UN INCONTRO VOLUTO DAL DESTINO

Capitolo 3

La cena con Akira fu deliziosa, ma il dopocena si rivelò un disastro.

Una forte sensazione di abbattimento si impadronì di Hiroaki nell’attimo in cui il ragazzo entrò in casa. L’appartamento era invaso dall’odore di vernice e ancora più imbarazzante era il fatto che, poiché il divano letto sarebbe arrivato soltanto la settimana successiva, poteva far sedere Akira solo sulle sedie attorno al tavolo.

Non era certo una situazione romantica, pensò il ragazzo con tristezza. Cercò di trovare a tentoni la lampada a stelo, ma scivolò su uno straccio bagnato e inciampò in un barattolo vuoto di vernice. Akira lo sorresse per un gomito, aiutandolo a rialzarsi e per un attimo rimasero entrambi fermi in mezzo alla stanza, illuminati solo dalla pallida luce della luna piena.

Quella particolare illuminazione dava uno strano colore alla figura di Akira e Hiroaki si soffermò a guardarlo. Poi lo sguardo gli cadde sulla bocca dell’uomo e lui si chiese che sensazioni avrebbe provato nel sentire quelle labbra sulle sue. La sola idea lo eccitò e per la prima volta ammise a se stesso di aver voglia di baciare Akira, di toccarlo, di essere toccato da lui.

Sconvolto da quella razione del suo corpo, Hiroaki abbassò gli occhi. Non aveva mai provato sensazioni del genere e quello non era certo il momento adatto per incominciare. Certo non con un uomo al quale interessava solo l’amicizia.

Maledetta luna piena! Pensò il ragazzo, cercando disperatamente qualcosa da dire.

Eppure al ristorante erano stati così bene insieme!

Perché l’atmosfera era improvvisamente diventata così pesante?

"Sai, il mio editore fra due settimane darà un ricevimento per la presentazione de ‘L’irlandese ribelle’", disse. Era la prima cosa che glie era passata per la testa, ma qualunque cosa sarebbe stata meglio di quel silenzio.

"Bene. Devi essere molto ansioso."

"E nervoso. Non sono affatto un esperto di simili ricevimenti:"

"Andrà benissimo."

"beh, forse. Però preferirei non doverci andare solo." Hiroaki si immaginò al ricevimento al fianco di Akira e quell’immagine fu per lui come una droga. "Ti piacerebbe venire con me?", chiese, impulsivamente.

Seguì un imbarazzante silenzio ed il ragazzo si rese conto di ciò che aveva fatto: aveva chiesto un appuntamento a Akira Sendoh. E oltrettutto a un cocktail party, l’ultimo posto al mondo dove lui sarebbe voluto andare.

Avrebbe rifiutato. Con galanteria, ma anche con decisione. Hiroaki lo aveva immaginato già prima di sentirlo mormorare cortesemente che le apparizioni in pubblico non facevano per lui.

Eppure lo sapeva! Perché non se ne era ricordato in tempo?

Akira aggiunse considerazioni sui suoi orari delle riprese di ‘Amore spericolato’, ma Hiroaki lo fece tacere con un gesto e, dandosi mille volte dello stupido, disse: "Certo. Capisco. Sono stato stupido a chiedertelo."

Lui non lo contraddisse.

"Ah, Ricky" gli disse piano, "la vita certe volte è così complicata!" L’uomo allungò una mano e la passò fra i suoi capelli scuri.

Hiroaki sentì il cuore battergli più forte anche se si rendeva perfettamente conto che quel gesto non aveva alcun significato. Quindi si tirò indietro, aprì la porta e, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo, disse molto formalmente: "Buona notte Akira. È stata una serata molto piacevole."

Prima di andarsene, Akira si chinò a baciargli una guancia e più tardi Hiroaki si ritrovò ad accarezzare il punto in cui lui l’aveva sfiorato con le labbra, chiedendosi perché gli facesse tanto male sapere che lo desiderava solo come amico.

