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I segreti dei Kata

Quello che la tradizione non dice...

 

di Sergio Roedner

Illustrazioni di Giulio Roedner

 

“I kata sono gli esercizi classici del karate. Sono stati tramandati fin dalle origini cinesi di quest’arte...” (M. Nakayama, Dynamic Karate).

 

Abbiamo intervistato in esclusiva il Maestro Tonino Capuozzo, 12ºdan e caposcuola dello stile “Realistic Karate” che dopo dieci anni di studio nelle isole Ryu-kyu e nella Cina Meridionale, ha acconsentito a raccontare ai lettori di Samurai i risultati sbalorditivi  delle sue ricerche sul significato dei kata. I bunkai “classici” proposti da Nakayama nella sua serie Dynamic Karate, come pure le riletture autorevoli dei Maestri Shirai e Tokitsu, ne risultano sconvolti...

In questa sede ci limiteremo a presentare, a mo’ di esempio, alcune celebri sequenze di kata shotokan nell’interpretazione realistica che ne dà il Grandmaster Capuozzo, rimandando all’edizione completa delle sue opere chi volesse approfondire l’argomento.

 

TEKKI SHODAN

La sequenza iniziale, dal kamae con le mani aperte davanti all’inguine fino al colpo di gomito, è stata spiegata a Capuozzo da un anziano maestro di Naha.

“Da pochi mesi erano state introdotte le prime docce a Okinawa e il Maestro Itosu si stava sciacquando dopo un faticoso allenamento durato parecchie ore, quando un allievo sbadato entrò nel bagno che era stato ricavato in un angolo del dojo. Itosu Sensei si coprì fulmineamente le pudende con entrambe le mani (kiai!), assunse la posizione di kibadachi, con la mano destra afferrò l’asciugamano appeso e se ne servì come schermo tra sé e l’intruso, che nel frattempo si prosternava sopraffatto dalla vergogna e pochi minuti dopo fece harakiri nel dojo stesso” (si veda sequenza illustrativa).

 

BASSAI DAI

La celebre “partenza” del kata, col fumikomi e l’uchiuke destro rinforzato dal palmo della mano sinistra, è attribuita, assieme ad altre versioni del kata, al Maestro Matsumura Sokon. È stato proprio un pronipote di Matsumura a raccontare a Capuozzo la vera storia di quella tecnica.

“Il mio bisnonno amava molto viaggiare, anche in Europa e nel vostro bel paese. Fu proprio a Napoli, verso il 1850, che assistette ad un litigio tra un fiaccheraio e uno scugnizzo. Quest’ultimo, sfuggito alle nerbate di quell’energumeno, lo dileggiò mostrandogli il braccio destro chiuso a pugno e piegato e appoggiando la mano sinistra nell’incavo del gomito lo derise facendogli: Tie’! Affascinato da questa spontanea reazione popolare, il mio bisnonno decise di inserirla come forma di provocazione iniziale contro un avversario armato. Difatti, in un filmato ormai introvabile, Il Maestro esegue la tecnica e grida proprio: “Tie’

 

 

KANKUDAI

Altrettanto ermetico è sempre stato considerato il primo movimento di Kankudai, quello in cui l’esecutore descrive con le braccia davanti a sé un cerchio che parte dall’inguine e vi ritorna, con lo shuto sinistro che colpisce il palmo della mano destra aperta. Il Maestro Capuozzo era sempre rimasto insoddisfatto dell’interpretazione tradizionale del “guardare il cielo”, come pure di quella modernista della parata di un calcio con la mano aperta, seguita da un contrattacco alla caviglia col taglio della mano. Ma solo nella remota provincia del Fu-kien la sua curiosità è stata soddisfatta.

“Esistono due versioni di quella tecnica, una veloce e una lenta”, gli ha raccontato Lin Dao, imparentato alla lontana col maestro Kushanku. “Nella prima, l’esecutore (fedele al principio che nel karate non si attacca per primi) provocava e dileggiava l’avversario mostrandogli l’area genitale con entrambe le mani aperte. Purtroppo, in una delle prime esecuzioni, Sensei Kushanku si feri gravemente nella zona interessata, cosa che lo costrinse anche, da allora in poi, a rendere più acuto il proprio kiai. Ecco perché, da allora, la sequenza viene eseguita al rallentatore.”

 

NIJUSHIHO.

Carpire i segreti del kata Nijushiho è costato a Capuozzo parecchie migliaia di yen e cento ore di allenamento in una zona paludosa non lontano dalla prefettura di Osaka. “Solo così, a quanto mi ha spiegato il mio maestro, 9ºdan di Te-le-do, avrei potuto capire naturalmente il significato di alcuni passaggi del kata. È stato proprio così: mi ero appena girato in zenkutsudachi colpendo con haito jodan destro e teisho gedan alle spalle, quando l’ennesima, fastidiosissima zanzara si è posata sul palmo della mia mano destra e ha iniziato a pungermi. Sono balzato in piedi e l’ho colpita a morte col dorso della mano sinistra, emettendo un sonorissimo kiai. È stata proprio un’illuminazione: a quell’epoca i giapponesi non conoscevano l’Autan!”

 

GOJUSHIHO-SHO

“Questo kata risale all’epoca Meiji (1868-1912) dell’occidentalizzazione del Giappone, quando i samurai furono costretti a tagliarsi il codino e l’imperatore Mutsuhito chiamò nella capitale i migliori esperti europei per modernizzare il paese del Sol Levante. L’Italia fu scelta per le sue tradizioni musicali e culinarie, e trecento pizzaioli napoletani insegnarono il mestiere ad altrettanti apprendisti giapponesi sparsi per le varie prefetture.

Orgogliosi com’erano e sicuri di aver temprato a dovere i propri arti, i pizzaioli nipponici volevano infornare  e sfornare le pizze a mani nude.  Una nota sequenza di gojushiho-sho immortala appunto il momento in cui il pizzaiolo, estratta fulmineamente da un forno davanti a lui una “quattro stagioni” bollente, la butta su un piatto alla sua sinistra e la serve altrettanto rapidamente a un cliente sulla sua destra.”

 

Ci congediamo dal Grandmaster Capuozzo, che ci conferisce il VI Dan ad honorem invitandoci al suo stage annuale di Praia a Mare.