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Childish man
di Fiore aka Mu

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Quasi estate...

Prometto che sarò breve, come breve è questa storia che tecnicamente è uno stupido spin-off collocato alla fine del capitolo 54 del manga, emotivamente ha un gusto dolce per me, lo stesso che il protagonista impara a conoscere in queste poche righe che seguono...

E in questa dolcezza mi piace cullarmi, perché è un dono prezioso.

 

- Childish man-

 

“Allora ciao.”

“Ciao Miyagi... Ryota.”

Sorriso. A domani Hanamichi.

 

Testa bassa, Ryota, sei troppo stupido, troppo acerbo, troppo incapace.

Un passo trascina l’altro, si dice, dove, non sono cose che ti chiedi. Forse vuoi solo andare a casa. Perché ce l’hai anche tu una casa, no? E una famiglia e libri su cui scrivere e studiare e morire appena. Cammini e tieni la testa bassa, o forse è solo che averla vuota le fa perdere consistenza e forza.

Stai ripensando al tuo primo giorno allo Shohoku. C’era Akagi, certo. E anche quell’insignificante vigliacco di Kogure e Yasuda, sì, quello era pure in classe con te. Non che te ne importasse qualcosa.

Qual è la tua scala di valori, Ryota? Ce ne hai una almeno? Non credo e se ce l’hai comunque non include l’amicizia. O, perlomeno, non fino a stasera. Che effetto ti ha fatto giocare all’uomo? Lasciare per un istante il guscio tiepido del tuo viso di infanzia mai finita?

Hai raccontato ad Hanamichi qualcosa di te, qualcosa di vero e ora ti senti in gabbia? No. Ora stai bene. E sorridi, nonostante lo sguardo implori ancora lei.

Perché?

Ayako... Aya, non ti vuole, bambino, come potrebbe? Però... però è là, dall’altro lato di questa via ombreggiata solo di lampioni tremanti.

Che fa? Cammina, anche lei, i capelli schioccano intorno e procede sicura o finge di farlo.

“Aya!” Strano. Non hai gridato isterico come al solito.

Lei si volta, ammettilo che è quel sorriso che ami, lo hai appena fatto con Hanamichi e ora fingi di guardarle le gambe. Penoso. Ti guarda appena, alzando il sopracciglio come quando sta per sgridarti, una madre con suo figlio, o per sgretolare, con un “esaltato” appena soffiato, la tua boria ostentata dopo un numero sotto canestro, una sorella maggiore con il fratello petulante.

Eppure attraversa, o forse sei tu che vai verso di lei. Fa differenza?

“Ciao... è pericoloso andare da sola.” E la guardi negli occhi senza averne davvero il coraggio.

“Sono pochi isolati.” Ti dice ed è una donna.

Lo vedi dai suoi gesti lenti, che sembrano sfiorare il mondo e colorarlo di quell’aura che solo tu vedi in lei; lo senti dal suo odore vivo, quasi selvatico, che sboccia mentre grida dalla panchina, mentre tu speri che stia guardando proprio te, piccolo giocatore che butta un po’ via il suo talento.

“Posso accompagnarti?” Che succede? Perché non sei nevrotico e acuto come al solito?

Anche Ayako si accorge che sei diverso, forse è la notte, che è sempre un po’ bastarda ma allatta i suoi figli di vino e li cresce bene, o forse è lei che è troppo stanca per discutere, per respingerti ancora e usare questo amore solo per ridimensionare la tua intemperanza.

“Ok.” Dice solo. Iniziate a camminare l’una accanto all’altro e senti il tuo corpo spinto verso di lei, i tuoi ormoni cretini di maschio sono partiti. Forse dovresti stare un po’ più attento, non pensare solo alla sua carne, perché in fondo la carne è più meno sempre uguale a se stessa, con lo stesso sapore, solo a volte è un po’ umida, a volte acida. Forse dovresti ascoltare più a fondo il tuo cuore.

Ne hai uno, no? E non solo per sentirlo battere forte in partita quando ti dici che non è emozione ma stanchezza.

