UN INCONTRO VOLUTO DAL DESTINO

parte 6

Alla cena di commiato Akira portava la cravatta.

Hiroaki pensò che, dopo questo, niente potesse più sorprenderlo, ma si sbagliava. La sera era piena di sorprese.

L’attico di Akira, in cima a uno dei nuovi e lussuosi grattacieli vicino al Lincoln Center, era più formale di quanto il giovane si fosse aspettato. Il suo arredamento moderno color azzurro tradiva chiaramente la mano di un eccellente architetto. Inoltre, Akira fu un padrone di casa affascinante. Aveva adornato la tavola di fiori e di candele e aveva preparato una cenetta squisita, completata di da un delizioso vino francese, con il quale brindarono alla partenza di Hiroaki.

Al termine della cena si trasferirono a bere il liquore sul terrazzo, l’unico punto della casa arredato da Akira in persona.

Hiroaki era affascinato. Il terrazzo era pieno di magnifiche piante, fra le quali il giovane riconobbe la stessa varietà di quelle che lui gli aveva regalato.

"Il tuo regalo di benvenuto a casa", mormorò, guardando estasiato le verdi cascate di felci. "Erano … erano tue?"

Akira annuì e sorrise di quell’implicito complimento.

"Dovresti progettare giardini."

"Devo mantenermi in contatto con le mie radici e poi tutto questo non è solo per bellezza. Quei vasi davanti a te, per esempio, sono dei pomodori."

Hiroaki alzò gli occhi. Era vero. Il giovane fece un giro fra i vasi e rimase a bocca aperta davanti alla pianta che scendeva da un grande vaso sospeso. Lesse la targhetta e, incredulo, esclamò: "Fagioli del Lago Blu?"

"Sono stati i primi che ho imparato a coltivare. Puoi strappare un ragazzo dallo Iowa, ma …"

"… Ma non potrai mai strappare lo Iowa da un ragazzo." Hiroaki fece il giro del giardino di Akira e trovò verdura comunissima piantata vicino ai fiori esotici più delicati. Quanta cura dedicava a quelle piante e quanto amore… Akira rimpiangeva davvero così tanto le sue origini?

Oppure dedicarsi al giardinaggio era solo uno sfogo per quell’amore che non voleva rischiare di concedere a qualcos’altro?

Squillò il telefono ed Akira, scusandosi, entrò in casa a rispondere. Hiroaki ne approfittò guardarsi ancora intorno, notando quanto fosse sistemata artisticamente la terrazza. I suoi vasi sospesi, le piante rampicanti e i cespugli alti fornivano una privacy quasi completa. Nascondevano infatti la vista e attutivano i rumori della città lasciando vedere solo una striscia di cielo striato di arancione.

È come stare in paradiso, pensò il giovane, sedendosi sul soffice divano a doldolo, l’unico mobile della terrazza. Era comprensibile il motivo per cui Akira passava tutto il suo tempo là fuori.

Questa sua abitudine era evidente dai copioni di ‘Amore spericolato’, sparsi su tutto il pavimento. Hiroaki notò anche una copia piuttosto malridotta del Macbeth, oltre a diversi libri di critica su Shakespeare. Allora Akira aveva parlato sul serio: stava studiando la parte di Macduff.

Quando il giovane sollevò lo sguardo vide che Akira era in piedi sulla soglia. "Chi era al telefono? Sembri quasi… stordito."

L’uomo uscì sul terrazzo. "Era il mio agente", disse, finalmente. "Toru Hanagata e Takenori Akagi vogliono che faccia ancora un’audizione per Mcduff. Sarà la prima cosa che farò la prossima settimana. Ci sarà anche Hisashi Mitsui che sta già tornando in aereo da Londra."

"Allora devono averti seriamente preso in considerazione, Akira!"

"Lo so." L’uomo si sedette accanto a lui sul grande divano a dondolo e si passò la mano fra i capelli, in segno di incredulità.