"Sei sicuro che voglia esserti solo amico?" Hanamichi aveva dei dubbi.

"Perché questo ti sorprende? È la storia della mia vita." Hiroaki mise il detersivo nella vaschetta della lavatrice e chiuse lo sportello con violenza. "Mi ha baciato sulla guancia, Mich. Proprio come avrebbe baciato sua nonna."

Hiroaki prese una cesta di panni sporchi e i infilò tutti nella lavatrice.

"Ma hai detto che è timido. Forse ha bisogno di tempo."

"Ha bisogno solo di un altro uomo. Uno che sappia ciò che fa. Uno come te."

"Non ricominciare, Ricky. D’accordo io sono un genio, sono perfetto, ma non c’è niente di sbagliato in te. Sei attraente e sensibile e qualunque uomo sarebbe felice di averti. Quello che è successo con Shinichi è stata una vera sfortuna."

"Ah, davvero?" la voce di Hiroaki era piena di amarezza.

"Certo. Scommetto che Akira Sendoh è completamente diverso da Shinichi."

"E’ un uomo e questo già basta."

"Non essere così prevenuto. Se non fosse un uomo non staremmo qui a parlarne."

Hiroaki sorrise, ma il sorriso gli morì sulle labbra al pensiero dell’esperienza di Akira con gli uomini e delle sue infinite possibilità di conoscere nuovi ragazzi.

"Smettila, Hanamichi. Se non sono riuscita a tenermi stretto Shinichi Maki, che possibilità ho con un tipo come Akira?" Hiroaki scrollò le spalle quasi per convincere se stesso che non gliene importava niente.

"Sai di piacergli e questo è già un buon inizio."

"Ma certo. Anche a Shinichi piacevo e hai visto cosa è successo."

Ripensando a Shinichi Maki, Hiroaki ebbe una fitta allo stomaco. Come aveva potuto aspettare tanto a dare il suo amore per poi concederlo a chi non lo meritava?

Eppure sembravano la coppia ideale.Lui e Shinichi avevano avuto esperienze simili e aevano gli stessi interessi. Insegnavano persino letteratura inglese nella stessa università! Shinichi era certamente un tipo interessante con i suoi capelli castani e la sua aria arrogante; ma Hiroaki non si era mai sentito insicuro come ora gli capitava con Akira, perché non si era mai preoccupato di un’eventuale rivalità con altri uomini.

Con Shinichi, Hiroaki si era sentito sicuro e aveva avuto ciò che desiderava: un rapporto tranquillo, solido, con pochi rischi.

Quanto era stato ingenuo a credere che la sua vita sarebbe trascorsa secondo i canoni tradizionali: l’amore, il matrimonio, i bambini!

Ma Shinichi aveva conosciuto un altro uomo e tutti i piani di Hiroaki erano andati in fumo.

Nobunaga era bello, appariscente, disgustosamente ricco e ben conosciuto negli ambienti nei quali Shinichi era ancora un principiante. Sei settimane prima del matrimonio di Shinichi e Hiroaki, lo sposo era scappato con Nobunaga Kiyota.

Hiroaki era uscito distrutto da quell’esperienza. Gli pesava soprattutto dover continuare a insegnare nella stessa università di Shinichi e vederlo continuamente. I pettegolezzi si erano diffusi con la rapidità del vento e, passato l’amore, per il ragazzo era rimasta l’umiliazione di essere stato abbandonato e di dover sopportare gli sguardi pieni di compassione dei colleghi. Naturalmente non era riuscito ad aspettare la fine del semestre per dare le dimissioni!

"Shinichi ha sposato Nobunaga per i suoi soldi e lo sappiamo tutti", insistette Hanamichi.

"Oh, sei gentile a dire questo, ma ti sbagli. Shinichi non è un mercenario. Non avrebbe intrapreso la carriera universitaria se lo fosse stato."

