Il
nostro sogno, tra strada e sacrestia
La
vita ha un senso? Che senso ha faticare, se poi ciò
che hai costruito viene distrutto in un attimo?
Il diploma, la laurea, lo sport, il denaro, il successo...
sono importanti, ma finiscono. Come posso essere veramente
felice? Perché vivo? E la morte? Che senso ha
la morte?
Sono tutte domande che ci portiamo dentro e diventa
essenziale tentare di rispondere a questi interrogativi.
Perché quando si conosce il senso di una cosa,
quando se ne conosce il perché, si può
superare tutto, anche la fatica e il dolore.
Noi sogniamo l'oratorio come la "casa del senso",
come il ponte tra la strada e la chiesa, come il luogo
in cui si tenta di dare insieme una risposta a queste
domande, certi che in questo cammino non siamo soli.
Il Signore si fa nostro compagno di viaggio, presta
attenzione ai nostri interrogativi e interpreta le nostre
attese. Questo è l'obiettivo che abbiamo davanti
ed a cui sono finalizzate le nostre iniziative e attività:
catechismo, incontri di gruppo, attività di volontariato
e attività sportive.
Il
cammino è affascinante, ma i rischi sono tanti.
Ne sottolineo due.
Abbiamo detto che sognamo l'oratorio come la "casa
del senso", come il "ponte tra la strada
e la chiesa".
Il rischio penso sia quello di non riuscirci a liberare
da questi due estremi, il rischio è cioè
quello di ridurre l'oratorio a
prolungamento
della povertà della strada
prolungamento
della sacrestia
La
povertà della strada
accontentarsi
di essere fotocopia, anziché risonanza originale.
E' accontentarsi di adattarsi, di imitare, senza proporre
vita. E' non rinnovarsi di vangelo, nascondersi dietro
un dito.
volare
basso, anziché scommettere, proporre e puntare
in alto. E' l'incapacità ad offrire acqua pura
per la sete che i giovani esprimono.
ridurre
l'oratorio a palestra da affitttare oppure luogo dove
buttare le ossa quando non si sa dove andare. E' ridurre
l'oratorio a terra di nessuno, in cui si può
stare senza essere disturbati, in cui si può
fare quello che si vuole, senza ricevere stimoli o proposte.
ridurre
l'oratorio a luogo dove ci si abitua come al colore
delle pareti, luogo dell'anonimato e dell'indifferenza.
Spesso i ragazzi che vengono all'oratorio percepiscono
che per loro l'esserci o no è la stessa cosa
nei confronti del prete o degli educatori.
Il
prolungamento della sacrestia
ridurre
l'oratorio alla somma degli spazi di catechesi. La catechesi
è il cuore di un'esperienza di oratorio. Il rischio
però è quello che l'oratorio significhi
solo attività catechistiche. E' non tener conto
della vita quotidiana e lasciarla fuori.
ritenere
che i muri "cattolici" siano automaticamente
educativi dato che ne sono stati benedetti i mattoni
alla posa della prima pietra. L'abitudine spesso porta
ad affidare alla struttura il compito dell'educazione.
Si è sempre fatto così, ormai è
tradizione...All'inizio si delega agli animatori, poi
al prete, poi ai muri. Poi è la fine...
è
il chiuderci tra i "nostri" che vediamo sempre.
Assumere il criterio dei pochi, ma buoni, perché
si è deciso che la santità è solo
per qualcuno. E' il rischio di selezionare i "buoni"
e allontanare i "cattivi", come segno della
fragilità della proposta educativa e dell'assenza
di presenze responsabili.
spazio
del "prima ci formiamo, poi andiamo". Spesso
ci attestiamo solo sul campo dei ragionamenti, riduciamo
il cristianesimo solo ad un cumulo di riunioni di gruppo
attorno ad un tavolo. L'oratorio deve far diventare
concreto l'essere per gli altri nel servizio, nel volontariato,
nelle esperienze caritative.