SEI MODI DI ANDARE IN GROTTA

di Beppe Dematteis (1969)
Articolo pubblicato su GROTTE n°41, gennaio-aprile 1970.
 
 

1) LA CACCIA ALLA GROTTA PIÙ PROFONDA
Ogni giudizio sincero su tale atteggiamento rischia di essere offensivo per chi ne è vittima. Perché infierire sulle vittime ? A ben vedere la colpa maggiore è di chi ha pensato che la complessità di un ambiente naturale possa essere ridotta in numeri ed ha creduto che una sbarra di metallo conservata nei sotterranei di Sevres potesse sostituire l'uomo come misura delle cose.
Se si accetta questo principio, è fatale che prima o poi il metro campione ed il numero diventino misura delle persone stesse, cioè che si finisca per credere che Tizio vale più di Caio perché ha fatto più metri. 
 

2) L'ESPLORAZIONE COME CONQUISTA E POSSESSO
C'è chi desidera possedere un oggetto non per le sue caratteristiche o per l'uso che ne può fare, ma solo per dire che è riuscito ad averlo.
Lo stesso fanno certuni con le donne (e viceversa) e se sono vergini è meglio. Per quache misterioso meccanismo psicologico avviene che certuni trasferiscono questa vuota brama di conquista alle grotte e siano capaci di fare una "prima" senza vedere altro che il posto dove appoggiano i piedi e le mani o dove piantano i chiodi delle scale. Dopo che l'hanno così conquistata la grotta perde per essi ogni interesse: violentata ed abbandonata. Verrebbe da dire che tale comportamento è bestiale, se la naturale saggezza delle bestie non impedisse loro di cadere in aberrazioni che sono esclusive dell'alienazione umana. 
 

3) L'ILLUSIONE DELLA SCIENZA
La scienza, nata cone disinteressata speculazione filosofica sulla natura, ha successivamente partorito una figlia, la tecnologia, assai meno idealista e piùlegata alle cose di questo mondo tanto da diventare oggi la massima fonte del potere economico e politico.
Cio' spiega come mai negli anni '60 la ricerca speleologica langue, salvo nei casi in cui l'intraprendente fantasia di qualche speleologo come Michel Siffre non riesce a stabilire un aggancio tra il mondo sotterraneo e ottenere così per l'ultima esperienza di speleonautica ('un veritable vol spatial simulé') una sessantina di milioni (v. LE MONDE 15 gen. 1969). A parte queste eccezioni, da quando, tramontati i sogni romantici dell'800, il principio dell'utile ha introdotto tra i vari rami della ricerca una ferrea gerarchia, la speleologia è fatalmente precipitata all'ultimo scalino di questa. In altre parole, la speleologia non serve a niente e perciò non ha niente a che fare con la scienza o almeno con ciò che oggi è la scienza.
A cosa porti di buono quest'ultima ognuno consideri poi nel suo intimo, dopodiché, se ama le grotte, si augurerà che la speleologia non serva mai a niente. Su quanto c'è di accettabile nella ricerca speleologica si rimanda al punto 6. 
 

4) LO SPELEOLOGO CHE PREPARA I MATERIALI PER LO SCIENZIATO
Chi si ostina a considerare dovere morale dello speleologo contribuire al progresso della scienza (identificato tout court con quello dell'umanità) mentre non ha la preparazione o comunque la possibilità di dedicarsi a vere e proprie ricerche scientifiche, rischia di cadere nel patetico. Voglio dire che sacrifica le sue ore sotterranee alla raccolta di dati, misure e reperti nell'illusione di partecipare così in qualche modo alla costruzione del grande edificio della Scienza.
Costui si guadagnerà forse il paradiso, ma certo spreca l'occasione di vedere le grotte con i suoi occhi, invece che attraverso le lenti filtranti di una scheda catastale, che forse nessuno "Scienziato" prendera' mai in mano (e se la prenderà è difficile che lo faccia per il bene dell'umanità). 

5) CHI VA IN GROTTA PER I FATTI SUOI
È per lo meno una persona normale, libera dalle alienazioni di cui ai punti precedenti, la quale trova nell'esplorazione delle grotte molte cose che suscitano il suo interesse e sono fonti di riflessioni e sentimenti in tutto degni dell'animo umano. Queste simpatiche persone non devono ovviamente pretendere di essere chiamati speleologi. 
 

6) LA SPELEOLOGIA COME POTREBBE ESSERE
Si tratta di restituire il significato originario alla parola LOGOS, che entra nella seconda parte di SPELEOLOGIA. Non scienza delle grotte, ma DISCORSO, cioè comunicazione.
Speleologo dovrebbe essere chi, vivendo a contatto con il mondo sotterraneo, comunica ciò che, grazie a questa sua esperienza particolare, vede, sente, pensa o prova, attraverso tutti i mezzi di espressione capaci di essere capiti dagli altri. Il contributo dello speleologo non dovrebbe andare tanto a beneficio della Scienza, quanto più in generale, della Cultura. Che ogni apetto della cultura possa essere arricchito dall'incontro con il mondo sotterraneo mi pare ovvio: dalla meditazione sulla condizione dell'uomo (si veda per esempio la prima parte del Saint Glinglin di Raymond Queneau), al reperimento di materiali, suoni, forme nuove per la musica e le arti figurative, passando per la fotografia, il cinema, il son-et-lumiere e via dicendo, comprese tutte le forme letterarie di espressione, e in particolare la descrizione razionale dei fenomeni naturali, cioè quanto va sotto il nome di speleologia scientifica ed è rivolto ad appagare la legittima curiosità della mente umana (e niente di più).
Come quest'ultimo aspetto, quello scientifico, così limitato com'è, possa essere stato considerato lo scopo principale, anzi, unico della speleologia rimane un mistero, ma certo è una cosa assurda. Quasi che la molteplicità e gli interessi che l'ambiente sotterraneo presenta si possa ridurre in una serie di memorie scientifiche, destinate alla polvere di qualche biblioteca, il tutto in omaggio ad una scienza che delle grotte non sa che farsene.
Insomma, se come speleologi abbiamo in mano le chiavi di un mondo, perché dovremmo limitarci all'anticamera? Non è forse questo il caso in cui potremmo giustamente proporci di raggiungere qualche maggiore profondita?