Dopo un attimo di esitazione, Hiroaki confessò quello che il suo orgoglio aveva sempre tenuto nascosto. "La verità è che a letto fra noi non funzionava."

Aveva espresso il suo convincimento senza mezzi termini.

"Beh, questo non vuol dire che fosse colpa tua."

"Ah no? Eppure ora Shinichi è felice, quindi doveva essere colpa mia."

Non c’erano stati dubbi su quel punto, perché era stato Hiroaki l’inesperto, quello che aveva ancora tutto da imparare. E aveva fallito.

"Non ho la tua predisposizione per certe cose. Forse quando andavamo allo stadio e tu stavi con tutti quei ragazzi io avrei dovuto osservarti e prendere appunti."

"Beh, se ti sei perso quello che succedeva sulle gradinate è stato solo perché eri sempre intento a guardare giocare Akira Sendoh. Quindi è lui che ti deve dare delle lezioni, non io."

"Magari fossi così fortunato."

"Non darti per vinto prima del tempo. Un’osservazione impulsiva non può averlo spaventato per sempre, anche se è molto timido. Scommetto che lo vedrai prima della fine della settimana."

"Quanto scommetti?"

"Dieci dollari."

"D’accordo, ma ti avverto che andrai fallito."

"Un giorno, forse. Ma non ora. Aspetta e vedrai. Ora ti devo salutare, Kaede si è svegliato, lo amo da morire ma è geloso anche della sua ombra, e di te più di ogni altro."

"D’accordo, ciao. E ricorda a Kaede che non ho intenzione di minare il vostro rapporto."

"Non ci penso nemmeno, mi piace tenerlo un po’ sulle spine."

"Sei davvero incorreggibile."

Hiroaki perse varie volte la scommessa fatta con l’amico, ma il piacere di vedere Akira era attenuato dall’estemporaneità delle sue visite. L’uomo non programmava mai in anticipo la sua attività. Chiamava semplicemente Hiroaki e lo invitava a cena, a una festa o a una passeggiata con lui nel parco…. Costringendolo a fare pazze corse per prepararsi in tempo.

Questo atteggiamento infastidiva molto il ragazzo, che più di una volta fu sul punto di discuterne con lui. Poi, riflettendo, concludeva che tale comportamento era dovuto a qualche motivo particolare che non aveva niente a che fare con lui. Akira era molto sensibile e attento alle necessità di Hiroaki.

Così lui tenne la bocca chiusa e aspettò una spiegazione che non arrivò. Dopo tutto, non aveva alcun diritto su Akira. Lui non l’aveva mai neanche baciato. Hiroaki cercava di convincersi di essere contento di quell’amicizia finché non arrivò la sera in cui lui ed Akira cenarono con Jun Uozumi.

Quell’uomo lo intimidiva un po’, perché era conosciuto per avere la lingua molto tagliente. Inoltre, era il miglior amico di Akira: compagno di college, padrino di Toru, il figlio di Akira, e, stando a quello che Akira stesso diceva, era l’uomo che, dopo la fin della sua carriera sportiva, gli aveva salvato la vita convincendolo a recitare.

Hiroaki voleva fare una buona impressione su Jun Uozumi, ma quando lo guardò negli occhi sentì che lui stava pensando e valutando ogni sua parola. E quando Akira li lasciò soli per pochi minuti, l’uomo colse l’occasione al volo e, squadrando Hiroaki da capo a piedi, borbottò: "Sei molto diverso da Kenji."

Hiroaki lo sapeva. Kenji Fujima Sendoh era stato un uomo bellissimo, con un sorriso smagliante, che aveva totalmente dedicato la sua vita al marito e al figlio.

"Lo so", rispose il ragazzo seccato da qual paragone. "E allora?"

"Allora non voglio che Akira soffra ancora. Ha un cuore d’oro e non voglio che gli si spezzi un’altra volta."

"Non preoccuparti. Siamo solo amici."

