S
alve a tutti,
sono Renata e vivo in un piccolo villaggio di montagna situato ai piedi dell’omonimo castello, con i miei due adorati figli.
Nata e vissuta in campagna, ho un amore spassionato per gli animali in generale (amore non sempre capito e condiviso dalla famiglia).
Mi sono sempre accompagnata ed attorniata di animali. E in questi ultimi sei anni non mi sono mai fatta mancare un cane, anzi almeno tre cani, che presa dalla compassione raccoglievo dalla strada o sottraevo a qualche vetrina di negozio (regolarmente pagati) o a qualche allevamento poco serio (sempre pagando) e ad alcuni dopo averli ripuliti, accuditi e curati ho trovato una nuova famiglia che si prendesse cura di loro con amore.
La mia più grande passione però sono i cani di tipo
retrievers, che per anni sono rimasti solo un sogno per me.
Due anni fa in un negozio vidi ed acquistai un golden
retrievers che però visse con me solo un anno, poi per esigenze familiare lo affidai al padre dei miei figli che vive in un piccolo angolo di paradiso nella valle del Cervino. Casa con un immenso prato cintato dove FLUKE, accudito e riverito, poteva correre e giocare, ma poi un giorno qualcuno pensò bene di appropriarsene e malgrado le frenetiche ricerche non lo vidi mai più.
Attualmente vivono con me e i miei adorati figli, due cani, un gatto e un pappagallino che brevemente vi descrivo:
ASIA: chihuahua arrivata dall’est, acquistata in un negozio con alcuni piccoli problemi agli occhi. Curata e accudita, l’anno scorso ha messo alla luce due piccole che ora vivono in due stupende famiglie adottive mentre lei continua ad essere la nostra vecchietta di casa.
TABATA: boxer bianco acquistata da un allevatore serio e regalata a mia figlia in occasione di uno dei suoi tanti interventi chirurgici e diventata inseparabile da lei.
LEONARDO: un gatto
exotic, tutto bianco come la neve che ricopre i nostri monti della Valle, acquistato in un ottimo allevamento ed ora anche lui inseparabile amico di famiglia.
COCCO: un inseparabile coloratissimo che canta allegramente nella sua gabbietta.
Ed ora la grande novità!!!
Finalmente dopo tanto cercare, in un serissimo e bellissimo allevamento ho trovato il mio sogno (MY DREAM) ed ora è in arrivo la mia prima Flat Coated Retriever:
SOPHIA questo è il suo nome e con lei ho in mente di fare grandi cose.
Spero in un prossimo futuro (molto vicino) di poter dare un amico o una amica alla mia
Flat e per questo mi farò consigliare bene in modo da salvaguardare questa stupenda razza che per fortuna di tutti è ancora un po’ sconosciuta, ma che spero tutti imparino ad amare, apprezzare e rispettare.
Chissà tra qualche anno magari vi presenterò i miei cuccioli e allora avrò realizzato appieno il mio sogno e ricevuto un grande premio dalla vita.
Se avete voglia di scambiare 4 chiacchere con la sottoscritta, non esitate a contattarmi all' e-mail
dreamflat@libero.it, sarò lieta di rispondervi. Oppure potete lasciare un messaggio sul mio GuestBook
Con affetto. Renata


 

 

 

 

 

 






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L'antica funzione del castello
Il castello di Chenal, costruito non prima del XIII secolo, apparve per la prima volta negli atti nel 1250 e da allora venne menzionato quasi sempre assieme al castello di Saint-Germain. Le due fortezze, entrambe edificate su speroni di roccia, consentivano di avere pieno controllo sulla strada medievale che passava proprio nella gola tra i due castelli.
L'edificio di Chenal non ha assunse mai il ruolo di castello vero e proprio, ma fu piuttosto una sorta di "dépendance" a servizio di quello maggiore di Saint-Germain, assumendo probabilmente il ruolo di caserma. Nei documenti dell'epoca si faceva distinzione tra il vecchio ed il nuovo castello, ma anche se quello di Saint-Germain venne sicuramente edificato per primo, non vi è probabilmente una grande differenza temporale tra le due costruzioni. Anche perché quello di Chenal, soprattutto in epoca medievale, svolse un'importante funzione di completamento e di appoggio per il "vecchio" castello, che sorgeva in posizione più strategica.

