UN INCONTRO VOLUTO DAL DESTINO
parte 8

Hiroaki sperava che la novità del viaggio sulla costa occidentale gli avrebbe fatto dimenticare Akira Sendoh, ma non fu così.

Los Angeles, San Francisco, Portland, Seattle furono semplici distrazioni che l’aiutarono a non impazzire. Anche il suo manoscritto non si rivelò efficace in questo senso, perché, quando Hiroaki rilesse il primo capitolo, scoprì che l’eroe, un giovane diplomatico inglese costretto ad entrare nello spionaggio nella turbolenta primavera del 1914, assomigliava incredibilmente ad Akira Sendoh. Gli stessi modi, gli stesse principi, persino lo stesso sorriso.

Fuggire da Akira? Era praticamente nella sua stanza!

Aveva davvero perso la testa per quell’uomo. Anche mentre firmava autografi, in una libreria dopo l’altra, nella sua mente scorrevano continuamente le immagini della notte d’amore con Akira.

Cercava di combinare i suoi orari in modo tale da poter assistere alle puntate di ‘Amore spericolato’ e quando l’intervistatrice di una rete televisiva deviò dalle normali domande sul suo ultimo romanzo e gli chiese se ci fosse qualcuno di particolare nella sua vita, Hiroaki divenne rosso come un peperone e disse la bugia meno convincente della sua vita.

"No! Nessuno", si affrettò a dichiarare. "Proprio nessuno."

Grazie al cielo, Akira non avrebbe mai visto quell’intervista, altrimenti non avrebbe mai creduto alle bugie che lui ogni sera, al telefono, gli raccontava; e cioè che, nonostante quella notte passata insieme, fra loro non era cambiato assolutamente nulla.

Eppure era difficile continuare a recitare quella commedia, quando Akira era così riservato da parlare pochissimo. Ma allora perché gli telefonava? Si chiese più volte Hiroaki, che si sforzava di riempire i pesanti silenzi, divenuti sempre più lunghi fra loro.

"E tu cosa hai fatto?, gli chiedeva, dopo avergli raccontato brevemente e superficialmente la sua giornata.

"Ho lottato con la mia coscienza", rispondeva Akira, mettendolo nei guai. "Devo parlarti, Ricky", disse finalmente, una sera. "E non per telefono, dannazione! Quando tornerai?"

"Fra un paio di giorni. Passerò dal Texas e dalla Florida e per il fine settimana sarò a Washington…"

"Il prossimo fine settimana?"

"Si." In fretta, Hiroaki gli diede i particolari del suo itinerario. "Senti, io tornerò definitivamente a casa fra un paio di settimane. Allora potremo parlare."

Eppure, più pensava a quella conversazione, più si preoccupava. Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, aveva bisogno di un consiglio.

Rintracciò Hanamichi nella sua compagnia aereae fece in modo di incontrarlo in una pausa di volo all’aeroporto di Atlanta.

Hanamichi, bello e affascinante come sempre, nella sua divisa da steward, entrò nel piccolo bar e vide subito l’amico, seduto a un tavolino. "Non tenermi sulle spine", gli disse immediatamente. "Come è stato?"

"Come è stato cosa?" Hiroaki non capiva.

"Fare l’amore con Akira Sendoh, scemo. Cos’altro? Me lo chiedo da anni."

"Come sai di me e di Akira?" lo portava forse scritto in faccia, perché tutto il mondo lo vedesse?

"Ho visto la tua intervista. Tutti i passeggeri del mio aereo l’hanno vista sullo schermo, durante il volo." Hanamichi imitò in falsetto la voce dell’intervistatrice: "Ci deve essere qualcuno di importante nella sua vita…"

Quindi continuò con l’imitazione della risposta imbarazzata di Hiroaki. "Oh, no! Nessuno! Proprio nessuno!" il ragazzo rise. "Non sei mai stato capace di mentire, Ricky, nemmeno quando eravamo bambini. Quando ti ho visto arrossire sullo schermo e rispondere in quel modo confuso e agitato, sono corso in cabina di pilotaggio da Kaede e gli ho gridato: ‘è andato a letto con Akira Sendoh, Hiroaki è andato a letto con Akira Sendoh’ , Hanamichi mise improvvisamente il broncio.

"Non mi hai nemmeno telefonato per dirmelo. Sono offeso, Ricky."

"Mi dispiace. Non ero pornto a parlarne con qualcuno. Prima di oggi, almeno."

L’espressione di Hanamichi divenne ancora più preoccupata. "Non avrai avuto problemi, vero?"

"Mi stai chiedendo se mi è successo quello che accadde con Shinichi? No." Sebbene fosse preoccupato, Hiroaki non poté fare a meno di sorridere trionfante. "No per niente. È stato delizioso"

"Solo delizioso?"

"D’accordo", ammise Hiroaki. "È stato favoloso, paradisiaco. È stato così bravo che in certi momenti ho creduto di morire di piacere. Perché in tutti questi anni non ma hai mai detto cosa mi perdevo?"

