WARNING: non è mia intenzione istigare a condotte immorali o simili… pensieri e azioni che attribuisco ai personaggi sono dovute ad esigenze di copione.

DISCLAIMER: i personaggi di slam dunk non mi appartengono.

Gioventù bruciata
di Simos

Caldo. Terribilmente caldo. Sento la mia pelle ardere sotto questo insolito sole primaverile. Bruciante. Che strana sensazione. Mi sento come se mi stesse consumando l’anima, o quel che ne resta, e quasi mi manca il respiro.

Non c’è che dire… proprio una giornata particolare per il mio primo giorno di liceo.

Tutto qua comunque.

Tutto quello che mi interessa di questa giornata è la particolare condizione meteorologica, non mi emoziono mica per certe cose. Anzi, io non mi emoziono per niente, non sono mica un bamboccio.

E poi la scuola è solo una scocciatura, o meglio, lo è per quegli stupidi che la prendono sul serio… io non sono un fesso. Ci vado qualche volta, solo per passare il tempo, perché così è più facile trovare qualcosa di interessante da fare e soprattutto qualcuno con cui litigare… per dimostrare a tutti chi è Hanamichi Sakuragi.

Per trovare qualcosa che riempia almeno temporaneamente il vuoto che mi porto dentro.

Dove diavolo saranno finiti quelli della mia armata? Va bene che posso divertirmi anche da solo, ma con quegli idioti c’è un altro gusto… un po’ deficienti lo sono… stanno ancora ridendo per la storia di quella ragazza che mi ha rifiutato, io non li capisco, per me il divertimento dura proprio poco… è per questo che ne cerco sempre subito un’altra! Comunque, contenti loro, contenti tutti!

Ora sarà meglio che mi trovi un’altra preda…

"Scusa… senti…"

E adesso chi è che rompe? Ah, è una voce femminile… che vorrà questa?

"A te piace il basket?"

Ma proprio di basket doveva parlare? Forse l’ hanno pagata quelli dell’armata… adesso mi giro e le do una bella lezione… già a me lo sport non piace per niente… è solo un modo vile per confrontarsi senza darsele di santa ragione, insomma, roba da smidollati. E poi proprio il basket, che ho dichiarato di odiare per due giorni di fila… per quello che me ne importa, ma è una questione di principio…

Ora però è il momento di risolvere questa "questione" e guardo in faccia questa scocciatrice…

Carina.

Già potrebbe essere il tipo adatto.

Dolce, gentile, probabilmente amata da tutti… e protetta.

La osservo mentre mi sommerge di parole… è una tipa interessante. E ha del coraggio, se mi ha rivolto la parola di sua iniziativa… o forse è soltanto stupida, ma questo per me non è certo un problema, non per i miei scopi.

È andata.

"Ti piace il basket?" ripete per l’ennesima volta.

"È tutta la mia vita. Poiché sono un atleta." Dico convinto, con quella voce in falsetto che mi riesce così bene, e lei ne è entusiasta.

Il gioco è iniziato.

Quelli dell’armata sono in estasi, forse si stavano annoiando… se non gli do io qualche motivo per riempire le giornate non sanno proprio che pesci prendere, non sono nemmeno in grado di scatenare una rissa come si deve… mi fanno proprio pena. Non c’è molto da essere orgogliosi ad essere il capo di questa banda di falliti.

Però devo salvare Mito. Sono ben cosciente che lui è diverso, forse migliore anche di me… in un certo senso lui non ha bisogno di tutto questo: gli piace stare con noi, gli piace "vivere la strada", ma potrebbe sopravvivere anche da solo, senza scomporsi… probabilmente è per questo che siamo amici.

Siamo stati fianco a fianco per tante di quelle volte che sarebbe strano, disturbante, non averlo più con me. Anche se a volte mi fa incazzare, perché fa tranquillamente quello che vuole in palese contrasto con quello che IO dico o faccio, e io non ho modo di reagire, perché sa mettere in luce la propria indipendenza in modo intelligente.

Tutto sommato devo dire che l’incontro con quella Haruko ha portato bene… mi ritrovo infatti nel corridoio delle terze e riesco ad attacar briga coi senpai: come dicevo prima, per me è essenziale mettere subito in chiaro chi sono.

