“Caro Wahid…”
di Sergio Roedner
“Caro Wahid,
Ieri sera, alla fine dell’esame, quando ti ho comunicato che, sia pure con
il punteggio minimo di 23 (per farti raggiungere il quale era stato costretto –
ma questo non te l’ho detto – a faticosi aggiustamenti e arrotondamenti), eri
stato finalmente promosso cintura marrone primo kyu, hai fatto un salto dalla
gioia. Il tuo sorriso radioso e la tua esultanza “calcistica”, condivisa con i
tuoi simpatici genitori, hanno spazzato via il sordo ma molesto rimorso depositato
in qualche recondito angolo della mia anima, come le invisibili eppure
malefiche “polveri sottili” che da qualche tempo tengono sotto assedio la
nostra città.
Per questo ieri sera avrei voluto
dirti che non eri tu a dovermi ringraziare per la promozione, ma ero invece io
a essere grato a te ed ai tuoi familiari. Ti scrivo questa lettera aperta nella
speranza che con l’aiuto di tuo padre tu la legga e la capisca, e come te qualche
altro migliaio di bambini che frequentano le nostre palestre, e sono anzi
diventati i nostri principali interlocutori, senza che forse molti di noi
istruttori si siano mai posti seriamente (o giocosamente, perché no?) il
problema se sia possibile adattare il karate ai bambini, o i bambini al karate,
senza snaturare l’uno né torturare gli altri.
Grazie anzitutto per aver scelto (tu
o i tuoi genitori per te) il karate tradizionale invece del calcio, o della kick-boxing junior (!), o della
pallavolo, o di altre attività sportive più divertenti e meno impegnative. Poco
importa se l’hai scelto per imparare a difenderti (perché sei timido e
mingherlino, e appartieni a una minoranza etnica guardata con sospetto) o
perché speri di emulare Jackie Chan o Jet Lee, o forse perché trent’anni fa la
praticava tuo padre in Libia, ed ora insegue per interposta persona il sogno
della cintura nera, accantonato per mancanza di tempo o di soldi.
Grazie per essere rimasto con noi
anche quando ti sei accorto che il karate non era facile, divertente e
spettacolare come nei film, che il tuo istruttore non tirava i calci alti come
Bruce Lee e che forse neppure tu avevi il physique
du role del campione: che insomma il tuo progresso sarebbe stato lento e
faticoso e le cinture colorate te le saresti dovute guadagnare ‘col sudore
della tua fronte’.
Grazie a tuo padre, per aver
affrontato l’impegno economico, modesto in termini assoluti, ma sicuramente
significativo per chi come lui si guadagna da vivere precariamente in una
regione e in una città che non guardano agli immigrati con grande simpatia e
fiducia. La vostra quota associativa, versata con puntigliosa puntualità
all’inizio di ogni stagione, vale infinitamente di più di quella del
professionista/evasore fiscale, tanto distratto o riluttante a versarla che a
volte sono costretto a rincorrerlo o a minacciarlo di sospensione dal corso!
Grazie a entrambi, padre e figlio,
per aver affrontato e sconfitto con la serenità e l’umorismo il silenzioso
pregiudizio che vi isolava quando tu, Wahid, ti sei iscritto al corso e lui, in
disparte, assisteva alle lezioni. Il pregiudizio era di pochi adulti, borghesi
piccoli piccoli, non certo dei bambini: adesso le cose sono cambiate e il tuo
corso è trionfalmente multietnico: niente di strano, in un quartiere come il
Corvetto. Tre cinesi, tre tunisini, quattro italiani, un libico: potremmo quasi
trasformare la prossima gara sociale in un mini-campionato mondiale!
Grazie ancora per non essertela
presa troppo quando l’istruttore, nevrastenico per una pessima giornata di
lavoro, una lombalgia o un litigio familiare, ha reagito ai tuoi momenti di
distrazione o alle tue risate fuori luogo (“Il karate si pratica in
silenzio!!”, ti ha urlato, facendoti sobbalzare, e vergognandosi subito dopo
come un ladro) facendoti girare a saltelli, o ti ha spedito negli spogliatoi
quando ha scoperto che, nel momento “sacro” del saluto iniziale, mentre ti
voltava le spalle, ne approfittavi per spintonarti col tuo acerrimo
amico-rivale Jafaar.
Ma mi accorgo che sto tergiversando
per non arrivare al punctum dolens,
alla sorgente del mio rimorso e al momento cruciale di questa mia
lettera-confessione: otto mesi fa, io ti avevo bocciato. Non rimandato come si
usa adesso, proprio bocciato. Per te, che frequenti con tenacia e successo la
scuola dell’obbligo, quella bocciatura (per me allora sacrosanta), dev’essere
apparsa come un’ingiustizia tremenda. E due mesi fa, all’appello di dicembre,
sapendo che ti aspettava un’altra bocciatura, non ti avevo neppure permesso di
sostenere l’esame. Anche se non avevi mancato perso una lezione, anche se
(naturalmente a modo tuo) ti eri sempre impegnato, “facendo forte” e “stando
basso” quando giravo lo sguardo dalla tua parte.
Non ti avevo fatto fare l’esame anche
se sapevo benissimo che, in qualsiasi altra palestra della mia o di qualunque
altra federazione o pseudo-tale, la cintura marrone te l’avrebbero data subito,
delegando se mai alla Commissione regionale lo scomodo compito di bocciarti un
anno dopo all’esame di Cintura nera, oppure regalandoti loro stessi la famosa
“nera di palestra”. Anche se sapevo che, con ogni probabilità, ti saresti
stufato e non saresti più tornato ad allenarti, proprio come ha fatto il tuo
amico Marco. Non è escluso che, almeno inconsciamente, io cercassi in questo
modo di sbarazzarmi di un allievo scomodo, di un problema tecnico e pedagogico per
me insolubile.
Ebbene, caro Wahid, mi hai dato una
bella lezione, per una volta hai insegnato tu qualcosa al tuo istruttore.
Perché tu, a differenza del tuo amico Marco,
non hai mollato: hai saltato per protesta la gara sociale, ma poi hai ripreso
ad allenarti, dapprima tenendomi il muso, poi, ritornato sereno, con sempre maggior
motivazione e grinta, e alla fine ce l’hai fatta. Grazie per avermi aiutato a
dimostrare che la serietà paga, che si può imparare anche dalle frustrazioni e
che doversi impegnare per raggiungere un traguardo rende più bello l’obiettivo
raggiunto. È un teorema caro a noi praticanti di arti marziali, che conosce
cento conferme ma anche altrettante smentite.
Forse tecnicamente dopo questi otto
mesi di penitenza il tuoi progressi non sono spettacolari, il tuo esame
superato a febbraio non è troppo diverso da quello che avevo giudicato
insufficiente a giugno, ma dentro di te sei cresciuto, e parecchio. Hai saputo
superare e ‘canalizzare’ la frustrazione e lo scoraggiamento, sei cresciuto in
autostima e adesso sei giustamente orgoglioso del tuo primo kyu.
Caro Wahid, ancora grazie per aver fornito, a posteriori, una
giustificazione alla mia intransigenza dell’anno scorso, togliendomi così il
rimorso di aver allontanato dal karate un praticante in erba che, maturando, ne
avrebbe potuto padroneggiare la tecnica e lo spirito. Per debito di gratitudine
mi impegno a ripensarci seriamente, a questo rompicapo più insolubile della
quadratura del cerchio: bambini e karate.”
Didascalia
immagine: bambini e karate, amore e conflitto.