UN INCONTRO VOLUTO DAL DESTINO
parte 9

 

Se Hiroaki non avesse visto con i propri occhi l’esibizione in pubblico di Akira, non ci avrebbe certamente mai creduto.

L’uomo si accattivò le simpatie dei numerosi presenti con l’abilità di un politico esperto e rispose anche alle domande più stravaganti con molta classe. Hiroaki lo aveva osservato da lontano, poiché, avendo passato la mattina a parlare in una conferenza dedicata al romanzo storico, era arrivato tardi e non era riuscito a prendere uno dei primi posti.

Dubitava che qualcuno dei colleghi di Akira sapesse quanto fosse difficile, per lui, stare in piedi sul palco, vestito in modo elegante, a rispondere a domande troppo personali che gli venivano rivolte da perfetti estranei.

Però era un bravissimo attore e riusciva a nascondere la timidezza, immedesimandosi nel ruolo dell’attore televisivo pieno di fascino, ma anche molto modesto. Probabilmente aveva nascosto la sua timidezza in quel modo per tutta la vita.

Hiroaki impiegò venti minuti a farsi strada nella folla e a raggiungerlo, ma quando riuscì finalmente nel suo intento, il sorriso di Akira fu una ricompensa più che sufficiente.

"Un bello spettacolo", gli disse.

Akira alzò gli occhi al cielo, facendogli capire che aveva sofferto le pene dell’inferno.

"Grazie al cielo, è quasi finita!" Akira firmò pochi altri autografi, poi, preso Hiroaki per un braccio, si fece strada fra la folla, allontanandosi dalla confusione.

"Ti sei annoiato?

"La parola più adatta è stupito. Direi che come dimostrazione di coraggio è pari a quella di un equilibrista che cammina su un filo sospeso in aria senza la rete di salvataggio." Hiroaki capì che Akira aveva voglia di andarsene, perciò non protestò quando lui fermò un taxi e ordinò al guidatore di portarli al Jefferson Memorial.

"Non sapevo che tu conoscessi Washington", gli mormorò, mentre l’auto pubblica li portava verso il cuore della città.

"Non la conosco infatti. Però Helen Rossell è cresciuta qui."

Helen Rossel interpretava un personaggio molto dolce e ingenuo in un teleromanzo concorrente e aveva partecipato anche lei alla sfilata delle star.

"Helen ha detto che il Jefferson Memorial è il miglior posto ed è anche un po’ fuori mano."

"Lontano dalla folla, eh?"

"Abbastanza lontano, spero", disse l’uomo, mentre salivano i gradini di marmo.

Hiroaki oltrepassò le colonne marmoree e sorrise. Era d’accordo con Helen Rossell: il monumento, con la sua grazia e con la sua imponenza, si accordava perfettamente a quello che lui conosceva del carattere di Thomas Jefferson. Fece lentamente il giro della statua dell’eroe e sentì che una strana emozione pervadeva il suo animo di scrittore e studioso di storia.

"Sapevo che ti sarebbe piaciuto", disse Akira, soddisfatto, guardandolo. In quel momento, Hiroaki provò un’altra sensazione, una sensazione che avrebbe dovuto conoscere fin troppo bene.

Dopo un po’ i due arrivarono fino alle rive del fiume Potomac e Hiroaki si sedette a guardare gli alberi di ciliegio che, in piena fioritura, ondeggiavano, spinti dalla leggera brezza di maggio.

"Grazie per avermi portato qui."

"Prima di tutto devo ringraziare te per essere venuto in quel serraglio che è stata la serata delle star. Sei stato un’oasi di pace in un deserto di pazzia."

"Non so come tu abbia fatto a sopportare tanto."

Akira scrollò le spalle. "È tutta questione di pratica. Ho interpretato questa parte per tutta la vita. Akira Sendoh il ragazzo baciato dalla fortuna."