Non vedo l’ora di menar le mani, la giornata si preannuncia buona…

Inoltre Mito mi ha fatto notare una cosa interessante: probabilmente Haruko è fidanzata! In effetti mi viene in mente che mentre mi parlava ha citato un paio di volte un certo Rukawa… fantastico!

Le cose si mettono proprio bene, la vita del liceo promette di essere molto interessante.

Comunque adesso è il momento di pensare all’appuntamento sulla terrazza con quei decelebrati di terza. Hanno avuto anche il coraggio di venire in classe a darmi del vigliacco! A me! Comunque è stato uno spasso, davanti a tutta la classe e con il professore che sbraitava ho potuto dare il meglio di me, fingendo rabbia cieca e irruenza… dico fingere perché in realtà sono poche le cose che mi toccano veramente, certamente non queste risse scolastiche che mi servono giusto per tenermi in allenamento: non sono queste le vere prove di forza.

Alla fine è stato coinvolto anche Mito, e si accodano anche gli altri della banda. In realtà avevo voglia di sfogarmi un po’ da solo ma ora non ho voglia di impormi, ci saranno altre occasioni. Mentre percorriamo il corridoio mi chiudo nel mio silenzio: comincio già a familiarizzare con questo posto… i colori, gli odori, tutto quanto e comincio a sentirmi il padrone. Okusu, Noma e Takamiya sono davanti e fanno un gran casino, ma il rumore che percepisco meglio è quello dei passi di Mito accanto a me. Non ammetterò mai davanti a lui quanto la sua presenza mi dia sicurezza, quanto mi faccia sentire sempre a mio agio, anche in situazioni difficili o in cui ho palesemente torto: purtroppo so che è troppo intelligente per non capirlo da solo.

Eccoci sulla terrazza. Non siamo preparati allo spettacolo che abbiamo davanti. La prima sensazione che avverto è la delusione, poi l’incredulità.

Per farla breve i tipi che dovevamo incontrare sono già tutti al tappeto, a quanto pare ridotti a quel modo da un’unica persona che ora è lì, ferma e immobile, e ci da le spalle.

Non so chi sia ma deve saperci veramente fare.

Quando si gira verso di noi mi accorgo che è una persona veramente particolare. Alta come me, pelle diafana, capelli corvini, sguardo scuro… i nostri sguardi si incrociano: non sembra particolarmente soddisfatto della sua opera, piuttosto direi che è irritato. Sono troppo perso a scrutarlo e a studiarlo per accorgermi che è calato il silenzio, è Mito il primo a riprendersi:

"Tu hai fatto tutto questo da solo? Ma chi diavolo sei?"

Questo ragazzo non si scompone nemmeno ora, e mentre risponde la sua voce fredda e profonda mi colpisce ancora prima delle parole che pronuncia:

"Sono Kaede Rukawa"

Kaede Rukawa. Rukawa. Questo è l’uomo di cui è innamorata Haruko!

Che colpo di fortuna, finalmente un avversario che sembra alla mia altezza!

Ma dentro di me si fa strada la delusione: l’immagine che mi ero fatto di lui in quei pochi secondi si disfa al ricordo delle parole di Haruko.. è un giocatore di basket, un campione di basket, insomma, un atleta. Una delle categorie che disprezzo di più. Gente che cerca se stessa in sfide dove comunque c’è ben poco da perdere, gente senza spina dorsale.

Ma perché? Questo Rukawa ha della stoffa, si vede da come ha ridotto la banda di Hotta. E se non trova soddisfazione in un confronto da uomo, che cosa può cercare in uno sport?

A questo punto non mi interessa più, è solo il mio prossimo divertimento.

Arriva pure Haruko a fare una scenata isterica ed io ho la scusa buona per aggredirlo: è uno scontro violento, ma è solo un assaggio, avremo altre occasioni.

Nonostante la rissa precedenti e i miei colpi pesanti se ne va tranquillamente, anche se sanguinante. Sì, sei proprio in gamba Kaede Rukawa, anche se ti disprezzo sarai un ottimo avversario. Sento già l’odore del sangue e l’eccitamento del confronto… oggi, su questa terrazza, è stato solo l’inizio… ci rincontreremo presto.

