Introduzione

 

L’estetismo può essere considerato il parallelo inglese del decadentismo francese, a cui si richiama in larga misura.
Movimento tardo-romantico, l’estetismo affondava le radici nelle teorie della Pre-Raphaelite Brotherhood con cui i fratelli Rossetti (Dante Gabriel e William Michael), Holman Hunt, John Everett Millais e pochi altri, pittori, scultori, critici o scrittori (spesso tutte queste cose insieme), decisero nel 1848 di combattere il grigiore materialista della società industriale e il piatto realismo dell’arte accademica con un ritorno, in cui si fondavano misticismo e sensualità, all’Inghilterra medioevale e premedioevale, cavalleresca e leggendaria, ritorno alle emozioni, all’abbandono, allo spirito, contro il razionalismo, la concretezza borghese, la materia.
In Francia, Théophile Gautier (1811-!872) espresse il senso di frustrazione e incertezza dell’artista, la sua reazione contro il materialismo e contro il restrittivo codice morale borghese, col motto “Art for Art’s Sake” (tradotto “l’arte per l’arte”). Ciò rifletteva la fuga dell’artista in una “solitudine estetica”. L’uomo si rifugiava nella ricerca del Bello, per contrastare il clima politico-sociale borghese che lo soffocava. L’arte diventa espressione di sé stessa, indipendente dalla realtà, legata agli effetti e non ai fatti, l’arte, dirà Wilde, come “menzogna”.
Patriarca del movimento inglese era John Ruskin (di cui già nel 1843 era uscito il primo volume dei Modern Painters, appassionata difesa dell’arte di Turner), lo “scopritore” dei pittori primitivi italiani, di cui tuttavia l’estetismo risolutamente abbandonò il concetto di identità tra Bello e Virtù.
Da Ruskin e i preraffaelliti, l’estetismo prese la strada di un autentico decadentismo in cui, in un’atmosfera sensuale, estenuata e artificiosa, la vita perdeva sempre più consistenza per farsi trasparente immagine o invincibile tedio e la realtà veniva rigorosamente esclusa perché l’arte deve esprimere soltanto se stessa.
Nel 1882 il percorso verso il decadentismo era da tempo compiuto: il 1866 aveva visto la comparsa di quello che può venir definito il manifesto poetico dell’estetismo, la raccolta dei Poems and Ballads di Algernon Swinburne, e nel 1867-68 uscivano i primi saggi di Walter Pater, discepolo di Swinburne e maestro di Wilde e di tutto il decadentismo inglese di cui stilò involontariamente il credo.
Si avverte in queste opere il senso della fine di un secolo, della fine di un’epoca, il senso di una autentica decadenza nel significato storico del termine; e nel 1885, Pater, con Mario l’Epicureo, dichiara apertamente il legame tra estetismo o decadentismo fin de siècle e decadenza di Roma, sebbene proprio in Mario l’Epicureo si dia la pena di “moralizzare” il decadentismo di cui era stato maestro dando una forte sfumatura ascetica all’invito a afferrare tutte le sensazioni, tutti i moti dei sensi.
Gli esponenti dell’estetismo, delle correnti artistiche più moderne, erano forse nella posizione in cui si erano trovati i dandy e gli eccentrici al principio del secolo: ammirati, ricercati, amati, ascoltati e temuti a volte dalla società dominante per la loro novità, per la loro divertente eccentricità, ma nella sostanza soltanto tollerati, così come i re, saldi nel loro potere, avevano un tempo amato e tollerato i loro giullari.
Ricapitolando, le attitudini degli artisti decadenti possono essere riassunte in:                                              

la grande attenzione al proprio self (la grande cura nel vestire dei dandy, ma anche la “solitudine estetica”);

l’edonistica e sensuale attitudine verso la vita, nella costante ricerca del bello e del piacere;

la perversità;

il disincanto, anzi, il distacco, dalla società contemporanea.

            Tre possono essere considerate le opere principali dell’estetismo:

A’Rebours (tradotto in italiano con “Controcorrente”) di Joris-Karl Huysmans (1884);

Il piacere di Gabriele D’Annunzio (1889);

The picture of Dorian Gray (“Il ritratto di Dorian Gray) di Oscar Wilde.