"Ma non sei tu, Akira. Questa immagine non corrisponde nemmeno un po’ alla tua realtà. I ragazzi baciati dalla fortuna non hanno mai problemi."

"Ma è questo l’Akira Sendoh che il pubblico vuole ed è questo che devo dargli."

"Non sempre. Non devi fingere con i tuoi amici o con la tua famiglia."

"No, non con i miei amici, fortunatamente. Però ho paura che la mia famiglia mi consideri ancora il ragazzo d’oro."

"Anche adesso? Dopo tutto quello che è successo?"

"Beh, dopo l’incidente al ginocchio riuscii a farmi forza e loro non seppero mai come mi sentivo. Ma quando Kenji e Toru morirono… No, allora non riuscii a essere forte ed ebbi un crollo. Interruppi le riprese di ‘Amore spericolato’ e tornai nello Iowa. Pensavo che stare nella fattoria dei miei genitori mi avrebbe aiutato a superare la crisi."

Hiroaki lo guardò e capì. "Ma non fu così."

"No, anzi fu peggio, perché i miei genitori si spaventarono a morte nel vedermi così giù di morale. Era come se non fossi più il loro figlio, ma una specie di impostore, un estraneo pieno di rabbia e di disperazione. Perciò me ne andai. Non potevo rimanere e far soffrire anche loro."

Ci fu un attimo di silenzio.

"Pensi veramente che le persone ti amino solo se sei perfetto? Se non le fai soffrire?" gli chiese Hiroaki.

Era una domanda pericolosa ed Akira, prima di rispondere, fece una breve pausa.

"Ci ho creduto per molto tempo e penso che parte di me ancora ci creda che nessuno mi voglia come sono realmente: lunatico, difficile, pieno di problemi."

"Oh sì, sei impossibile", lo prese in giro Hiroaki, sorridendo. "Ma alcuni ti apprezzano comunque."

"Non capisco proprio perché", disse Akira, ricambiando il sorriso affettuoso.

L’importante è che lo sappia io, pensò Hiroaki. Poi il pensiero gli andò ad argomenti proibiti e lui arrossì. Il sole del pomeriggio gli sembrava improvvisamente troppo caldo, così si tolse la giacca del suo completo di lino.

Akira lo aiutò e con la mano gli sfiorò accidentalmente la camicia di seta beige.

"Ti ho detto quanto sei elegante oggi?", gli mormorò all’orecchio.

"È il panciotto che fa questo effetto", disse Hiroaki, nervoso. "È il panciotto da autore famoso e dovrebbe darmi un certo contegno."

"Sei incredibilmente affascinante" infine gli chiese come era andata la conferenza; Hiroaki gli rispose, ma dopo pochi attimi la conversazione terminò.

Hiroaki sentiva che un difficile argomento incombeva su di loro e questo lo rendeva nervoso. Non voleva parlare della loro relazione e, per riuscire ad evitare l’argomento, doveva dire qualcosa prima di Akira. Finalmente gli chiese se avesse avuto qualche notizia della sua audizione.

"No, nessuna, ma tanto ho sprecato l’occasione, Ricky. Non ho dato il meglio di me. Ero così intimorito da Hisashi Mitsui che sono riuscito a spiccicare a malapena qualche parola."

"Sono sicuro che loro ne terranno conto."

"Ma non è tutto. Ho anche conosciuto un mio rivale. È Khan Marley."

Khan Marley era un attore inglese che godeva di una buona reputazione. Hiroaki capì subito che Marley rappresentava una scelta più convenzionale per il ruolo di Macduff.

"Ha alle spalle tutta la tradizione dei classici inglesi ed è molto più vicino di me alla taglia di Mitsui. Infine", aggiunse l’uomo, quasi fosse stata l’ultima goccia, "non ha i capelli neri."

Hiroaki sapeva perché Akira considerava il colore dei suoi capelli e la sua corporatura snella e aggraziata degli handicap, ma sperava che Takenori Akagi si rivelasse un regista tanto sensibile da dimostrare il contrario.