“Allora..? Come stai?” Chiedi e non la guardi, fissi l’asfalto grigio sotto i tuoi piedi, un asfalto che questa sera sembra di cioccolato e non sai perché.

“Bene... e... e tu?” Troppa paura di chiedere oltre e vederti tornare te stesso, il te stesso che conosce e che non manca occasione di ricordarle quell’amore di carta che senti. E troppa paura di chiedere poco e scatenare la furia di gelosia con cui giusto qualche ora fa hai colpito Hanamichi.

“Mm... bene.” Non le racconti di Mitsui eppure sai che te l’ha giurata di nuovo o forse non ha mai smesso di volerti vedere schiacciato sotto di sé.

E ti fotti di paura anche se non lo ammetterai mai, preferiresti morire piuttosto di dimostrarti indifeso, davanti ad Ayako, poi... meglio scomparire. Non sei più debole di Mitsui, solo, lui è più crudele, sa odiare più forte di te e quindi vince.

Per un momento ti torna in mente quel giorno, quando hai pensato davvero che saresti morto e ti sale in gola la stessa nausea di allora, lo stesso dolore, che non era solo fisico.

“Ehi, Ryota?”

“Mm...?” Ti allontani di nuovo dai ricordi dolorosi, è il tuo gioco preferito.

“Che ti sembra la nuova squadra?” Parlare di basket è sempre stato il massimo per te, ma ora che lei ti fa questa domanda tu vorresti cancellarla e dire tutt’altro. O, al limite, rimanere zitto.

Ma rispondi: “Insomma... c’è quel Rukawa... mi sembra un po’ presuntuoso...”

“Rukawa presuntuoso? Ma se in confronto a te è l’essere più modesto di questa terra!” Lei ride di te e non reagisci, ma nemmeno ci rimani male. Sei proprio fuori fase.

“Sì, scherza... comunque mi sembra una buona squadra, d’altra parte c’è Akagi... e naturalmente io!” Sorriso di plastica, ecco che riaffiora splendida la tua boria.

“Già, già. Potresti tirare avanti la squadra da solo, vero?” Ma non ti dice che Kogure parla di te come il possibile successore di Akagi, non lo fa per non correre il rischio di vedere la tua autostima eccedere ancora e non lo fa per non illuderti. Forse, a modo suo, Ayako tiene a te.

“Certo... comunque...” Cosa? Che vuoi dire?

La tua testa fa strani giri silenziosi, Mitsui, Kogure, Akagi, la partita contro il Ryonan. Non hai giocato, eri in ospedale a cercare di mettere insieme i pezzi del tuo corpo e cercavi di capire cos’era che ti faceva così male: da qualche parte sentivi un dolore sordo che ti martellava puntuale, perforandoti persino il cervello. Eri immobile in quel letto e pensavi, non avevi molto altro da fare, così, costretto, ti sei trovato di fronte a te stesso e sei scappato, perché è sempre molto comodo. Facile. Sei scappato, così non hai mai capito che quello che ti faceva soffrire fino alle lacrime era il tuo cuore. Avresti potuto diventare una persona diversa, non migliore, ma diversa, perché avresti potuto crescere, proprio dopo tutte quelle bastonate, invece ti sei solo calmato, hai frenato un po’ la tua intemperanza arrogante e ti sei sentito a posto.

Bamboccio.

“Comunque...?” La velocità dei tuoi pensieri non tiene testa alla domanda di lei.

“Niente, niente... pensavo solo... hai cambiato idea?” In fondo una domanda oziosa la tua.

“Su che cosa?” Si abbassa al tuo livello Ayako e finge di non capire.

“Su di me...” Hai trovato uno strano coraggio per essere così serio, mille volte le hai giurato come un istrione il tuo amore, ridondanti dichiarazioni gridate davanti a tutti che mettevano lei in imbarazzo e svilivano quello che forse un senso ce l’ha davvero.