Ora ho bisogno di stare un po’ da solo. Non che non sappia isolarmi anche in mezzo alla gente quando voglio, ma certe volte sento l’esigenza di essere veramente da solo, cancellare tutti i pensieri e non avvertire il peso del mio essere un teppista, perché, forse non ci crederete, tutto ciò comporta un sacco di responsabilità, soprattutto se sei un capo.

Così faccio un giro intorno alla scuola… per oggi ho avuto abbastanza soddisfazioni a scuotermi dalla mia quotidiana apatia, e la promessa dei prossimi incontri con Rukawa mi elettrizza: non gli darò certo modo di tirarsi indietro.

All’improvviso qualcosa mi colpisce alla testa, che botta! Ma cos’è? Un pallone, un pallone da basket: ma allora è una persecuzione! Senza sapere nemmeno come mi ritrovo in palestra a sfidare un tizio che sembra un gorilla… ma non in un corpo a corpo bensì in uno scontro di basket! Ma sono impazzito? Comunque io sono il Tensai (non ve l’avevo ancora detto?) quindi non mi tiro certo indietro, anche se non conosco le regole. Ed infatti sono io a vincere!

Toh! È arrivata pure Haruko. Cos’è che mi dice? Il gorilla è suo fratello! Non ci posso credere, è la prima volta che grazie alla ragazza che fingo di corteggiare mi procuro tre guai in così poco tempo!

E non è finita qui! Ho scoperto che c’è un tizio, tale Aota, che è cotto di Haruko: questo è un altro campo aperto… il problema è che sto pazzo si è messo in testa di farmi entrare nel club di judo: ma come lo devo spiegare che a me lo sport non interessa?

In ogni caso, grazie, Haruko. Ti devo molto, più di quello che potresti immaginare.

E in ogni caso, ora che ho avuto quello che cercavo, tu non mi servi più.

****

È una settimana che manco da scuola, non credo nessuno li abbia sentito la mia mancanza. Io di certo non ho avuto di che annoiarmi in questo periodo: nella nostra zona è scoppiata una piccola guerra per il predominio fra bande, così con la mia armata ho dovuto combattere per difendere il nostro territorio. Tutta colpa della banda di Huma, quel vigliacco incompetente che non sa starsene al suo posto… ma forse questa è la volta buona che ha capito le gerarchie…

In ogni caso è stato un periodo molto delicato: non si tratta solo di scontri fisici, ma di sottili strategie che tutti metto in atto per poter trarre vantaggio dalla situazione. Non che mi dispiaccia questo genere di confronto, si può dire che io viva di questo: sempre molto concentrato, i nervi a fior di pelle, i muscoli e la lama pronti a scattare alla prima necessità, anche se io, a dire la verità, uso poco il coltello, preferisco avere la percezione che la violenza subita dal mio avversario scaturisca completamente dalle mie forze. Ed è in queste condizioni che finalmente riesco a sentirmi vivo, con l’adrenalina a mille e quella sorda consapevolezza di poter morire da un momento all’altro, nonostante io sia il più forte…

Strano a dirsi, ma lo Shohoku mi è mancato in questo periodo… non che mi manchino le lezioni, ci mancherebbe, ma comunque ho nostalgia di quella sensazione di essere temuto da tutti, professori e studenti… poi la terrazza, dove a volte posso trovare una piccola oasi di tranquillità, per non parlare delle risse con Rukawa!

Già devo ammettere che quel tizio, nonostante sia uno sportivo non è per niente un vigliacco: non si è mai tirato indietro e se la cava alla grande. Non mi ha mai nemmeno chiesto stupidamente il "perché" di questa mia persecuzione, come invece mi sarei aspettato…

Io lo cerco, lo provoco.

Lui mi insulta e ci picchiamo.

Semplice.

E io bevo vita dai suoi pugni.

Ed è per questo che ora che sono tornato da queste parti per prima cosa lo vado a cercare. Dove? In palestra, ovviamente. Questa del basket è proprio un’ossessione per lui: si può dire che venga a scuola solo per quello, come io e i miei ragazzi veniamo solo per i nostri motivi.