"Veramente io penso che il contrasto tra te e Sir Hisashi sarebbe molto di effetto. È così mastodontico (si lo so che non è vero NdK8) che vicino a lui tu sembreresti quasi un asceta. Un angelo vendicatore."

"Un angelo vendicatore? Che strana espressione! Dovrei assumerti come mio addetto alle pubbliche relazioni."

Akira piegò lievemente il ginocchio e Hiroaki notò che, sotto il pantalone, sporgeva il profilo di una fasciatura.

"Come ti sei fatto male? È stata la rabbia dopo l’audizione?"

"No. Ho urtato contro il bordo delle scale che portavano a una piattaforma del palco mentre combattevo contro Sir Hisashi."

"Cosa?"

Akira spiegò che lui e Sir Hisashi avevano deciso di improvvisare la drammatica lotta finale, cosicché il regista potesse valutare l’effetto che le loro diverse corporature producevano sulla scena. Poi, però, Akira si era lasciato prendere dalla foga della lotta e non si era accorto che le scale erano finite. "Così sono caduto a terra."

"Ahi!", disse Hiroaki, immaginando il dolore che l’uomo doveva aver provato.

"In quel momento ho detto più di ‘ahi’. Ho pensato che le mie imprecazioni si fossero persino sentite a Seattle, dove eri tu", ammise l’uomo. "Poi questo dannato ginocchio ha incominciato a farsi sentire. Avresti dovuto vedere come mi trascinavo sul palco per dare il colpo di grazia a Mitsui."

Hiroaki lo guardò con ammirazione. Era incredibile che non avesse chiesto al regista di interrompere le prove. Il suo dannato orgoglio di campione non gli permetteva di arrendersi davanti a niente, nemmeno davanti al dolore.

Hiroaki ormai lo conosceva abbastanza bene e decise di rinunciare alle proprie critiche.

"Ne è valsa la pena?", chiese solamente.

Akira annuì soddisfatto. "Sì. Posso anche aver fallito la prova, ma almeno ho guadagnato il rispetto del regista."

"oh, non so! Io penso che tu abbia combattuto proprio come avrebbe fatto Macduff; con tutto il coraggio e la decisione che possiedi. Congratulazioni."

"Perché?"

"Perché hai lasciato il ragazzo d’oro dietro le spalle. Hai dimostrato a quelle persone come sei veramente e io sono molto orgoglioso di te."

A quel complimento, Akira arrossì e Hiroaki provò improvvisamente per lui una forte attrazione, non solo fisica. Lo amava tanto! Quando parlavano così a cuore aperto, quando lui si apriva completamente, sembrava impossibile che fra loro ci potesse essere qualcosa che non andava.

E forse non c’era nulla che non andava, pensò Hiroaki, pieno di speranza; forse la ferita si era rimarginata.

Purtroppo, però, Akira tirò un lungo sospiro e, con tono di voce solenne e profondo, disse:

"Dobbiamo parlare noi due, Ricky. Non possiamo più rimandare."

Il giovane capì immediatamente di essersi sbagliato; c’era decisamente qualcosa che non andava.

"No", protestò, istintivamente. "Non dobbiamo dire niente. Almeno niente di quell’ultima notte a New yrk. Ti prego, Akira. Facciamo finta che non sia accaduto niente."

"Far finta che non sia successo? Non è possibile, Ricky! Noi abbiamo fatto l’amore insieme."

"Ma non era nelle nostre intenzioni." Hiroaki parlava impulsivamente, come se questo avesse potuto cancellare quell’esperienza. "Non volevamo. Quello che è successo è stato un … incidente. Ora pemso che dovremmo solo dimenticare tutto."

"Tutto?", lo interruppe lui con durezza.

"Si", rispose Hiroaki arrossendo. "Ti prego."

"Te ne vergogni", disse Akira, con voce incredibilmente dolce.