Descrizione architettonica
L'edificio, di pianta trapezoidale, appartiene alla classica tipologia del castello-recinto. I suoi muri perimetrali in pietra, lavorata in maniera piuttosto grezza, hanno uno spessore inferiore al metro. Internamente sembra che gli edifici non fossero tutti addossati alle mura esterne. Le pareti rimaste ancora in piedi mostrano due locali di servizio ed i resti di una torre ora distrutta. La porta d'accesso, costituita da un archivolto in pietra, è situata sul lato più lungo, rivolto verso il castello di Saint-Germain. Non vi sono resti della copertura, però all'interno del muro perimetrale verso Saint-Vincent, si vedono ancora i buchi sui quali poggiavano le travi del tetto.

Cenni storici
Nel 1261 il castello che era un possedimento dei signori di Montjovet, diventò proprietà degli Challant in seguito al matrimonio di Ebalo il Grande di Challant con Alexia, unica erede del signore di Chenal.
Nel 1438 il castello che era ancora di proprietà della famiglia Challant (del conte Francesco) venne confiscato e venduto ad Amedeo VII di Savoia. In seguito, intorno al 1540, venne probabilmente smantellato.


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Caterina di Chenal, visse in una casa non lontana dal Castello di Chenal

Caterina di Chenal oltre ad essere una donna molto bella, è una donna di indubbie,anche se discutibili, qualità. In particolare, per sua ammissione è guaritrice specializzata in foruncoli o favi, chiamati “droncloz” nel dialetto di allora per sanare i quali conosce una formula che comincia con “Beneyta fu ly houra que diou fu na /  et sita si ly pleit ansy / en nom de pare et dou file t dou sent esprit / amen………..”.
Possiede fascino, non eccessivi scrupoli, tanto “sex appeal” fa girare la testa al notaio Bonifacio, ad un altro eminente cittadino, il farmacista Jean Croy, cui pure regala un bastardo, ad un certo Vuillermin Franquin, con il quale convive tre settimane, ma c’è da giurare, a vari altri uomini, rimasti sconosciuti alla cronaca perché non presentatisi a testimoniare nel processo contro di lei. E ciò malgrado la “grida” fatta pronunciare nella messa grande domenicale nella chiesa parrocchiale di Saint-Vincent, nel corso del dibattimento.
Venticinque anni di età dividono la bella e il notaio. Bonifacio, che porta bene i suoi 45/50 anni è ammalato. Malia o magia, dunque e anche oggi non vedo chi, tra i custodi della pubblica morale, non gratificherebbe dell’aggettivo qualificativo di “strega” la maliarda che in pochi anni irretisce “con male arti” tutti i maschi locali.
Ma dire “strega”, in un secolo che manda al rogo in tutt’Europa un fiume di maledonne, appunto per “stregoneria”, è pericoloso anche in Valle d’Aosta.
La diocesi Aostana
  - autonomista come la comunità civile che il suo territorio abbraccia e che si è data ai Savoia  con molte riserve, gelosa dei propri privilegi – non ha mai voluto sentir parlare di inquisizione.
Ha sempre gestito e intende continuare a gestire in proprio la giustizia in materia di competenza religiosa, quali i crimini di eresia, stregoneria, simonia.
Tuttavia sono tempi calamitosi e di incertezza per la chiesa valdostana
  e per lo stato sabaudo, quelli in cui vive la maliarda Caterina. Il Duca Luigi manca di autorità, la corte é dominata da Anna di Cipro (1433/61) e da una folta schiera di bramosi levantini. Processi di inquisizione si istruiscono sempre più numerosi nella vicina Savoia e la metà dei beni confiscati alle “Streghe giustiziate” o delle pesanti multe alternative, vanno alla duchessa Anna e da Lei ai cortigiani e ciò dice qualcosa.
Circolano anche nella nostra diocesi “des membres du clergé nommés par le Saint-Siège chargés de s’enquérir des hérétiques”. Ma incaricati da quale Santa Sede e quale Papa se contemporaneamente ve ne sono tre, ed uno dei tre – dal 1439 al 1449 – é proprio un Savoia. Amedeo VIII, che un conclave svizzero ha innalzato agli oneri della della tiara col nome di Felice V.
Il Vescovo di Aosta, lo svizzero Antoine de Prez, nominato da Felice V, di cui è stato un elettore, difende senza troppo zelo e solo per le pressione del clero locale i privilegi antichi contro l’invadenza del “Tribunale di Santa Inquisizione”. Ma la chiesa valdostana ha altri problemi: “l’esprit de rébellion contre l’autorité spiritelle souffle dans la vallèe (Duc). Ayas, Brusson, Challand, Montjovet, contestano le sentenze del tribunale ecclesiastico . Ci si rifiuta di versare le decine dovute all’abbazia di Saint-Gilles. A Saint-Pierre, nel 1448 si arriva a vie di fatto nella chiesa stessa l’eresia serpeggia.
