuovo, non pare proprio inglese di Oxford) , ha una caratteristica che lo rende il compagno ideale per un viaggio in Transilvania: al mattino si fa delle meravigliose spremute di aglio . Vi lascio immaginare l’odore che c’è in classe. L’aria è assolutamente irrespirabile. Non c’è da stupirsi che, anche quando fuori ci sono due gradi sottozero, le finestre siano sempre aperte. Non oso immaginare quando durante le interrogazioni, devono andare alla cattedra e sedersi di fronte a lui. Mi viene da vomitare al solo pensiero. Non ringrazierò mai abbastanza il cielo per aver studiato francese alle medie. Così ora faccio francese come prima lingua e inglese come seconda. Questo mi ha permesso di evitare Mr. Garlic. Purtroppo il tanfo di aglio rimane anche dopo che lui se n’é andato, per questo ora sono alla finestra. Per fortuna dopo c’è economia aziendale, il che significa, che il prof sarà in ritardo, come sempre. Almeno ci sarà il tempo per liberarsi dall’odore. Durante la lezione di economia aziendale mi faccio bellamente gli affari miei, come del resto fanno tutti quanti. Non che non mi piaccia la materia, con la prof dell’anno scorso avevo 8, è il prof che detesto. Si crede chissà chi solo perché fa il commercialista, in realtà nessuno lo considera. È inutile starlo a sentire, perché non sa insegnare, da solo un mucchio di fotocopie con le soluzioni e crede che questo basti. Al prossimo compito prenderò sicuramente 3, ma non ha importanza, tanto a fine trimestre avrò di nuovo 8. È stato così nei due trimestri precedenti. Non vedo perché dovrebbe essere diverso in questo. Recupero tutto nell’orale e con le ricerche. All’orale uso grossi paroloni e parlo tutta l’ora, magari non centra nulla con la domanda iniziale, ma tanto lui non mi sta a sentire, anche perché l’argomento nemmeno lo conosce. Le ricerche invece, bè quelle sono anche meglio. Scarico tutto da internet, faccio qualche aggiustamento qua e là, poi spaccio il tutto per un duro lavoro di ricerca. Tutto questo impressiona molto il mio prof, che crede solo che io non riesca ad esprimermi con lo scritto. Per fortuna suona la campanella, non se ne poteva più. Il prof segna alla lavagna i compiti per la prossima volta. Lavoro inutile, tanto nessuno li farà. Del resto lui non li controlla né li corregge, quindi sarebbe del tutto improduttivo. Mi dirigo verso il cancello sbadigliando, senza accorgermi di Akira finché non lo sento chiamarmi. “Audrey, ehi ci sei ?!” grida tentando di attirare la mia attenzione. Mi riscuoto dai miei pensieri e gli vado incontro. “ciao, non ti aspettavo” “ho deciso di farti un’improvvisata” “ma non avevi gli allenamenti oggi?” “no oggi è di riposo” “sicuro?” gli domando non molto convinta. L’ultima volta che mi ha detto così, era una balla bella e buona. Io poi mi sono beccata tutta la colpa perché lui, non sapendo come giustificarsi, aveva inventato una storia impossibile in cui io gli avevo impedito, non so più per quale motivo, di presentarsi agli allenamenti. “Certo!” mi risponde con una faccia innocente. “Va bene, ti credo. Spero di non dovermene pentire” “ti va di andare a prenderci un gelato?” “Va bene” Dopo una lunga e sofferta meditazione Akira decide di prendere una macedonia con gelato. Io invece mi butto senza nemmeno pensarci sull’affogato al cioccolato. Akira sicuramente dirà che sono prevedibile, ma che ci volete fare io adoro l’affogato. Quando finalmente arrivano le nostre ordinazioni, guardo stupita il mio gelato. “ma è diverso dal solito” mi lamento “perché che ha che non va?” mi chiede Akira “manca la panna” rispondo con lo stesso tono che userebbe una bambina di 5 anni delusa dai regali di Natale. “Se vuoi te la do io la panna” Vi faccio notare che sul suo gelato non c’è la panna, e che quello che intende lui non è certo il derivato del latte che si usa per guarnire i dolci. “Dai che schifo Akira sto mangiando.” “prima o poi dovrai pure assaggiarla quindi…..” “Sì certo ma non vedo perché proprio la tua, e poi noi siamo amici e gli amici non fanno sesso” in realtà l’idea di andare a letto con Akira non è poi così poco accattivante. Ovviamente questo non glielo posso dire. “ perché no scusa?” “perché il sesso cambia tutto” “non necessariamente in peggio e in ogni caso noi siamo già più che amici.” Il discorso sta andando su un sentiero pericoloso. Non so cosa dire. Me ne sto zitta con gli occhi bassi fissando il tavolo, evitando