Ciro De Vincentis

Kosmesis

 

Kosmesis: una mostra per ricordare Ciro De Vincentis e per permettere ai tanti suoi estimatori ed alla prodiga città di Grottaglie di ritrovarsi attorno all’arte tecnico-scientifica, ma soprattutto attorno ad un uomo che, per molti versi, può definirsi un maestro iniziatore dell’arte della fotopietra e della fotoceramica. Nella saletta della mostra si poteva cogliere la sintesi tra il divino e la ricerca di essere uomo, il tutto avvalorato dal ricordo emozionante che  è stato offerto e dal doveroso senso del rispetto e dal silenzio dei tanti estimatori che hanno recepito il senso del dono della vita reso servizio.

 

Le opere si commentano da sé, ma quando tramite il vissuto si è portati a ripensare la storia, non si può non essere colti dalla sensazione di dover essere testimoni e messaggeri del naturale ispirativi. Le opere dell’artista grottagliese hanno conferito alla saletta della chiesetta un ulteriore alito divino che la portano ad essere testimone attuale di quella “civiltà rupestre” di fonsechiana memoria e ti porta ad annegare nel fascino delle radici. Il fotografo De Vincentis ha dato un senso alla vita; ha dato un’anima all’obiettivo; ha dato la parola alle immagini per recuperare il dialogo con il passato. Ha permesso un riscontro su una generazione e la verifica del bisogno di ritornare a valorizzare i beni culturali quali custodi della storia e del tempo che mai passa inutile, ma che, al contrario, si imprime sul valore della persona e si ferma.

 

Lo stesso artista ebbe a dirmi, quasi a voler prolungare l’arte nel sentimento dell’amicizia oltre il tempo stesso: “Il supporto della pietra mi ha sempre affascinato fino a crearmi il bisogno, tanto forte, da spingermi ad ottenere in laboratorio risultati pari a quelli delle cripte.”, e qui la pietra è stata levigata dal tempo e dall’uomo buono e valoroso.

 

“Forse non ci si rende sufficientemente conto in quale consistente misura l’apparato iconografico incida, più che sugli aspetti estetici, sulla stessa sostanza di un volume, sulla sua intelligibilità, sulla sua capacità di rendere compiuto, à part entiére, il discorso, coniugando, collegando e fondendo la “civiltà della scrittura” con la “civiltà dell’immagine”.

 

Una esaltante esperienza mi fu data di vivere circa 20 anni or sono, quando la illimitata politica di un Ente pubblico, il gusto raffinatissimo di un Editore intelligente, l’entusiasmo irriducibile di un Artista fotografo si resero complici di un incontro, tra i più felici del mio itinerario di uomo e di studioso, quello appunto con Ciro De Vincentis.

 

In quella calda estate del 1969, affrontando impervi sentieri, sfidando scoscesi pendii, salendo e risalendo spalti di terrificanti burroni e pareti di sforacchiate gravine, violando la penombra di grotte sacrali con l’irriverente scarica di flash e di luci, scuotendo da un sonno antico l’immobilità ieratica di agghiaccianti Cristi Pantocratori, di dolcissime Madonne Ogeditrie e di severi Asceti della Tebaide, di Vigili Santi Guerrieri, di Vergini accorate e di Martiri virtuosi  e sereni, l’incontro si mutò in operoso sodalizio che accreditò ancora di più, visualizzandone gli aspetti, la tesi della civiltà rupestre, ancorandola alla suggestione spettacolare dell’habitat e alla riproposta degli stilemi architettonici e pittorici conservati nelle grotte di maggiore dignità artistica. Ma Ciro De Vincentis con quella sua irriducibile curiosità di lettore acuto e attento del reale mediato e interpretato attraverso lo strumento prodigioso dell’occhio fotografico, è andato ben oltre: ha voluto consegnare non solo alla carta stampata, ma anche ai frammenti pietrosi delle gravine, le immagini catturate dall’obiettivo fotografico. Sono nate così queste mirabolanti pietre, dove, nella irripetibilità ed unicità del risultato, si ricostruisce suggestivamente l’unità dell’habitat rupestre in uno scambio fecondo tra contento e immagine.”

