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ottobre 2018  

 

Elementare Watson

 

Per gli allenatori è la cosa più comune del mondo, non cosi per chi frequenta poco gli spogliatoi. Colpa (o merito) di Paulo Dybala aver svelato che anche le grandi squadre e i grandi calciatori hanno bisogno del loro "Bignamino" prima di scendere in campo, come uno studente che deve ripassare prima di un'interrogazione.

L'argentino ha infatti postato su Instagram una foto con Cristiano Ronaldo per celebrare la prima fascia da capitano e, sulla parte destra dell'immagine, è comparsa parte del foglio che Massimiliano Allegri e il suo staff compilano in funzione del match, affiggendolo al muro. Scritto sopra, il compito che ogni giocatore deve svolgere in campo in situazione di palla inattiva.

Cosi, in occasione della partita di Empoli, i nomi della Juventus erano in blu e quelli dei toscani in rosso. E si è scoperto che Chiellini (cancellato e sostituito da Rugani) avrebbe dovuto occuparsi di Silvestre.

Poi gli altri accoppiamenti: Bonucci-Antonelli, Alex Sandro-Krunic, De Sciglio-Caputo.

Allo stesso Dybala toccava il compito di uscire su chi calciava una punizione centrale - perché il più reattivo e il più veloce in bianconero -, con barriera a quattro composta da Pjanic, Ronaldo, Bentancur e Matuidi, con De Sciglio e Alex Sandro a presidiare le fasce. E se la barriera era a tre, dentro ancora il bosniaco e il francese, affiancati da Bernardeschi. Altre situazioni? Punizione laterale bassa empolese, con il solo Dybala in barriera, Bernardeschi e Pjanic fuori area, Bentancur e Ronaldo a zona. Punizione laterale alta, con ancora l'argentino solitario in barriera, Bernardeschi e De Sciglio fuori area e linea difensiva composta da Pjanic, Ronaldo, Bentancur, Rugani, Matuidi, Bonucci e Alex Sandro.

Accortezze che la Juventus adopera, come fanno tutte le squadre. E in molti sport.

Nella Nfl i giocatori hanno a disposizione il playbook, un testo considerato sacro, visto quanto siano fondamentali gli schemi nel football americano. I raccoglitori ad anelli dei running back possono così arrivare a contenere anche 700 pagine. In Italia c'è chi usa fogli scritti come lo staff bianconero, chi le foto, chi figure tridimensionali, chi le lavagne tattiche. Le immagini sono utili perché abituano il cervello a lavorare.

 

 

Tutte hanno un unico scopo: mettere sotto forma visiva quanto è stato provato nel corso della settimana, situazioni che i giocatori devono rispettare sotto l'aspetto dinamico e sotto quello inattivo. Un lavoro di memorizzazione, in cui ogni compito è definito. Uno strumento grazie al quale diventa anche immediato capire chi ha commesso errori in occasione di una rete incassata su palla inattiva.

Tenendo bene a mente l'imprevidibilità del calcio.

Bastano la giocata di un avversario come un tocco malandrino del pallone, e tutto il lavoro prepartita va a farsi benedire.

"Bignamino" compreso.

 

Nelle due foto un esempio di come preparavo le partite. Cosa normalissima per un allenatore.

 


 

Non è il vero Pogba

 

Serata difficile per il francese che non brilla. Il palo colpito nel secondo tempo è l'unico segnale positivo.

 

Paul Pogba non avrebbe potuto essere una partita come le altre, questo incrocio con la Juventus. La squadra in cui è diventato calciatore vero, in cui ha cominciato a vincere, in cui ha lasciato tanti amici e in cui potrebbe tornare un giorno, magari anche vicino. Ma alla fine ha pagato lui, con tutto lo United. Una serata in cui la Juventus ha dominato e i Red Devils sono rimasti a guardare, a cominciare dalla stesso Pogba. Per lui un palo colpito al 30' della ripresa e nulla più. Per una prestazione sottotono, in cui si è capito chi - in questo momento - può aspirare realmente a dominare in Europa.

Che questo sarebbe stato un appuntamento speciale, il francese lo aveva confessato al sito dell'Uefa poche ore prima di scendere in campo a Old Trafford. «Ne avevo parlato con mio fratello e insieme abbiamo detto: "Ma ti immagini se andiamo a finire nello stesso girone della Juventus?" - ha confessato -. Così è successo ed è davvero speciale».

Speciale perché Pogba ha lasciato tanti amici in quella Juve salutata oltre due anni fa per tornare a Manchester: «Ci siamo inviati tanti messaggi e ci siamo dati appuntamento allo stadio. Vivo un sacco di emozioni perché ho iniziato la mia prima stagione da professionista e ho segnato il mio primo gol alla Juve. È li che sono cresciuto come giocatore e quindi ho un enorme rispetto per il club. Poi sono tornato a casa, visto che sono cresciuto nel settore giovanile dello United con giocatori che ho ritrovato in prima squadra: qui sono a casa e sarà sempre così. Tutto davvero splendido. Vincere la Coppa? Non puoi pronosticare nulla in Champions League. È come la Coppa del Mondo, ma il mio obiettivo è portarla a casa».

E l'obiettivo della Juventus è riportare Pogba in quella che è stata per quattro stagioni la sua "casa" italiana. Il francese, non è un mistero, è uno dei giocatori monitorati nell'ottica di rinforzare il centrocampo. Nonostante le grandi (e ufficiali) parole di affetto per lo United, gli ultimi mesi di Pogba a Manchester non sono stati tra i più semplici. Non tanto per i pochi successi (la vittoria in Premier manca dal 2013, quando allenava ancora sir Alex Ferguson) quanto, piuttosto, per le difficoltà ambientali dovute a un rapporto con José Mourinho deterioratosi sempre più.

Il portoghese vuole che le sue squadre siano un blocco unico, votate al sacrificio del suo progetto tecnico, Pogba è la variabile impazzita all'interno di tale progetto. Intendiamoci, non per ciò che propone sul campo, dove il suo contributo è sempre importante, al nello di alcune comprensibili distrazioni: vedi l'errore in marcatura su angolo in occasione del gol di Antonio Rudiger sabato, nel match di Londra con il Chelsea.

Quello che Mourinho imputa al francese è il suo voler essere al di fuori dal gruppo, atteggiamenti non spacconi ma che, comunque, rivelano un'indipendenza caratteriale di fondo. Tra i due gli ultimi mesi si sono sviluppati in un crescendo di botte e risposte verbali, di freddezza pubblica e di gesti eclatanti (come il giorno in cui Mou gli ha tolto la fascia da vicecapitano). Tensioni su cui la Juve conta, senza alimentarli. La società bianconera resta alla finestra, sa che Pogba è legatissimo alla maglia bianconera e a Massimiliano Allegri e sa che la volontà del giocatore, ai nostri giorni, è decisiva: vedi l'ingaggio di Cristiano Ronaldo.

Si tratterebbe di un investimento importante, non c'è dubbio, nell'ordine dei 70 milioni. Ma l'idea di Andrea Agnelli è costruire una squadra con atleti che siano campioni e, al tempo stesso, un brand riconoscibile, di quelli che aiutano a guadagnare posizioni di mercato.

E Pogba lo è.

  


 

Non ho parole

 

Mi sono rimaste soltanto parolacce per definire la partita del Chievo, in casa sua, contro l'Atalanta, scesa in campo con la tremarella perché data in crisi quasi come l'avversario veronese. Hanno giocato solo i bergamaschi (si fa per dire visto che i giocatori sono quasi tutti stranieri) e alla fine hanno segnato cinque gol quasi si trattasse di una partitella in famiglia, titolari contro riserve. Ilicic (tre pere) sembrava un missile impegnato a superare ridendo degli aeroplanini di carta preparati dalla maestra d'asilo.

Ma la sventura più bruciante è spettata a Ventura (nomen men) esordiente sulla panchina che fu di Maran. Egli all'inizio della tenzone sembrava eccitato all'idea di ritrovarsi alla guida di una squadra di serie A dopo il riposo del guerriero disarmato della Nazionale. Per un quarto d'ora il tecnico non riusciva neppure a stare seduto, saltellava sui glutei. Poi è cominciata la grandinata delle reti nella porta di Sorrentino, e Gian Piero è praticamente svenuto: non ha più dato segni di vita. Ovvio. Tutto si aspettava meno che morire prima di nascere, anzi, di rinascere. Brutta botta sul suo testone ducesco. Gli vanno riconosciute attenuanti generiche.

Ventura al Toro andò così cosi, un po' bene e un po' male. Al Bari più o meno lo stesso. Sulla sua esperienza con gli azzurri conviene sorvolare.

Ed eccolo al Chievo, club simpatico e di ottime tradizioni nel massimo campionato, che quest'anno è partito con la maledizione della sfiga: tre punti di ingiusta punizione, una rosa di atleti impoverita, il morale a terra a cui si è aggiunta inopinatamente una confusione di gioco, aggravata dal disorientamento provocato da una posizione di classifica imbarazzante. Per risollevare questa gloriosa formazione ci vorrebbe un autentico miracolo, ma aspettarselo da un Ventura rottamato equivale ad affidarsi a una chimera. Sul volto del quale, a risultato acquisito, c'erano i segni della disperazione e della depressione, cattive compagne per uno che vorrebbe essere il salvatore della patria, mentre difficilmente salverà se stesso dal fallimento.

In ogni caso, auguri.

 


 

Meglio tacere

 

Silvio Berlusconi nel calcio quanto in politica ha indubbiamente ottenuto risultati eccezionali. Impossibile non dargliene atto. Ma nel prima ramo come nel secondo ad un certo punta ha sempre sbroccato trasformando la simpatia dei suoi ammiratori in antipatia.

Non è un caso che egli abbia ridotto Forza Italia, un tempo macchina da guerra, ad una specie di pistola di latta. Così non è un caso che abbia abbandonato il Milan, dominatore per anni in patria e in Europa, in mani poco raccomandabili (e speriamo che le tribolazioni rossonere siano finite: auguri).

Rimane il fatto che il Cavaliere, afflitto da una sorta di delirio di onnipotenza, continua a impartire lezioni a tutti in ogni campo, e talvolta infastidisce con i suoi condoni sia i propri collaboratori sia i lettori dei giornali che li riportano. Limitiamoci comunque alle questioni di pallone.

Berlusconi in un paio di lustri è riuscito a fare concorrenza a Zamparini, patron del Palermo, stroncando un elevato numero di allenatori per motivi difficili da comprendere, forse perché inesistenti.

Il licenziamento più clamoroso fu quello di Allegri che vinse uno scudetto e fu scippato del secondo poiché l'arbitro non concesse un gol straregolare alla squadra di Milano. Se Martin perse la cappa per un punto ovvio che per tre punti chiunque perde il campionato. Ma che colpa aveva il tecnico? Nessuna.

Eppure fu silurato. Pippo Inzaghi, stessa sorte. Mihajlovic, idem con patate. Mantella, messo alla porta e buttato fuori con uno spintone. Episodi spiacevoli in cui Berlusconi non è stato estraneo.

Attualmente egli si è comprato il Monza e teoricamente non ha voce in capitolo nelle vicende rossonere eppure vi mette il becco col pretesto di essere rimasto tifoso del Diavolo. Cosicché critica il povero Gattuso, benché questi stia lavorando bene, accusandolo di utilizzare in attacco solamente Higuain senza affiancargli una spalla.

Il problema non è comprendere se l'ex presidente abbia torto o ragione. Lo preghiamo di non interferire pubblicamente in attività che non lo riguardano più.

Un bel tacere sarebbe apprezzabile.

 


 

Quella frase...

 

Max Allegri che sbraita contro un suo giocatore (Bernardeschi?), reiterando a pieni mantici il bisillabo che ogni maschio alfa ha nella testa ancora prima che nelle gambe (“Cazzo! Devi fare gol! Non siamo alla Fiorentina qui!!!”), un tantino sprezzante va detto, ha di sicuro fomentato l’atavica repulsione per il bianconero dei fiorentini ma ha il merito di raccontare il mondo Juve più di qualunque occhiuto saggio di duemila pagine. Sintetizzabile nel seguente pentalogo:

1) Non eri nessuno prima di essere Juve e tornerai ad essere nessuno dopo. Cenere eri e cenere sarai. Del miserabile ego che ti precede fai carta da camino.

2) Capiente o limitato che sia, il tuo teschio diventerà la coppa in cui berrà finché vorrà la tua Signora e Padrona.

3) Da qui in poi vincere è la tua unica, sola missione. Non conoscerai sazietà, nausea, stanchezza. Tutto quello che hai vinto fino a oggi vale zero. Da juventino sei nella meravigliosa condanna della ripetizione.

4) Vivi la tua storia alla Juve come fosse un assoluto, come fosse eterna, come fosse l’ultima. Nulla e nessuno ti potrà fuorviare. La Juve è la tua Patria. Niente esiste al di fuori della Juve.