Alla metà del XV secolo si aggiunge per la petit patrie altro malessere, il disordine conseguente, nella Basa Valle, alla ribellione di Caterina di Challand, figlia di Francesco I°, morto nel 1442 che non vuole piegarsi alle antiche legge di successioni vigenti nel paese, le quali escludono le donne dalla successione feudale e, forte di un testamento e di un autorizzazione ducale, poi revocata, attizza la resistenza alle forze dei cugini del ramo di Aymavilles, sostenuti dai Savoia. Vi saranno lotte, scaramucce, una piccola guerra, con battaglie e assedi, lutti, prigionia, per la durata di dieci anni.
Il 6 Agosto 1449 la “strega” Caterina di Chenal è arrestata e sprofondata nelle segrete del castello di Montjovet. L’ultima infamia chele viene contestata, la classica goccia che fa traboccare il vaso, è “l’uccisione a mezzo di sortilegio” del parroco di Montjovet, Pierre Hospitis. Così dice l’imputazion, anche se la descrizione del male cui soccombe il povero prete farebbe oggi diagnosticare un tumore maligno e a rapida evoluzione, ma non è questa, dell’assassinio, che una delle ben quarantadue imputazioni che si sono addensate sul capo della nostra bella (ormai avviata alla cinquantina) e che vanno dall’eresia, alla medicina abusiva, dalla partecipazione a “sinagoga” in presenza del diavolo, all’antropofagia…..
In quanto al parroco di Santa Maria di Montjovet, come testimonia Alessia figlia di Antonio Guillelmi di Issogne, visitato tre giorni prima della morte, alla domanda “comment il se trouvait de sa personne”spiega di sentirsi male e di avere un “malum bollum ante pectore”: Dove potete aver preso una tal malattia? Gli domanda Alessia e don Hospitis, senza incertezze “in casa di Caterina di Chenal che mi ha propinato un beveraggio,  un certo “onisnustis” e poi del vino e codesta Caterina è la causa della mi malattia e perciò io devo morire”.
Si istruisce il processo. Inquisitore è frate Bérard Tremesii dell’ordine dei Minori, baccelliere in diritto e dottore in teologia, coadiutore il vicario generale della diocesi reverendo Guidon Bollite. Vi è già la deposizione di un teste che, libero dalle manette (essendo egli stesso detenuto per eresia), ha deposto il 12 luglio di quel ’49 al predetto inquisitore, presenti due canonici e il castellano, nel castello di Verres.
Le accuse sono pesanti. “Ho partecipato – dice il teste, tale Pierre Proveschy – ad una “sinagoga” tenuta nel villaggio di Perrière,l’anno 1430 nella casa di Marquiand, presente Caterina di Chenal, che là ho conosciuto, e l’ho veduta con i miei occhi mangiare e bere, precisamente mangiare un pane chiamato “fogachia” e rinnegare Dio, la Santa Vergine e tutti i Santi e baciare “in postremo” un diavolo in forma di gatto nero, al quale essa ha fatto anche la reverenza e poi sputare su una croce tracciata per terra e calpestarle”.
Qualcuno deve aver messo in dubbio la testimonianza di Proveschy, poiché ripetutamente e con nuovi testimoni presenti, gli vengono chieste conferme. “Libero da ogni catena di prigioniero, eccetto i ferri ai piedi” il nostro testimone ratifica sempre la prima deposizione. Salvo il giorno in cui si avvia alla pira destinata a spedirlo nel regno dei più “ignis consumptum”. Giorno che non conosciamo, ma anteriore al 1° dicembre  di quello stesso anno, quando il difensore di Caterina di Chenal pronuncerà la sua arringa. Quel giorno Pierre Proveschy, ai suoi esecutori e al popolo pronto a dar fuoco alla catasta su cui lo stanno legando, tiene a dire che tutto quanto ha affermato contro Caterina di Chenal è falso e mendace e filosoficamente si sottoscrive “zo lo fidei ortodoxe (io uomo di fede vera) tant la fin de mes jours est venue et je suis condamnè au feu”.
Ma restano altri accusatori che hanno la loro da dire. Vuillermet Franquin  racconta che durante la sua convivenza di tre settimane con la strega, 22 anni prima, i due figli di lei, Pantaleon (Mistralis) e Jean, che erano “en bas age”, l’avevano chiamata nel cuore della notte perché dalla finestra avevano  visto due diavoli sotto forma di lupi, che la spettavano ritti su una roccia poco lontana e allora gli occhi di Caterina di Chenal avevano sfavillato di una strana e viva luce!