Eppure ora lo capisco un po’ più di prima, perché alcune volte l’ho guardato giocare. Sì l’ho guardato mentre si allenava da solo. Di solito lo vado a sfidare verso sera, quando in palestra c’è solo più lui, rimasto ad allenarsi anche dopo gli allenamenti.

A qualsiasi ora sia andato l’ho sempre trovato.

Per lui il basket è come una droga. Qualcosa di cui non può fare a meno.

Qualcosa che lo fa stare bene. E per questo lo fa il più possibile.

Va in estasi quando gioca: determinazione, grinta, aggressività unite ad uno stile incredibile, leggero e preciso.

E io posso capire che è un campione, pur non sapendo nulla del basket.

Come capisco che a lui non importa poi molto esserlo, pur non sapendo nulla di lui.

A lui importa giocare.

A lui importa la sfida.

Come a me.

E ammetto che guardarlo giocare è emozionante, senza saperlo mi regala altre piccole gocce di vita, anche se me lo sono permesso poco, per la paura di essere sorpreso. Quindi tutto si riduce ai pochi attimi lunghissimi che trascorrono da quando lo vedo a quando mi decido ad interromperlo con i soliti argomenti.

Così eccomi qui davanti alla palestra un’altra volta. Chissà che cosa avrà pensato non vedendomi più arrivare… forse che mi sono stufato…

Non c’è.

La palestra è vuota, deserta, anche se qualcuno ha lasciato le luci accese.

Per un attimo mi sento come… tradito.

Fisso per un po’ questo posto abbandonato, come se mi aspettassi di vederlo apparire da un momento all’altro, con la sua divisa da gioco, il pallone e l’immancabile fascia nera al braccio

Vuol dire che ripasserò domani e gliene darò il doppio, penso mentre mi allontano con un sorriso amaro stringendomi nel giubbotto.

Fa freddo stasera, terribilmente freddo. Maledetti capricci di primavera.

****

Non mi sono mai illuso che passare al liceo avrebbe cambiato la mia vita… non che questa possibilità mi interessasse particolarmente, non vedo proprio cosa potrebbe mai cambiare in meglio.

Ed infatti tutto è come sempre: i professori mi odiano, le ragazze mi idolatrano al limite della pazzia mentre in squadra mi faccio i fatti miei e sono già considerato l’asso della squadra.

Però quel giorno, quel giorno sulla terrazza della scuola, quando ho incontrato Hanamichi Sakuragi ho provato un brivido.

Sì, quando ho incrociato il suo sguardo ed ho visto nell’intensità dei suoi occhi un po’ di me stesso mi sono sentito in trappola, ho compreso che davanti a quel rossino non avrei potuto nascondere il mio vero io. Ma poi, dopo aver sentito il mio nome, ho visto qualcosa di strano passare nei suoi occhi: interesse e ammirazione si sono trasformate in sfida e disprezzo.

E non ho capito.

Ma poi quando è arrivata quella ragazzina petulante e lui mi ha aggredito è diventato tutto più chiaro: un altro innamorato scaricato a causa mia, o meglio, a causa della cotta della sua bella per il sottoscritto.

Così l’interesse che stava nascendo in me per questa persona si è trasformato subito in delusione, a fronte della sua superficialità.

Non so dire cosa mi aspettavo ma è stato un bene non avere il tempo di farmi illusioni.

Nel frattempo ho sentito un po’ di cose sul suo conto e devo dire che il quadro si è fatto ancora più confuso: non riesco a far combaciare i pezzi di questa persona.

Poi lui è venuto a cercarmi in palestra. Per picchiarmi, certo. Non saprei dire il motivo preciso che lo spinge a cercarmi così frequentemente ma mi sono accorto che non mi interessa.

È come se trovassi giusto che sia così.

Una cosa è certa, ora non posso più fare a meno di queste risse come non posso fare a meno del basket.

Ormai è diventato un copione: lui mi provoca, io lo insulto, generalmente con un "dohao!", e poi partono i pugni.

Lui mi colpisce con una tale disperazione che mi impressiona: sembra che fare questo per lui sia di vitale importanza, e ho compreso (non che avessi ancora molti dubbi in proposito) che in questa storia quella ragazza non centra nulla, si tratta di qualcosa di più profondo e personale che riesce a sfogare solo in questo modo. Con me.