5) “Perché noi siamo noi e voi non siete un cazzo”, per chiudere con il bisillabo che imparenta il Conte Max al Marchese del Grillo. Calarsi nella maglia della Juve equivale a un lungo, incessante rito d’iniziazione, che inizia sempre e non finisce mai. Qualcosa che sta tra i Cavalieri Templari e Scientology.

La storia della Juve, la sua tradizione, il suo marchio di ieri e di oggi e di sempre sono l’eterno plagio attivo che trasforma nel corpo e nella psiche il nuovo arrivato.

Lo stesso Allegri e lo stesso Bernardeschi, esempi illuminanti tra i tanti: due mammolette prima e due Robocop dopo.

Ogni juventino è allo stesso tempo l’oggetto della mutazione e il soggetto che si fa parte attiva della mutazione dei nuovi. La trasmissione dei codici Juve è inesorabile.

Non conosce eccezioni. Prendi il disastroso twitter ufficiale Juve a proposito di Cristiano Ronaldo uscito malissimo da non so quale nido d’aquila. Peggio non si poteva fare. Un suicidio mediatico che combina pochezza linguistica a grossolanità di pensiero, al confine dell’amoralità.

Ma, il messaggio, quello, è sempre lo stesso: che ci frega dell’eventuale cattivo Cristiano di ieri quando abbiamo a che fare con l’esemplare Cristiano di oggi.

L’unico riconoscibile.

 


 

Non ci sono più le prove.

 

La Polizia di Las Vegas ha smarrito le dichiarazioni di Kathryn Mayorga (quando nel 2009 aveva denunciato lo stupro anonimo, ovvero senza menzionare CristianoRonaldo), oltre agli indumenti e alla biancheria indossata nella notte incriminata dalla stessa Mayorga.

A detta del legale della ragazza, Leslie Mark Stovall, nel 2009, queste prove erano state depositate, dopo la visita medica effettuata in ospedale dalla presunta vittima. Adesso, dunque, potrebbe cominciare una nuova indagine per cercare gli elementi di allora smarriti; inoltre si starebbe cercando nuovo materiale per sostituire le prove perse.

Di certo, la posizione della Mayorga si indebolisce in assenza di quelle prove, anche se in questo momento la ragazza ha semplicemente chiesto altri soldi a Cristiano Ronaldo, per l'esattezza 200mila dollari, che dovrebbero integrare il precedente accordo, risalente a nove anni fa e per il quale aveva incassato 375 mila dollari in seguito a una transazione extragiudiziaria.

In pratica, all'epoca dei fatti, la Mayorga aveva denunciato il presunto abuso senza menzionare il nome di chi l'avrebbe perpetrato, per poi rivolgersi agli avvocati di Ronaldo e chiedere loro un risarcimento. All'epoca la cosa venne risolta con il pagamento di 375mi1a dollari e un patto di segretezza che la ragazza ha violato diffondendo la storia attraverso i media (il periodico tedesco Der Spiegel ha pubblicato la storia e una sua intervista).

Perché la ragazza chiede altri soldi? Il suo nuovo avvocato (noto per essere particolarmente spregiudicato) sostiene che, all'epoca della transazione, la sua sua assistita non fosse nelle condizioni di valutare con la dovuta lucidità la situazione e che in seguito a quella transazione ha avuto parecchi problemi di natura psicologica.

Da una complessa analisi dei fatti, contenuta nelle 31 pagine di denuncia depositata presso il tribunale civile del Nevada, il legale raggiunge la somma di 200mila dollari aggiuntivi. Nel frattempo, però, la Polizia ha riaperto il caso, visto che rispetto a nove anni fa ci sarebbe il nome del presunto colpevole dell'abuso; ma non trova più le prove. E questo frena non poco il procedimento legale.

Per contro, nelle mani dei legali della ragazza, c'è un documento rubato da Football Leaks nel quale Ronaldo ammetterebbe al suo avvocato che la ragazza avrebbe detto più volte «no» e «stop». Un documento di cui va provata la veridicità e che, in assoluto, non può essere usato in tribunale.

In tutto questo c'è una certezza: Ronaldo è sereno, come ha detto nei giorni scorsi.

E ieri a Udine, lo si è constatato.

 


 

Oliver ci ricasca

 

Torna in Champions e viene contestato per un rigore non dato. Terim: "Madrid gli ha causato un trauma psicologico"

 

Sei mesi dopo è come se il tempo si fosse cristallizzato: Michael Oliver si era congedato dalla Champions League in mezzo alle contestazioni e l'ha ritrovata in mezzo alle contestazioni.

L'arbitro inglese mancava da quell'11 aprile 2018, dalla ormai famosa serata al Bernabeu, quando assegnò il dubbio rigore realizzato da Cristiano Ronaldo che fece dissolvere l'impresa della Juventus (capace di rimontare le tre reti incassate all'Allianz Stadiunn) nel momento in cui era praticamente impossibile porre un ulteriore rimedio: si era nei minuti di recupero del match.

Il Real ringraziò, volò in semifinale e, di lì a poco, all'ultimo atto della manifestazione: in quella partita di Kiev dove avrebbe disposto agevolmente del Liverpool, sollevando la tredicesima Champions della sua storia.

Da quel giorno Oliver non si era più visto in Europa. Per lui un po' di gloria in casa, con la direzione della finale di FA Cup tra Chelsea e Manchester United, vinta dai londinesi il 19 maggio, e il calore della gente: «Tante persone mi hanno fermato per strada - avrebbe detto dopo la calda notte di Madrid -, mi hanno commosso».

Non si è invece commosso l'altra sera Fatih Terim, cha ha incrociato per primo la strada di Oliver in Champions League, nella trasferta del Galatasaray con il Porto: una sconfitta di misura e tante polemiche. Non sul campo, ma dopo.

E con un ricordo al precedente del Bernabeu. Tutta colpa di un "abbraccio" in area di Maxi Pereira ai danni di Serdar Aziz. Un intervento evidente, ma su cui Oliver ha tranquillamente sorvolato.

Per la rabbia di Terim: «Tutti dicono che quello su Aziz fosse rigore, ma penso che Oliver sia diventato un po' più selettivo dopo il penalty che ha fischiato a danno della Juventus contro il Real. Quel rigore gli ha causato un trauma psicologico, perché quella volta ha preso la decisione sbagliata, che ha cambiato il destino dell'ultima Champions League. Ha ignorato quanto successo ai danni di Serdar. Non mi serve ricusarlo, penso che gli ispettori dell'Uefa faranno il necessario anche se non mi aspetto molto: quando c'è una situazione in cui si deve decidere al 50 per cento, loro danno ragione all'altro...».

 


 

La sindrome di Mourinho

 

Trionfi a ripetizione ma la terza stagione perde il controllo.

La carriera del tecnico portoghese è caratterizzata da dissidi che esplodono puntualmente dopo due stagioni ricche di successi: Chelsea, Real Madrid e United.

 

Non c'è stata una terza stagione completa per Mourinho né all'Inter né al Porto, ed è il caso di dire meno male, perché la sindrome si conferma letale per il portoghese.

La storia si ripete ancora oggi allo United, dove Mou si gioca la panchina in una settimana, ma cominciò al Chelsea, il primo club con il quale il manager completò tre stagioni filate. Dopo i grandi successi, nel terzo anno iniziarono a trapelare segnali di stanchezza dello spogliatoio e perse il titolo. Lasciò i Blues proprio alle prime battute della quarta stagione.

All'Inter conosciamo bene la storia dei due anni indimenticabili, ma prima di iniziare il terzo, si lanciò verso il primo club la cui aurea risplende più della sua da Speciale fine, ovvero, il Real Madrid. Dopo due annate tiepide arriva il gelo elettrizzante della terza. Lascia dopo litigi con la stampa, diverbi coi senatori Casillas e Sergio Ramos, scontri verbali durissimi con CR7 e Pepe al quale diede persino del frustrato.

E' una svolta epocale perché per la prima volta, l'opposizione all'Eletto nel Walhalla degli allenatori non è più un gruppetto di tre sconosciuti, bensì campioni affermati da Ramos ai Pogba di oggi.

Ora, cosa sta succedendo al Mou portato in palmo di mano dai suoi gladiatori? Succede che negli ultimi dieci anni il calciatore ha acquisito un potere mai visto prima, e gestire spogliatoi formati da 22 aziende con obiettivi propri e fatturati a sette zeri diventa sempre più difficile per un Mourinho centralizzatore di potere. Mou, però, va avanti per la sua strada e nel Chelsea bis sfida Hazard e il suo gruppetto con la guerra al medico Eva Carneiro, casus che sconquassa l'ennesima terza stagione horribilis.

Veniamo a oggi: inizia l'anno tre di Mou allo United e il peggio non è il laconico 10° posto in Premier, ma le prestazioni più grigie del cielo di Manchester.

Non credo che non vinca perché non ci sono grandi campioni nei Red Devils, anzi, mica aveva Messi o Ronaldo al Porto, e tanto nemmeno all'inter, dove ha vinto tutto con un gruppo solido di giocatori pronti al sacrificio. Lui stesso una volta disse: «Con 11 Azpilicueta, io vinco la Champions». Questa frase su terzino del Chelsea dice tutto sul tipo di calciatore che preferisce Mou per le sue battaglie.

Evidentemente allo United non ci sono 11 Azpilicueta, bensì un Pogba scontento, un Sanchez che sembra la controfigura sbiadita di quello dell'Arsenal e cosi via.

Il calcio è cambiato, ma Mourinho no, eppure si è un vincente, dopo 18 anni ad alto livello subire ancora la sindrome della terza stagione lo invita ad un lungo ripensamento.

 


 

Arriva Zinedine Zidan?

 

Deluso ma determinato. Marotta non si aspettava la decisione di Agnelli. In estate aveva detto no al Milan.

 

Le telefonate e messaggi della vecchia guardia, da Barzagli a Bonucci, da Chiellini a Bernardeschi arginano l'orgogliosa malinconia di Beppe Marotta che ieri programmava il consiglio di Lega di oggi, l'ultimo da rappresentante della Juventus, ma da affrontare con il consueto rigore professionale. Poi ci sarà da risolvere il contratto, quello da direttore generale (a tempo indeterminato), con il club bianconero e poi un periodo di fisiologica inattività.

Ed è proprio quest'ultima a spaventare lo spirito lombardo che non riesce a concepire il non lavorare. Tant'è che non sono da escludere dei compiti tecnici all'interno della Federcalcio, da dove decade come consigliere federale (e gli dispiace non poco), ma dove potrebbe comunque rendersi utile in attesa di nuova collocazione. Perché una nuova collocazione ci sarà di sicuro, bisogna solo capire dove. Milano sembra la piazza più probabile per mille ragioni, le più importanti delle quali sono il prestigio e la possibilità di portare avanti il suo lavoro ad alto livello. Con l'ingresso di Gazidis il Milan sembra aver completato l'organigramma principale, ma gli uomini di Elliol potrebbero richiamare lo stesso Marotta. Sì, richiamare perché una telefonata c'era stata anche quest'estate, ai primi di agosto, e Marotta aveva declinato con garbo l'offerta: «No, grazie, non posso lasciare la Juventus».

Ora che, ironia della sorte, è la Juventus che l'ha lasciato non ci penserebbe due volte. E poi c'è 'Inter, nella cui dirigenza potrebbe esserci anche più spazio per la figura dell'ormai ex juventino. Né il Milan, né l'Inter, tuttavia, hanno chiamato.

C'è tempo. Difficile, invece, che il Napoli possa essere una destinazione, così come la Roma. Mentre l'estero è un'ipotesi al momento remota, per quanto Marotta si prenderà tempo per valutare attentamente.

E la Juventus? Marotta non vuole rovinare quelli che lui stesso definisce «otto anni meravigliosi» anche al di là degli strepitosi risultati. L'amarezza è tanta, ma prevale la voglia di lasciarsi bene, anche perché nonostante si moltiplichino fantasiosi retroscena non c'è nessun litigio o strappo con Andrea Agnelli alla base dell'addio impostogli dal club. Nelle ultime 24 ore è circolata ogni tipo di spiegazione: dalle tangenti sul mercato a risse da gangster con il presidente. Tutto ovviamente smentito.

E' ovvio che nel rapporto fra i due qualcosa non ha funzionata del tutto negli ultimi mesi, ma la decisione di Agnelli, per quanto cinica, è legata a un progetto di rinnovamento, non a punizioni o una vendette.

Marotta, da parte sua, non l'ha presa bene e soffre nel lasciare un club e una squadra dei quali era profondamente innamorato, ma conosce le regole del gioco per averle applicate a sua volta. Non pensava, così come la quasi totalità degli osservatori, che finisse cosi, ma è sufficientemente attrezzato per farsene una ragione.

