Il Vendicatore di Marsiglia, ovvero

Le Vengeur de Marseille, ou

Avenger from Marseilles

 

By “Tre Moschettieri”

 

Tutti i diritti sono riservati ai singoli Autori (Riccardo N. Barbagallo, Vincent Mollet e Gennady Ulman  rispettivamente per i capitoli in italiano, francese e inglese). E' vietata la riproduzione in tutto o in parte nonché la traduzione del testo del romanzo senza la previa ed esplicita autorizzazione dell’intero gruppo degli aventi diritto.

 

 

 

Premessa

 

In Italia si chiamava Romanzo d’appendice, Roman-Feuilleton in Francia, Penny Dreadful e Penny Blood in Inghilterra, Groschenroman in Germania, Follétin in Spagna. Una molteplicità di termini che servivano a designare un unico prodotto letterario industriale caratterizzato per la ripetitività dei temi affrontati, la presenza di personaggi stereotipati e la chiusura “ad effetto” di ciascuna puntata. In ognuno di essi il romanziere riprendeva un fondo comune di situazioni e ruoli narrativi usando una scrittura accessibile al vasto pubblico che produceva una versione personale dei grandi miti universali.

 

Ufficialmente la narrativa seriale nasce nel 1836 in Francia quando La Presse di Émile de Girardin e Le Siècle di Armand Dutacq iniziano a dedicare le pagine centrali dei loro giornali ai roman-feuilletons, all’inizio soltanto dei romanzi divisi in pezzi e pubblicati periodicamente, primo il Lazarillo de Tormes, ambientato nei bassifondi della Spagna del Cinquecento.

In realtà oltre la Manica le narrazioni a puntate venivano già pubblicate da una quindicina d’anni, ma solo nel 1836 scoppiò una vera e propria febbre popolare con la comparsa di uno dei primi lavori di Charles Dickens (1812-1870), The Posthumous Papers of the Pickwick Club.

 

L’archetipo del genere fu Les Mystères de Paris di Eugène Sue (1804 –1857). La prima puntata apparve il 19 giugno 1842, in appendice al conservatore Journal des Débats, e la pubblicazione proseguì fino al 15 ottobre 1843, per un totale di 147 appendici, subito riunite in dieci volumi. Il romanzo ottenne un trionfale successo di pubblico e l'eco si fece sentire anche in sede governativa. Durante la pubblicazione, infatti, nonostante il Journal fosse accusato in Parlamento di "far passeggiare da un anno i suoi lettori per le fogne parigine", Sue ricevette la Croce della Legion d'onore dal Ministro della Pubblica Istruzione.

 

In effetti, nei tapis francs descritti nel romanzo ritroviamo un vero e proprio inventario di avventurieri denominati genericamente Mohicans od Apaches. Tra i personaggi più biechi, degni dell’infame dizionario furfantesco di Bîcetre e della Concergerie, ritoviamo i charrieurs, gli scionneurs, i vautarniers, senza contare i ladri alla carrouble e alla forline. In quest’universo si muovono poi studenti squattrinati e dandys, avvolti in ampi mantelli che già allora non si vedevano che nei ritratti di Chateaubriand e di Byron, prostitute e grisette, nobili decaduti ed onesti artigiani perseguitati dalla miseria.

 

In realtà, indipendentemente dall’estrazione sociale del lettore, gli archetipi e i temi che la letteratura popolare esprime (ad esempio il mito del vendicatore, della fanciulla perseguitata, del seduttore, della cortigiana pentita, della donna fatale e del criminale ravveduto) hanno il potere di conquistare il pubblico perché mantengono inalterato in ogni epoca il fascino della narrazione coinvolgente e potentemente evocativa che si ritrova nell’Iliade e nell’Odissea, nelle Chansons de Geste, nei Nibelungenlied e nel Ciclo Arturiano.

 

Ma le mode cambiano … e si modificano pure le tecniche per affabulare il pubblico. Dai romanzi popolari, di cui la saga di Angelica rappresenta uno degli epigoni di maggiore interesse storico-sociale, si giunge agli interminabili serials televisivi, fino ai più recenti reality-show. Ma questa è un’altra storia e bisognerà raccontarla un'altra volta !