Sono gli scontri più violenti che io abbia mai avuto eppure alla fine entrambi riportiamo sempre solo qualche graffio e contusione.

E il suo sangue e il suo odore sono diventati il mio nettare.

Inconsciamente mi sono ritrovato a prolungare i miei allenamenti fino a molto tardi nella speranza di vederlo arrivare. Certe volte si presenta così tardi che praticamente non mi reggo più in piedi, ma trovo comunque l’energia per confrontarmi con lui.

Perché mi fa sentire vivo, è la mia linfa vitale.

****

È finita. La mia vita è finita.

Nulla ha più senso per me.

Ancora non ci posso pensare, sono già passate due settimane eppure i ricordi di quel pomeriggio sono sfuocati, perché ogni volta che provo a pensarci è come se li rivivessi, e l’angoscia diventa una morsa ferrea intorno al mio cuore e mi impedisce di respirare.

Perché quel pomeriggio è finita la mia carriera di giocatore di basket.

E potrei ancora sopportare la lontananza dal basket scolastico e la rinuncia al basket professionistico, ma mi uccide l’idea di non poter più palleggiare, saltare, schiacciare a canestro.

Mi è proibito.

Il dottore è stato chiaro, riprendere a giocare a basket, anche dopo un lungo periodo di riposo, potrebbe essere pericoloso: potrei compromettere per sempre la mia gamba e non avere più nemmeno una vita normale.

Ma in fondo che me ne faccio io di una vita normale?

Ho qualche cosa da fare di importante? No.

Ho qualcuno con cui dividere il mio tempo libero? Degli amici? No.

Non ho più motivo nemmeno di tornare a scuola, in fondo di studiare non mi è mai importato niente. E fa presto mio padre a dire che è importante per il mio futuro… cosa ne sa lui, cosa ne sa di quello che provo, del vuoto che è in me, come può capire che non me ne importa niente del futuro…

Sakuragi… mi manca molto quello stupido delinquente. Chissà cosa avrà pensato quando ha saputo quello che è successo, chissà cosa avrà detto…

Mi chiedo se prima di sapere tutto sia venuto ancora a cercarmi in palestra, se davanti alla palestra vuota si sarà sorpreso non vedendomi. Si sarà arrabbiato? Mi avrà dato del vigliacco?

Vorrei tornare lì solo per sentire ancora una volta i suoi pugni, la sua voce tagliente che suonava come una melodia nella mia testa.

Chissà se avrà già trovato un degno sostituto su cui scaricare le sue angosce.

Io ormai non valgo più niente. Sono un uomo distrutto.

E piango. Come una ragazzina, come un vigliacco. Perché mi sento ora più che mai un guscio vuoto, mi sento inerme e impotente. Paralizzato non negli arti ma nell’anima.

Che senso ha la mia vita così? Nessuno.

Vorrei morire, ma mi limito a bere, annebbiando la mia mente riesco a rinchiudermi in un mondo ovattato dove il dolore è meno percepibile; anche se cresce il disprezzo verso me stesso, e a questo non c’è liquore che porga rimedio.

Una volta avevo assaggiato del whisky di nascosto e lo avevo trovato disgustoso… un sapore amaro e bruciante che mi diede il voltastomaco dopo il primo sorso. ‘Come si fa a bere questa roba?’, mi ero chiesto… ma ora ho scoperto il trucco.

Basta stringere i denti e ingoiare qualche sorso, dopodiché non senti più niente: né quel gusto cattivo, né quel bruciore insopportabile, né, soprattutto, la tua coscienza.

Da li in poi puoi ingurgitare qualsiasi cosa per tenerti la mente annebbiata il più a lungo possibile e dimenticare le ombre che ti perseguitano.

Certo, la mattina dopo è tutto come prima: l’angoscia, la disperazione a cui vanno aggiunti un gran mal di testa e i sensi di colpa.

Ma passa tutto subito, basta riprendere a bere.

****

È ormai passato un mese, e non ho più rivisto Kaede Rukawa.

Non è stato difficile sapere cosa sia successo, lo sapevano tutti a scuola, solo che in quel periodo noi avevamo altri impegni, per cui ho dovuto indagare quando ormai nessuno ne parlava più.