Marotta alla Rai:

«Ha deciso la società e io mi adeguo. Ho dato il 100% e spero che chi verrà faccia lo stesso. Sono contento di aver fatto crescere tanti giovani dirigenti che possono rappresentare il futuro della Juve, accompagnando il presidente Agnelli nella sua crescita: pagine indimenticabili. Il ricordo più bello? Trieste, il primo scudetto con Conte: emozioni fortissime perché impreviste. Il futuro? Smentisco di candidarmi alla Figc. Non escludo di accasarmi in un club. Negli ultimi 40 anni non mi sono mai fermato. Forse ho bisogno di ricaricarmi, ma voglio presentarmi ai nastri di partenza della stagione 2019-20, magari al timone di un'altra squadra. Dove sarò il 1° giugno? Sarei orgoglioso se in finale di Chaimpions ci fosse la Juve, frutto del lavoro mio, di Nedved e Paratici, di un grande allenatore come Allegri. Tiferei per la mia ex squadra».

 


settembre 2018

 

Bidone a chi?. André Silva el conquistador

 

Dal flop milanista a eroe di Siviglia. Il portoghese ha trascinato gli andalusi contro il Real Madrid. Con le due reti ai blancos ha raggiunto quota 6: è re dei bomber.

 

«Quando mi ritirerò, la nazionale continuerà a essere in buone mani, quelle di un grande attaccante come André Silva». Probabilmente, qualcuno a Milano avrà anche preso in giro Cristiano Ronaldo per questa sua frase. Soprattutto sulla sponda milanista dei Navigli. E già, perché la prima e unica stagione in rossonero del centravanti portoghese si è chiusa con miseri numeri e ancor più misere sensazioni.

Ed è per questo motivo che in molti a Milanello, lo scorso 31 agosto, hanno esultato di gioia quando il Siviglia ha annunciato di aver trovato l'accordo con il Milan per portare il lusitano un anno in prestito al Rannón Sànchez Pizjuàn.

La verità, però, è che l'erede designato di CR7 in nazionale ci ha messo meno di 90 minuti a segnare con la maglia del Siviglia più gol di quanti ne avesse fatto, in campionato, in un'intera stagione passata sotto la lunga ombra di San Siro (2).

Era da 25 anni che nessun attaccante riusciva a firmare una tripletta al proprio esordio in Liga. Prima di lui (autore di un hat-trick al Rayo Vallecano), era toccato a un certo Romania con la camiseta blaugrana del Barcellona.

E così, anche se sicuramente è ancora troppo presto per definire una cantonata la decisione presa dal Milan di scaricarlo, i dirigenti rossoneri non avranno, di certo, incassato molto bene la doppietta rifilata, mercoledì scorso, alla squadra campione d'Europa da quello che, fino a poche settimane fa, era considerato un bidone o giù di li: «Non capita tutti i giorni battere 3-0 il Real Madrid». Basta chiedere alla Roma per averne la conferma.

A Siviglia, cosi, stanno cominciando a credere che possa davvero valere la pena investire 38 milioni per trattenerlo definitivamente in Andalusia. Il 23enne portoghese, infatti, è visto come un doppio investimento: innanzitutto sul piano sportivo (6 gol in 6 gare sono un ottimo biglietto da visita), ma anche su quello economico. E già, perché in riva al Manzanarre, nonostante il suo addio, la società biancorossa è rimasta fedele alla dottrina Monchi: comprare giovani campioni, farli crescere un paio d'anni (in caso di fenomeni, anche uno) e poi rivenderli con l'obiettivo di incassare una generosa plusvalenza. E, non c'è che dire, se André Silva riuscirà a mantenere questo ritmo per tutta la stagione i 38 milioni necessari a riscattarlo rappresentano un vero e proprio affare. Soprattutto con i tempi che corrono...

 


 

Lunga vita al Var.

 

Così Ronaldo ha fatto gol anche a Nyon. La scandalosa espulsione di Valencia ha dato il colpo decisivo a Ceferin.

 

Per una singolare legge del contrappasso, nello stesso giorno in cui ha comminato una giornata di squalifica a Ronaldo, ingiustamente espulso a Valencia dalla coppia Brych & Fritz, l’Uefa si è arresa alla tecnologia.

Dalla stagione 2019-2020, il Var verrà introdotto in Champions League e sarà utilizzato anche nella Supercoppa Europea 2019, negli Europei del 2020 e nelle finali Nations League 2021. Dal 2020-2021, via libera pure in Europa League alla videoassistenza arbitrale.

Meglio tardi che mai, viene da dire in calce a una decisione invocata dai giocatori, dagli allenatori, dai presidenti e dai milioni di tifosi che ne hanno le tasche piene degli sfondoni commessi dai direttori di gara e dagli inutili giudici di porta. Troppo spesso impuniti e addirittura riproposti a stretto giro di posta sui campi dei due tornei continentali. Chiedere referenze alla Juve, al Napoli, al Milan, alla Roma, all’Atalanta, alla Lazio, per limitarci soltanto all’ultima stagione europea, scandita dalle topiche dei fischietti designati da Collina, ex miglior arbitro del mondo, mai diventato il miglior designatore del mondo. Ora c’è Rosetti, che sicuramente non potrà fare di peggio.

Nel frattempo, paradosso dei paradossi, proprio la scandalosa espulsione di Cristiano a Valencia ha inflitto il colpo di grazia alle resistenza dell’Uefa anche se a Nyon non l’ammetteranno mai. Ma la figuraccia planetaria rimediata da Brych & Fritz ha chiuso all’angolo Ceferin e il cerchio dei conservatori. Da un lato, per salvare la faccia al duo tedesco, ha comminato a Ronaldo il minimo sindacale. Dall’altro, ha sventolato bandiera bianca sul Var.

Il 28 agosto scorso, a proposito delle indiscrezioni del Times («Var in Champions League già da questa edizione») il presidente dell’Uefa ha dichiarato: «Non so da dove esca questa notizia. Non ne abbiamo parlato e non sono ancora convinto. Ci sono cose che non sono chiare, chi decide se ricorrere al Var? L’arbitro al monitor o quello in campo? La gente non capisce, nemmeno i giornalisti».

Rassicuriamo l’avvocato sloveno: la categoria ha molti difetti, ma in materia di videoassistenza potrebbe tenere corsi di aggiornamento agli arbitri e agli assistenti che sui campi della Champions e dell’Europa League in questi anni non hanno visto rigori sacrosanti o hanno visto gol che non c’erano o hanno espulso giocatori che dovevano rimanere in campo. E mai una volta che arbitri e assistenti abbiano riconosciuto i propri errori, spesso così marchiani da incidere sull’esito di partite troppo importanti per essere affidate a chi non ne era all’altezza.

 


 

Var o non Var

 

Mazzoleni in campo e Irrati in studio hanno preso possesso della partita di San Siro e hanno messo in difficoltà, in seria difficoltà, la Fiorentina.

 

Tre episodi decisivi: rigore concesso all’Inter perché, forse, Vitor Hugo ha sfiorato la palla con le unghie (si era dimenticato di passare dal manicure in mattinata), secondo giallo evidente risparmiato ad Asamoah sull’1-1 (è stato, sul piano arbitrale, lo sbaglio più grave), rigore non fischiato ai viola, ancora sull’1-1, per un intervento d’anca di Politano su Chiesa.

A Firenze l’arbitro di Bergamo è già stato ribattezzato: Sandrino Mazzoleni.

E’ difficile vedere tanti errori dalla stessa parte, difficile capirne la ragione, ma alla fine sia Spalletti che Pioli potevano essere soddisfatto.

 

 

Spalletti per due ragioni, perché ha vinto la prima partita di campionato a San Siro e, col poco gioco di cui dispone ieri l’Inter, è grasso che cola, e perché dopo le ferite da Var, col Var ha preso i tre punti. Pioli perché ha costruito una squadra vera, ricca di gioco, di idee, di entusiasmo.

La Fiorentina ha perso senza meritarlo e ha mostrato anche a San Siro un gioiello che tutta Europa le invidia, Federico Chiesa. Non c’era in campo un giocatore capace di riempirlo quanto e come lui, un combattente con una qualità straordinaria, un giocatore che tocca punte di velocità assolute, che determina il gioco della squadra. Non ha ancora 21 anni, ma ieri in certi momenti sembrava il padrone di San Siro. Nel primo tempo l’Inter aveva lasciato traccia di sé, non solo in campo, anche attraverso la telecronaca.

Tracce di forza, di volontà, ogni tanto perfino qualche traccia di gioco. E dentro a questa rinnovata freschezza è emerso anche Icardi che ha segnato il primo gol in campionato con un rigore conquistato con le unghie, quelle di Vitor Hugo. Abbiamo appreso pure, sempre dalla tv, che i polpastrelli del difensore viola si sono allargati. Non è scienza, i polpastrelli che si allargano è magia.

Icardi, con la rete e l’assist, ha vinto il duello con Simeone, che era avanti di due gol ma che ieri sera è rimasto indietro rispetto al resto della squadra. Ma nella ripresa, la Fiorentina ha messo l’Inter in seria difficoltà e da quel secondo tempo dovranno iniziare le riflessioni di Spalletti.

Vedremo mai un’Inter che domina, col gioco, almeno in casa? Il carattere a questa squadra non manca, ma può bastare il carattere per il ruolo di anti-Juve che è stato assegnato a Icardi e compagni?.

 


 

La lezione imparata da Zidane

 

A Madrid l'allenatore gli ha insegnato a gestirsi per non sprecare energie

 

Una delle più grandi lezioni della sua carriera, Cristiano Ronaldo l'ha ricevuta la sera del 3 giugno 2017 al Millennium Stadium di Cardiff. Dopo aver tramortito con una doppietta quella che dallo scorso luglio è diventata la sua squadra, il fuoriclasse portoghese corse ad abbracciare il suo professore, Zinedine Zidane.

Il tecnico francese era, infatti, riuscito a fargli capire che, per evitare di arrivare esausto a fine stagione, avrebbe dovuto cominciare a dosare i propri sforzi, perché non aveva più 18 anni.

E la verità è che non era stato semplice. Appena due mesi prima, infatti, CR7 non nascose la propria frustrazione per la sostituzione decisa dal proprio tecnico a San Mamés: «Perché io? Cazzo!». Reazioni plateali che erano stati costretti a subire, spesso in silenzio, anche Manuel Pellegrini e José Mourinho, prima dell'arrivo di papà Carlo Ancelotti che, pur di non farlo arrabbiare, lo teneva dentro anche zoppo, perché sapeva che nei momenti decisivi avrebbe potuto e voluto contare su di lui. O tutto o niente.

A Cardiff, però, Cristiano vide la luce, dopo aver disputato una delle finali più complete della propria straordinaria carriera. Fino a quel momento, infatti, nella memoria del fuoriclasse portoghese riecheggiavano ancora, con un pizzico di amarezza, le due finali vinte dal Real Madrid e dal Portogallo un anno prima, rispettivamente contro l'Atletico Madrid in Champions League e contro la Francia all'Europeo. Amarezza per non essere stato lui il protagonista assoluto di quei trionfi.

E, del resto, la sua vis competitiva si è sempre nutrita di questi piccoli grandi dettagli: o tutto o niente. Ed è per questa ragione che quello che potrebbe sembrare un difetto (egocentrismo) rappresenta, senza dubbio, anche uno dei fattori principali che hanno contribuito a costruire uno dei migliori atleti della storia.

Per riuscire a comprendere questo processo interno, tuttavia, bisognerebbe smettere, anche solo per un momento, di giudicarlo e spendere qualche attimo per provare a capirlo.


 

Niente Londra

 

Dopo il palcoscenico di Montecarlo Cristiano Ronaldo diserta pure il red carpet di Londra dove stasera verrà assegnato il titolo di miglior giocatore Fifa della passata stagione.

Il fuoriclasse portoghese è in corsa con Luka Modric e Mohamed Salah, gli stessi tre finalisti del premio Uefa vinto dal croato del Real Madrid.

Ufficialmente l'assenza di CR7 viene giustificata da problemi tecnici.

La Juventus è rientrata da Frosinone con un volo da Ciampino nella notte, oggi c'è allenamento e, se lui partisse per Londra, tornerebbe soltanto domattina, vigilia di Juventus-Bologna, una sfacchinata nella settimana che porta a Juventus-Napoli di sabato.

Corre però voce che a vincere anche stavolta sarebbe Modric e allora l'assenza di Ronaldo assumerebbe i contorni di una protesta silenziosa, che però fa sempre rumore.

 


 

Marchisio avanti piano

 

Nello Zenit minutaggio ridotto per un inserimento graduale nel gioco

 

Continua a vincere lo Zenit di Semak e continua a partire dalla panchina l'ex juventino Claudio Marchisio.

Una settimana fa è entrato, per l'esordio assoluto con i russi, a diciannove minuti dalla fine al posto di Paredes nel ruolo di regista, nella partita vinta 2-1 in casa dell'Orenburg.