E proprio ora hai scelto di farle questa domanda, in questo modo.

“Uff...” Accenna la sua reazione calibrata di noia e distacco, ma incrocia il tuo sguardo: lo vede quieto, forse rassegnato, diverso, ad ogni modo. “Ryota? Prendiamo una coca?”

E mentre lo dice pensa “Oh no... ora griderà come un ossesso...”

Ma tu non gridi.

“Ti va bene al Beetle?” È sulla strada, in fondo, quel locale.

È lo stesso dove sei finito una sera con Yasuda, ma lasciamo perdere, non ti ricordi nemmeno di cosa avete parlato.

“Ok.” Incerta ti precede di qualche attimo verso la via.

Le guardi il fondoschiena: sei sempre tu in questi momenti. Anzi, forse sei solo puramente maschio, quando guardi la scollatura di Ayako o fai a pugni o dormi durante le lezioni. E poi, siccome la coca ti fa schifo, chiedi un the caldo, davvero navigato, non c’è che dire...

Ayako sorride e guarda intorno, poca gente questa sera, è solo martedì. Ma non ha ancora risposto.

“Allora?”

Lei respira forte, se fossi più attento sentiresti qualcosa di simile alla tensione.

“Sei strano stasera, sai?”

“Dici?” A te non sembra, ti senti solo un po’ più tranquillo del solito, ma forse è la stanchezza.

“Beh... non stai facendo lo squilibrato...”

Fa male questa frase: “Cosa pensi di me davvero?” Ti chiedi, ma dici altro: “Volevo solo sapere se hai cambiato idea... lo sai che sono sempre qui...”

Non sembri la stessa persona che ha scaraventato Hanamichi in una siepe credendolo il nuovo ragazzo di Ayako. Ma l’hai poi mai vista davvero con un altro?

“Beh...” Arrossisce, strano, di solito ti vomita veleno in faccia mascherandolo di scherno e invece è imbarazzata.

Sorride il tuo lato ambizioso, indifferente il resto.

“Aya... Ayako...” La chiami per nome. In questo momento, che è il solo che ricordi vedervi così vicini, tu abbandoni la patina confidenziale di cui di solito godi. Lasci da parte il nomignolo che sa di latte per il suo nome di donna.

Lei sospira e va avanti: “Penso sempre le stesse cose, dai... cosa credevi?” Però è tranquilla, non attacca.

“Cos’è che non va in me?” Sei penoso, o almeno questa è l’immagine che ti arriva in gola di te stesso mentre dici questa frase da mezza sega impaurita e precaria.

Ci sono persone che le domande dentro non le hanno davvero, ma tu sì, solo non hai le palle di farti quelle giuste e ti ritrovi sparato senza meta in un mondo di creta popolato di avversari. Chiunque è una sfida da raccogliere, abbia in mano un palla ruvida o un coltello, chieda o preghi, ordini o obbedisca, viva o non viva. Tu provochi, reagisci e raccogli ogni cosa anche solo sfiori il tuo mondo incerto.

In fondo Mitsui ti dava fastidio per questo, no? E così hai fatto sfoggio della tua presunzione davanti a lui e l’hai pagata cara.

“Ma niente...” Ti risponde.

“E allora perché non mi vuoi?” Sorridi malizioso, una buona tecnica, ma non aspetti nulla, non stai cercando lei, non ora, è qualcosa di diverso che chiedi con le tue domande incrostate di antico, forse speri di capirti, ma non vuoi farlo da solo.

Mentre parlavi con Hanamichi, prima, hai raccontato di Ayako, di come l’hai conosciuta, di come te ne sei innamorato e ora che l’hai davanti ti viene in mente lui e non ti concentri su di lei. Hanamichi ti ha ascoltato e parlavi senza schermi, non ha riso, né detto nulla di quanto ti saresti aspettato da un personaggio assurdo come lui. Assurdo, poi... non che tu abbia un aspetto così rassicurante. Non hai sentito le matricole? I commenti che hanno fatto quando sei entrato? No, non ti è mai importato molto di quello che pensa chi ritieni inferiore a te. Però ti sei perso anche le parole di Kogure, lo guardi con sufficienza e non lo ascolti e poi lui è molto migliore di te. Perché sa descriverti con parole che non sono false né denigranti e non gliene torna niente, lo fa perché è buono, o stupido, come credi tu. I due concetti, in effetti, sono pericolosamente vicini e per non rischiare tu hai scelto da che parte stare. Così sei una testa calda e anche uno stupido. Notevole.