"Ma certo che me ne vergogno. Mi sono letteralmente gettato fra le tue braccia, come una di quelle ragazzine scatenate presenti nel pubblico di questo pomeriggio."

"C’è bisogno di puntualizzare che tu hai ottenuto da me più di quanto una qualsiasi di loro riuscirebbe mai ad avere?"

"Solo perché io ti ho spinto. In realtà volevo che fra noi non cambiasse nulla."

Hiroaki notò con desolazione che lui non si era affatto preoccupato di negare di essere stato spinto.

"Non far finta che le cose non siano cambiate!", esclamò Hiroaki, esasperato. "Lo sai che è cambiato tutto. Per metà del tempo che passiamo insieme tu sei così freddo e distaccato che mi sembra quasi di non conoscerti, mentre per l’altra metà hai un atteggiamento dannatamente tormentato."

"Se sono tormentato tu dovresti conoscerne i motivi."

"Si, li conosco. Ti ho spinto a infrangere le tue regole di vita e ora tu mi odi per questo."

"Io non ti odio, accidenti!"

"Ah, no?" disse Hiroaki, caustico. "Allora perché non mi guardi? Perché non mi parli? Per amor del cielo, Akira, non possiamo dimenticare tutto quello che è successo e tornare a essere amici?".

"È questo che vuoi? Che siamo amici?"

"Sì. Lo desidero più di ogni altra cosa." La voce di Hiroaki fu così sollevata nel dire questo, che persino un estraneo se ne sarebbe accorto.

Akira mise le mani in tasca e si allontanò da lui, dirigendosi verso il fiume. Hiroaki guardò la sua ombra e pensò che una volta avrebbe osato seguirlo.

"Quello che c’è fra noi è così particolare e bello", disse con tristezza, "che mi si spezzerebbe il cuore nel pensare che abbiamo rovinato tutto per una …" una cosa? Una notte di passione?

Hiroaki non riuscì ad esprimere con parole normali quella notte e d’altronde Akira non sembrò accorgersi che la frase non era stata completata.

Non lo stava nemmeno guardando. Stava osservando il fiume Potomac con tanta inconfondibile tristezza che Hiroaki capì di essere completamente impotente davanti alla sua pena.

"Solo amici, eh?" gli disse con una voce che gli ricordò quella di quando avevano fatto l’amore.

A quel ricordo un brivido percorse il corpo di Hiroaki, che riuscì appena ad assentire con un cenno del capo.

"Penso di essere d’accordo", disse finalmente Akira, voltandosi verso di lui e passandosi una mano fra i capelli. "Mi sei mancato, Ricky", aggiunse poi, con sua grande sorpresa.

Hiroaki gli si avvicinò e insieme camminarono in silenzio lungo la riva del fiume. Per qualche istante, Hiroaki sperò che tutto andasse bene, ma ben presto dovette riconoscere che fra loro esistevano ancora problemi. Problemi rivelati da mille piccoli particolari: nei gesti appena accennati, nella conversazione che moriva dopo poche frasi.

Dopo un’ora Hiroaki rinunciò anche a far finta che la situazione fosse normale e disse di voler tornare in albergo.

Quella sera doveva fare un discorso alla cena della Associasione di storia nippo — americana, disse ad Akira, e gli dispiaceva lasciarlo ma doveva lavorare ancora un po’ alla preparazione di quello che doveva dire. Akira non sembrò sorpreso, anzi, ricordava bene quell’impegno di Hiroaki, poiché conosceva a memoria e dettagliatamente il suo programma.

Quella di Hiroaki era stata una mezza bugia che, oltretutto, si rivelò quasi inutile, perché Akira decise di tornare in albergo insieme a lui.

Tanta fatica per nulla, pensò il giovane, mentre entrambi salivano sullo stesso taxi.

Gradò Akira e gli venne voglia di toccarlo, di baciarlo, di togliergli di dosso quei bei vestiti e accarezzarlo lungo tutto il corpo.