"Mi sembra di averci provato più di una volta", osservò Hanamichi. "Ma tu non volevi ascoltarmi"

"Forse non volevo sapere. Non ho mai immaginato di poter provare certe sensazioni, Mitch. Porca miseria amo Akira così tanto…!"

"Lo so, Ricky, e sono contento per te, davvero. Nessuno più di te merita di essere felice." Hanamichi alzò un attimo il capo per ringraziare la cameriera che aveva portato loro una tazza di caffè. "E anche Akira, naturalmente."

"Adesso non incominciare a tirare già il riso", disse Hiroaki.

"Perché no? Ci sono dei problemi?"

"Lo puoi ben dire" Hiroaki deglutì con fatica. "Non è innamorato di me."

Hanamichi stava per negare quelle parole, ma gli bastò guardare l’espressione dell’amico per capire che non stava esagerando.

"Come lo sai?", chiese preoccupato.

Hiroaki gli raccontò tutto, parlando anche della terribile espressione apparsa sul viso di Akira quando lui aveva detto di amarlo.

"Forse non sono l’uomo giusto per lui. Forse nessuno lo è. Forse nessuno può prendere il posto di Kenji."

"O forse lui ha solo bisogno di tempo per adattarsi alla nuova situazione.", osservò delicatamente Hanamichi. "Tutto questo è accaduto all’improvviso"

"Ma lui non si sta adattando. Sta fuggendo. Si sente così colpevole che sta rovinando persino quello che resta della nostra amicizia. Mitch, devo a tutti i costi convincerlo che non mi ha fatto soffrire e che per me è stato bellissimo…"

"Hai pensato di dirgli semplicemente che vuoi rimanergli amico?"

"Forse hai ragione, in fondo è la verità. Preferisco essergli amico che perderlo del tutto."

"Allora diglielo e fallo presto, altrimenti…"

Hiroaki sospirò. "Lo so. Altrimenti lui potrebbe dirmi qualcosa che io preferirei non sentire. Come, ad esempio: ‘Addio’. Ma ora basta parlare di me, dimmi: come va con Kaede?"

"A meraviglia: viviamo insieme, lavoriamo insieme, ci amiamo come matti e scopiamo come ricci!"

"Tu sei veramente incorreggibile!"

Quando l’aereo di Hiroaki decollò dalla pista dell’aeroporto di Atlanta, sulla zona si stava scatenando un terribile temporale.

Oh, stupendo! Pensò il giovane, mentre l’aereo prendeva quota e il suo stomaco si rivoltava. I ripetuti sballottamenti del velivolo, causati dalle sempre peggiori condizioni atmosferiche, provocarono ad Hiroaki una violenta nausea.

Nonostante i suoi timori di non arrivare sano e salvo all’aeroporto di Washington, il giovane scese dall’aereo, si trascinò nel terminal e si lasciò andare, a occhi chiusi, su una poltroncina della sala di attesa.

Vi rimase per diversi minuti, rspirando lentamente nel tentativo di calmare il proprio stomaco.

Quanto avrebbe desiderato essere già a casa, nel suo comodo divano letto, con una doppia razione di Alka Seltzer! Invece doveva ancora fare la fila per i bagagli, prendere un taxi e passare un’altra notte in un’impersonale stanza d’albergo.

Quando riaprì gli occhi e si guardò intorno vide che la sala si era quasi del tutto svuotata.

Si era riposato più a lungo del previsto. Si alzò, prese la valigetta e si diresse verso il luogo dove si ritiravano i bagagli.

Akira aveva ragione riguardo a quel tipo di vita. Non era affatto eccitante e interessante.

"Ricky!"

Quel grido gli fece sollevare la testa. Per un attimo pensò di avere le allucinazioni, perché verso di lui stava correndo Akira Sendoh.

"Akira?"

L’uomo portava un impermeabile tutto bagnato e si precipitò come un fulmine verso Hiroaki, abbracciandolo.

"Grazie a Dio! Stai bene?"

La valigetta cadde dalla mano di Hiroaki, mentre lui, stringendosi ad Akira, diceva: "Sto bene. Ho avuto solo un po’ di mal d’aria. È stato un brutto volo."

Hiroaki si stava appoggiando completamente ad Akira, che sopportava facilmente il peso del suo corpo.

"Brutto? Non riesco a credere che la torre di controllo di Atlanta abbia autorizzato il volo! Ora questo aeroporto è chiuso e quello di Atlanta ha chiuso subito dopo il decollo del tuo aereo."

Solo allora Hiroaki capì perché Akira si era preoccupato tanto. Aveva perso il compagno e il figlio in un disastro aereo provocato da condizioni atmosferiche difficili come quelle.