Un infortunio. Si è fatto male seriamente durante un allenamento con la squadra. Una semplice caduta innocua di come se ne vedono tante senza conseguenze, ma non questa: il suo ginocchio non gli permetterà mai più di giocare a basket.

È quasi ridicolo, dopo tante risse si è fatto male in un modo così banale… deve essersi sentito preso in giro.

Non è più venuto a scuola. Non mi sorprende ovviamente, avevo intuito che il suo unico interesse qui fosse quello sport, ma non posso negare di essere un po’ deluso: avrei voluto scontrarmi con lui ancora una volta.

Un po’ mi sento dispiaciuto per lui. Pazzesco, proprio a me che non me ne frega niente di nessuno. Il fatto è che so che il basket era l’unica cosa a cui si aggrappava, per cui immagino che ora si senta ancora più miserabile di quanto non sia io stesso.

Mi chiedo cosa stia facendo ora, se non vorrebbe anche lui scontrarsi ancora con me.

Penso di essere pazzo. Possibile che io lo stia pensando così intensamente da vederlo materializzato in carne e ossa in fondo al vicolo che ho appena imboccato? Ed è pure una visione un po’ deforme perché si muove in modo strano.

Ci metto qualche secondo a realizzare che non è uno scherzo della mia mente, ma che si tratta proprio di lui: sta zoppicando e trascina i passi, ma sta anche… barcollando?

Solo ora mi accorgo che in mano tiene una bottiglia di whisky, non posso crederci, è ubriaco!

Devo correggere quello che avevo pensato prima.

Lui è molto più miserabile di me.

Come ha potuto abbassarsi a tanto? Non che io non mi sia mai sbronzato, ma è chiaro che questa non è una bravata di una serata, ma l’inizio di un abisso.

Mi avvicino a lui ma non ho ancora chiaro quello che ho intenzione di fare, né perché lo stia facendo. Lui mi nota quando gli sono ormai molto vicino ma la sua espressione rimane impassibile… forse dovrebbe avere paura, in fondo se lo attaccassi mentre è in queste condizioni potrei ammazzarlo con facilità. E invece non è nemmeno sorpreso di vedermi… sta riuscendo bene nella sua opera di autodistruzione.

Ora che sono faccia a faccia con lui, che cerca di stare dritto per darsi un minimo di contegno, mi accorgo che ha il viso rigato di lacrime asciutte.

L’istinto irresistibile è quello di prenderlo a sberle e fargli la paternale. Proprio io che non ho un brandello di vita decorosa. Eppure qualcosa devo fare.

Mi avvicino e gli prendo la bottiglia, ma la stringe come se fosse la sua unica ancora di salvezza e urla un "no" così disperato che scalfisce anche il mio freddo cuore.

Ovviamente ho la meglio e scaravento via la bottiglia che va in frantumi contro un muro mentre gli dico duro:

"Questa non ti serve a niente"

Mi aspetto qualche insulto, qualche tentativo irrazionale di picchiarmi e invece aggrappandosi con tutta la sua forza al mio braccio alza il volto verso di me: le lacrime riprendono a scorrere e non ha più maschere per proteggersi.

E poi parla, sussurra parole che non mi sarei aspettato, "Come faccio… adesso che non ho più nemmeno il basket… come faccio a riempire questo vuoto" mentre con la mano libera stringe la stoffa della camicia all’altezza del cuore.

Parole che ci avvicinano, perché dividiamo la stessa disperazione.

Gli passo un braccio sotto la spalla, e questa volta si irrigidisce, insicuro delle mie intenzioni, ma io lo guardo fisso negli occhi per dirgli semplicemente:

"Vieni via con me"

Non è un invito e nemmeno una richiesta, è un ordine: lui lo capisce e non fa resistenza.

Ho deciso che da questo momento sarai uno dei miei, e, forse, che sarai anche mio.

Fine?

In realtà non ne sono sicura… le mie intenzioni erano di andare ben oltre ma non mi dispiace neanche con questo finale. Che faccio, vado avanti o lascio alla vostra immaginazione? Eh eh… io intanto ci dormo su! Spero di non aver risvegliato in voi nessun istinto omicida… CIAO!

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