 

 

Riccardo Barbagallo

 

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Per saperne di più …

 

  • Barbagallo R.N., L’aventure dans la littérature populaire italienne, de Mastriani aux “petits-neveux” de Salgari. Le Rocambole 21: 107-122, 2002.

 

  • Barbagallo R.N., Où l’on enquête sur l’énigmes des Mystères du Monde d’Eugène Sue. Le Rocambole 23: 133-140, 2003.

 

  • Bianchini A., La luce a gas e il feuilleton: due invenzioni dell’Ottocento. Liguori, 1988.

 

  • Bleiler E. F., Introduction. Wagner, the Wehr-Wolf. By George William MacArthur Reynolds. Dover Publications, 1975.

 

  • Brunori V., La grande impostura. Indagine sul romanzo popolare. Marsilio Editori, 1978.

 

  • Dalziel M., Popular Fiction 100 Years Ago: An Unexplored Tract of Literary History. Cohen and West, 1957.

 

  • Gramsci A., Letteratura e vita nazionale. Torino: Einaudi, 1966.

 

  • Nathan M., Splendeurs et misères du roman populaire. Press Universitaires de Lyon, 1991.

 

  • Queffélec L., Le roman-feuilleton français au XIXe siècle. PUF, 1989.

 

  • Romano M., Mitologia romantica e letteratura popolare: struttura e sociologia del romanzo d’appendice. Longo, 1977.

 

  • Vareille J.-C., Le Roman Populaire Français (1789-1914). PULIM, 1992.

 

 

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Gli Autori

 

Riccardo N. Barbagallo - Docente di Tecnologie Alimentari, Tecnologia dei Prodotti Agrumari e Microbiologia Agraria presso la Facoltà di Agraria, Università di Catania. Da diversi anni si occupa dell’isolamento, purificazione, immobilizzazione e caratterizzazione di enzimi in ambito alimentare. L’intensa attività scientifica è supportata da numerose pubblicazioni su riviste internazionali ad elevato impact factor. Appassionato di storia, tra una pubblicazione scientifica e l’altra si dedica, fra l’altro, allo studio comparato della letteratura popolare mondiale, pubblicando le sue ricerche in parecchi siti (fra gli altri, mystères urbains), nonché nella rivista francese Le Rocambole. Componente del gruppo di discussione di Wold Newton e Bloods and Dime Novels.

 

Vincent Mollet  Francese, nato a Albi. Discendente in linea diretta da un ammiraglio e da due forzati. Ha iniziato ad avere il gusto per la storia, la letteratura e le lingue antiche all'età di quattro anni, leggendo Astérix. Allievo dell’Ecole des Chartes, conservatore storico a servizio della Marina Nazionale, è incaricato degli archivi e della biblioteca del porto di Tolone. Considera ogni romanzo sciocco, interminabile e centenario come un capolavoro. È in particolare una delle rare persone sopravvissute alla lettura integrale della saga di Rocambole di Ponson Du Terrail. Componente del gruppo di discussione di Wold Newton.

 

Gennady Ulman - Professore d’Inglese, Letteratura Mondiale e Psicologia al Professional Business College di New York (USA). Originario di Odessa (Ucraina). Lingua madre: russo. Specialista nella traduzione di poesie dall'inglese e dal francese verso il russo, e viceversa. Passioni: l'aspetto avventuroso della letteratura popolare. Sta preparando un'enciclopedia degli autori d’avventura delle differenti nazionalità. Altre passioni: i grandi misteri del mondo (poltergeists, UFO, Atlantide e civiltà perdute, paleocontatti, Sindone, ecc.)

 

 

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Le Regole del Gioco

 

Questa  sorta di roman-feuilleton che vi apprestate a leggere e che speriamo incontri il vostro favore nasce da un progetto a lungo meditato da Riccardo N. Barbagallo il quale ha deciso di condividere con Vincent Mollet e Gennady Ulman l’ideazione e la stesura in tre lingue diverse di un lavoro che avesse caratteristiche d’internazionalità per i temi e le vicende presentate. In questo romanzo troverete tutti i gli stereotipi e le tematiche del romanzo popolare ottocentesco, gli ingredienti del romanzo sociale, cappa e spada, gotico, sentimentale, epistolare, ecc.