accuratamente i suoi occhi. Per fortuna qualcuno fa cadere un bicchiere e questo mi dalla possibilità di cambiare argomento. Mi metto a ridere ricordando l’imbarazzo che avevo provato quando era successo lo stesso a me. Da quel pomeriggio sono passati parecchi giorni, ma io continuo a ripensare alle parole di Akira. Più che amici ha detto. In effetti, non è sbagliata come definizione. Quello che c’è tra noi va al di là della semplice amicizia. Non siamo amici ma non siamo nemmeno fidanzati. Se non lo siamo dipende da me, so che se fosse per lui staremmo insieme già un bel pezzo. Precisamente dalla sera del compleanno di Koshino il suo migliore amico. In realtà non siamo mai stati solo amici, fin dall’inizio c’è stato qualcosa tra noi. Il nostro prima incontro è stato abbastanza particolare. Ero al parco con alcune amiche, era una bella giornata e molti avevano seguito il nostro esempio. Per passare il tempo c’eravamo messe a giocare ad obbligo o verità. Forse era un gioco un po’ stupido per delle 16enni, me noi ci stavamo divertendo un sacco. Ovviamente le domande erano bastardissime. Del resto il bello del gioco è proprio quello. Così per sottrarmi all’ennesima imbarazzante domanda, decisi di buttarmi sull’obbligo. Pensavo che me la sarei cavata a buon mercato, visto che Ayumi era una ragazza tranquilla e non una pazza scatenata come le altre 4. Purtroppo mi sbagliavo perché fu sì Ayumi a decidere la pena ma non prima di essersi consultata con le altre. Mi chiamò con un sorrisetto che non prometteva niente di buono e comunicò la sentenza. “dovrai baciare quel ragazzo laggiù, quello che sta giocando a basket” Mi voltai pensando di trovarmi davanti chissà quale mostro, visto come ridacchiavano le mie amiche. Invece, il tipo in questione era proprio lui: Akira Sendoh . Non avevo mai avuto occasione di parlarci ma sapevo benissimo chi era. Non c’era ragazza nella scuola che non lo conoscesse. Quando passeggiava per i corridoi, a giudicare dall’agitazione, pareva che passasse Brad Pitt . Era tutto un susseguirsi di rossori, occhiate languide, sussurri, bisbigli e risatine imbarazzate. Se poi magari si fermava parlare con qualcuna un pochino più a lungo, rispetto ai soliti convenevoli che rivolgeva a tutte, ecco che la fortunata mortale diventava il bersaglio di occhiate gelose. Stavano tutte lì a sparlare della poveretta, chiedendosi che cosa in lei avesse potuto attirare l’attenzione di “quel gran figo di Sendoh” I commenti erano sempre i soliti: “ma io sono più bella, io sono più carina, che avrà lei più di me “e via dicendo. A vedere tutto quel trambusto mi facevo 4 risate. Tutto quel baccano per un ragazzo. D’accordo un ragazzo con un paio di begli occhi e un gran bel sedere, questo glielo concedevo, ma pur sempre un liceale. Non ne conoscevo uno che fosse degno di essere preso in considerazione. Forse a mala pena quelli di terza sembravano cominciare a capire che il cervello si può usare e non deve essere tenuto impacchettato. Quelli di prima e seconda erano il peggio del peggio. Non riuscivano a tenere una conversazione intelligente per più di 5 minuti. L’unica cosa di cui sapevano parlare era il loro sport favorito e tutto ciò che vedevano in una ragazza erano il culo e le tette. Quelli carini poi erano anche meno preferibili. Erano presuntuosi e arroganti e credevano che qualsiasi essere di sesso femminile dovesse strisciare ai loro piedi adorandoli e idolatrandoli. Del resto erano i degni compagni per quelle galline che starnazzavano nei corridoi. Quelle cretinette che non facevano che parlare di quanto fosse carino quello, piuttosto che quell’altro, che si dichiaravano innamorate di cantati o attori che nemmeno sapevano che loro esistessero. Ok non che uno dovesse sempre stare a parlare della pace nel mondo o fare discorsi filosofici sull’esistenza, però ogni tanto qualche discussione un po’ meno stupida del solito non faceva male. Comunque contenti loro, contenti tutti. Come sostiene la mia amica kay, “i polli devono stare con i polli.” Proprio a causa del mio atteggiamento verso i miei coetanei. non godo di una grande reputazione a scuola. Le ragazze mi giudicano altezzosa e sprezzante, mentre i ragazzi mi trovano imperturbabile e fredda. Sono conosciuta come Audrey Stuart, la principessa di ghiaccio. Devo dire che da quando sono diventata amica di Akira il loro atteggiamento verso di me è un po’ cambiato. Ma a me non