"Beh, congratulazioni", disse Hiroaki, aggiungendo poi, impulsivamente: "Vedo che stai studiando molto. La parte di Macduff ti interessa, vero?"

"Si, dannazione!" La voce di Akira si indurì. "Era molto tempo che non desideravo tanto qualcosa."

"Beh, la tua vita cambierà."

"Si."

Non sembrava che fosse particolarmente contento di questo. "Vorrei poter essere qui il giorno della tua audizione, almeno per offrirti il mio supporto morale. Però ho paura che il mio programma…"

"Lo so. Devi partire domani mattina e io non ti vedrò fino a chissà quando." Sospirò "Quando uno scrittore diventa famoso, la prima cosa che fa è correre per tutto il paese, abbandonando gli amici nell’ora del bisogno."

"Io non ti sto abbandonando", protestò Hiroaki. Il giovane notò che il sorriso di Akira si era fatto meno spontaneo e sospettò che i continui scherzi di quest’ultimo sul suo viaggio nascondessero un sincero dispiacere per la partenza.

"Inoltre, tu conosci le date delle tappe del mio viaggio e hai i numeri di telefono di tutti gli hotel. Se avessi bisogno di me sai dove rintracciarmi."

"Non è lo stesso, Ricky. Io ho passato in viaggio metà del mio matrimonio e conosco bene i rapporti a distanza." L’uomo strinse nervosamente le mani. "Quando Kenji e mio figlio morirono, la cosa più dura e difficile fu pensare che avevo passato fuori casa la maggior parte del tempo, che avevamo avuto per vivere insieme."

"Sono sicuro che loro capivano. Ti volevano bene." Akira era perso nei ricordi e Hiroaki se ne accorse.

Il fatto che questo lo irritasse molto lo sconcertava. Era stupido essere gelosi del compagno morto, ma d’altronde era stupido anche uscire a comprare un nuovo vestito solo perché Akira l’aveva invitato a cena.

"Sembri così lontano con la mente", gli sussurrò, sentendolo molto distaccato.

Akira si scusò subito. "Stavo pensando a Toru."

"Oh … Ti manca tanto vero?" Hiroaki lo aveva detto impulsivamente e, cercando di riparare all’errore, aggiunse: "Dovresti avere altri figli, Akira." L’uomo divenne immediatamente triste e lui se lo immaginò chino su una culla a coccolare un neonato o a prenderlo in braccio. "Un giorno…"

"No."

Il suo secco diniego lo colpì con un’intensità che non si aspettava. "Mai più?", insistette Hiroaki, non volendo accettare quella risposta.

Capiva che sarebbe stato un vero e proprio peccato se Akira non avesse mai più avuto un figlio.

"No. Mai più."

"Ma perché no? Non dirmi che non vuoi dei figli, perché non sono cieco, Akira. Vedo come guardi i bambini nel parco, quasi volessi caricarli sulle spalle e portarli via."

"Per amor del cielo, basta!" Akira si alzò e si allontanò. "Non credi che mi si spessi il cuore a pensare che non avrò mai una grande e vecchia casa con un volto di bambino a ogni finestra?"

"Ma perché no?"

"Perché non sopporterei di soffrire ancora. Non è abbastanza chiaro? Ho chiuso con l’amore, con gli impegni e le promesse, con tutto quello che può far soffrire."

"Ma, Akira …"

Lui ignorò la sua debole protesta e continuò: "E io non farei certo niente di così pericoloso e criminale come adottare un figlio sapendo di non potergli dare l’amore di cui ha bisogno. Questo è il diritto principale di ogni bambino, Ricky, e io non posso proprio."

"Forse hai da dare più di quanto pensi", lo interruppe Hiroaki. "Forse tu stesso ne saresti sorpreso."

"O forse ho da dare meno di quello che pensi tu."

Il timbro della sua voce, di solito così forte, si era affievolito e il giovane ne fu spaventato; mentalmente, si rimproverò per essersi spinto così lontano.