“Te l’ho detto subito, Ryota... non mi interessi, non in quel senso.” Sì, la solita storia dell’amicizia. “Ti sono affezionata, sono la manager della squadra e ci vediamo per un sacco di ore al giorno, ma non voglio uscire con te.”

Che ci si affeziona ai cani non glielo dici, lo pensi soltanto.

“Aya, io questo l’ho capito, non sono mica scemo...” Però ti chiedi se davvero non lo sei mentre lo dici. “Ti ho chiesto perché non mi vuoi, non se mi vuoi.”

L’hai stupita. Ha spalancato quei suoi occhi di buio infinito su di te e ora è incerta, se prendere le tue parole per sincerità o per provocazione: “Tentiamo...” Pensa appena prima di risponderti.

“E va bene... perché...” Non ce la fa a dirti la verità a muso duro, sta cercando le parole, le donne sono portate geneticamente all'eufemismo, pare. “Perché siamo troppo diversi... cioè... abbiamo modi di vivere e di pensare completamente differenti. Non so... tu vuoi sempre vincere, sei un individualista e io invece... beh, forse ho meno pretese di questo genere, ma perdo tempo...” Dice proprio questo “perdo tempo”. “A pensare al mio futuro, a cosa voglio essere, a come raggiungerlo... penso a me, alla mia vita... come una vecchia, eh?” Ti sorride, però lo senti quanto male le ha fatto aggiungere quell’accento scherzoso.

“Ayako...” Non trovi parole, taci! Pensa per una volta prima di agire!

Stai cercando di ascoltare i tuoi sentimenti, ma non sono cose che si imparano così, in una sera, solo perché è buio o solo perché adesso lo vorresti. E nemmeno perché hai parlato con Hanamichi. Questo pensiero non ti dà tregua, ma è una guerra dolce, che sa di sale solo al primo morso e solo perché è il primo sapore forte che il tuo palato di lattante assaggia, poi scivola nello zucchero e ti sciacqui la bocca di questa scoperta.

Ha anche un nome il gusto che ti si è scivolato piano nelle vene, ma mi chiedo se tu l’abbia capito.

“Dai... te l’ho detto. Sono solo una che ragiona da nonna...” E infatti ti accarezza con il suo sorriso materno, quello che fino ad ora era solo per le partite, per dire “ma che combini, Ryota?”

Respiri, una, due, tre volte.

“No, non sei vecchia... sei solo cresciuta. Tu...” E che la frase la finisca lei come crede, come vuole sentirla. Per il momento si accontenti del tuo sguardo, incredibilmente serio. Sembri quasi un uomo, nonostante i capelli allucinati che hai, nonostante gli orecchini. Hai la stessa espressione che ti inarca appena le sopracciglia quando stai per essere attaccato, quando hai paura. Ma tu la vedi come il tuo invitare alla sfida, non per quello che è. E, ad ogni modo, ora nessuno ti sta minacciando e a chiuderti nell’angolo è solo quello che sei.

Lo hai capito. Sei un bambino. E forse stai anche pensando che questo è il momento di crescere, di sentire tutto il male che fa diventare adulti.

“Dai, ti accompagno fino a casa...” Ti alzi bevendo l’ultimo sorso di the e Ayako ti segue, scosta appena un ricciolo dalla guancia.

Lei è incredibilmente dolce e infantile in questi gesti, nel viso a volte. Esattamente il contrario di te, che hai questo muso da carogna e poi pensi e agisci e vivi nell’eterno limbo dell’immaturità.