è che importi. Ho le mie amiche e non mi mancano nemmeno i ragazzi. Certo non sono una di quelle di quelle bellezze per cui ti volti a dare una seconda occhiata, ma nemmeno una su cui lo sguardo nemmeno si posa. Capelli biondo rame, occhi castani, fisico nella norma. Certo sono un più alta delle altre ragazze, del resto io sono Americana, anche se ho trascorso la maggior parte della mia vita in Giappone. Non ho mai avuto una storia importante ma una serie di storielle disimpegnate con degli studenti universitari. Ma torniamo a quel giorno al parco. Mi avevano lanciato una sfida e io non mi sarei tirata indietro, anche perché quando si gioca bisogna accettare tutte le regole. Mi alzai e mi avvicinai a lui. Con tutta la faccia tosta di cui disponevo, gli chiesi di abbassarsi e gli stampai un bacio sulla bocca. Fu un semplice contatto tra le nostre labbra ma io sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Cercai lo stesso di mantenere il mio sangue freddo e di allontanarmi il più in fretta possibile. Lui però me lo impedì tenendomi un polso. “Posso sapere perché l’hai fatto?” mi domandò. “semplice, tu eri il mio obbligo” gli risposi. “il tuo che?” “La mia penitenza, chiamala come ti pare” Pensavo di aver chiuso lì l’episodio, invece il giorno dopo aveva trovato Akira ad aspettarmi davanti all’entrata della mia classe. Mi chiese di pranzare con lui, e io ancora imbarazzata per il giorno prima, accettai. Decisamente gli dovevo una spiegazione. Probabilmente mi aveva scambiata per una pazza.. Così gli spiegai di del gioco e della penitenza che avevano deciso le ragazze. Rimasi piacevolmente stupita da lui. Certo non mi era mai sembrato un ragazzo arrogante o presuntuoso. Credevo più che altro che lui fosse uno di quei tipi tutta apparenza e niente sostanza. Uno di quelli che finché li guardi e basta sembrano simpatici e carini, ma che appena iniziano a parlare ti fanno cadere le braccia. Invece lui non era niente di tutto ciò. Certo quel suo eterno sorriso può ingannare, facendolo apparire sciocco invece il suo è un sorriso sincero. Lui è fatto così è sempre allegro, non si arrabbia quasi mai e le rare volte che lo fa ha sempre ragione. Quando mi fa una scenata io non posso fare altro che stare zitta e ascoltarlo. Non è che mi piaccia molto, ma non posso controbattere perché ha ragione. Insomma mi colpì parecchio. Così cominciai a frequentarlo. Io che avevo sempre detestato lo sport, che avevo sempre etichettato il basket come 5 cretini per squadra che corrono dietro a una palla, passavo i miei pomeriggi a seguire i suoi allenamenti e non mi perdevo una sua partita. Non solo lo seguivo persino quando andava a pescare, io che certo, non avevo mai sognato di emulare le gesta di Sampei. Ci vedevamo come semplici amici anche se tra noi c’era una buona dose di attrazione fisica che di amichevole e fraterno aveva ben poco. Così arriviamo alla sera del compleanno di Koshino. Avevamo pensato a come organizzare la festa con un mese d’anticipo ma poi pochi giorni prima tutti i nostri progetti erano saltati per cause che non sto qui a spiegarvi. Ci trovammo perciò a dover organizzare una festa in 2 giorni e con pochi mezzi (leggasi: No Money). Il risultato non fu certo meraviglioso, ma in queste cose è il pensiero che conta. Allestimmo la festa nel garage vuoto di Kay: lo sistemammo con coperte, cuscini, sacchi a pelo e riuscimmo perfino a trovare due materassini da campeggio piuttosto comodi. La stanza era illuminate da alcune candele, tenute in piedi da un portacandele improvvisato fatto con delle mollette incollate su un cartone. Come ho già detto l’aspetto non era proprio dei migliori ma i mezzi erano quelli che erano. Persino trovare le candele non fu affatto semplice. Girammo 20 anni per il supermercato, prima di riuscire a trovare il reparto giusto. Quando finalmente lo trovammo, stavamo quasi per rinunciare all’idea: c’erano solo le candele profumate e colorate, che costavano un occhio della testa, Akira era arrivato a proporre di prendere i lumini che si usano al cimitero, diceva che bastava togliere la confezione e poi erano candele come le altre. La sua idea non fu accolta sia perché era un po’ tetra, sia perché pure quelli non erano esattamente a buon mercato. Alla fine riuscimmo a trovare una confezione da 20 di candele normali che non fosse troppo costosa. La festa fu comunque carina, ci divertimmo tutti. C’era da bere, da