"Mi dispiace", mormorò Hiroaki, accantonando l’argomento. "Non volevo farti soffrire."

"Tu non capisci veramente quello che provo, vero?"

"Come potrei? Posso solo cercare di indovinarlo ed esserti vicino."

Ora Akira era lontano da lui, con il corpo e con la mente. "Tu sembri così dannatamente perspicace che certe volte mi sembra di appartenere a un altro mondo."

"Forse in parte è così per me"

"E come mai questo per te è un mistero così grande?" il tono casuale della voce non nascose la curiosità negli occhi blu dell’uomo.

"Non sei mai stato innamorato?"

"No", disse Hiroaki, immediatamente.

Akira non disse niente, ma lo guardò con tanta intensità che Hiroaki arrossì violentemente.

"Nemmeno una volta?"

In ritardo, Hiroaki ricordò di avergli parlato di Shinichi, anche se aveva sorvolato sui dettagli più squallidi, lasciandogli capire che il loro fidanzamento era stato rotto da entrambi di comune accordo. La verità era troppo umiliante da raccontare.

Macome avrebbe potuto spiegare quell’episodio, se non con l’amore? "Forse una volta", disse il giovane riluttante. Quelle parole avevano il sapore del veleno.

"Del tuo ex fidanzato?"

Hiroaki annuì con tristezza e, facendo finta di niente, Akira gli chiese: "E’ stato l’unico uomo con il quale hai fatto l’amore?"

"Santo cielo! Che domanda!" Hiroaki non riuscì a nascondere del tutto lo sbalordimento.

Akira faceva raramente domande così personali e mai riguardo la vita sentimentale. Dopo aver deciso che la migliore difesa era l’attacco, Hiroaki fece a sua volta una domanda indiscreta. "E Kenji è stato l’unico uomo con il quale tu hai fatto l’amore?"

Rispondi a questo, se ci riesci, penso il giovane.

"No, ma è stato l’unico che ha avuto importanza per me."

Hiroaki non avrebbe mai immaginato di ricevere una risposta e meno che mai di riceverla con tanta calma, come se Akira gli attribuisse il diritto di chiedergli qualunque cosa. Visto il momento favorevole, Hiroaki osò: "Sei stato con qualcun altro da quando lui è morto?"

Akira arrossì, ma poi ammise di aver avuto alcune brevi avventure. "Sono stati dei disastri", disse francamente a Hiroaki, e il giovane non dovette chiedere altri dettagli. "So che ci sono uomihi che vivono solo di queste avventurette, ma io non sono uno di loro."

"Lo so."

"E tu?", chiese lui, quasi casualmente.

"Avventure? Io? Oh, cielo, no! Non voglio soffrire ancora. E poi a che servirebbe? Io non sento nulla comunque."

L’espressione di Akira non cambiò, ma il suo corpo si tese. Era la prima volta che gli succedeva e Hiroaki se ne stupì.

"Non volevo impressionarti" gli disse Hiroaki.

Akira mise le mani in tasca e fece una smorfia. "Perché hai detto che avresti sposato quel tizi se lui non riusciva a renderti felice?"

"Io ero felice" protestò Hiroaki. "Semplicemente non…" come poteva esprimere un concetto simile? "… Non andavo in estasi."

"Capisco", disse Akira. Con quell’unica parola si era fatto comprendere benissimo.

Hiroaki arrossì. "Beh, pensavo che le cose sarebbero andate meglio, non peggio."

Al giovane venne in mente il tempo che aveva passato con Shinichi e quel ricordo, nitido come non mai, lo fece soffrire ancora.

Quella sofferenza doveva essere stata espressa chiaramente anche dal suo volto, perché Akira esclamò: "Mio Dio! Ti ha fatto soffrire tanto?"

Il dolore fisico era stato il dolore minore. Era la sofferenza psicologica quella che ancora non lo abbandonava. La consapevolezza di non essere pienamente uomo lo angosciava e gli faceva temere il confronto con un altro uomo e soprattutto con un uomo esperto come Akira.