Ieri, al 23' del secondo tempo, ha sostituito il migliore in campo, Shatcv (doppietta per lui contro la Lokomotiv Mosca), nella posizione di mezzala destra, ruoli già ricoperti in maglia bianconera. Sul risultato già acquisito di 4-1 per la formazione di San Pietroburgo, Marchisio ha portato a casa una sufficienza striminzita, tenendo in considerazione che il match non aveva più niente da dire e da dare e che tutta la squadra si è rilassata, tanto che il risultato finale è stato di 5-3 per i padroni di casa. Nella Premier Liga russa lo Zenit è in testa alla classifica con 22 punti, più sette sul Rostov secondo.

Ha pareggiato 0-0 solo contro lo Spartak Mosca vincendo tutti gli altri selle scontri, segnando 17 gol e subendone 5. In Europa League, dopo lo scampato pericolo con la Dinamo Minsk, ha pareggiato nel girone in casa dell'FC Copenaghen per 1-1.

Anche in coppa Claudio Marchisio è partito dalla panchina subentrando all'autore del gol Mak e ancora una volta come mezzala destra nel 4-2-3-1 di Semak. E pure se due indizi non fanno una prova probabilmente è questo il ruolo nel quale il tecnico russo di origine ucraina lo vede meglio e sta cercando d'inserirlo in un gruppo affiatato, come dimostrano i risultati, in corsa per vincere il campionato che sulle rive del golfo della Luga manca dal 2015.

Uno degli obiettivi di Marchisio, particolarmente entusiasta sui social della nuova avventura, professionale e familiare, è inserirsi e sentirsi parte della squadra, come ha espresso su Twitter e Instagram; contestualmente, a match terminato, salutando il ritorno in campo di Kokorin, dopo l'infortunio che l'ha escluso dal Mondiale: «Rappresentare il nostro popolo, fare parlare del nostro gioco e rafforzare la nostra attitudine alla vittoria, bentornato ©kokorink9».

Volgar' Astrachan', Anzhi e Slavia Praga i prossimi avversari tra coppe e campionato, aumentando minutaggio e inserimento, così spera il nuovo Marchisio.

 


 

CR7 alzato dai compagni. Questa è la Juve

 

Peccato che Trevisan and Adani fossero in seduta di aerosol dopo il trionfo finale dell'Inter.

Peccato perché avrebbero potuto commentare, con enfasi uguale, la gara charrua degli juventini, roba difficile da comprendere ma facile da rendere. C'è un fotogramma, un'immagine che racchiude il senso del football della squadra bianconera: Cristiano Ronaldo è acculato sul prato del Mestalla, il portoghese è stranito per la sentenza del tedesco Brich. Lo prendono e lo rialzano Mandzukic, Chiellini, Bonucci e Bernardeschi.

Insomma è la Juventus che accorre e soccorre, come in un disegno tattico ma qui per confortare chi è stato castigato, ingiustamente. La Juventus è questa, squadra e gruppo, non certo divisa dalle buste paga ma unita da quello spirito che l'ha portata, nel tempo, a vincere e a rivincere, anche contro situazioni sfavorevoli e opposte. Casi dopo lo scandalo del duemila e sei, così dopo le mazzate delle inchieste di Guariniello, cosi dopo le accuse a Del Piero, alle insinuazioni su Conte, alle bizzarre gestioni di Montezemolo-Cobolli-Blanc.

 

 

La Juventus risorge da se stessa, a Valencia ha giocato due partite, quella dei muscoli e l'altra, dell'intelligenza. Il merito è di Allegri che non si è fatto prendere dal panico o dalla superficialità di alcuni opinionisti, lasciando le cose come stavano, dunque senza cadere nella trappola emotiva di un Dybala in campo, per sostituire Ronaldo con il sacrificio di un altro attaccante.

Sarebbe stato anche possibile, ripensandoci, vista la prestazione di Mandzukic che come centravanti vale la metà di Higuain ma questa è storia passata. La realtà di mercoledì sera è che la Juventus ha superato l'ostacolo come sa e deve fare una grande squadra.

Non gode della stessa propaganda mediatica (nemmeno ne ha bisogno) di altre concorrenti che cercano di risalire dal burrone, la sua gara è naturale, cambiando l'ordine e i cognomi degli attori, il prodotto non cambia. La telecronaca "civile" di Compagnoni e Marchegiani non è andata oltre la narrazione del visto e visibile, come si dovrebbe in questa fase della stagione.

Verranno giorni e partite che avranno bisogno di altoparlanti e venditori di pentole. Per il momento la Juventus mette via i tre punti e aspetta i giudici dell'Uefa, la cui imparzialità, ci si augura, sarà superiore a quella degli arbitri messi in circuito dalla new entry Rosetti.

Cristiano Ronaldo, intanto, dopo 154 partite di Champions, ha capito che cosa significhi vestire una maglietta diversa da quella bianca, ma niente affatto candida, del Madrid, di Fiorentino Perez e della sua orchestra.

Comunque, buena la prima. Hasta la vista.

 


 

Ma che cosa ha visto.

 

Cosa ha pensato di vedere il signor Marco Fritz, arbitro addizionale, mediocre fischietto in Bundesliga, quando ha richiamato l'attenzione di Felix Brych al 29' del primo tempo pretendendo il rosso per CR7?

La Juventus attacca dalla parte sinistra, Brych segue l'azione in diagonale controllando correttamente il suo sviluppo. All'interno dell'area di rigore del Valencia Murillo e Cristiano Ronaldo cercano di prendere la posizione migliore in attesa del pallone. I due si sbracciano, ma senza scorrettezze, il colombiano cade a terra simulando un colpo proibito da parte del portoghese.

CR7 pretende dal difensore del Valencia un comportamento corretto e appoggiandogli la sua mano sui capelli lo sollecita a rialzarsi. Forse lo ha spettinato, gli ha tolto il gel, gli ha rovinato l'acconciatura, certamente non gli ha tirato i capelli, non gli ha procurato dolore. Insomma nessuna condotta violenta.

Sale in cattedra Marco Fritz, bisognoso di attimi di notorietà in un copione che non prevedeva la sua partecipazione e combina un gran pasticcio. Brych non può che fidarsi di lui quando il suo collaboratore lo informa della presunta, molto ma molto presunta (inesistente) infrazione.

 

 

Nel loro parlottare si coglie più volte la parola «haar» (capelli) e per tre volte, alla domanda «è da rosso?», risponde: «Si». Non parliamo poi del rigore concesso al Valencia. Rugani salta in anticipo, colpendo nettamente il pallone.

Ma dai Brych! Che fallo hai visto? Ecco come si può rovinare una partita, il narcisismo arbitrale non aiuta lo spettacolo, ma lo umilia.

Cosi Fritz può affiancare nella sua collezione un'altra topica, forse grande quanto quella presa il 17 gennaio del 2010 a Duisburg, quanto il quarantenne bancario tedesco passò alla storia per aver convalidato un gol ai padroni di casa contro il Francoforte, con la palla che dopo aver sbattuto sulla traversa era rimbalzata 1 metro e 30 centimetri fuori.

Lo definirono «il gol fantasma del decennio» e per Fritz fu un bagno di vergogna. Felix Brych è invece l'arbitro della finale di Cardiff, quella vinta dal Real Madrid senza aiuti, ma anche quella in cui venne ingiustamente espulso Cuadrado, con Brych che abboccò in modo ingenuo alla simulazione di Sergio Ramos.

Insomma, ci casca spesso.

I due rigori concessi alla Juventus sono invece giusti. Clamoroso il primo, concesso per un calcio in faccia di Parejo su Cancelo al 42' del primo tempo.

Al 4' della ripresa, invece, Murillo travolge Bonucci su un'azione di corner. Il difensore colombiano si aggrappa al centrale bianconero e lo affossa: giusto il rigore. Da notare 14' Alex Sandro ammonito per entrata su Saler, in realtà prende palla.

Inesistente invece il rigore assegnato da Brych al 50' della ripresa: Rugani salta su Gabriel con il braccio un po' largo, ma il penalty è una decisione folle.

 


 

Fair play di Cristian Totti

 

La Madrid Football Cup è una prestigiosa competizione internazionale Under 14 alla quale partecipano 32 squadre, fra le quali, in rigoroso ordine alfabetico, Argentinos Junior, Atletico Madrid, Bayern, Chelsea, Paris Saint Gemnain, Porto, Roma e Siviglia. Cristian Totti compirà 13 anni in novembre, gioca nella Roma con la maglia numero 9 e del torneo madrileno è diventato la stella.

Ma non per il cognome che porta e non soltanto per il talento che gli appartiene. In un'azione di gioco, Cristian si è scontrato con il portiere avversario. Se avesse voluto, avrebbe potuto segnare. Invece, non l'ha fatto perchè ha visto l'estremo difensore a terra e si è subito preoccupato delle sue condizioni, non prima di essersi scusato con lui.

Grazie al web, il fair play di Cristian ha fatto il giro del mondo e il Figlio del capitano ha ricevuto elogi da ogni dove. I bambini ci guardano, ma ci sono momenti in cui sono gli adulti che devono imparare dai bambini. Dicono che, al tempo del calcio business e del calcio bullo, dei simulatori e dei salivatori, non debba più esserci spazio per il sentimento, per la passione, per il fair play. Dicono.

Poi, un giorno a Madrid, un dodicenne che vive il calcio come un divertimento grazie agli insegnamenti dei suoi genitori, ricorda ai più grandi che cosa siano il rispetto per gli avversari e l'educazione. E quando l'intervistatrice sottolinea il significato del suo gesto, lui quasi si schermisce e s'illumina raccontando come il suo allenatore sia orgoglioso per il modo in cui si è comportato. Non è il solo.

Cristian Totti ci ha dimostrato che un altro calcio è possibile.

 


 

La nuova sfida di Carolina Morace

 

Abbiamo un nome importante e vogliamo onorarlo, puntiamo in alto: l'obiettivo sarà lottare per il vertice ma la pressione sarà tutta di Juve e Fiorentina. Leonardo è stato al PSG e conosce bene la realtà del calcio femminile

 

Ecco, ci siamo: sabato riparte il campionato di Serie A femminile.

Storico, per tanti motivi. E' quello che condurrà le ragazze azzurre al Mondiale, vent'anni dopo l'ultima volta. E' il primo sotto l'egida della Figc, un passo avanti nel lungo percorso che porterà l'universo delle donne del calcio al professionismo anche in Italia.

 

 

Davanti a tutte parte la Juventus, che ha lo scudetto sul petto, e alla pari c'è la Fiorentina. Ma ci sono altri club professionistici ai blocchi di partenza, come la Roma.

E c'è il Milan di Carolina Morace: proprio lei, icona del calcio italiano, ci prende per mano nel viaggio all'interno della nuova Serie A. «Finalmente si gioca, anche perché le ultime vicissitudini avevano un po' scosso tutto l'ambiente. Aspettavamo da tempo questo cambiamento, ma non perché la Lnd abbia lavorato male. Per motivi di crescita del movimento essere sotto l'egida della Figc è fondamentale».

 

Da sapere che:

 

Debuttò con la maglia della Nazionale italiana nel 1978 (all'epoca giocava con il Belluno allenato da Giampaolo Seno) contro la Jugoslavia; da allora è scesa in campo 153 volte ed ha segnato 105 reti, diventando la miglior marcatrice di sempre nella storia della squadra azzurra e sfiorando la vittoria degli Europei nel 1993 e 1997 (finalista entrambe le volte).
Dopo ben 19 anni dalla sua prima partita in Nazionale, decide di ritirarsi nel 1997. Nella sua carriera ha vinto 12 scudetti, 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa italiana, oltre ad essere stata 12 volte capocannoniere della Serie A (11 consecutivamente).
I grandi risultati ottenuti la consacrarono come la giocatrice italiana più forte di tutti i tempi.

 


 

Douglas rischia sei giornate e multa da 100 mila euro.

 

Possibile una pesante sanzione di 100mila euro per il raptus folle con sputo a Di Francesco

 

 

Cinque minuti di follia (gomitata, tentativo di testata e sputo ai danni di Federico Di Francesco) in seguito a una provocazione razzista costeranno cari a Douglas Costa e potrebbero mettere in difficoltà la Juventus, che perderà il giocatore per almeno tre giornate.

 

 

Secondo il codice di giustizia sportiva, lo sputo viene assimilato alla condotta violenta: il brasiliano, espulso mediante il Var perché l’arbitro Daniele Chiffi non ha visto l’ultimo episodio della lite, salterà come minimo la trasferta a Frosinone e le due partite in casa contro Bologna e Napoli.Oltre alla maxi squalifica del giudice sportivo Douglas Costa dovrà subire anche il provvedimento della Juventus, che può chiedere al giocatore fino a un massimo di 20 mila euro, pari a circa 5% del suo stipendio mensile, a meno che la società non ricorra al collegio arbitrale della Lega, l’organo che decide in materia di multe: in questo caso la sanzione potrebbe arrivare a 100 mila euro.