Anche il notaio Calzini, incoraggiato dalla moglie, si presenta a deporre quello che sa: il suo collega Bonifacio Mistralis gli ha confessato che, benché obbligato a “cubare” (dormire) con la propria legittima consorte, “doveva” inseguito alzarsi, magari anche a mezzanotte, per andare a trovare Caterina di Chenal, persino con tempo cattivo, aggiunge.
La strega! Stessa sorte , pare toccasse al povero farmacista, Jean croy. A Francesca moglie di Pietro Deda è successo altro. Per colpa di maleficio di Caterina di Chenal , la sua vacca ha perso il latte. Ha dovuto ricorrere ad un complicato scongiuro per liberare la povera bestia della fattura: con una verga di quercia per tre settimane a stomaco vuoto, ha dovuto battere, come le è stato insegnato, la secchia di legno del latte, la caldaia di rame e l’imbuto pronunciando queste parole “zo no bato pas nyun de mes veysses me zo bato estries et eystriones”. Il latte è tornato e otto giorni dopo, Francesca, ha avuto la soddisfazione di vedere le conseguenze sui fianchi della responsabile. Caterina di Chenal, naturalmente, resa “souffrante et infirme” dai colpi dati ai recipienti.
Un paio di signore del paese depongono sulla cattiva reputazione dell’imputata e Margherita de Petit Rhun, che è stata a servizio per circa un anno, dice che, colpita da una accidente verbale scagliatole dalla padrona, s’è sentita subito un dolore al ginocchio “curato poi dalla stessa Caterina di Chenal, pentita di averle causato un male per un semplice capriccio”. Riferisce anche di frequenti uscite notturne della padrona.
Caterina di Chenal non confessa: Le si ricorda che è sotto giuramento, la si minaccia di scomunica e di venticinque “livres fortes” di multa. Ancora non ammette nessuna colpa, salvo, ma di questo deve rispondere a Dio, il peccato di luzzuria. Siamo a fine ottobre, il tribunale siede nella camera che fù già del Conte Francesco nel castello di Montjovet. Oltre all’inquisitore sono presenti il parroco di Montjovet Borgo, un magistrato della Corte Episcopale, il vice castellano e due testi laici.
“Conosce almeno l’imputata il Pater Noster e l’Ave Maria?”
Li conosce e li recita alla Corte. Conosce anche un’altra preghiera, in patois questa quella per guarire i foruncoli e la recita pure. Eccola in traduzione “Benedetta l’ora in cui Dio nacque, / così gli piacque, /nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen / Nostro Signore Gesù Cristo per terre andava / tre fratelli buoni incontrava /dove andate voi tre fratelli bravi? / Signore Gesù Cristo, sul monte Oliveto. / A far cosa bravi fratelli? / a cercare erbe e fiori per guarire dolori e piaghe. / Tornati (con le erbe) tre fratelli buoni prendono lana di pecora e olio vegetale (probabilmente di mandorla, secondo un suo uso non dimenticato)
  per guarire queste piaghe e così possano guarire come quelle di Nostro Padre Gesù Cristo / in nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”. Poi il malato deve segnarsi e recitare cinque Pater in onore delle cinque piaghe del Nostro Signore.
Se in passato ho fatto uso di questa preghiera è stato a fin di bene, di tutti gli altri capi di accusa nella è vero – insiste Caterina di Chenal.
Che torni nella prigione la pervicace!
E’ giocoforza ricorrere alla tortura. Bérard Tremesii ne fa richiesta ufficiale alla Corte Episcopale e l’autorizzazione è concessa. Si arriva così alla seduta del 10 novembre. Si intima all’imputata di dire la verità, ossia riconoscere giusti i capi di accusa, e di giurare. Caterina di Chenal nega ogni colpa e rifiuta di giurare, una volta, due volte, tre volte.
L’inquisitore tuona: “Caterina torqueri debere et tormenté” . “Non intendiamo tuttavia – aggiunge – farti morire, né mutilarti e neppure provocare effusione di sangue”.
E’ subito condotta nella stanza della tortura, legate le mani dietro la schiena, viene sospesa ad una corda e le viene inflitta una piccola “cavallata”.
Che tipo di tortura sia esattamente questa “cavallata” non lo sappiamo. Quel che sappiamo è che Caterina di Chenal non solo non confessò proprio niente, ma alzò al cielo tali strilli – sihskio (sicllio) nel testo – da consiliare di rinviare quel trattamento in attesa di escogitarne di più validi per costringerla a dire la verità.
Altro interrogatorio quattro giorni più tardi, altra tortura, altro diniego. “Gyo nego omnes petitiones vestras”, dice Caterina di Chenal , dolorante, ma fremente di sdegno.
