Cara Stanza, partite
come quella di lunedì sera sono di quelle che
deprimono e fan venire voglia di fare una pausa di
riflessione. Per consolarmi, dal baule dei ricordi,
tiro fuori due foto di vecchi amici, che voglio
condividere con voi, nuovi, ma ormai non così nuovi,
amici.
Prima fotografia.
Asti, 1984, campo di rugby del Lungotanaro. Io sono il
primo a destra in piedi. Sembro più piccolo di quello
che sono perché ci siamo un po' rimescolati e io mi
trovo nella fila degli alti, tra cui ci sono diversi Avanti,
ovvero i giocatori del pacchetto di mischia. e la
nostra è una mischia pesante: otto giocatori per oltre
810 chili di peso. In realtà in squadra di sono due
giocatori più piccoli di me: il tallonatore e uno dei
due piloni. Nell'Astirugby ho giocato quasi
quattro anni. In tanti ruoli, ma soprattutto ala ed
estremo. è uno sport bellissimo che farei fare a
tutti i ragazzini. Che cosa ho imparato, a parte a non
aver paura dello scontro fisico? Per esempio che in
una circostanza difficile non si passa la palla al
compagno insieme all'avversario che arriva: semmai il
placcaggio lo prendo io. Che dopo essersi scontrati
anche duramente con qualcuno, si può andare a
mangiarsi una pizza insieme. Che si fa il corridoio e
si applaudono gli avversari, sconfitti o vittoriosi
che siano. Che ogni cattiveria gratuita ti verrà
fatta pagare alla prossima mischia. Che gli avversari
evitando di umiliarli quando sono più deboli, e
mettendocela tutta quando sono più forti. Che non
importa il risultato. Anche quando si perde 40 a 5
all'ultimo minuto, si sputa sangue su tutti i palloni,
non perchè si possa ancora pareggiare o vincere, ma
per rispetto di se stessi e dello sport. Che le due
parti del corpo da imparare a proteggere sempre sono
le palle e i denti. Che saper stare al posto giusto in
campo è fondamentale, ovvero che è molto più
importante saper controllare se stessi che la palla.
Che la palla ovale è meglio prenderla al volo, o ben
dopo il rimbalzo: altrimenti ci fa fare la figura
degli stupidi. Forse, la cosa più importante resta
l'idea che una squadra ben organizzata e solidale è
molto più forte della somma dei singoli valori
individuali.
Seconda fotografia.
Roma, 1992, stadio Flaminio. Una delle tante partite
amichevoli che, quando giocavo nell Nazionale
giornalisti, ci davano in privilegio di giocare con
grandi calciatori. Io sono il terzo da sinistra
accosciato. La squadra è una Lazio mix che sta per
affrontare la corrispondente Roma. Accanto a me, a
destra, c'è Beppe Dossena (che ha smesso da un anno
appena ed è ancora in forma strepitosa). In piedi,
primo a destra, c'è Vincenzino D'Amico. Il primo a
sinistra è un ex secondo portiere della Lazio:
Superchi. Nel secondo tempo entrerà Bruno Giordano.
Io gioco in avanti. E proprio con Bruno Giordano mi
capita un'azione in cui lui è sulla tre quarti, io in
linea verticale con lui un po' più avanzato. Lui
riceve una palla rasoterra molto tesa, gli corre
incontro e all'improvviso fa una finta e apre le
gambe. La palla mi passa vicino, velocissima. Sarebbe
un bellissimo invito in profondità, ma il suo colpo
di genio è così inatteso che resto fermo. Si gira.
mi guarda e con stringe le dita delle due mani a
cono, come per dire: perchè non l'hai seguita? Io gli
dico: la prossima volta, prima, manda un telegramma.
Tra i ricordi più belli, anche quello di aver marcato
a centrocampo Bruno Conti, che smesso il calcio
giocato, allena i ragazzini della Roma, con cui ama
giocare interminabili partite. Non so se ho imparato
qualcosa, ma mi sono strepitosamente divertito.
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