 

Da sapere che:

 

In ventun'anni di carriera, Douglas Costa è stato espulso soltanto una volta (a parte ieri contro il Sassuolo), quando non ne aveva neppure 19 (ai tempi del Gremio), e neanche con il rosso diretto ma per somma di ammonizioni. Comprensibile lo stupore di Max Allegri e della dirigenza bianconera per il gesto inqualificabile di cui si è reso protagonista. Il brasiliano non è un tipo violento né particolarmente falloso: in media si prende 2-3 ammonizioni a stagione e in Europa soltanto domenica si è visto sventolare per la prima volta il cartellino rosso sotto il naso.

Un giocatore corretto che ha vissuto un momento di follia.

 


gennaio 2018

 

Nainggolan: oltre 100mila euro di multa

 

Il centrocampista punito severamente per il comportamento mostrato sui social.

 

Monchi tiene a rapporto la squadra con un discorso molto duro. Il caso Nainggolan apre il dibattito alla Roma.

Ieri Monchi, dopo aver trascorso il Capodanno in Spagna, appena rientrato a Trigoria ha tenuto a rapporto la squadra. Il direttore sportivo, entrato al Bernardini già alle 7.50 del mattino, ha fatto un discorso molto duro, ha fatto riferimento ai comportamenti, fuori e dentro al campo, senza chiamare in causa espressamente Nainggolan, a cui comunque è stata notificata una multa pesantissima: il massimo previsto dal regolamento interno, cioè circa il 30 per cento dello stipendio mensile. La cifra supererebbe dunque i 100.000 euro.

Monchi ha detto che si aspetta di vedere che la squadra dimostri di avere una mentalità vincente. Un discorso legato al momento sportivo e non un processo a Nainggolan. "Non c’è stata una partita che la Roma non poteva vincere", il pensiero del dirigente. Le critiche non hanno riguardato Di Francesco. Anzi, Monchi vuole difendere la bontà del lavoro dell’allenatore.

Il direttore sportivo ha intravisto comportamenti che vuole correggere, in campo e fuori.

 


 

A qualcuno non piace Sarri

di Ivan Zazzaroni

 

Gli oscar molto social 2017 con un premio a testa in giù a chi non tollera il tecnico del Napoli e il Var

 

I miei oscar molto social 2017.

Il primo, enorme ma a testa in giù, lo consegno a chi mi rimprovera o - peggio ancora - offende (“non capisci un cazzo”, “sei un incompetente”, le solite amenità da “gattine” del web) quando dico o scrivo che l’allenatore dell’anno per la Serie A è Maurizio Sarri, quello “che non ha ancora vinto niente”, miagolano, “quello che sa di tuta e ha un linguaggio troppo volgare”, “quello che conosce e pratica un solo modo di fare calcio, una sola idea”. Poco importa, alle gattine, se a considerarlo il più bravo - non in assoluto ma dei dodici mesi - sono anche i calciatori, i tecnici e alcuni giornalisti ovviamente incompetenti e cazzari; solo dettagli i 99 punti raccolti, l’imbattibilità in trasferta, i primati in serie e la favola di campo scritta con sei, sette giocatori dal metro e settanta in giù? Restituisco con gli interessi antipatia e improperi.

Un oscar lo “bonifico” a Marco Fassone che per completare il closing, visto che il principale finanziatore non era più in grado di finanziare, ha trovato da solo un fondo avvoltoio americano ed è diventato di fatto il vero “proprietario” del Milan. Lo conosco da anni, ammetto che ha avuto e ha un bel coraggio: non escludo che possa riuscire nell’impresa di convincere altri fondi e tenere in vita il club post-berlusconiano. Glielo auguro di cuore.

Oscar al Var e a chi ce l’ha regalato anche se si chiama Tavecchio o Lotito: è la grande novità della stagione, ha cambiato e migliorato le nostre abitudini senza squassare nulla. Purtroppo in tanti criticano i suoi interventi, le sue indagini in tempo reale poiché non sanno o non vogliono vedere: la fede, già: serve maggiore informazione sul protocollo. Il video-arbitro serve interessi generali, ha corretto un sacco di errori arbitrali e anche se qualcuno ha pagato più di altri (la Lazio), ci sta consegnando un calcio più giusto e democratico.

Un oscar più piccolo ma ugualmente significativo lo merita Massimo Oddo che in meno di due mesi ha trasformato l’Udinese da ipotesi di squadra a squadra-squadra.

Oscar in ordine sparso anche ai tifosi del Benevento campioni di autoironia e calore; a quelli della Viola che subiscono fiatando continui ridimensionamenti; a Davide Nicola che dopo due miracoli consecutivi ha saputo farsi da parte nonostante la classifica gli sorridesse ancora.

Oscar a Gasperini per quello che sta mostrando a Bergamo, a tutti.

E un super oscar ad Allegri, il mutante, probabilmente il più bravo in assoluto del campionato ma anche quello con più risorse.

L’oscarone lo allungo infine a chi sa ancora parlare e discutere di calcio, non soltanto sui social, con educazione, misura e rispetto.

 


 

Donnarumma: ci risiamo

 

Partita finita quando arbitro fischia, diceva il saggio Boskov.

Peccato che nell’annosa querelle relativa al rinnovo del contratto del portiere più talentuoso d’Europa, Gigio Donnarumma, il novantesimo non sia ancora arrivato. Dove eravamo rimasti? Alla conclusione del tormentone avvenuta l’11 luglio con la firma del baby portiere fenomeno fino al 30 giugno del 2021, retribuito con un compenso da 5,5 milioni più bonus (e l’ingaggio del fratello Antonio). Il tutto condito da un accordo fra l’agente Raiola e l’ad Fassone che prevedeva due diverse clausole rescissorie, una di 40 milioni in caso di mancato approdo del Milan alla Champions e l’altra di 70 nell’eventualità di una promozione europea dei rossoneri.

Peccato che l’intesa siglata stia franando fra colpi bassi, mancate firme, e minacce di causa.

Andiamo con ordine: la clausola non è stata depositata in Lega dal Milan per il semplice motivo che la controparte non l’ha sottoscritta. E fin qui ci sarebbe da preoccuparsi fino a un certo punto perché in teoria la società (al netto dei suoi problemi finanziari) potrebbe mostrare i muscoli, costringere Gigio a rispettare il contratto o al limite imporre un prezzo alto per una eventuale cessione. Il fuoco (sperando che non divampi l’incendio) che cova sotto la cenere è un altro.

La tensione negli studi legali degli avvocati del Milan (Leandro Cantamessa prima e Mattia Grassani, suo successore, che ora sta seguendo la pratica) è salita a livelli altissimi dopo ché è comparsa nelle ultime settimane la prima di svariate mail dell’avvocato Rigo, consulente di Mino Raiola.

Il clan del procuratore di Donnarumma invoca l’annullamento del contratto firmato in estate appellandosi a una presunta violenza morale che il ragazzo avrebbe subito: in quel martedì di luglio l’agente non era presente negli uffici di Casa Milan mentre l’avvocato Rigo per protesta lasciò la stanza al momento degli autografi.

Così Gigio, dopo aver percepito tre mensilità, ha inviato un documento ai dirigenti in cui sostiene di essere stato oggetto di pressioni psicologiche, firmando senza la necessaria serenità. Se dimostrato, la violenza morale che costituisce un vizio del consenso ai sensi dell’articolo 1435 del codice civile determina l’annullabilità del contratto. Al Milan sorridono se non ci fosse da piangere visto che la «violenza» si è manifestata passando da un compenso elargito di 100 mila euro a uno di 11 milioni lordi. Le parti sono al lavoro e in febbrile contatto: una causa non è ancora stata istruita (ma poi dove? davanti al collegio arbitrale?). Di certo Raiola punta a portare via Donnarumma a parametro zero (senza prolungamento, il contratto sarebbe scaduto il giugno prossimo), procurando un ingaggio in doppia cifra all’assistito e commissioni da record per sé, per proporlo al miglior offerente.

Il Psg più del Real è pronto a piombare sul giocatore. Ma una soluzione di buon senso a questo punto, a quasi metà campionato, è nell’interesse di tutte le parti.

 

Riflessione

 

Sono sempre più dell'idea che i Procuratori sono la rovina del calcio non solo italiano ma anche di quello straniero.

 


 

Pronto il nuovo scossone: tanti i cambiamenti societari e tecnici

 

Il Milan - reduce dal deludente pareggio contro il Benevento - si prepara all'ennesimo scossone. E i cambiamenti non riguarderanno solo la sfera tecnica: risultano contatti con un nuovo proprietario pronto a subentrare già a fine stagione.

 

L'era Li potrebbe essere così alle battute finali, colpa di un inizio di stagione fallimentare sotto ogni punto di vista. Sono stati sbagliati gli acquisti, le scelte dei dirigenti e, di conseguenza, la conferma di Montella, già in crisi con il duo Fassone-Mirabelli dalla scorsa estate. E anche la promozione di Gattuso, al momento, non sembrerebbe una scelta propriamente azzeccata.

Si tratta infatti di una decisione voluta in primis dal ds rossonero, ma non appoggiata al 100% dalla proprietà.

 

Da Donnarumma a Bonucci, i giocatori in bilico

 

C'è poi il capitolo che riguarda i giocatori. Un ampio e delicato capitolo. Sì, perché sono tantissimi (quasi tutti...) i calciatori che non hanno reso in linea con le aspettative e che potrebbero partire in estate.

Tra questi, figura sicuramente Leonardo Bonucci: pagato circa 42 milioni lo scorso calciomercato, ha ricevuto qualche interessamento dall'Inghilterra e dalla Spagna. Ma nulla di più, il suo crollo ( e lo stipendio da 8 milioni a stagione) spaventerebbe chiunque.

Poi ci sono i vari Kessie, Biglia (forse il peggiore dei nuovi), Musacchio ad aver pagato il caos tattico, registrando - di conseguenza - una svalutazione importante dei rispettivi cartellini. Si salva forse Rodriguez, mentre Kalinic può contare ancora su qualche corteggiatrice in Inghilterra.

E Donnarumma? Per lui gioca a favore il fattore età. Nessun '99 è, ad oggi, titolare in Europa: un dato ben noto al Real Madrid e al Psg. La sua cessione permetterebbe ai meneghini di rientrare almeno di 60-70 milioni, ma la trattativa di calciomercato Milan molto probabilmente verrà condotta da un altro dirigente.

Indiscrezioni confermano, infatti, che il Milan che verrà pensa già ad un nuovo direttore sportivo.

Una buona notizia per l'agente Mino Raiola, ai ferri conti con l'uomo di mercato calabrese.

 


 

Higuain, intervento riuscito

 

Il problema alla mano dell'argentino si è rivelato essere una frattura. «In data odierna - si legge nel comunicato del club bianconero - Higuain è stato sottoposto a intervento chirurgico di riduzione e sintesi della frattura al terzo raggio metacarpale della mano sinistra ad opera del dottor L. Pegoli e del professor R.Rossi, dello staff chirurgico del J Medical, alla presenza del dottor Claudio Rigo presso la clinica Sede Sapientiae di Torino L’intervento durato circa 45 minuti è perfettamente riuscito e nei prossimi giorni verrà definito il suo rientro in squadra».

L'attaccante argentino, dunque, non riuscirà a recuperare in vista della sfida al San Paolo venerdì sera. Le tempistiche ancora non si conoscono, ma il Pipita resta a rischio anche per la sfida decisiva in Champions ad Atene.

Intanto la società comunica l'esito dell'allenamento di questa mattina: «Squadra quindi subito al lavoro questa mattina al JTC di Vinovo, e come sempre durante il “day after” di un giorno gara, la seduta è stata dedicata al recupero per chi è stato maggiormente impegnato ieri, alla tecnica e all’atletica in campo per gli altri giocatori. Lavoro personalizzato per Cuadrado, Bernardeschi e Chiellini che proseguono nel loro percorso di recupero, mentre Lichtsteiner ha accusato un risentimento muscolare ai flessori della coscia destra, da valutare nei prossimi giorni».

 


 

E 19! Tutte le 'vittime' eccellenti di Pozzo

 

E' la qualità che conta. Anche quando esoneri.

 

Con Gigi Del Neri, cacciato dopo il ko casalingo con il Cagliari, sono 19 gli allenatori che hanno ricevuto il benservito da Giampaolo Pozzo, il patron dell'Udinese.

Neanche tanti, considerando che l'imprenditore friulano, oggi 76enne, è al timone del club ormai dal 1986, quando subentrò a Lamberto Mazza, già presidente della Zanussi. Tra gli allenatori che sono stati allontanati da Pozzo ci sono nomi assai importanti nella storia del calcio, anche internazionale.