"Shinichi mi ha fatto soffrire in ogni modo possibile."

Akira imprecò a voce alta, poi gli chiese: "E tu pensi che avesse ragione sul tuo conto?"

Hiroaki rispose solo con gli occhi.

"Lo pensi. Buon Dio, tu pensi di essere impotente!"

Ormai era troppo tardi per rifugiarsi dietro l’orgoglio e Hiroaki non lo fece. "Cos’altro posso pensare? Io non provo niente, Akira."

"Mai?"

Dietro quella parola si avvertiva un’eccitante sfida. Hiroaki la avvertì e gli tornò alla mente quello che aveva provato fra le sue braccia, a baciarlo.

No, non doveva ricordare.

"No, mai" mentì il giovane spudoratamente. "Eppure ho cercato di cambiare, credimi. Devo aver letto tutti i manuali di educazione sessuale mai stampati. " Il giovane pensò alle ore passate a leggere quel tipo di pubblicazioni, studiando le risposte del corpo umano. I libri, però, non l’avevano aiutato, ma gli avevano solo spiegato per scritto quello che lui non riusciva a sentire.

"Ah", disse Akira. "Nei libri tu cerchi la soluzione a tutto."

La critica implicita gli diede fastidio. Ma cosa doveva fare, secondo lui? Doveva saltare di letto in letto sperando in un miracolo?

"Voglio risolvere i miei problemi a modo mio, anche se devo ammettere che quel corso di studi non mi ha aiutato molto."

Akira rise dolcemente e si sedette di nuovo accanto a lui. "In genere l’esperienza pratica serve."

"Ti stai forse offrendo come volontario per il bene della scienza?", chiese Hiroaki, impulsivamente.

L’uomo non assentì ridendo, né rispose di no, come lui si aspettava. "Non penso che sia una buona idea. Non vorrei farti soffrire."

"Ma tu sei mio amico e, se non posso fidarmi di te, di chi posso fidarmi?" Hiroaki aveva volutamente ripetuto le parole che lui una volta gli aveva detto.

Akira esitava ancora e, se l’avesse rifiutato, se non avesse sopportato neppure l’idea di baciarlo, anche per scherzo, qualcosa in Hiroaki sarebbe morto per sempre.

Invece, miracolosamente, Akira capì quello che lui non riusciva a dire. Si chinò verso di lui e lentamente le sue dita gli presero il volto, sollevandolo.

Hiroaki sapeva di avere un’espressione spaventata, perché Akira sussurrò: "Ssh", e gli accarezzò il viso prima di chinarsi a baciarlo. Le sue labbra furono gentili ed il giovane capì che probabilmente lui voleva soltanto fargli un piacere, dal momento che era tesissimo.

Cullato da quel dolce contatto, Hiroaki si rilassò, mentre Akira gli accarezzava le labbra con la lingua, costringendolo ad aprirle. In quel momento una vampata di calore costrinse il giovane ad arcuare il corpo contro quello di lui.

"È bello" mormorò. "Perché non… lo fai di nuovo…?"

Quando Akira lo fece, Hiroaki gli si avvicinò, stringendolo a sé.

"Così va bene", gli sussurrò Akira. "Vieni da me!" La sua lingua vinse le ultime deboli resistenze e penetrò nella bocca di Hiroaki.

Non ero mai stato baciato così, pensò il giovane, mentre l’esplorazione erotica di Akira diventava leggermente più brusca. Hiroaki si arrese con un gemito e imitò i focosi movimenti della lingua di lui.

Un fremito scosse il corpo di Akira che bruscamente si tirò indietro e lo guardò come fosse un marziano.

Anche Hiroaki si tirò indietro e con le dita si toccò le labbra ancora calde per il bacio. "Dio, mi sento strano."

"Lo credo. Mi sento strano anche io."