Una donna di ferro! Ed è un sollievo che registriamo a questo punto della vicenda, un intervento, che come vedremo, avrà favorevoli conseguenze: a palazzo episcopale viene depositata istanza di garantire legale difesa all’imputata.
E’ il 24 novembre 1449 ed a presentare l’istanza – sottoponendosi a tutte le condizioni che gli sono imposte, in particolare di assumersi le spese processuali e di detenzione dell’imputata – è Pantaleoin Mistralis. Personaggio che conosciamo, figlio di Bonifacio e padre di Pierre Bertrand. Caterina di Chenal è sua madre, anche, se, lo ripetiamo, non è la legittima consorte del fu notaio suo padre.
Le cose cambieranno da questo momento. Anche grazie al fatto che il difensore scelto da Pantaleone è un luminare del diritto, canonico della cattedrale, baccelliere, già procuratore fiscale in altra causa di stregoneria. E’ belga di origine, nativo di Fleurus nella diocesi di Liegi. Deve essere sulla cinquantina quanto entra nella nostra storia, morirà nel ’75 ed è sepolto nel chiostro della cattedrale valdostana.
La sua difesa si imposta su quattro punti: 1) non si può tenere conto della deposizione Proveschy in quanto ritrattata in “articulus mortis” e fatta da persona non degna di fede ed eretica; 2) nessuna prova di stregoneria è stata portata contro Caterina di Chenal, i testimoni si sono limitari a ripetere cose “sentite dire”; 3) sul fatto del parroco di Montjovet, se di assassinio trattasi, la questione non è di competenza del tribunale ecclesiastico, che anzi deve assolutamente astenersi, secondo preciso parere della corte di Roma, in cause criminali; 4) l’imputata non ha mai confessato, benché sottoposta a tortura alcuna colpa, né colpa pare possa considerarsi quella di recitare preghiere, con parole che non sono affatto eretiche, in presenza di casi di malattia.
Frate Bérard Tremesii non demorde; fa ricercare dal pulpito della parrocchiale di Saint-Vincent, per due domeniche, pubblicamente altri e più sicuri testimoni. Ma non ha successo. Si deve emettere la sentenza e non sarà di morte.
Lunga e articolata sentenza che bandisce Caterina di Chenal dal territorio della diocesi (entro sei giorni, dalla data della sentenza, che è del 23 dicembre) pena la morte per fuoco, le ordina id andare in pellegrinaggio a Roma, di portare sul petto e sulla schiena una croce di tessuto rosso alta un palmo, pagare le spese della sua detenzione ed abiurare gli errori del passato secondo una precisa formula dettata d al tribunale.
La pena si portare la croce rossa sul petto e le spalle viene condonata sul momento stesso della lettura della sentenza da Caterina di Challand (figlia del Conte Francesco) che assiste in compagnia dekl suo secondo marito, Pierre d’Introd, allora luogotenente generale del contado.
In quanto all’abiura, che la cronaca non ci dice come e quando Caterina di Chenal fece, eccome la formulazione (in essenziale): “Io Caterina di Chenal …… inginocchiata,le mani sui santi vangeli….. abiuro profondamente e detesto ogni eresia contro la fede cattolica e Santa Madre Chiesa”. “Inoltre abiuro e detesto…. Il bastone per cavalcare, l’omaggio al diavolo, la sua adorazione, i suoi tributi…. Le infermità inflitte con l’arte diabolica, i bambini uccisi e le loro carni mangiate nel corso delle nefandissime sinagoghe…….” – “Giuro che d’orinnanzi non riceverò alcun eretico…. E se avrò dei sospetti che una persona sia eretica la denuncerò senza indugi” – “Giuro e prometto di vivere secondo le regole di Santa Madre chiesa…..”
Se ci meraviglia si sentir parlare di bambini uccisi e mangiati, facciamo un salto indietro ed andiamo a leggere tra le imputazioni. Vi troveremo quanto segue: “Ci consta che hai appartenuta alla setta dei moderni eretici rinnegando Dio e la Santa Vergine, ricevendo il diavolo in presenza di parecchie persone, rendendogli omaggio e pagandogli tributo mediante bambini uccisi e mangiati in vari luoghi nel corso di nefandissime sinagoghe, infliggendo infermità, commettendo misfatti, adoperando il bastone per cavalcare e l’infusorio (siringa medioevale per iniettare in vena), causando sortilegi, invocando il demonio……”
Non sappiamo quel che avvenne di Caterina di Chenal dopo il natale del 1440 quando questi fatti si concludono, per fortuna meno drammaticamente del terribile.
Certo che se ha molto peccato, molto le deve essere perdonato per quanto pagato.


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