Thriller

 

 

 

 

 

 



 

A come assassini, B come bambole, C come cadaveri, e così via. Ogni lettera dell'alfabeto può essere associata ad un termine proprio del  Thriller o giallo all'italiana, forse il nostro genere ancora oggi più ammirato al mondo. La tradizione italica, iniziata ad onor del vero già nei primi anni del secolo, agli inizi dei '60 subisce una vera impennata quando, con uno dei suoi colpi di genio, Mario Bava gira "La ragazza che sapeva troppo", prima timida incursione in un campo di stampo anglosassone, subito bissata da "Sei donne 

   

 

 

 

per l'assassino", film in cui l'omicidio occasionale lascia il posto ad una lunga scia di sangue. Un gran film, questo di Mario Bava, un film dove il sangue scorre a litri, con una crudezza davvero inconsueta per il tempo, pari solo a quella di certi slasher americani (2000 maniacs di HG Lewis, per esempio). Il sentiero appena abbozzato diventa un'autostrada, nella quale TIR di copioni iniziano a viaggiare spediti in ogni direzione. Tutti i registi italiani si 

 

gettano a capofitto nel genere che promette gli incassi più rilevanti, dove effettacci per lo più artigianali (nel senso migliore del termine) spiazzano i poveri spettatori, facendogli provare forti emozionimai vissute prima. D'altra parte, niente di più facile che trovare spunti interessanti dalla realtà italiana, dove il boom economico del periodo comincia ad appesantire le differenze tra genti e città già diverse; la cronaca nera di quegli anni supera di gran lunga l'immaginazione del più fervido soggetto thriller. Nel 1968 Umberto Lenzi 

 

 gira il primo episodio della sua celebre trilogia, Orgasmo, con una splendida (ma poi fin troppo abusata) Carrol Baker, nel tentativo riuscito di mescolare sesso e sangue, che da questo momento in poi, caratterizzerà tutte le pellicole italiane, rendendole immortali.La vera svolta comunque arriva nel 1969 quando un giovane Dario Argento, già autore di splendide sceneggiature per altri, realizza "L'uccello dalle piume di cristallo", thriller con una forte caratterizzazione somatica che, da ora in poi, segnerà la produzione italica contrassegnandola con il marchio DOC. Il successo che arride al film, peraltro subito bissato da "Il gatto a nove code" e poi da  segue

 

 

 

 

"Quattro mosche di velluto grigio", favorisce ed indirizza la produzione italiana del decennio nella direzione tracciata da Dario Argento, tanto che, con scarsa fantasia, si tenta di assimilarne persino i titoli (ecco "La morte negli occhi del gatto" o "Giornata nera per l'ariete", tanto per citarne due) , finché il solito geniaccio di Mario Bava, dopo un comunque interessante "5 bambole per la luna d'agosto",  spiazza la categoria con "Reazione a catena", film che ridefinisce il 

 

genere, regalandogli nuove e più ampie dimensioni. Il thriller incontra l'horror, inteso come orrore per la realtà quotidiana, per il vicino di casa, suggestioni non più solo immaginate, ma vissute ogni giorno. E' la stagione d'oro del thriller all'italiana, in successione escono "Mio caro assassino" di Tonino Valerii, "Cosa avete fatto a Solange" di Massimo Dallamano, "Non si sevizia un paperino" di Lucio Fulci, "Chi l'ha vista morire?" e "La corta notte delle bambole di vetro" di Aldo Lado, "Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?" di Giuliano Carmineo, "L'etrusco uccide ancora" di Armando Crispino, fino al 1975,   anno in cui arriva "Profondo rosso". il thriller per eccellenza, la sintesi perfetta di tutti gli elementi del genere, primo tra l'altro ad avvalersi di una colonna sonora potente ed inquietante (non che le tracce dei maestri italiani fossero meno incisive, vedi Moricone o Umiliani), quella musica senza tempo e senza età firmata Giorgio Gaslini ed interpretata dai Goblin all'apice della loro ispirazione artistica. Un cast splendido, con un David Hemmings in stato di grazia, così come una burlesca Daria Nicolodi chiamata a sdrammatizzare una situazione tesa come poche, Gabriele Lavia, Leopoldo Trieste, MachaMeril e, con una intuizione incredibile, la diva del "ventennio", Clara Calamai (stupefacente la collezione di foto appese in salotto!). 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli incubi di Dario Argento trasportati su pellicola e, a sottolineare ciò, la foto di Marilù Tolo, ex rimpianta del regista, gettata con disprezzo nel cestino da Gianna Bezzi - Daria Nicolodi. Un capolavoro assoluto, nessun superlativo assoluto può rendere giustizia alle reali dimensioni del film.La produzione post Profondo rosso prosegue in maniera più convenzionale, pur con picchi notevoli, quale ad esempio "Sette note in nero" di Lucio Fulci (un capolavoro di sceneggiatura), ma quando anche Dario Argento rivolge le sua attenzioni verso l'horror puro (Suspiria), si comprende subito come la fine del thriller sia vicina. Solo rari episodi emergono dal grigiore degli anni '80 e '90 e sono quasi tutti opera dello stesso Argento, l'unico in grado ancora di regalare brividi e suggestioni al (sempre più raro) spettatore