Il romanzo viene scritto “step by step” da ciascuno degli autori che si alternano, un capitolo ciascuno, senza che vi sia alcun intervento sul plot ideato e scritto dagli altri.

Prima di avviarsi a scrivere un nuovo capitolo ognuno degli autori revisiona l’intero lavoro, mediante l’ausilio di una scheda relativa alla biografia dei personaggi, costantemente aggiornata da Riccardo e da una scheda cronologica, il cui responsabile è Vincent, così da arricchire continuamente di dettagli la vicenda come pure l'antefatto, riuscendo così a far combaciare ogni avvenimento come le tessere di un grande puzzle. Ognuno dei “Tre Moschettieri” è libero di scrivere spontaneamente tutto ciò che piace, anche stravolgendo i fatti presentati dall’autore che l’ha preceduto, evitando comunque d’inserire cognizioni note oltre la fine del XIX secolo e facendo in modo che ognuno si senta responsabile per le modifiche apportate, con l’intento di rendere il progetto quanto più accattivante possibile. Questo è secondo i “Tre Moschettieri” è il punto di forza del progetto rispetto alla trascuratezza di alcuni roman-feuilleton dell'Ottocento. Si precisa che alcune differenze di stile e grafia fra i diversi capitoli sono stati mantenuti al fine di non alterare il testo originario.

 

Buona lettura … !

 

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 PARTE PRIMA

 

 

Capitolo I

 

Nel quale facciamo la conoscenza del nostro eroe

E’ una grigia serata del 1834 con un freddo intenso reso acuto dal gelido mistral sibilante lamentoso fra i comignoli delle case che si stagliano neri contro il cielo punteggiato di stelle. Un uomo alto e ammantato di nero, cammina lentamente nella notte lungo il porto della città di Marsiglia. Il suo aspetto misterioso lo rende simile ad uno degli eroi fatali di byroniana memoria.

Dopo qualche minuto d’esitazione si ferma all’osteria Vecchia Ancora dove, appartatosi nella zona meno visibile del locale, si siede e consuma lentamente del cognac. Nessuno si cura di lui e l’uomo non fa nulla per farsi notare dagli astanti.

Da lì, tuttavia, assiste non visto ad una scena rivoltante: un uomo di una sessantina d’anni, che già aveva notato per il suo comportamento arrogante, costringe un bambino di una decina d’anni, entrato nell’osteria per comprare pane, vino e formaggio, a consegnargli tutto il denaro che ha guadagnato durante l'intera giornata suonando il suo violino in compagnia di uno smagrito cane.

“Molla l’osso, moccioso della malora. Ti ho già detto più di una volta che per suonare a quell’angolo di strada devi prima chiedere il mio permesso e … pagare per rimanerci!”

“Ma signore, io non posso darvi nulla perché il poco denaro che ho guadagnato mi serve per pagare il cibo e alcune medicine che servono a curare mia madre la cui salute da ieri è peggiorata notevolmente”, implora il ragazzino con le lacrime agli occhi, mentre il suo cane abbaia senza tregua.

Ma il furfante è irremovibile - “Io non faccio beneficenza”, ha la sfacciataggine di esclamare scandalizzato. Poi, non solo si appropria del denaro ma, con sadica cattiveria, prende a calci il povero cane scaraventandolo fuori dall’osteria.

L'uomo misterioso che ha osservato tutta la scena, notata l’impassibilità degli avventori presenti, si alza dal suo tavolo e con passo risoluto si dirige verso il delinquente.

“Ti ordino di restituire al bambino quanto gli hai rubato … subito!” dice risolutamente il nostro eroe con un tono che non ammette repliche.