Bora Milutinovic, giramondo serbo, venne congedato nel 1987. Lo slavo ha al suo attivo cinque campionati del mondo giocati stando in panchina di cinque nazionali diverse: Messico, Costa Rica, Stati Uniti, Nigeria e Cina. Solo con gli asiatici, nel 2002, in occasione dell'edizione andata in scena in Corea del Sud e Giappone (è quella del famigerato arbitro Byron Moreno, per intenderci), non è riuscito ad andare più in là del primo turno.

E come dimenticare, tra le ‘vittime’ di Pozzo, Azeglio Vicini. Con lui in panchina la nazionale italiana, nel 1990, fece sognare una nazione intera, cedendo però all’Argentina di Maradona nella semifinale del campionato del mondo disputata a Napoli. Il ‘taglio’ del romagnolo a Udine è datato1994.

Roy Hodgson, già commissario tecnico di Svizzera e Inghilterra, e attuale allenatore del Crystal Palace, in Premier League, venne accantonato nel 2002.

Via anche Gianni De Biasi (ora in Spagna, all’Alaves), nel 2010. L’allenatore trevigiano ha in seguito portato l’Albania agli Europei del 2016, tagliando un traguardo storico per la selezione delle ‘Due Aquile’.

Capitolo a parte merita Franco Scoglio. Il compianto ‘Professore’ lavorò in Friuli nella stagione 1991-92: successivamente è stato il commissario tecnico di due selezioni africane, la Tunisia e la Libia. E’ scomparso il 3 ottobre del 2005 in circostanze drammatiche, a Genova: fu colto da un infarto mentre partecipava a una trasmissione televisiva della rete locale Primocanale.

 

 

Tavecchio accusato di molestie

 

"Carlo Tavecchio mi ha molestata, e non è stato solo un episodio".

E' l'accusa di una donna, lanciata sulle pagine del Corriere della Sera tramite il suo avvocato.

La replica dell'ex presidente della Figc all'Ansa è questa: "In relazione a quanto riportato da alcuni articoli di stampa, rivendico la mia correttezza e a tutela della mia immagine e della mia onorabilità ho dato mandato ai miei legali di agire in tutte le sedi competenti".

Nei giorni della crisi del calcio, spunta dunque il caso di una presunta molestia sessuale del presidente dimissionario della Figc. A ricostruire la vicenda, senza riferimenti temporali, è stato oggi il Corsera che ha raccolto la testimonianza della dirigente sportiva, rimasta anonima. "Ero entrata nel suo ufficio per parlare di lavoro. Lui mi ha fatto sedere alla sua scrivania, nella sede della Figc, a Roma. Non ho fatto nemmeno in tempo a dire 'Presidente, come sta?' che lui, guardandomi dritta negli occhi, mi ha risposto: 'Ti trovo in forma, si vede che scopi tanto'. E poi: 'Fammi toccare le tette, vieni, dai'. Ero in imbarazzo...".

La "dirigente sportiva" racconta di aver respinto le avances, e parla di "fatto non isolato".

Le molestie si sarebbero ripetute nei tre anni di presidenza, e la donna avrebbe deciso di consegnare al legale prove audio e video.

 


 

Tavecchio dimissionario?

 

Assediato da tutte le parti, Carlo Tavecchio sta pensando di arrendersi: domani, lunedì 20 novembre, quasi certamente si presenterà dimissionario al consiglio federale. Il governo del calcio cadrà e nel 2018 si andrà a nuove elezioni.

Troppi ormai sono contro Tavecchio dopo la mancata qualificazione dell'Italia al prossimo mondiale: non soltanto il sindacato calciatore ma anche la Lega di C, forse alcuni consiglieri dei dilettanti (tra cui Montemurro).

È inutile, a questo punto, andare alla conta dei voti, essendo ad esempio le leghe di A e B commissariate. Tavecchio avrebbe una maggioranza troppo debole per poter resistere ancora in sella.

Per questo, dopo giorni di pianti e di notti insonni sta davvero per gettare la spugna.

 


 

Sconcerti sconcertante: "La Juve ha illuso l’Italia"

 

Il noto opinionista addossa parte della responsabilità del fallimento Nazionale ai bianconeri. Secondo Sconcerti la Juve avrebbe illuso un Paese intero.

 

La personalissima battaglia del mondo Rai Sport contro l’universo bianconero procede a spron battuto.

Dopo le polemiche innescate dal discorso di Marco Civoli anche Mario Sconcerti ha in qualche modo ricollegato il fallimento Azzurro alla Juventus. Anche in questo caso il nesso logico tra le due cose non pare dei più evidenti ma le parole dell’opinionista Rai sono inequivocabili.

Ecco l’analisi di Mario Sconcerti, pubblicata su Il Corriere dello Sport, in merito all’eliminazione dell’Italia dal Mondiale.

“Per la prima volta non trovo le parole. Ne ho scritte tante in giro con il calcio, ma non ricordo una delusione così massiccia e un’Italia peggiore, così inadeguata e piena di peccati da divorarsi da sola. Ma sarebbe sciocco pensare che tutto sia cominciato stasera. La fiamma si è spenta nel 2006, cinque minuti dopo l’istante in cui abbiamo vinto il Mondiale. Avevamo Del Piero, Totti, Cannavaro, Toni, Pirlo e decine di altri giocatori fuori del normale. Poi siamo usciti al primo turno nel 2010 e di nuovo al primo turno nel 2014.

Ci ha illuso la Juventus ma la Juve è un altro movimento, un’altra realtà. Quella italiana è leggera ed egoista, gonfiata per convenienza comune ma senza più una base tecnica“

 

Riflessione

 

La foto é emblematica

 


 

Italia, missione impossibile? Nessuno ha mai ribaltato uno 0-1

 

Da quando esistono gli spareggi europei per i Mondiali con la regola dei gol segnati in trasferta, nessun caso. E la Nazionale non perdeva due partite in una fase di qualificazione dal 1958, quando non riuscì ad accedere alla fase finale

 

I precedenti ci fanno paura. Perché nella storia degli spareggi europei di qualificazione alla Coppa del mondo non esiste una squadra capace di ribaltare uno 0-1 subito all'andata in trasferta.

E' così da quando esiste la regola dei gol in fuori casa che valgono doppio in caso di parità di reti segnate, secondo quanto assicura Alexis Martin-Tamayo, l'esperto spagnolo di numeri e statistiche sullo sport noto con il nome di MisterChip.

Ci provarono l'Olanda nel 1985 e la Repubblica Ceca nel 2001 contro il Belgio, poi la Bosnia nel 2009 e la Svezia nel 2013 contro il Portogallo.

C'è poi un altro precedente inquietante. L'Italia non perdeva due partite nella stessa fase di qualificazione ai Mondiali dal 1958, proprio l'ultima edizione in cui la nostra nazionale non riuscì a qualificarsi.

Una speranza c'è; dal 1970 in poi, ogni 12 anni arriviamo alla finale dei Mondiali: 1970, 1982, 1994 e 2006 le edizioni.

Calcolate quanti anni sono passati dall'ultima volta?

 

Riflessione

Certo che a vedere la faccia di Ventura non è che ci creda molto.

 

Svezia-Italia, mamma mia!

 

Non bisognerebbe mai scrivere, né parlare, quando si è incazzati. E io lo sono, e non poco, come tanti di voi. Non riesco a credere che abbiamo perso contro questi svedesi. Non tutto è perduto, lo so, per questo dovrei “pensare positivo”, risolverla con due parole di incoraggiamento in vista del ritorno a Milano, poiché in fondo c’è soltanto un gol tra noi e loro. Ma non ci riesco, perché ho visto la rabbia e la determinazione esclusivamente nei nostri avversari, addirittura fino troppo decisi, in particolare Berg e Toivonen che hanno raccolto l’invito a provocarci di Krafth. Li ho visti sempre dentro la partita, mentre noi abbiamo giocato a reazione, quasi mai lucidi, sempre a un passo dal naufragio. Lo ammetto: dopo il primo tempo ho pensato che non meritiamo il Mondiale.

Fin dai primi minuti siamo stati inguardabili, trattenutissimi, non abbiamo costruito nulla di decente, se non un cross di Darmian per la testa di Belotti e un palo centrato sempre da Darmian (nel secondo). Gli svedesi, tanta corsa e poca tecnica, ci hanno sovrastati pur senza creare troppi pericoli. Le maggiori difficoltà le abbiamo incontrate a centrocampo dove De Rossi, Verratti (ammonito, salterà il ritorno) e Parolo hanno ripetutamente rappresentato l’impersonalità: è mancato soprattutto il disegno preparatorio, è mancata l’idea semplice, la velocità di capoccia. La seconda parte è stata leggermente migliore, ma è in questa frazione che siamo stati puniti da una deviazione. Ho sentito Alberto Rimedio dire, alla fine, “non è l’Immobile che siamo abituati a conoscere”. Io non ho riconosciuto Immobile, Candreva, Parolo (mai visto così fuori dal gioco), Verratti, De Rossi, Belotti. E Ventura: non ho capito l’atteggiamento iniziale, l’ingresso di Eder, il mancato passaggio al 4-3-3. Ma forse è colpa mia: ero (sono) troppo alterato.

Basta che non si dica che siamo stati sfortunati.

 

dal CdS


 

Argentina, Dybala: "La gente vuole Higuain al Mondiale"

 

Il fantasista della Juventus è tornato sulla polemica che si era scatenata in Argentina dopo alcune sue dichiarazioni sul connazionale, stella del Barcellona e capitano della 'Selección'

 

Paulo Dybala è tornato sulla recente conferenza stampa che in Argentina ha scatenato qualche polemica per le parole su Lionel Messi, suo capitano nella 'Selección'. "È difficile giocare con lui perché ci muoviamo nella stessa posizione", aveva dettola ‘Joya’, poi difeso addirittura da Mario Kempes (eroe del Mondiale vinto in casa dagli argentini nel 1978) quando gran parte dei tifosi di tutto il mondo gli dava del “presuntuoso”. "Nella stessa conferenza avevo spiegato anche come è un piacere giocare con Messi, perché da lui si possono imparare tante cose - ha detto il 23enne fantasista della Juventus – ma è sempre più facile cercare il pelo nell’uovo, interpretando male un discorso per portarlo dove si vuole arrivare per vendere di più. In quella conferenza 18 delle 22 domande erano su Leo e in 17 avevo speso solo belle parole per lui, spiegando quanto è importante la sua figura per me e per tutto il gruppo. Queste però sono le cose che si sentono sempre mentre non va bene se uno dice qualcosa di differente, anche se in maniera costruttiva e per migliorare. Chi doveva capire comunque ha capito, da Leo ai compagni fino all’allenatore".

Un “caso” a cui del resto non ha dato peso nemmeno lo stesso Messi: "Ovviamente appena sono arrivato in ritiro sono andato da Leo per spiegargli ma lui si è messo a ridere prima di farmi parlare, dicendomi di stare tranquillo perché non c’era nulla da chiarire". Dyala conclude rifiutando l’etichetta di “nuovo Messi”: "Io sempre dico che voglio essere me stesso,con tutto il rispetto per Leo che ha vinto tutto. Io però voglio vincere i miei titoli e miei trofei e in generale, invece di fare paragoni con giocatori del passato come è stato fatto anche con Messi e Maradona, dobbiamo goderci quelli che abbiamo ora".

 


 

Happy birthday Del Piero: Dybala lo sfida nel giorno del suo compleanno…

 

Icone bianconere del passato e del presente, accomunate dalla simbolica maglia numero 10, protagonisti di un simpatico siparietto su Twitter…

 

Curioso episodio social che riguarda il passato e il presente/futuro bianconero. Alessandro Del Piero, leggendario numero 10 e capitano della Juventus, si trova in questo momento a Mosca e si è fatto ritrarre in una foto che ha poi postato sul proprio profilo ufficiale Instagram direttamente nella piazza simbolo della città capitale della Russia, luogo in cui si svolgeranno i prossimi Mondiali di calcio.

Paulo Dybala, sempre attento e attivissimo sui suoi social network, ha risposto all’ex capitano bianconero con una richiesta decisamente curiosa ma stuzzicante per tutti gli appassionati di calcio: “Facciamo le punizioni a Mosca??“.

Che il riferimento fosse al prossimo Mondiale che si svolgerà proprio in Russia e che prenderà il via il prossimo giugno del 2018, o che fosse per una sfida immediata su calcio piazzato tra i due, i tifosi della Juventus e non solo, non possono che sognare al pensiero di due grandi numeri 10 pronti a darsi battaglia su una specialità della casa come i calci di punizione.

Interessante anche il fatto che la sfida lanciata dall’attaccante ex Palermo cada proprio nel giorno del compleanno di Alex, che spegne oggi 43 candeline: qualunque appassionato di calcio lo vorrebbe ancora vedere in campo ad incantare il pubblico con le sue giocate.

Alessandro Del Piero è la bandiera bianconera per eccellenza, con 19 stagioni sulle spalle con la casacca della Juve, ma il talento di Pinturicchio è stato apprezzato e amato anche dai tifosi delle squadre avversarie in Italia e nel mondo.