"Sto bene", sussurrò lui. "Sto bene, sono qui." Sentiva la tensione nelle braccia di Akira e, pensando solo a rassicurarlo, sollevò il capo e premette le labbra su quelle di lui.

Il bacio di Akira fu un’esplosione di sensazioni così potenti che Hiroaki riuscì a malapena a rispondergli. Purtroppo l’uomo riacquistò presto il controllo di sé e lo guardò preoccupato, quasi vedendo per la prima volta il suo volto pallido e le ginocchia tremanti. "Tu stai male", gli sussurrò.

"No. È solo la nausea per il volo…"

Akira lo prese fra le braccia e propose di andare a bere qualcosa al bar. Hiroaki accettò volentieri e insieme entrarono in un piccolo ristorante - bar.

Ben presto Hiroaki si riprese e riacquistò sufficiente presenza di spirito da chiedere: "Ma tu cosa fai qui? Proprio in un aeroporto?"

"Sono venuto a cercare te. Dovevo essere sicuro che eri sano e salvo."

"Oh!" Hiroaki rimase colpito e stupito, ma si insospettì subito.

"Macosa fai qui a Washington? Non mi hai detto di dover venire qui, questo fine settimana."

"Beh…" Akira deglutì e Hiroaki capì che gli stava nascondendo qualcosa. "Se proprio devo dirtelo, sono qui per la pubblicità di ‘Amore spericolato’. Ora non ridere se ti dico che dovrò apparire in pubblico.

"Un’apparizione in pubblico? Tu?"

"Lascia che ti spieghi, Ricky." L’uomo appoggiò la testa alla mano e la familiarità di quel gesto riempì il cuore di Hiroaki di tenerezza.

"Una rivista dedicata a questi grossi serial televisivi ha sponsorizzato una rassegna di stelle televisive che si terrà qui a Washington. Venti di noi incontreranno e saluteranno il pubblico. Sarà peggio che stare allo zoo e probabilmente mi coprirò di ridicolo. Dovresti venire a vedere."

Il pensiero di Akira che incontrava e salutava il suo pubblico era così curioso che Hiroaki stentava a crederci. "Stai scherzando! Non accetteresti mai una cosa del genere!"

"Normalmente no. Ma mi hanno costretto."

"Con quali mezzi? Con un ricatto? Oppure il tuo produttore usa frusta e catene?"

"Peggio. Ha minacciato di farmi fare un anno di scene d’amore con Haruko Akagi, se non avessi collaborato. Mi ha convinto così." Akira fece schioccare le dita.

"Non sei davvero un duro!"

"Conosco i miei limiti. A proposito, penso sia meglio ritirare i tuoi bagagli e andare al tuo albergo." Lo guardò con apprensione. "Mi sembra che tu non stia ancora bene."

"Grazie." Disse Hiroaki. Gli fu ugualmente grato per avergli permesso di appoggiare la testa sulla sua spalla durante il tragitto in taxi, tragitto che gli agitò nuovamente lo stomaco.

Senza aspettare che lui glielo chiedesse fu Akira a occuparsi di tutte le formalità e ad accompagnarlo nella sua stanza.

Hiroaki ebbe quindi tutto il tempo di notare che i modi di Akira, per quanto gentili e premurosi, erano però molto distaccati. Lui non gli fece una sola domanda personale né disse qualcosa che potesse offrire lo spunto per una conversazione.

Osservandolo, Hiroaki si convinse sempre di più che la decisione di Akira di partecipare alla sfilata pubblicitaria di attori non era stata casuale. Lui aveva voluto vedere e chiarire dove stava andando quella relazione.

O, più precisamente, dove non stava andando.

L’uomo che ora esitava sulla porta della sua camera incapace di trovare le parole per dargli la buona notte, sembrava più un monaco che aveva infranto le regole piuttosto che un amante frustrato.

Il suo imbarazzo preoccupò Hiroaki, il quale decise che la riuscita o meno dei loro rapporti dipendeva in larga misura dalla propria capacità di parlare per primo.

Doveva trovare il modo di riportare la loro relazione sul piano dell’amicizia.

Però non poteva affrontare l’argomento quella sera e con gli occhi sembrava pregare Akira di lasciar perdere.

"Sei sicuro di non aver bisogno di un medico?" gli chiese Akira alla fine.

"No. Ho solo tanto bisogno di una buona dormita."

Akira non sembrò troppo convinto. Lo guardò attentamente da capo a piedi, tanto che lui si chiese se il suo aspetto fosse davvero tanto terribile. Evidentemente lo era.

"Senti, io sono nella stanza cinquecentoquattordici" gli disse Akira. "Se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, chiamami." Hiroaki annuì ed Akira aggiunse: "Domani parleremo. Cercherò di liberarmi in qualche modo."

"Si. Domani." Forse per quel momento Hiroaki avrebbe trovato le parole magiche in grado di salvare il loro rapporto, ma ora doveva ammettere che le premesse non erano incoraggianti.

Fine ottavo capitolo.

 

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