Hiroaki notò che il colorito di Akira era insolitamente vivace e, sorridendo, disse: "Penso di voler essere baciato di nuovo."

"Lei sta giocando con il fuoco, professore."

"No, non è vero." Baciò lievemente la guancia di Akira. "Sto solo riscuotendo i miei debiti"

"Quali debiti?"

Hiroaki rise. "Oh, grossi debiti! Quando penso a tutte le sere passate a guardarti giocare!"

"Ma perché poi non venivi negli spogliatoi come tutti gli altri?"

"Perché preferivo guardarti" gli disse Hiroaki, in tutta sincerità.

Akira non se l’aspettava e fece un’espressione stupita.

"Non l’avevi capito? Io pensavo che fosse ovvio che avevo avuto una cotta enorme per te."

Lui non l’aveva capito e ora la sua timidezza tornava a riemergere in tutta la propria forza. Akira abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, un silenzio rotto soltanto dal lieve scricchiolio del divano a dondolo.

"Non volevo metterti in imbarazzo. Era solo un’infatuazione adolescenziale. Ti giuro che era innocua e innocente.

Guardandolo, però, Hiroaki si rese conto che quello che ora provava per lui non era una semplice infatuazione. Era innamorato di Akira Sendoh.

Perdutamente e con tutto se stesso.

Oh, Dio, no! Pensò. Nessuna meraviglia che si fosse sentito imbarazzato ed indifeso quando Akira gli aveva chiesto se si fosse mai innamorato. Certo non poteva rispondere: ‘Sì ma solo di te’.

Il dondolo oscillava un po’ troppo e così Akira si chinò dalla parte di Hiroaki per cercare con la mano il meccanismo che bloccava il dondolio. La momentanea pressione del corpo di Akira fece sussultare impercettibilmente Hiroaki.

"Scusami, ma mi dimentico sempre di innestare il freno…"

"Oh, non mettere il freno per colpa mia", disse lui, innervosito dalla piena consapevolezza della natura del proprio sentimento.

Perso nei suoi pensieri Hiroaki non si accorse che Akira lo stava fissando finché lui non gli chiese: "Perché sei così pensieroso?" mettendogli il braccio sulle spalle.

Quel semplice contatto mise tanto in agitazione Hiroaki che gli risultò impossibile mentire.

"Oh, stavo solo ricordando la prima volta che ti vidi, mandasti in visibilio gli spettatori."

Akira sorrise. "Quello fu un anno molto fortunato."

"Era un sabato pomeriggio, io stavo tornando dal chiosco delle bibite con una Coca-Cola in ciascuna mano e camminavo lungo il bordo del campo. Tu cercasti di recuperare la palla da basket anche se l’ultimo tocco era stato di un avversario. Forse volevi dare spettacolo."

"Beh, a quei tempi ero abbastanza esibizionista e volevo fare bella figura, impressionando i tifosi."

"Di sicuro impressionasti me, visto che mi saltasti addosso."

"E recuperai la palla?"

Quello, chiaramente, era ciò che più gli interessava.

"Si", mormorò Hiroaki, perso nel ricordo di quel momento, dell’attimo in cui il corpo dell’uomo l’aveva fatto cadere a terra e lo aveva premuto per un momento, nel tentativo di riacquistare l’equilibrio. Hiroaki non aveva mai provato prima l’esperienza di avere su di sé il corpo di un altro uomo. I capelli neri di Akira gli avevano sfiorato il volto, mentre quegli occhi blu l’avevano guardato, riempiendo tutto il suo universo.

Il corpo di Hiroaki aveva cominciato a essere scosso da misteriosi fremiti e sotto la maglietta i capezzoli si erano irrigiditi; per la prima volta in vita sua aveva capito quali effetti le carezze di un altro uomo potevano avere su di lui. La sensazione era stata così improvvisa e inaspettata che Hiroaki non l’aveva dimenticata.