Tanti i primati raggiunti durante la lunga percorrenza con la Vecchia Signora. Un’amore mai finito nemmeno durante le sue esperienze di fine carriera in Australia con la maglia del Sydney e in India con quella del Delhi Dynamos.

I numeri in bianconero di Del Piero sono qualcosa di unico e irripetibile: 705 partite disputate con la bellezza di 289 reti segnate e l’onore di aver indossato con passione e dedizione la fascia di capitano dal 2001 al 2012, guidando i bianconeri in tre stadi casalinghi diversi (Delle Alpi, Olimpico di Torino e Juventus Stadium, ora noto come Allianz Stadium).

 


 

Bundesliga shock, via il responsabile della Var

 

Bufera in Germania: l'ex arbitro Helmut Krug, responsabile della sperimentazione tedesca, sollevato dall'incarico: avrebbe favorito la propria presunta squadra del cuore, lo Schalke 04, anche se la Federazione smentisce.

Bufera in Bundesliga. Pare proprio che Hellmut Krug l'abbia fatta grossa, visto che la federazione tedesca ha deciso di sollevarlo dall'incarico di supervisore del VAR:

(avrebbe influenzato e manipolato le gare della propria presunta squadra del cuore, lo Schalke 04, regalando due rigori inesistenti nel match di una settimana fa terminato 1-1 con il Wolfsburg).

La DFB ha preso la decisione ieri, travolta da una pioggia di accuse precipitate sull'ex arbitro internazionale e su una partita in particolare, Schalke-Wolfsburg, nella quale per due volte Krug avrebbe scavalcato le decisioni del VAR designato per il match, Marco Fritz, per favorire la squadra della sua città (che quando ancora era arbitro non gli era permesso dirigere).

Immaginate il responsabile del progetto VAR in Italia, Roberto Rosetti, chiuso in una stanza nella quale arrivano tutte le immagini che il VAR di ogni partita analizza, con il potere di intervenire in maniera inappellabile sulla loro valutazione. E' più o meno questo che succede in Germania: a Colonia c'è un centro di controllo della DFL (Deutsche Fussball Liga, l'equivalente della Lega Serie A) che funziona proprio in questa maniera. Dopo la riunione che ha sancito il dimensionamento di Krug, sono arrivate le dichiarazioni del vicepresidente della federazione e responsabile degli arbitri Ronny Zimmermann, che ha smentito ogni riferimento a presunti favoritismi alla radice della decisione.

Sarà, sicuramente, ma a restare - in concreto - è la poltrona saltata di Krug e una gestione del progetto VAR fallimentare, che i media tedeschi, sportivi e non, non smettono di criticare: "La Var, una buona idea. Poi è arrivata la DFB", titola ironico un corsivo del Der Spiegel a proposito dell'affare Krug.

 


 

Juve, scoppia il caso Marchisio

 

La moglie contro Allegri: "Claudio non è una prima scelta"

 

Grana Marchisio in casa Juventus?...

Il centrocampista della Juventus ha collezionato solo 2 presenze in questo avvio di stagione, scendendo in campo contro il Cagliari e poi contro la Spal.

Il giocatore non ha trovato continuità a causa di alcuni problemi fisici che lo tormentano ormai da più di un anno ma probabilmente il centrocampista si attendeva maggiore considerazione dopo il rientro con la Spal.

Dopo i 20 minuti finali con gli estensi, il centrocampista bianconero non è più sceso in campo ed è rimasto a guardare i suoi a San Siro contro il Milan e a Lisbona contro lo Sporting.​

Allegri, entrambe le volte, gli ha preferito Khedira, Pjanic e anche Matuidi, segno che il Principino, a oggi, è minimo la terza scelta.

 

Riflessione

 

Cedo che Allegri faccia bene a centellinare le presenze di chi è fermo da un anno ed ha avuto una ricaduta.

Quindi la signora Roberta stia tranquilla.

 


 

Bonucci torna alla Juve? La gaffe della rosa

 

Un errore di stampa della “Gazzetta dello Sport”: Bonucci di nuovo alla Juve nella difesa a quattro con Chiello, Lichtsteiner e Alex Sandro

 

Anche i migliori sbagliano. Questa volta tocca alla rosea “Gazzetta dello Sport“, quotidiano sportivo per eccellenza incappare nello strafalcione.

Nell’edizione cartacea odierna compaiono le tre alternative di formazioni per la Juve di Max Allegri. Cuadrado terzino, Matuidi centrale di difesa in un ipotetico 3-5-2 di contiana memoria. Insomma spunti interessanti. Peccato che però, guardando meglio, c’è qualcosa che non torna: Bonucci inserito con Chiellini al centro della difesa.

 

 

Che succede? Lo hanno già spedito indietro? Apriti cielo sui social dove basta davvero poco per cavalcare l’onda, con un pizzico di ironia e creatività.

Ecco alcuni commenti:

 

"L’articolo della gazzetta in cui Bonucci é in 2 delle 3 probabili ipotesi di formazione della Juve lo avrà scritto Leo al ritorno da Atene".

 

"Ciao Gazzetta di Milano, vi siete già stancati di Bonucci, che lo rivorreste vedere di nuovo alla Juventus?"

 

"Alla Gazzetta da oggi, dopo la ricomparsa di Bonucci in difesa, prova del palloncino obbligatoria per tutti all’entrata".

 

In effetti un altro 0-0, niente di che per risollevare il morale del (povero) Diavolo rossonero.

E c’è chi la prende con filosofia.

"Bentornato Leo!"; "Ma ce l’hanno lo scontrino?" si interroga qualcun altro.

Insomma roba da social.

 


 

Del Piero: La mia Juve, Boniperti, l'Avvocato...e il Napoli

 

L'ex numero 10 della Juventus racconta aneddoti speciali per i 120 anni della società bianconera, parlando anche della città partenopea.

 

Inizia così il racconto di Alex Del Piero dei suoi indimenticabili anni alla Juventus:

"La mia prima notte a Torino era ad occhi aperti, a prescindere dal fatto che ero tifoso della Juventus. Per me era un momento di euforia totale, ho dormito pochissimo. Poi cominci a prendere coscienza che sei in una realtà così, ma la vicinanza di compagni di un livello altissimo… il primo impatto è stato molto difficile per me ma proprio quei compagni mi hanno aiutato".

"Ho trovato un ambiente, inteso come compagni, squadra e società, davvero ottimo. Il primo contratto firmato con Boniperti? Quando ero stato invitato da lui a vedere la Juventus ad Udine mi disse 'Tagliati i capelli'. Io già li avevo tagliati... Poi con il mio procuratore avevamo fatto uno schema su cosa dire quando lo avremmo incontrato ma entrando nell'ufficio di Boniperti fu lui a parlare per 5 minuti, di tutt'altro.

Poi fece: 'Questo è il contratto, firma'. Ci siamo presi 5 minuti fuori per confrontarci e abbiamo detto 'Mi sembra un'offerta buona…'.

 

La prima volta che ho incontrato l'Avvocato?

A Villar Perosa in ritiro con la squadra, era un momento molto infelice. Lui si presentò durante l'allenamento con un fogliettino rosa, era un pezzo della Gazzetta, e disse: "Secondo me siete meglio di quello che c'è scritto qua". E poi se ne andò. Chiacchierò con alcuni di noi, non con me. Ma il giorno dopo, quando in partita feci 3 gol, chiamò anche me".

Il rapporto con il Napoli.

"Il Napoli è migliore rispetto a quello dell'anno scorso. E' giusto che si guardi il bicchiere mezzo pieno dopo la partita di stasera, perché io vedo che il processo di crescita del Napoli è continuo. Per gli avversari il San Paolo è molto difficile, la pressione la senti ogni volta che tocchi palla. E' una struttura però che ad oggi dovrebbe essere migliorata e cambiata Questo darebbe un impatto superiore. Non è solo avere la gente vicino che ti dà una carica fuori dal normale, è il senso di appartenenza nei confronti di quello che rappresenti. Nel mio secondo anno alla Juve ero molto lì, perché facevo il militare. L'ho vissuta, ho persone vicine. Ho fatto la Serie B insieme al Napoli con la Juventus. E' molto lontano da come sono io, ma ne sono attratto per come è vissuto in maniera passionale il calcio. E' sempre stato bello, intrigante e un po' da spavento entrare al San Paolo. In più, ho giocato con il Napoli l'ultima partita con la Juventus".

 

Questa è la maglia commemorativa che verrà indossata il 5 novembre in occasione della partita casalinga contro il Benevento.

Si tratta di un'edizione limitata: 1897 pezzi

 


 

Il blob di Rüdiger impazza sui social

 

Le frasi dette dal centrale tedesco la scorsa estate ("Il Chelsea è di un altro livello rispetto alla Roma") vengono riprese dai tifosi giallorossi dopo il 3-0 dell'Olimpico

 

"Non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma non si può paragonare Roma e Chelsea. La squadra nella quale gioco adesso è di un altro livello, è un grandissimo club".

Così lo scorso 16 luglio Antonio Rüdiger commentò il suo trasferimento dalla Roma alla squadra di Conte.

Le frasi del difensore tedesco non andarono giù alla tifoseria giallorossa che manifestò chiaramente sui social network il proprio disappunto. A distanza di tre mesi e mezzo quelle parole sono tornate indietro al centrale ex Roma come un boomerang.

Sui social sono tanti i supporter capitolini che hanno deciso di rilanciare quelle frasi per prenderlo in giro. A rendere la serata di Rüdiger ancora più negativa è stato proprio il suo clamoroso errore di valutazione in occasione del raddoppio di El Shaarawy, uno scivolone imperdonabile che ha complicato terribilmente (e in modo irreversibile) la serata della squadra di Conte.


 

Psg, scoppia di nuovo il caso Neymar

 

Sono passati appena tre mesi dal trasferimento più costoso di tutti tempi, e Neymar si sarebbe già pentito del suo passaggio a Parigi.

Arrivato dal Barcellona per 222 milioni di euro, secondo le radio catalane il giocatore stenterebbe ad ambientarsi nel Paris Saint Germain. La punta verdeoro, che avrebbe così tanta nostalgia da tornare spesso in Spagna, non si trova bene né con lo spogliatoio del club parigino, né con l'allenatore Unai Emery.

Il brasiliano si è trovato più volte ai ferri corti con una delle altre stelle dello spogliatoio, Edinson Cavani, ed è infastidito dalle continue indiscrezioni sui privilegi che avrebbe in Francia. Ma secondo quanto riporta 'Beteve', che cita fonti vicine al giocatore, il malessere sarebbe ancora più profondo: "La vita in Francia non è quella che la stella brasiliana si aspettava e a Neymar non vanno giù i metodi di Emery, mentre ha grande nostalgia della sua vecchia vita nella capitale catalana e né lui né la famiglia si sentono a proprio agio a Parigi, una città che non ha nulla a che fare con Barcellona".

Nello scorso weekend Neymar si è presentato al centro tecnico del club blaugrana assieme al figlio Davi Lucca per incontrare gli amici ed ex compagni di reparto, Messi e Suarez su tutti.

I numeri di Neymar in avvio di stagione sono in ogni caso da urlo: nelle prime undici partite ha messo a segno 10 reti, più 8 assist. Le vittorie sono la medicina più efficace per dimenticare una volta per tutte la "saudade" blaugrana che lo ha colpito.

 


 

Un classe '98 denuncia: "Il campionato primavera tomba del calcio italiano"

 

Gentile Procuratore,

sono un calciatore classe '98 e gioco nel campionato Primavera in una squadra di Serie A. Più che giocare siedo in panchina dopo aver fatto tutte le giovanili in questa squadra di cui non posso dire il nome per ovvie ragioni. Il mio destino ormai è ben delineato: a giugno 2018 verrò svincolato dalla società con una bella stretta di mano da parte di tutto coloro che mi hanno sempre chiesto di dare tutto per la squadra, di non saltare un allenamento, di indossare la fascia di capitano, di fare gruppo negli spogliatoi, di essere da esempio per i più piccoli, ecc. Le cose sono all'improvviso cambiate in peggio con l'arrivo di un nuovo allenatore che ha pensato bene di non farmi più vedere il campo dalla prima di campionato ad oggi.

Continuo ad allenarmi dando tutto me stesso, ma ho già capito l'antifona: il prossimo anno non farò più parte dei programmi della società. A consolarmi c'è la scuola, il mio amato liceo classico che mi dà un sacco di soddisfazioni. Sì perché non ho assolutamente intenzione di andare a giocare in campionati dilettantistici come faranno tanti altri miei amici. Mi iscriverò all'università e lascerò il calcio per sempre. Il campionato primavera, e concludo, è solo una grande illusione per la maggior parte dei calciatori: è la tomba del calcio italiano! Non so se avrà voglia e tempo di leggere questo mio sfogo, ma non penso di essere una voce isolata.