In quel momento, si accorse che le mani, raccolte in grembo, gli tremavano. E lui credeva veramente di poter essere soltanto amico di quell’uomo? No. Non poteva dimenticare di amarlo.

Si fermarono al bancone del portiere dell’albergo per avere eventuali messaggi. Per Hiroaki c’era un biglietto da parte dell’organizzatore della cena, mentre per Akira c’era un messaggio urgente da parte di una certa Loanne. Una vampata di gelosia avvolse Hiroaki. Chi era quella Loanne?

"Il mio agente", spiegò Akira.

Hiroaki non lo aveva mai visto tanto nervoso e, guardando il biglietto, ripeté: "Urgente? Forse è stata presa una… decisione?"

"Su Macduff? Forse." Akira ripiegò il biglietto in sezioni sempre più piccole. "Sarà meglio che le telefoni."

"Ma certo! Subito! Ci sono dei telefoni a gettoni nella hall."

Akira si avvicinò ai telefoni, ma poi si fermò, tornò indietro e si diresse verso gli ascensori.

Passando davanti a Hiroaki lo prese per un polso e lo portò con sé.

"Le telefonerò dalla mia camera. È di cattivo gusto imprecare in pubblico."

Ma Hiroaki non voleva andare in camera sua.

"Senti", balbettò, "tu hai bisogno della tua privacy e io lo capisco. Vado in camera mia e mi metto a lavorare al mio discorso…"

"Vuoi lasciarmi solo in un momento come questo?"

Non stava scherzando del tutto, perciò Hiroaki, disobbedendo al proprio buon senso, seguì Akira nella sua stanza, chiuse la porta e aspettò in silenzio, tenendosi il più possibile lontano da lui.

Akira si avvicinò al telefono sul comodino, formò un numero, attese per un’eternità e poi disse il proprio nome.

Il cuore di Hiroaki batteva così forte che il giovane non sentiva niente altro. Per favore, pregò in silenzio, fa che siano buone notizie.

Il corpo di Akira divenne così rigido che sembrava quasi avesse smesso di respirare. Anche il respiro di Hiroaki si fermò in quegli attimi di spasmodica attesa mentre lui invocava disperatamente il destino. Fa che non soffra ancora. Ha già sofferto tanto. Fa che sia felice.

Improvvisamente udì l’urlo di gioia di Akira e vide il telefono cadere a terra. L’uomo gli corse vicino e insieme urlarono e gridarono di felicità.

"Ce l’ho fatta! Ho ottenuto la parte!"

"Lo so, lo so, Akira."

Akira lo prese in braccio e lo fece girare più volte.

"Mio Dio, Ricky! Hisashi Mitsui e io! A Broadway! Nel Macbeth. Io! Riesci a crederci?"

"Oh, lo sapevo", disse Hiroaki, gettandogli le braccia al collo. "Lo sapevo, lo sapevo! E sarai perfetto, Akira."

In quel momento i loro sguardi si incontrarono e Akira si fermò. Improvvisamente, Hiroaki si sentì sospeso fra cielo e terra e provò la sensazione di essere senza peso, incorporeo. Akira lo attirò a sé e lui, attraverso quel tocco inebriante, riscoprì il proprio corpo.

Akira gli passò le mani dietro il collo e attirò dolcemente il suo volto a sé: Le loro labbra si unirono in un bacio senza inizio e senza fine.

"Apri la tua bocca per me, dolcezza. Di più… così va bene." Amoreggiò con lui attraverso le labbra e la lingua, ubriacandolo di piacere a tal punto che lui non accennò nemmeno a una protesta quando la mano di Akira scivolò sotto la sua camicia per toccargli possessivamente i capezzoli.

Hiroaki sentiva quelle dita calde risvegliare tutta la sua erezione e i suoi capezzoli si irrigidirono.

Akira sospirò di soddisfazione, ma scoprì solo lentamente, con il tocco, il graduale aumento del piacere di Hiroaki.