"Non prendere in giro te stesso. Io capisco quando una persona si sta innamorando…"

Akira tornò in quel momento e trovò Jun Uozumi che annuiva saggiamente in direzione di Hiroaki, rosso in viso e confuso.

Si stava innamorando di Akira Sendoh?

Quell’idea lo spaventava più di quanto ammettesse.

Un giovedì sera di fine aprile, mentre passeggiava con Akira vicino ai campi da gioco di Central Park, Hiroaki notò che a una dele squadre mancava un giocatore. Prima che Akira potesse protestare , il ragazzo l’aveva già trascinato in campo, offrendo il loro aiuto.

Hiroaki non avrebbe mai dimenticato l’espressione dell’allenatore nel rendersi conto che il sostituto era nientemeno che Akira Sendoh.

Quanto si erano divertiti! L’aver giocato spesso a pallone da ragazzino tornò molto utile a Hiroaki che si comportò benissimo, mancando i passaggi solo due volte. Akira , naturalmente, giocò in modo superbo. Quando la partita terminò, con una schiacciate vittoria della loro squadra, Akira abbracciò Hiroaki con entusiasmo, poi si sedette e passò mezz’ora a raccontare episodi della sua carriera sportiva agli altri giocatori.

Hiroaki non lo aveva mai visto così rilassato.

Il suo sorriso caloroso sprigionava una forte simpatia.

Quando finalmente decisero di andarsene, una folla di voci concitate li seguì. "Noi giochiamo qui ogni giovedì sera. Tornerete a giocare con noi?"

Vedendo l’espressione tesa tornare sul viso di lui, Hiroaki capì che Akira non avrebbe fatto una simile promessa. Il suo piacere di giocare no era materiale: non si sarebbe impegnato nemmeno in una cosa priva di importanza come un partita di basket amichevole.

Il ragazzo provò la voglia di dare un calcio a qualcosa.

"Sai, non sarebbe la fine del mondo se tu dicessi che la settimana prossima saremo qui."

"La prossima settimana potrei avere delle riprese televisive la sera."

"Ah, già, la scusa multiuso. ‘Mi dispiace, ma i miei orari sono imprevedibili’…"

"Beh, è la verità."

"Certo, per tua fortuna! Altrimenti dietro cosa potresti nasconderti? Per amor del cielo, Akira, ti riesce così difficile fare una piccola promessa? Solo per questa volta?"

"Va bene. Io dico a questi ragazzi che possono contare su di me. E se poi devo rimanere in studio? Oppure se il ginocchio mi fa tanto male da non permettermi di giocare? Che succederebbe allora? Io non faccio promesse che non posso mantenere. Così, soffro soltanto io."

"Non è detto."

Akira lo guardò e per la prima volta capì che la sua riluttanza a prendere impegni poteva far soffrire anche lui. L’uomo si lasciò andare su una panchina e nascose la testa fra le mani.

"Non sono stato leale con te, vero? Mi dispiace, Ricky. Deve essere una seccatura, per te, vedermi arrivare all’improvviso, a tutte le ore del giorno e della notte."

"Niente affatto. Sei solo un amico un po’ imprevedibile." Hiroaki si sedette accanto a lui e gli coprì una mano con la sua. "Non intendevo lamentarmi."

"Eppure ne avresti ogni diritto."

L’uomo intrecciò le proprie dita con quelle di lui, provocandogli un fremito in tutto il corpo.

"Tu sei un uomo eccezionale, Ricky. Lo sapevi?"

Hiroaki scosse il capo e pensò che quello era il primo complimento che lui gli faceva.

"La maggior parte delle persone esigono delle garanzie. Vogliono che le loro vite siano programmate, prevedibili, chiare. Giovedì cena alle otto, tennis ogni sabato mattina…. Tu invece no. Tu sei diverso, indipendente, e questo mi piace molto. Non ho mai conosciuto una persona così elastica."

"Tu mi stimi troppo. Non mi dispiacerebbe se fra noi ci fosse un po’ più di prevedibilità."