 “Amici, avete sentito? il signore mi sta minacciando. Che ne dite se gli diamo una bella lezione?”, ribatte il furfante con aria sprezzante ed ironica. Ma non ha il tempo di finire la frase che l’Uomo in Nero gli torce il polso costringendolo a restituire al bambino il denaro. Il piccolo, commosso, ringrazia il suo salvatore ed esce rapidamente dal locale. Il delinquente, dolorante e umiliato medita vendetta.

Più tardi, infatti, l’uomo misterioso uscendo dall'osteria è aggredito alle spalle dallo sfruttatore che ha chiamato i rinforzi di altre tre persone. Nonostante la posizione di svantaggio, il nostro eroe riesce lestamente a mettere fuori gioco i due uomini più forti, poi il delinquente, impugnato un coltello, cerca a tradimento di pugnalare il nostro eroe che riesce a disarmarlo. Lo sfruttatore furente, sotto le mani dell’uomo misterioso, chiama in soccorso il più giovane dei compagni che si era tenuto fino ad allora da parte nella colluttazione e gli intima, con parole di rabbia e dolore assieme, di raccogliere il coltello per pugnalare il rivale.

“Non vedi che tuo zio ha bisogno di rinforzi? Aiutami, cosa aspetti che questo dannato figlio di … mi uccida?”.

Il giovane, colpito nel proprio orgoglio, raccoglie il coltello e si slancia come una furia verso l'Uomo in Nero. Questi però riesce a schivare il colpo e, dopo una lunga colluttazione, il coltello penetra nel fianco dell'aggressore.

Prima di accasciarsi il giovane guarda in viso l'uomo misterioso e questi, a sua volta, notando i lineamenti contratti dell’aggressore, impallidisce ed esclama: - "Oh mio Dio, il cielo possa fulminarmi perché ho ucciso … ho ucciso ancora una volta !".

 

 

Chapitre II

 

Dans lequel un petit Marseillais s'exerce au métier de détective

Le lendemain, Siffrein - c'est le nom du petit joueur de violon - se risque à nouveau aux alentours de l'auberge. L'homme blessé la nuit précédente a été transporté par ses compagnons, désireux d'éviter les questions de la police, dans une des chambres de la maison. Il s'y remet lentement de son coup de poignard, soigné par un médecin que les membres de la pègre appellent fréquemment dans des cas semblables. Le docteur interroge le jeune truand sur les circonstances de sa blessure, et paraît surpris par la description de l'homme en noir, comme si elle lui rappelait quelqu'un qu'il connaît.

Siffrein ne saura rien de ce détail, se contentant de laisser traîner ses oreilles à la porte de l’auberge pour s’informer sur les événements de la nuit et leurs conséquences. Après avoir appris que le blessé gardait la chambre et que l'homme en noir avait disparu, il repart dans les rues, escorté de son chien, vers un des endroits où il a l'habitude de jouer quotidiennement. En chemin, sur le Cours Belzunce, il a la surprise de croiser, sans être vu de lui, l’homme qui l’a protégé.

Il entreprend aussitôt de le suivre discrètement. Sa filature l’éloigne rapidement des quartiers résidentiels et le conduit dans une rue déserte entre deux entrepôts près du port. En se dissimulant derrière un angle de mur, il voit l'homme en noir rejoindre un colosse aux cheveux roux, vêtu comme un matelot, avec lequel il avait visiblement rendez-vous. Siffrein se cache pour écouter leur conversation, mais la distance et le ton relativement bas des deux hommes ne lui permettent pas de percevoir grand-chose, sinon que le colosse témoigne du respect à son interlocuteur et l'appelle "capitaine". En tentant de s’approcher plus, il est aperçu par le colosse qui, avec une rapidité étonnante pour sa masse, se précipite sur lui et l’empoigne. L'intervention de l'homme en noir, qui reconnaît son protégé de la nuit précédente, lui évite un mauvais parti.

Interrogé, Siffrein décrit la vie misérable qu’il mène avec sa mère et sa soeur, et cherche à convaincre son sauveur de venir chez lui faire leur connaissance. L'inconnu sourit - c'est la première fois - en apprenant que le chien du jeune garçon s'appelle Amiral.