Iniziate a camminare in silenzio, la casa di lei non è molto lontana, ancora qualche metro e finirà anche questa notte, così surreale perché tu sei come dilatato, distorto in un mondo parallelo che non ti appartiene.

Ayako sta pensando a quello che vi siete detti e soprattutto a quello che non vi siete detti: “Sei diverso davvero, questa sera... forse la lezione che ti hanno dato Mitsui e i suoi ti ha fatto mettere la testa sulle spalle, o forse è tempo di cambiare anche per te... chissà perché hai così paura di diventare grande... certo è difficile e faticoso, ma tu sei davvero meraviglioso come hai gridato oggi... la cosa sbagliata era dirti uomo... perché sei un ragazzino. Adorabile a volte, ma un ragazzino...” Ma nei suoi pensieri non puoi entrare e mentre i contorni della sua piccola villetta diventano nitidi, scolora il te stesso di questa sera.

Si ferma davanti al cancello e si volta verso di te: “Grazie... ci vediamo domani?”

“Certo... non ho intenzione di starmene ancora lontano.”

Ayako abbassa la maniglia per entrare.

“Ah, Aya...”

“Sì?” Si volta, oscilla un po’ l’inferriata modulandosi sulle sue dita in bilico tra il dentro e il fuori.

“Come è stata la partita contro il Ryonan?”

Finalmente si illumina di quel sorriso assoluto che le vedi sempre quando qualcuno di voi fa canestro, quando grida il tempo che rimane, quando vive con la tua stessa melodia di sottofondo: “Una gran partita, davvero. Dovevi vedere Sakuragi...” Ma si ferma su quel nome, in fondo, per quanto ne sa, vi odiate. “Beh, insomma hanno giocato tutti benissimo, dovevi vedere Kogure! A un certo punto è partito...” Già, Kogure ci mette sempre un po’ per carburare e sorridi ai ricordi dell’anno scorso. “E poi Rukawa ha dimostrato di valere quanto dicono... è un po’ strano, sì, però ha un talento incredibile... sì, è stata davvero una bella partita.”

Sei soddisfatto: “Ti ringrazio... allora a domani.”

Ti sorride in silenzio, la guardi finché le mura non la inghiottono e poi via. Vai a casa, ma continua a pensare, Ryota, a testa bassa come all’inizio. Perché per queste ore sei stato con lei e le hai parlato come uomo, forse le hai mostrato ciò che sarai un giorno. Un giorno, Ryota, imprimitelo nella mente, a fuoco, perché ora dormirai e domani non ci sarà più nulla di questa notte sfuocata e atemporale e tu tornerai ciò che gli altri credono tu sia e ciò che stai cercando disperatamente di restare per non doverti affrontare.

Ti sveglierai e sarai di nuovo solo un bambino pronto a gridare “Aya!” con la voce stridula, pronto ad attaccare chi ti ferisce o chi cerca di metterti di fronte a te stesso.

Tornerai nel tuo mondo di caramelle e colori accecanti e di questa notte non ti rimarrà che un vago ricordo. Anche Ayako la dimenticherà, un po’ più lentamente, ma anche per lei l’impronta lieve di queste ore sarà cancellata da quello che tu sei alla luce del giorno.

Solo un vago ricordo e un grande dono.

Sai come si chiama quel sapore dolce che ti senti nei polmoni pensando ad Hanamichi?

Si chiama amicizia.

Anche se tornerai esattamente uguale a ciò che eri, almeno questo affetto nuovo, tu, fai di tutto per non gettarlo via.

 

Naturalmente ringrazio Takehiko Inoue e naturalmente i personaggi sono un suo meritato ©.

E poi un grazie sussurrato a chi è lontano ma tornerà, a chi ha preparato un esame con me di fronte che deliravo sugli allotropi e a chi ha letto per primo questa storia, che per me è come una piccola goccia di speranza.

Niente nomi, perché chi doveva capire di certo lo ha fatto.

Fiore aka Mu

 

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