"No, scommetto che non ti dispiacerebbe. Il fatto che io sia imprevedibile ti dà fastidio?"

"Qualche volta" ammise "non ti chiederei mai di cambiare…." Dopo la promessa di matrimonio strappata a Shinichi, Hiroaki sapeva dove potevano portare le promesse forzate. "Vorrei solo sapere perché ti impegni sempre così poco. Tu non fai mai programmi anticipati, vero?"

"Nella mia vita privata no"

"Perché no?"

"E’ inutile. Non ci si può basare su nulla. Prendo solo il meglio di ogni giornata così come viene. Se viene."

"Se viene?"

"Ricky, quando si seppelliscono tanti sogni come ho fatto io, si smette di contare sul domani."

Hiroaki pensò alla carriera di lui e al compagno e al figlio adottivo, morti in un disastro aereo.

"non ti aspetti che nulla di ciò che ti piace possa durare, vero? È a causa di quello che è successo alla tua famiglia?"

"Li amavo tanto", sussurrò Akira. "Poi, in una sola notte, li ho perduti." Hiroaki non osava guardarlo negli occhi; gli bastava sentire la sua voce. "Ora non penso più al futuro, non faccio programmi. Non voglio soffrire ancora."

Il fatalismo dell’uomo irritò Hiroaki. "Se non corri qualche rischio è come se fossi morto anche tu. Inoltre, ti sbagli quando dici che non puoi contare su nulla. Hai sempre la tua forza, il tuo coraggio, il tuo cuore, la tua volontà…. Tu hai una grande forza di volontà Akira. La volontà di vincere. Ecco perché, nonostante quello che avevano detto i dottori, tu non cammini con le stampelle. Non ti sei lasciato andare."

"Penso di essere molto testardo, testardo come un mulo."

"Beh, sei anche quello." Risero insieme, poi si alzarono e si incamminarono verso l’uscita del parco. Akira, quasi con noncuranza, posò la mano sulla spalla di Hiroaki "Come fai a sopportarmi?" gli chiese.

"Oh, è una fatica", scherzò lui, "ma qualcuno deve pur farlo."

Passeggiarono in silenzio per un po’ e poi Akira gli chiese se si ricordasse di un suo compagno di squadra, un certo Fukuda.

Hiroaki rifletté un istante, poi ricordò. "Quello bruttissimo? E chi può dimenticarlo? Una volta l’ho visto fare due errori nella stessa partita."

"Quando passò ai Twins, comprò una baita sul lago, nel Minnesota, e invitò alcuni di noi ad andare a pescare di notte. Disse che si trattava del miglior posto del mondo per quanto riguardava la pesca. Così…"

"Oh, no!", lo interruppe Hiroaki. "non dirmi che su una barca era una frana come sui campi da basket"

"Anche peggio, se è possibile. Ci fece rovesciare in mezzo a uno dei diecimila laghi del Minnesota"

"Oh, Dio! E faceva freddo?"

"Si gelava. Ed era buio pesto. Non vedevamo la riva né riuscivamo a raddrizzare la barca. Passarono due ore prima che spuntasse l’alba e ci venissero a salvare. Due ore in quell’acqua gelata, aggrappati alla barca a chiederci se qualcuno ci avrebbe trovati."

Hiroaki gli passò il braccio intorno alla vita e lo sentì irrigidirsi.

"Ecco come mi sento dopo la morte di Kenji", ammise Akira a voce bassa "come se stessi al buio nell’acqua gelida, a chiedermi se il sole sorgerà mai."

"Sorgerà", promise Hiroaki, avendo finalmente capito il senso di tutto il discorso. "Sorgerà."

Akira strinse a sé il ragazzo e nascose il viso fra i suoi capelli. Gli stava permettendo di dividere ilsuo dolore e, per un breve attimo, Hiroaki si sentì così vicino ad Akira Sendoh come non si era mai sentito con nessuno, in tutta la sua vita.

Fine terzo capitolo.

Capitolo 4

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