"Puisque je ne suis que capitaine," dit-il, "je dois suivre l'amiral".

Arrivés près du taudis où habite Siffrein, l'enfant, l'homme en noir et le colosse trouvent le quartier en pleine révolution: le choléra vient de se déclarer à Marseille, et la mère du jeune garçon présente les symptômes du mal. Un groupe de voisins, terrorisés par l'idée de la contagion, discute devant la porte de l'immeuble. Sans hésiter, l'homme en noir fend la foule et monte jusqu'à la chambre de la malheureuse. "Je ne crains pas la mort," dit-il, "elle est ma débitrice!"

 

Capitolo II

In cui un piccolo marsigliese si esercita al mestiere di detective

L'indomani, in giro per le vie di Marsiglia col suo cane Amiral, il piccolo Siffrein incontra casualmente l'Uomo in Nero. Lo segue, senza essere visto, fino ad una via deserta tra due magazzini vicino al Porto. Qui, l'uomo misterioso raggiunge un colosso dai capelli rossi e vestito da marinaio: il suo servitore, Moucheron. Siffrein si nasconde per spiarli, ma è sorpreso da Moucheron. Convince i due uomini a seguirlo fino al misero palazzo dove abita. Appena giunti, apprendono che il colera si è appena manifestato a Marsiglia e che la madre di Siffrein presenta i sintomi del male. Senza esitare, l'Uomo in Nero entra nella casa della sfortunata.

 

 

Chapter III

 

In which we learn that The Man in Black has not only enemies, but friends too

The old Marseilles never sleeps at night. The crowds of people are gradually walking across the city coming down to the Vieux Port, taking the boats, with a crew and without it. Some lonely fiddler is playing his untuned fiddle, and those who listen can hardly recognize the song of Marseillan fishermen. Beside the fiddler near the dark waters, there is an unmoving figure of a jester who makes his miserable living by silent standing for hours. Rarely some housekeeper drops a coin into his wooden bucket. Suddenly the muffled sound of the next coin alerted the jester. He moved swiftly, all of a sudden changing his position and looked into the bucket.

A coin was wrapped into something. The jester, carefully looking around, took the coin out and unwrapped it "What is it? A banknote?", whispered the fiddler. "Much better", said the jester. "Hotel de Cabre". "When?" "Don't worry, Saltis. We still have the time to eat and to change." "Holy God", said the fiddler." Do I hear what really is going on? After all these years. But he cannot come. He is dead. They all are dead". "Don't scream", said the jester. "The Marseilles citizens know so many secrets, let us not get them familiar with another one". If one could follow them leaving the Vieux Port, he might be surprised.
Their gait was becoming straighter, the faces took completely a different expression. Usually such gait belongs to the officers, more than that,-- to the naval officers. Retreating to Canebiere, Saltis said, "What about the boy? I guess I taught him to play the violin not in vain. His agility might be helpful, you know, Darcene!

"You got completely crazy, Saltis. I am not Darcene. Did you forget my name?

"It's time for you to become Darcene", stubbornly retorted Saltis.

"Hôtel de Cabre, Maison Diamantée. The place does not change"

"Hurry up". "What if he asks about... You know whom I mean. What will we answer?

"The truth". "I want to take my sword"

"Yes, I figure, it's necessary"

In half an hour, the small inn "Three crowns" was shocked by the presence of two noblemen who ordered a rooster and a bottle of Clicquot. The host sent a messenger as such champagne was not in his possession.

Two wine glasses clinked. "Time', said Saltis. "High time", retorted Darcene.

 

Capitolo III

Nel quale apprendiamo che l'Uomo in Nero non ha solamente dei nemici, ma anche degli amici

E’ notte al Vecchio Porto di Marsiglia. Un suonatore di piffero, Saltis, ed un comico, Darcène, si guadagnano da vivere con la musica ed eseguendo acrobazie. Qualcuno depone un biglietto nella ciotola che contiene le offerte di denaro. Il messaggio riporta: "Palazzo de Cabre". Felici, i due lasciano immediatamente il porto, si cambiano d’abito e poco dopo bevono dello champagne. Certamente con dei vestiti diversi, appaiono come degli uomini differenti.