Per Akira l’incidente era stato solo una delle migliaia di palle recuperate nella sua carriera di cestista, ma per Hiroaki … beh, lui ancora sognava di tanto in tanto il corpo di Akira che si premeva sul suo.

"Immagino che ti sporcai tutto di Coca-Cola. Mi dispiace."

"Non fa niente. Riuscisti a raggiungere la palla."

"Non ti mai … ringraziato."

Come era pericoloso ripensare a quel giorno! Hiroaki si diede dello stupido e cercò di distogliere lo sguardo dalle spalle e dal petto di Akira.

"Se non rovinai la tua maglietta preferita, allora perché mi guardi in quel modo?"

"Perché volevo toccarti. Sei stato il primo uomo che abbia mai desiderato toccare, ma eri un mito. Non potevo toccarti."

Il volto di Akira era contratto e rivelava emozioni contrastanti. "Toccami adesso", gli disse.

Non poteva dire sul serio! Eppure non era da Akira prenderlo in giro, almeno non su quell’argomento.

"Vai avanti. Non mordo… a meno che tu non mi chieda di farlo."

Era un invito al quale era impossibile resistere. Timidamente, Hiroaki sollevò le mani verso i capelli di Akira e li accarezzò. Nonostante a punta i suoi capelli frusciavano sotto le dita come seta.

Lentamente, Hiroaki gli toccò le sopracciglia, gli zigomi e le mascelle, poi, quando raggiunse la bocca, ebbe un attimo di esitazione, trattenne il respiro e infine tracciò con la punta dell’indice il profilo delle labbra.

Akira gli baciò il dito, indugiandovi sopra, delicatamente, con la lingua. Quando Hiroaki trasalì, l’altro fece penetrare sensualmente il dito nella bocca.

"Non è corretto!", esclamò Hiroaki, togliendo la mano.

"Mi dispiace", disse Akira. Il suo sguardo ironico, però, non ingannò Hiroaki nemmeno per un attimo.

"Ti comporterai bene?"

"Senz’altro. Andiamo avanti, professore."

Hiroaki andò avanti e la propria audacia lo stupì. Sapeva che non era saggio tentare il corpo di Akira con un’esplorazione più profonda, ma era curioso di vedere fino a che punto si estendeva l’invito di Akira. Fino a dove sarebbe arrivato? Quando il giovane incominciò ad accarezzargli il corpo fu intrappolato dal suo stesso godimento. Era così bello sentirlo sotto le proprie mani!

Incredibilmente, Akira non fece nulla per stimolarlo, nemmeno quando il suo respiro divenne chiaramente più affannoso.

Anche il respiro di Hiroaki divenne più veloce, guardò Akira e pensò che avrebbe voluto liberarsi di quella sua dannata cravatta! Ma non sapeva se poteva osare svestirlo, anche solo di un simile indumento. Stava aspettando un segnale.

Akira non parlò, né si mosse.

Finalmente prese a disfare il nodo della cravatta e gli ci volle un’eternità, perché le sue dita tremavano moltissimo. Gettò il pezzo di stoffa di seta a terra e si mise a slacciare la camicia di Akira. Prima il bottone del colletto e poi, uno ad uno, tutti gli altri…

"Avevi detto di non essere bravo in queste cose" disse Akira, quando la mano di Hiroaki penetrò all’interno della camicia e accarezzò la soffice peluria del petto.

"Devo fermarmi?"

"Per amor del cielo, no!"

Hiroaki sorrise. Adorava sentire il calore e la forza del corpo di Akira, che gli baciò i capelli e gli chiese: "Ora mi permetterai di toccarti?"

"No", gli rispose immediatamente. "No!"

Ma Akira lo fece comunque, com nai leggere e delicate, e Hiroaki non se la sentì di protestare. Era eccitante essere toccato da Akira con tanta tenerezza. Sotto le mani esperte di lui fremettero parti del suo corpo che Hiroaki non aveva mai sospettato potessero essere tanto erogene.