L’estetismo può essere considerato il parallelo inglese del decadentismo francese, a cui si richiama in larga misura.
Movimento tardo-romantico, l’estetismo affondava le radici nelle teorie della Pre-Raphaelite Brotherhood con cui i fratelli Rossetti (Dante Gabriel e William Michael), Holman Hunt, John Everett Millais e pochi altri, pittori, scultori, critici o scrittori (spesso tutte queste cose insieme), decisero nel 1848 di combattere il grigiore materialista della società industriale e il piatto realismo dell’arte accademica con un ritorno, in cui si fondavano misticismo e sensualità, all’Inghilterra medioevale e premedioevale, cavalleresca e leggendaria, ritorno alle emozioni, all’abbandono, allo spirito, contro il razionalismo, la concretezza borghese, la materia.
In Francia, Théophile Gautier (1811-!872) espresse il senso di frustrazione e incertezza dell’artista, la sua reazione contro il materialismo e contro il restrittivo codice morale borghese, col motto “Art for Art’s Sake” (tradotto “l’arte per l’arte”). Ciò rifletteva la fuga dell’artista in una “solitudine estetica”. L’uomo si rifugiava nella ricerca del Bello, per contrastare il clima politico-sociale borghese che lo soffocava. L’arte diventa espressione di sé stessa, indipendente dalla realtà, legata agli effetti e non ai fatti, l’arte, dirà Wilde, come “menzogna”.
Patriarca del movimento inglese era John Ruskin (di cui già nel 1843 era uscito il primo volume dei Modern Painters, appassionata difesa dell’arte di Turner), lo “scopritore” dei pittori primitivi italiani, di cui tuttavia l’estetismo risolutamente abbandonò il concetto di identità tra Bello e Virtù.
Da Ruskin e i preraffaelliti, l’estetismo prese la strada di un autentico decadentismo in cui, in un’atmosfera sensuale, estenuata e artificiosa, la vita perdeva sempre più consistenza per farsi trasparente immagine o invincibile tedio e la realtà veniva rigorosamente esclusa perché l’arte deve esprimere soltanto se stessa.
Nel 1882 il percorso verso il decadentismo era da tempo compiuto: il 1866 aveva visto la comparsa di quello che può venir definito il manifesto poetico dell’estetismo, la raccolta dei Poems and Ballads di Algernon Swinburne, e nel 1867-68 uscivano i primi saggi di Walter Pater, discepolo di Swinburne e maestro di Wilde e di tutto il decadentismo inglese di cui stilò involontariamente il credo.
Si avverte in queste opere il senso della fine di un secolo, della fine di un’epoca, il senso di una autentica decadenza nel significato storico del termine; e nel 1885, Pater, con Mario l’Epicureo, dichiara apertamente il legame tra estetismo o decadentismo fin de siècle e decadenza di Roma, sebbene proprio in Mario l’Epicureo si dia la pena di “moralizzare” il decadentismo di cui era stato maestro dando una forte sfumatura ascetica all’invito a afferrare tutte le sensazioni, tutti i moti dei sensi.
Gli esponenti dell’estetismo, delle correnti artistiche più moderne, erano forse nella posizione in cui si erano trovati i dandy e gli eccentrici al principio del secolo: ammirati, ricercati, amati, ascoltati e temuti a volte dalla società dominante per la loro novità, per la loro divertente eccentricità, ma nella sostanza soltanto tollerati, così come i re, saldi nel loro potere, avevano un tempo amato e tollerato i loro giullari.
Ricapitolando, le attitudini degli artisti decadenti possono essere riassunte in:                                              

la grande attenzione al proprio self (la grande cura nel vestire dei dandy, ma anche la “solitudine estetica”);

l’edonistica e sensuale attitudine verso la vita, nella costante ricerca del bello e del piacere;

la perversità;

il disincanto, anzi, il distacco, dalla società contemporanea

Tre possono essere considerate le opere principali dell’estetismo:

  1. A’Rebours (tradotto in italiano con “Controcorrente”) di Joris-Karl Huysmans (1884);
  2. Il piacere di Gabriele D’Annunzio (1889);
  3. The picture of Dorian Gray (“Il ritratto di Dorian Gray) di Oscar Wilde.