mangiare e c’era anche la musica. Non faceva nemmeno freddo. Certo, alcune persone che uscivano dai garage vicini ci guardarono un po’ male ma a parte questo nessuno si lamentò. Non so come successe, forse fu l’atmosfera, la musica, le candele e il fatto che ci eravamo trovati ad essere tre ragazzi e tre ragazze. Forse fu colpa dello spumante. Forse fu che eravamo stati abbracciati tutta la sera. Forse i nostri visi si trovarono troppo vicini. O forse doveva solo succedere. Insomma ci trovammo a baciarci e credo che se fossimo stati soli saremmo andati molto più in là. Non abbiamo mai parlato di quella sera. Non apertamente almeno. Semplicemente da quel giorno Akira ha cominciato a fare battutine su di noi, e a trovare doppisensi in ogni cosa che dico. E poi c’è stata quella dedica sul mio diario, che io ho voluto considerare semplicemente spiritosa ma che in realtà, so essere ben più seria di quella che sembra. Dice così: Io ti amo e se non ti basta ruberò le stelle al cielo per farne ghirlanda e il cielo non piangerà di ciò che ha perso, che la tua bellezza sola riempirà l’universo. Io ti amo e se non ti basta vuoterò il mare e tutte le perle verrò a portare davanti a te, e il mare non piangerà di questo sgarbo che onde a mille e sirene non hanno l’incanto di un tuo solo sguardo. Io ti amo e se non ti basta solleverò i vulcani e il loro fuoco metterò nelle tue mani e sarà ghiaccio per il bruciare delle mie passioni. Io ti amo e se non ti basta anche le nuvole catturerò, e te le porterò domate e su di te piover dovranno quando d’estate per il caldo non dormi. E se non ti basta, perché il tempo si fermi, fermerò i pianeti in volo e se non ti basta Vaffanculo* Tipico di lui scrivermi una cosa del genere. Io be’ io non lo so. Da quel giorno mi sono trovata a pensare a lui sempre più spesso. Non sono più a raccontare a me stessa la storia del siamo solo amici. Mi trovo a sognare ad occhi aperti per ore, cambio umore ogni momento e non faccio che pensare a come uscire da questa cosa. Insomma sono innamorata di Akira. Non so assolutamente come gestire questo fatto, io non dovevo innamorarmi non adesso almeno. Avevo progettato di costruirmi una storia seria solo più avanti, verso i 22, 23 anni. Prima volevo solo divertirmi. Avevo mollato, senza pensarci due volte, il mio ultimo ragazzo quando si era messo a parlare di quanto sarebbero stati carini i nostri bambini. E invece ora tutti i miei progetti rischiano di saltare. Sì perché so benissimo che quella con Akira non sarebbe una storia senza importanza, che potrei chiudere appena comincia a farsi un po’ più impegnativa. E questo mi spaventa. Se poi le cose andassero male, cosa farei? Finora ho cercato di combattere quello che provavo con tutta me stessa, senza aver ottenuto alcun risultato. Improvvisamente mi vengono in mente le parole di una canzone che Akira mi ha dedicato qualche giorno fa. Appoggiati a me Che se ci dovesse andar male, cadremo insieme E insieme sapremo cadere Appoggiati a me Con la pesantezza del cuore Dai deciditi che Male non farà (Ligabue, male non farà) È come una specie d’illuminazione, improvvisamente realizzo che non posso e non voglio continuare così. Al diavolo i miei programmi e le mie paure. Non voglio trovarmi tra qualche tempo a piangermi addosso per aver perso la mia occasione. Se non ci provo nemmeno, non potrò sapere come finirà. In fondo se ci saranno dei problemi li risolveremo assieme. Ora che so finalmente che cosa fare, non posso aspettare neanche un minuto per dirglielo. Scendo le scale come una forsennata, farfugliando un te lo dico dopo a mia madre che mi chiede dove vado. Mi faccio di corsa la strada da che divide casa mia da casa sua. Suono il campanello e aspetto trepidante che apra. Appena lo fa, gli getto le braccia al collo e lo bacio. Metto tutta me stessa e tutto quello che provo per lui in questo gesto. Dopo la sorpresa iniziale inizia a rispondere al mio bacio. Se il nostro primo bacio è stato bello, be’ questo è assolutamente meraviglioso. “I love you” gli dico quando ci stacchiamo. Non è la prima volta che glielo dico ma adesso non significa semplicemente ti voglio bene. “ti amo” mi risponde lui e anche se già lo sapevo, è bellissimo sentirglielo dire. Fine *Allora ovviamente questa cosa non me la sono inventata io. L’autore è Stefano Benni ed era sulla smemoranda del ‘95 Torna a Slam Dunk Torna all’indice delle Fanfiction |