Hiroaki si sentì quasi soffocare dalla consapevolezza che la passione di Akira era dovuta all’euforia per la buona notizia appena appresa, ma lui era così esuberante nelle sue effusioni che Hiroaki non ebbe la forza di fermarlo. Avrebbe voluto vedere Akira sempre così felice, ma non sapeva esprimere questo sentimento e lasciò che il proprio corpo parlasse per lui.

Akira gli accarezzò la schiena e lo attirò fortemente contro di sé, facendogli sentire l’intensità del proprio desiderio.

"Ho bisogno di te", gli sussurrò Akira.

"Lo so." Ora aveva davvero bisogno di lui, ma dopo? Il volto del giovane si riempì di tristezza.

"No", disse Akira. "No, Ricky. Non farlo. Non andare via." Lo intrappolò con il suo corpo e sbottonò lentamente i bottoni della camicia di lui scoprendo sempre di più la pelle chiara di Hiroaki. Quando gliela tolse, mettendo completamente a nudo il petto, Hiroaki gemette.

Akira trattenne il respiro nel vedere i capezzoli irrigiditi e nel toccarli.

"Non lasciarmi di nuovo", sussurrò, chinandosi a baciarne uno.

Quel tocco lo eccitò talmente tanto che Hiroaki avrebbe dovuto essere fatto di pietra per rifiutarlo. E lui non era fatto di pietra, tutt’altro.

La facilità con la quale si era eccitato lo spaventò.

Hiroaki si strinse contro Akira, lasciando che lui gli togliesse tutti gli abiti e che poi si togliesse i propri, in una lenta danza di passione.

Akira lo portò a letto e si sdraiò accanto a lui. "Ah, Ricky" Mio bellissimo Ricky…"

L’uomo si chinò a baciargli delicatamente il petto e lo stomaco e Hiroaki si dimenticò tutto quello che voleva dire, ma quasi urlò quando la mano di lui gli accarezzò il pene, per poi condurre un’attenta e seducente esplorazione del suo sesso.

Akira rallentò il movimento della mano per permettere ad Hiroaki di controllare i fremiti che gli scuotevano il corpo. "Va meglio?", gli chiese, con voce profonda.

"Mmm… Una meraviglia", gli rispose, rabbrividendo di piacere.

"Mi piace tanto stare con te, Ricky. Sei così caldo, così accogliente." Akira gli prese la mano, incitandolo ad accarezzarlo.

"Si, toccami." La mano di Hiroaki lo raggiunse. "Oh, Dio, non fermarti."

Hiroaki non voleva affatto fermarsi, voleva sentire Akira dentro di se per sempre. Glielo disse e fu il primo a stupirsi della propria audacia.

"Anche io lo desidero. Ti desidero. Tanto."

Akira si abbassò su di lui e lo eccitò finché non fu pronto a esser posseduto. "Lascia che ti faccia mio, Ricky" la voce di Akira era sensuale e non troppo ferma. "Lasciati amare."

"Si. Ora, Akira, ti prego. Ti prego…"

Akira gemette di piacere e penetrò in lui con passione.

Anche Hiroaki gemette forte per quella nuova, eccitante sensazione di pienezza. Si era sentito così vuoto senza di lui nei giorni passati!

Man mano che il suo corpo si scioglieva sempre più, arrendendosi al piacere che cresceva smisuratamente dentro di lui, Hiroaki non trovava più adeguate parole d'’more. Il suo corpo era teso e lui lo arcuò, piantando le unghie nella pelle di Akira.

Quest’ultimo sentì che hiroaki era molto vicino al piacere e intensificò i movimenti del corpo.

"Ricky…"

"Si", sussurrò lui. "Si. Ora…" un fremito inebriante li scosse entrambi, proiettandoli in un vortice di passione che spazzò via tempo e spazio, lasciando posto solo alla gioia che provavano.

Fine nono capitolo.

10

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