 

 

Capitolo IV

 

Nel quale Poussin fa un giuramento che cambierà la sua vita

Come sicuramente i nostri cortesi lettori ricorderanno avevamo lasciato il misterioso Uomo in Nero in procinto di precipitarsi all’interno dell’edificio dove la sfortunata madre di Siffrein lotta tra la vita e la morte. Il ragazzino si precipita all’interno con l’uomo ma, giunti fino all’uscio della misera soffitta dove la povera donna, pallida come un cadavere, geme in un bagno di gelido sudore - inconfondibile sintomo del colera - entrambi trovano a sbarrare il passo la sorella maggiore di Siffrein, Jeannette, la quale supplica l’uomo di abbandonare la casa e portare con sé il piccolo Siffrein.

“Signore ve ne prego, allontanatevi e tenete con voi il mio fratellino. Prendetevene cura e che il cielo vi benedica!”.

Anche Moucheron, il colosso, è giunto sulle scale; l’Uomo in Nero gli impartisce l’ordine di chiamare immediatamente un medico e di provvedere all’acquisto di tutto quanto possa servire all’ammalata. Poi, offre alla giovane donna del denaro e le promette che si prenderà cura del fratello. Sarà Jeannette ad occuparsi direttamente della madre. Siffrein piange disperato ma l’uomo misterioso e il docile Amiral gli sono vicini.

Intanto Vinnie, detto Poussin - il giovane delinquente che ha attentato alla vita dell’Uomo in Nero - ha durante il sonno un incubo nel quale rivede se stesso da bambino vagare per le strade di Marsiglia con lo zio che, avvolto in un mantello nero, lo costringe nelle serate d’inverno a rapinare i ricchi signori all’uscita dal teatro.

Lui non vorrebbe rubare, ma lo zio si volta all’improvviso e, sotto le fattezze dell’Uomo in Nero, gli pianta una coltellata allo stomaco. Il giovane si sveglia all’improvviso e giura a se stesso di ritrovare l’uomo misterioso – “Dovessi fare il giro del mondo, troverò quell’uomo”.

 

 

Chapitre V

 

Dans lequel Siffrein se pose des questions et Poussin demande une réponse

L'imposant hôtel particulier de la famille de Cabre, dans le vieux Marseille, est resté inhabité pendant près de dix ans, après que ses occupants aient disparu à la suite d'un scandale. Un jour, les voisins découvrent avec surprise qu'un nouveau propriétaire s'est installé. Il demeure invisible, et on ne fait qu'entr'apercevoir ses deux domestiques: un colosse aux cheveux roux, et un enfant que l'on voyait auparavant jouer du violon dans les rues de la ville.

Vers le soir, deux hommes arrivent par la rue, peu fréquentée à la fin de cette journée où la rumeur du choléra s'est répandue dans la ville. Lorsqu'ils entrent dans l'hôtel, Siffrein, à sa grande stupéfaction, reconnaît l'un d'eux. C'est, dans un habit de soirée impeccablement coupé, le saltimbanque qui lui avait appris à jouer du violon. L'homme feint de ne pas l'avoir vu. Le maître des lieux serre les deux visiteurs dans ses bras et les fait entrer dans ses appartements; Siffrein, malgré toute sa curiosité, n'en saura pas plus pour le moment. Lorsque, à la nuit tombée, les deux hommes ressortent de l'hôtel, l'enfant parvient à saisir une bribe de leur conversation:

"C'est étrange, Saltis, il ne nous a posé aucune question sur elle!"

"Que veux-tu que je te dise?" répond Saltis en haussant les épaules. "Soit il en sait déjà autant que nous, soit il ne s'intéresse plus à elle."

Pendant ce temps, dans sa chambre à l'auberge, Poussin voit entrer le chef de sa bande venu prendre de ses nouvelles. Il a justement une question à lui poser: "J'ai besoin de savoir comment est mort mon oncle," lui demande-t-il. "Vous le connaissiez bien, n'est-ce pas? Je sais qu'il y a dix ans on l'a retrouvé poignardé dans le Vieux Port, mais il faut que vous m'en disiez plus!"