Poi lui lo baciò delicatamente sul viso, sul collo e hiroaki reagì con pari ardore finchè non reclamò sulle labbra la bocca di Akira.

"Ti prego", mormorò, gettandogli le braccia al collo. "Ti prego, baciami."

Akira si chinò e posò le labbra sulle sue.

Hiroaki fremette al contatto del corpo di Akira con il suo e gemette quando le dita di lui si insinuarono sotto la stoffa della camicia. Il giovane arcuò il corpo verso quello di lui, quasi chiedendo silenziosamente di essere posseduto.

"Ricky, guardami!"

Lui, intimorito, alzò lo sguardo, mentre Akira cercava di riprendere fiato, quasi per riottenere il controllo di sé. "Va tutto bene", gli disse con voce non troppo ferma. "Non ti farò male."

"Lo so", disse Hiroaki, mentre Akira gli sbottonava la camicia e gliela toglieva.

Akira lo toccò in modo particolarmente eccitante che gli fece cambiare totalmente espressione e che gli strappò un gemito di piacere.

"Oh, ancora!" mormorò. "Di più…" aggiunse.

Akira continuò ad accarezzargli sensualmente i capezzoli irrigiditi, fino a farlo sussultare di desiderio.

Hiroaki voleva… non sapeva nemmeno lui cosa voleva. La sua mente si era bloccata, ma il suo corpo continuava a muoversi. Attirò a sé Akira e il contatto del suo petto nudo con il corpo di lui si rivelò incredibilmente eccitante. Cedendo a un impulso represso troppo a lungo, Hiroaki si strinse forte a lui.

"Mio Dio, Ricky!", gemette l’uomo. I suoi fianchi si muovevano con un movimento molto seducente e solo allora Hiroaki capì dove li avrebbe condotti quel gioco.

Lui, però, non poteva arrivare in fondo. Non ne era capace.

"No!", esclamò Hiroaki, irrigidendosi improvvisamente fra le braccia di Akira. Come poteva fare l’amore con lui? Non avrebbe sopportato di vedere realizzarsi e poi svanire tutti i suoi sogni.

Akira gli lesse nel pensiero e sollevò subito il corpo dal suo, credendo in tal modo di placare le sue paure; Hiroaki, invece, senza quel contatto si sentì più solo e freddo che mai.

"Mi dispiace", mormorò Akira. Ormai non c’era più traccia di eccitazione nella sua voce.

"Mi sento così avvilito, Akira!" La freddezza che si era impadronita di lui aveva ucciso la passione lasciando solo tanta sofferenza.

"Lo so, piccolo, ma io ti sono vicino. Affidati a me."

Hiroaki appoggiò il volto al petto di Akira e lui, accarezzandolo con dolcezza, gli mormorò parole di conforto che, a poco a poco, l’aiutarono a vincere l’imbarazzo.

Si sentiva così al sicuro fra quelle braccia che niente altro gli importava. Così, quando Akira riprese a toccarlo con sensualità, lui continuò a sentirsi tranquillo e, invece di protestare, chiuse gli occhi e godette di quella sensazione di piacere.

Hiroaki sapeva di dover fermare Akira, ma era convinto di poterlo fare anche in seguito. Quando però lui gli sfilò del tutto la camicia e la maglietta, il giovane capì che non gli era ormai rimasto tempo, anche perché Akira, con dita esperte aveva raggiunto il suo membro.

"C-cosa stai facendo?"

"Ti sto amando. Ti sto solo amando…" Tutte le timide obiezioni di Hiroaki furono messe a tacere con una serie di baci che arrivarono fino ai capezzoli.

Hiroaki trasalì a quelle parole e sussultò ancora di più quando Akira gliene baciò uno a lungo. Quel calore sul capezzolo era la cosa più dolce che avesse mai provato nella sua vita.