Altri miei compagni la pensano come me, ma continueranno a giocare solo perché non hanno voglia di studiare. Ah ultima cosa: il mio procuratore ha detto che se lascerò il calcio dovrò pagargli una risarcimento per suo mancato futuro guadagno. E' possibile una cosa del genere?. Ex Capitano '98.

 

Caro Ex Capitano '98,

la tua lettera colpisce per lucidità e maturità. Non condivido, tuttavia, la scelta anticipata di lasciare il calcio se non sarai confermato in prima squadra.

Statistiche alla mano solo l'1-2% dei calciatori di Primavera di Serie A vengono confermati in prima squadra e, quindi, che in questo campionato si assista a una "rottamazione" di promettenti calciatori non ci piove. Ciò non giustifica la scelta di abbandonare il calcio anticipatamente. Ci sono calciatori, infatti, che hanno bisogno di superare vari step in categorie inferiori per meritarsi la serie A. E' cosa ottima che tu possa trovare negli studi il tuo riscatto, ma, se potessi darti un consiglio, ti direi di non lasciare assolutamente il calcio. Università e calcio possono convivere, seppure affrontando tanti sacrifici.

Quanto al procuratore preoccupato di perdere la sua futura commissione, ti ricordo che, non essendo tu ancora un professionista, non sei tenuto a pagare alcunché!.

 


 

Quando la Dinamo Kiev segnò sette goal in Champions al Barcellona

 

Erano gli anni dell’astro nascente Shevchenko, erano gli anni di una grande Dinamo Kiev. Erano gli anni di una Champions League insidiosa, quando il Barcellona si vide umiliare due volte nella stessa competizione dal gelo spietato del colonnello Lobanovsky, a capo di quella Dinamo Kiev che sorprese non poco nell’edizione 1996\1997. Erano gli anni del Barcellona di Ronaldo, Figo, Stoichkov, di quel Guardiola che poi, da allenatore, avrebbe insegnato al mondo le nuove formule del possesso palla. Ma erano pure gli anni di un calcio che sapeva riservare le più dure lezioni ovunque. Niente poteva essere dato per scontato. Barcellona e Dinamo Kiev (quest’ultima reduce da due turni preliminari) vengono inserite nel girone con Newcastle United e PSV Eindhoven.

L’urna mischia tre squadre che sulla carta si equivalgono, con gli inglesi e gli ucraini un po’ più favoriti, davanti agli spagnoli che, per qualità e tradizione, dovrebbero fare la voce grossa in un raggruppamento comunque non così agevole. E agevole, infatti, non si rivela. Alla terza giornata il Barcellona va a fare visita alla Dinamo, l’aria che si respira rievoca ancora le atmosfere del blocco socialista. Lo stadio della Dinamo Kiev sembra ancora immerso dentro i colori e le sfumature della malinconia sovietica. Eppure, l’undici di Lobanovsky non pare affatto in soggezione, né sembra disposto a smettere i panni del protagonista. Sarà il Barça a fare i conti con la forza di una competizione che non fa sconti a nessuno. Dopo mezz’ora di gioco la Dinamo Kiev è già avanti di due goal. Rebrov e Maksimov gelano i blaugrana (che resteranno in dieci a causa dell'espulsione del portiere Hesp), ormai sempre più dentro una crisi d’identità senza via d’uscita. Quando, al 65’, Kalitvintsev sigla la terza rete, la classifica provvisoria del raggruppamento C recita Dinamo Kiev prima e PSV seconda, grazie alla vittoria degli olandesi sul Newcastle United. Il Barcellona rischia seriamente l’eliminazione, vista anche la formula che in questa edizione prevede il pescaggio soltanto delle migliori seconde. L’incubo ucraino per il Barça non ha fine. Al Camp Nou quando arrivano Rebrov e compagni è l’ultima occasione per gli spagnoli di sperare nella qualificazione, ormai molto complicata. Davanti a una Dinamo Kiev agguerrita, il Barcellona tira fuori una delle prestazioni peggiori della sua storia recente. Tra goal di Shevchenko, autore di una gara straordinaria, e la firma finale di Rebrov ammutoliscono uno stadio incredulo davanti agli errori difensivi e all’impotenza del Barcellona rispetto alla grinta e all’organizzazione tattica degli ospiti. Il 4-0 finale lancia la Dinamo verso la conquista del girone, che si concluderà con la squadra di Kiev qualificata e il PSV secondo a 9 punti, ma fuori dalla Champions, vinta dal Real Madrid in finale con la Juventus*.

* Una delle tante (7) perse dai bianconeri in nove finali.

  


 

Primo Master di spostamento di equilibri a cura di Leonardo Bonucci

 

Un inizio di stagione così complicato Bonucci non lo aveva proprio messo in preventivo. Il Milan stenta a risalire la corrente e le prestazioni del difensore sono lo specchio fedele delle difficoltà del gruppo. I tifosi con lui sono impietosi e il cinismo non tarda a manifestarsi. Pro e contro della vita da top player, Leonardo lo sa:

«Mi hanno chiesto se sarò in grado si spostare gli equilibri… Lavorerò per riuscirci lottando con ancora più fame» disse in un video di presentazione al momento del suo arrivo al Milan.

E quegli equilibri riecheggiano sul web sotto forma di vignette, meme, post vari e addirittura eventi creati ad hoc su Facebook.

 

È così è nata la pagina-evento: «Primo Master di spostamento di equilibri a cura di Leonardo Bonucci».

 

Uno sfottò che «interessa» già a 10 mila persone, 3 mila delle quali hanno cliccato addirittura su "parteciperò".

 

La descrizione dell'evento è un manifesto di ironia.

 

Vi siete sempre chiesti cosa sia un equilibrio? Dove nasce e come si sposta? Questo è il corso che fa per voi!

 

Il programma si sviluppa in 3 moduli didattici principali:

1) Come far lievitare il proprio mercato agendo sui media e farsi accostare ad un grande del passato con frequenza settimanale;

2) I modi eticamente corretti per prendersi la fascia di capitano da nuovo acquisto;

3) Atteggiarsi da leader. Questo modulo si suddivide in: a) lezioni propedeutiche di espressività corporea e facciale da tenere in campo; b) rilascio di interviste convinte.

 

Interverranno anche Andrea Ranocchia (l'unico compagno di reparto più forte che Leo abbia mai avuto) e Marco Fassone (per formalizzare le iscrizioni).

«Se non riusciamo a spostare un equilibrio lasciamo che sia l'equilibrio a spostare noi!!!' Leo19».

 


 

Giovinco confessa: «Alla Juve piangevo»

 

L’attaccante di Toronto si racconta ai tifosi canadesi in una lunga lettera. Giovinco ripercorre alcune tappe della sua carriera, compresi gli alti e bassi con la maglia della Juventus

 

La MLS è ai piedi della Formica Atomica. I tifosi del Soccer americano e canadese hanno ormai imparato a conoscere la tecnica e la rapidità di una delle promesse più rimpiante del nostro calcio. Gol, assist e giocate mozzafiato sono, ormai da diversi anni, lo spettacolo a cui Seba ha abituato la sua Toronto. C’è però un regalo che Giovinco, ad ormai 30 anni, non è ancora riuscito a fare ai suoi tifosi: il titolo MLS. Ed è proprio l’ossessione per la vittoria il paradossale filo conduttore della carriera di Seba. L’ex attaccante della Juventus ha raccontato la sua vita da calciatore in una lunga lettera in cui, inevitabilmente, ha parlato anche della sua esperienza in bianconero. Piuttosto male in realtà. Ecco i passaggi più sensibili in tal senso.

 

Gli albori – “Dopo un anno con la mia squadra (San Giorgio Azzurri), uno scout della Juventus mi ha invitato a giocare per le giovanili del club. Probabilmente sembra folle, ma fu così veloce. Un giorno stai giocando per la tua piccola squadra locale, e poi un club ti chiama e questo è tutto. Almeno questo è stato per me. Un giorno un signore si è presentato, ha parlato con me e mio padre, e il giorno successivo facevo parte del vivaio della Juve“.

 

Vincere – “Cosa che, onestamente, era tutto ciò che si aspettava il club. Niente lacrime. Zero. C’è questa mentalità alla Juventus. È abbastanza semplice… Vincere. Ti insegnano il rispetto e il vincere con rispetto. Ma alla fine della giornata, conta solo una cosa. Aver vinto. Quella mentalità mi è stata inculcata dal momento in cui sono arrivato alla Juve. Vincere e basta“.

 

 

Primo contratto – “E quando ho compiuto 17 anni avevo la possibilità di firmare il mio primo contratto ufficiale con la Juventus. Da quando ero piccolo, mio padre veniva con me. Avevo bisogno che mio padre venisse con me per firmare un’altra cosa – la carta per un nuovo appartamento. Era una delle prime cose che ho comprato per la mia famiglia. Una stanza per tutti”.

 

Serie B – “Sono stato orgoglioso di aver lavorato per tornare in Serie A dopo solo una stagione. Non credo che avrei avuto l’opportunità di giocare tanto se non fossi stato in Serie B. Ma la promozione non era qualcosa di cui si parlava molto – o che i giocatori più giovani erano stati capaci di riportare la Juventus al top. Come ho detto, c’è solo una cosa che conta alla Juventus. E non importa come sia fatto. E per me, come sempre, tutto ciò che contava era che io fossi in campo”.

 

Volare oltre Oceano – “Ma dopo qualche anno, sapevo che non avrei avuto più molti minuti in campo con la Juventus. Sono andato in giro per l’Italia con un paio di prestiti e mentre il mio contratto alla Juve giungeva al termine, ho iniziato a pensare di trasferirmi in MLS”.

 


 

Lazio con la maglia di Anna Franck a Bologna

 

 

 

 

La Lazio indosserà' domani a Bologna, durante il riscaldamento prima della partita di campionato, una maglia commemorativa di Anna Frank. E' questa l'iniziativa del club bianconceleste, per espressa volontà' del presidente Claudio Lotito.

Questo è il messaggio che la società Lazio da a quei 10 o 100 cretini dopo la diffusione delle prime immagini degli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma attaccati in curva Sud.

 

Anna Frank scriveva: “La paura non serve a nulla".

 

 

 


 

Ekaterinburg Arena troppo piccolo: costruite due tribune fuori dallo stadio

 

Per adattare (e ampliare) l'impianto casa dell'FC Ural alle prossime gare del Mondiale 2018 sono state costruite due strutture esterne al perimetro dello stadio, che verranno poi smontate quando il torneo sarà terminato

 

 

Mentre le nazionali d’Europa e di tutto il mondo continuano ad inseguire il sogno Mondiale, anche la Russia - paese ospitante della competizione nel 2018 - si prepara ad accogliere il torneo più importante a livello calcistico della prossima estate. Una nazione in fermento, che lavora per essere pronta e che per poter mostrare la sua faccia migliore dopo la Confederations Cup dello scorso giugno, si è trovata anche a dover rivedere alcuni impianti in cui verranno giocate le gare del Mondiale. Lo stadio che ha subito una modifica importante - e decisamente molto curiosa - è l'Ekaterinbrg Arena, casa dell'FC Ural.

 

Inaugurato nel 1957, costruito nel giro di quattro anni, viene chiamato anche Central Stadium e inizialmente ospitava anche eventi non solo calcistici, come corse di atletica o pattinaggio sul ghiaccio. La sua reale capacità e di 27.000 posti ma a metà degli anni 2000 è iniziato il processo di sviluppo dell'intero impianto. I lavori sono cominciati nel 2007, sono stati completati nel 2011 e hanno così aumentato i posti per gli spettatori. Quando però il comitato che ha scelto la Russia come paese organizzatore del prossimo Mondiale ha affidato alla città il compito di ospitare alcune gare del torneo (nel 2012) sono nati alcuni problemi perché il recente rinnovo del Central Stadium non incontrava gli standard FIFA. Per questo motivo sono iniziati i nuovi lavori di adattamento che hanno così garantito una capacità totale di 35.000 posti a sedere. Di certo l'aspetto dell'Ekaterinburg Arena oggi non è certo comune.

 

 

Lo stadio, ben visibile in mezzo ai grandi palazzi della città, presenta due aperture in corrispondenza delle curve che hanno così permesso di costruire due strutture esterne al perimetro originale. Due tribune fuori dallo stadio, insomma. Un modello probabilmente unico certamente curioso. Difficile immaginare oggi che i lavori sono quasi ultimati, quale potrà essere la sensazione di chi assisterà alle gare di Russia 2018 dalle due nuove strutture costruite, certo è che al termine della manifestazione le due tribune verranno smontate e lo stadio sarà in un certo senso "richiuso", recuperando pertanto la iniziale struttura. Un modello unico di architettura sportiva, necessario però per permettere alla casa del FC Ural di essere uno dei luoghi ospitanti del prossimo Mondiale.

 


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