 

Capitolo V

In cui Siffrein si pone delle domande e Poussin chiede una risposta

L'Uomo in Nero si è installato a palazzo de Cabre. Rimane incognito ai vicini che vedono nei paraggi solamente i suoi due domestici: Moucheron e Siffrein. Di sera, Darcène e Saltis, in abito da sera, gli rendono visita. Siffrein, con grande stupore, riconosce Saltis che finge di non averlo visto. Quando i due uomini ripartono a notte fonda, il bambino è riuscito a cogliere qualche brano della loro conversazione. Frattanto, nella camera alla locanda dove Poussin si rimette della ferita, giunge il capo della banda per avere sue notizie ed il giovane l'interroga sulla morte dello zio.

 

 

Chapter VI

 

In which the reader learns that music not only entertains, that lethal diseases are not always lethal, and that the nick-name of the Man in Black is not peaceful

The doctor, a worthy man in his fifties, tall, thin, with whiskers and a valise, almost unmistaken showing his profession left the shack where the sick woman and her children lived. While coming to the street he kept shrugging and muttering something indistinctive under his nose. If somebody wanted to eavesdrop, he might hear the words expressing outrage and confusion. "I don't say anything, the payment was more than generous, but even for the salary twice as much, I won't risqué my life. Don't the people understand what cholera is?

I have to warn a hospital if they want to deal with her. Moneyless ness is also a disease. Hopefully I did not touch anything around. The area has to be surrounded and fenced. How to convince a boy and a girl not to come? But anyway everybody has to be separated. Let me rush. A good lot of things have to be done."

In a couple of hours, an already familiar figure covered in black, appeared near the doorway. Siffrein and Jeannette were attending near the door. Jeannette's delicate features showed grief and devastation. Siffrein looked liked a small chased animal.

"What's going on?", the man asked drastically. Jeannette lifted her face swollen from tears and whispered a word which frightened people for centuries.

"Mother is being taken to the hospital. She is going to die", she said dully.

The man moved the children aside and rushed into a shabby apartment. The woman was hardly conscious. Her features became thin and sharpened from the dehydratation.

If from the beginning she was restless, now she was completely immovable. The man looked aside, thinking about something, then noticing a small violin, went out to the street, gave it to the boy and said: "When you hear my voice, play something sad. Can you?"

The boy looking at the man incredulously took the violin and silently nodded. The man rushed back. With the hand covered with glove, he took some paper from his cloak, looked at it for several seconds, and smiled. Then he came to the poor stove, found an egg, split it, accurately poured the contents into an old cup with a darkened bottom, took a shell, crumbled it into tiny pieces, again looked around an found what he wanted --an onion. Getting a knife of a strange form, he made a notch on an onion, and squeezed it a little. Pouring some juice into another cup, he mixed it with the shell and got out a small flask adding some yellow liquid. "Two minutes", he said to himself. Then he stiffened. The woman hoarsely moaned something indistinctly. The man in black shouted "Siffrein, play!" As soon as he heard the sounds of the violin, he, with his knife, unclenched the teeth of the woman, and poured the formed liquid. The woman started to cough. "Now you may cough", said the man. He went to the street and said "Now let them take her!"

"What did you do? ", asked the girl. "No matter! She will survive!"

"Even if you saved her, other patients in the hospital, might infect her again!" said the girl.

"Not with this disease. She will never get it again! And let her lie in the hospital for a while. The nurses will care after her better than you. "

"Are you a famous doctor?"

"Me? Not me! Better to say, Michel! "

"Who is Michel?"

"One real doctor who lived 200 years ago."

The girl looked at the man in black and said in a low voice "And what is your name?

The man was silent for a while and answered: "In Turkey everybody called me Kismet"

"But this is not a name. What does the word mean?"

The man in black looked at the girl, smiled and said "It means Fate".