"Oh, Dio, è così bello! Non ti fermare…"

Akira non si fermò, ma continuò ad alimentare il fuoco che si era acceso in lui e che ardeva con sempre maggiore violenza, fino a fargli fremere tutto il corpo. Il tocco di Akira sul suo pene aumentò di intensità ed Hiroaki fu percorso da violenti fremiti di piacere e gemendo, mormorò il nome di Akira più e più volte, mentre attorno a lui tutto scompariva, lasciando posto solo al piacere intenso che provava.

Poi, con dolcezza, Akira tolse la mano, prese Hiroaki fra le braccia, aspettando che il respiro gli si regolarizzasse.

"Ricky, guardami", disse teneramente.

Hiroaki sollevò la testa e nello sguardo di Akira lesse un’inconfondibile soddisfazione. Solo allora afferrò in pieno il significato di quello che gli era accaduto.

Insieme a quella consapevolezza giunsero imbarazzo e sbalordimento. Hiroaki si allontanò da Akira con le guance rosse dalla mortificazione. Non si era mai lasciato andare tanto con qualcuno.

"No, non allontanarti. Non sentirti dispiaciuto per una cosa tanto bella", gli disse Akira, con la voce rauca, prendendolo fra le braccia.

"Bella per me, si", rispose Hiroaki, tremando. "Ma …"

"Bella anche per me", lo corresse lui, con dolcezza. "Non sai quanto desideravo farti godere…"

Hiroaki, davanti a tanta franchezza, arrossì. "no…"

"Beh, è così. È meraviglioso tenerti stretto e toccarti, facendoti provare sensazioni che tu credevi di non essere in grado di provare."

Hiroaki trattenne il respiro. Si sentiva forse una specie di benefattore nel volergli dimostrare che anche lui poteva provare piacere? Se era così, ci era riuscito in pieno.

Dopo tutto era stato lui a ricordargli che doveva pagargli un debito. Ciò significava che lui gli doveva qualcosa per tutte quelle sere che aveva passato ad adorarlo da lontano. Veramente Hiroaki non si aspettava che Akira lo prendesse sul serio, ma forse quello era il suo metodo per pareggiare i conti.

Peccato che i conti non erano pari. Non ancora. "E tu?" la voce gli mancò. Non osava fare quella domanda. "E tu non hai bisogno…"

"No" disse lui immediatamente. "Non ho bisogno di niente, se non di vedere quello sguardo appagato nei tuoi occhi." Akira gli baciò la fronte. "Ricorderò questo momento per tutta la vita."

"Anche io", sussurrò Hiroaki. Ora però gli era chiaro che, nonostante quello che aveva generosamente detto, anche Akira aveva bisogno di uno sfogo. Uno sfogo che lui, ora, poteva dargli. Uno sfogo che lui non doveva temere, almeno con l’uomo che amava.

Hiroaki provò, immediatamente, una forte sensazione di libertà, si fece coraggio e appoggiò la mano sulla fibbia della cintura dei pantaloni di Akira.

Lui, però, gli tolse la mano con un gemito e quel gesto fece a Hiroaki lo stesso effetto di uno schiaffo. "No, Ricky. Santo cielo, no!"

"Perché no?" chiese lui, stupito da qual rifiuto.

"Non posso." Akira si alzò e lo lasciò solo e avvilito.

"Ma io non ho paura. Davvero. Voglio…"

Anche Hiroaki si alzò, lentamente. "Lascia che ti ami, Akira."

"Non posso, dannazione!" Quelle parole erano state dure e nel giovane morì tutta la tenerezza appena sbocciata.

Hiroaki si alzò, raccolse la maglietta e la camicia, infilandoseli con le mani tremanti. "Perché no?", chiese di nuovo, con voce insicura.

Passò un’eternità, ma lui non rispose. Nella mente di Hiroaki si erano avvicendate diverse possibili risposte, ma tutte si condensarono in un’unica desolante realtà.

"Tu non mi desideri", disse, con calma ma pieno di orrore.

Poi scappò via da lui.

Fine sesto capitolo.

07

Ospiti

Indice delle fanfic