 

Queste righe sono del prof. Don Cosimo Damiano Fonseca, Rettore dell’Università agli Studi di Basilicata, tra l’altro di Massafra e quindi uomo (e possiamo anche dire gloria) delle nostre parti. Sono parole scritte come presentazione ad una ennesima performance di De Vincentis, un Ciro De Vincentis da considerare, con le sue fotopietre, un vero caposcuola. Quelle per le quali Fonseca appaia il nostro artista, con pregnante similitudine, a quelli vaganti che tra il primo e secondo millennio lasciarono sulle pareti delle grotte i segni di una incomparabile vicenda…

 

E fotopietre sono quelle che hanno fatto bella mostra di sé a Brescia, dall’11 al 30 settembre scorsi, destando meraviglia e stupito interessamento da parte di un pubblico altamente scelto. E’ a Brescia che, dall’11 al 16 settembre, l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha organizzato un convegno internazionale sul tema: “L’insegnamento sociale della Chiesa”. In tale ambito De Vincentis ha onorato la cultura e l’anno mariano.

 

Filo tematico ispiratore, in questa occasione, è stato un omaggio alla Madonna. Le sette province di Puglia e Basilicata hanno così avuto una rappresentanza, ognuna “prestando” a De Vincentis motivi di ispirazione con le ricche figurazioni mariane delle varie cripte rupestri delle due regioni. Tutte immagini che l’artista ha ripreso in una significativa ricostruzione della storia di passate comunità che, vivendo nelle grotte, hanno espresso una scelta di vita e un tipo di civiltà risalenti ai secoli IX – XI. Una suggestiva cultura delle immagini catturate ai luoghi stessi.”Paese che vai, pietra che trovi”, ci ricorda, infatti, l’artista. E’ la regola da lui scelta per più genuina caratterizzazione delle opere e più radicale collegamento con le diverse tipologie territoriali. Abbiamo così fotopietre su “sassi” di Matera, sulle “cianche” di Corigliano,  pietre emerse dagli spietramenti dei terreni, ecc.

 

Ma come è nata l’idea della fotopietra in Ciro De Vincentis? “E’ nata – ci dice, vivendo intensamente la mia professione. Dovendo, nel dopoguerra, realizzare gli archivi degli EPT pugliesi e lucane, fra le scalette di ricerca, erano compresi gli affreschi della civiltà rupestre (cripte, gravine grotte basiliane).” In questa realtà il nostro fotografo sentiva intensamente la presenza dell’uomo-artista del passato. L’incontro con Don Fonseca deve essere stato determinante se ha motivato il De Vincentis a ricercare la stampa delle foto su pietre.

 

“Non tanto la bellezza pittorica degli affreschi (egli aggiunge), ma il supporto della pietra mi ha sempre affascinato fino a creare in me una emozione tanto forte da farmi sentire il bisogno, tecnicamente e artisticamente, di ottenere in laboratorio risultati pari a quelli delle cripte.”

 

La ricerca iniziò nei primi anni 80, dapprima studiando la composizione chimica delle pietre e quindi l’isolamento delle stesse per evitare l’assorbimento delle immagini. “La pietra – aggiunge- portata in laboratorio viene trattata nei suoi ingredienti chimici per ottenere una ottima impermeabilizzazione. Ottenuto così l’isolamento,per mettersi al riparo da eventuali “rigetti”, viene poi avviato il processo di sensibilizzazione della pietra con una gelatina fotosensibile, prima liquida, che poi viene consolidata con un procedimento di forte raffreddamento. Tutte queste operazioni avvengono nella camera oscura e richiedono un arco di tempo di cinque o sei giorni. Non tutte le pietre superano la prova, perché la fase stampa e quella dello sviluppo sono  strettamente dipendenti dalla temperatura ambientale, in quanto la gelatina, con temperatura superiore ai venti gradi, si scioglie a contatto di prodotti chimici  che agevolano la distruzione delle particelle fotosensibili che possono polimerizzarsi.”

 

All’impressione segue il processo di sviluppo dell’immagine che viene fermata con un fissaggio chimico e sottoposta per tre o quattro ore ad acqua corrente. “le pietre che riescono a resistere sono buone, le altre ti illudono.”

 

Molto interessante la realizzazione cromatica che parte da un procedimento in bianco e nero. “I colori vengono trasferiti (prosegue l’artista) sulla superficie della pietra con tecniche di viraggio per ottenere la tonalità uguale a quella dell’affresco.” Il colore, a questo punto, viene pilotato dalle abili mani dell’autore e ciò rappresenta il momento finale più bello. Perché è solo con le sue mani che De Vincentis manipola il tutto fino a creare un incontro, quasi iperreale tra l’uomo e l’arte. E’ da ricordare che le prime realizzazioni in fotopietre, esposte a Expoarte a bari nel 1981, tramite la Cooperativa tarantina “Punto Zero”, erano in bianco e nero. Poi il nostro è andato oltre, raggiungendo anche la perfezione policromatica e facendo di lui un singolare caposcuola: un maestro d’arte nuova.