 

Nel quale il lettore apprende che la musica non è soltanto un piacere, che le malattie mortali non lo sono sempre e che il nome dell'Uomo in Nero non è simbolo di pace

Il dottore non può curare la donna malata. Il colera è una malattia mortale. I figli, Siffrein e Jeannette, si disperano. Ma appare l'Uomo in Nero che, con l'aiuto della musica, o più esattamente di una scelta di note e di un certo intruglio, salva la donna. Benché debole è ormai guarita. La giovane Jeannette chiede il nome all'Uomo in Nero e ne ottiene due, Michel e Kismet, il cui significato in turco è Destino.

 

 

Testo di  Riccardo N. Barbagallo, Vincent Mollet e Gennady Ulman

 

 

 

 


 

Capitolo VII

 

Nel quale apprendiamo dei fatti notevoli riguardanti l’infanzia di Poussin

Appena uscito dalla povera casa nella quale abitano Jeannette e Marguerite Lambert, la sorella e la madre di Siffrein, il nostro salvatore Michel, così da ora in poi chiameremo l’Uomo in Nero, si rivolge al bambino e, allontanatolo da sé categoricamente, gli ordina: “Adesso puoi andare all’Hotel de Cabre ma devi rimanere lì. Tua madre si salverà come ho promesso, tuttavia non devi mettere in pericolo la tua vita. Informerai Moucheron che io sarò via da Marsiglia per le prossime settimane”. Siffrein dà un timido assenso e, salutato Michel, raggiunge l’albergo dove Amiral lo accoglie scodinzolando allegramente.

Non molto lontano intanto, i nostri lettori lo ricorderanno, stiamo assistendo ad una discussione fra Poussin, in via di guarigione dopo il ferimento, e il famigerato Renard, capo della banda.

 “Cosa diavolo vuoi che io ti dica della morte di tuo zio, Poussin. Non ricordi più che facemmo il possibile per salvarlo? Lo sai che consideravo Tonneau-Plein come un fratello, ma era ormai troppo vecchio per fare questo dannato mestiere, glielo avevo detto un centinaio di volte. Raccogliemmo la cifra necessaria e … pace all’anima sua, ebbe un magnifico funerale! Ma perché mi domandi queste cose, Poussin?”

“Si tratta di un sogno, un terribile incubo che ho avuto la notte scorsa. Avevo pressappoco otto anni e zio Tonneau-Plein, come sai, mi aveva da poco insegnato a frugare le tasche delle persone all’uscita dal teatro. Nel sogno lui indossava un mantello nero e mi tirava da una parte perché lì c’erano … dei polli da spennare, la solita storia. Io cercavo di liberarmi da quella morsa, quando all’improvviso lui si volta verso di me e non ha più le sue solite fattezze”.

“Che diavolo di fattezze Poussin, parla come ti ho insegnato o chiudi il becco una buona volta!”.

“Voglio dire che nel sogno non era più un vecchio settantenne, ma un uomo di poco meno di quaranta anni: appariva come l’Uomo in Nero, quello che per poco non mi ha ammazzato e che, colpendomi, mi ha guardato come se avesse visto un fantasma!”.

“Ancora quel dannato Uomo in Nero! Se mi capita di nuovo tra le mani non avrà scampo. Mi ha fatto fare una misera figura davanti all’osteria Vecchia Ancora.

“Lo sai zio che lui voleva soccorrermi dopo che per legittima difesa mi ha colpito? Poi è arrivato una specie di colosso con i capelli rossi e lo ha allontanato di peso dal vicolo …  è proprio l’ultima cosa che ricordo di quella sera”.

“Guarda dannatissimo ingrato … doveva proprio farti fuori quell’Uomo in Nero, almeno non avrei sentito tante sciocchezze. Se non fosse stato per me saresti stato come Tonneau-Plein bello e sepolto!”.

“Ma allora, secondo te, perché mi sono ricordato dello zio in quel sogno? Sono trascorsi dieci anni d’allora. C’era ancora Clementine con noi, la mia sorella gemella te lo ricordi? Dopo la morte di Tonneau-Plein tu mi dicesti che l’avevano accolta le suore di un orfanotrofio di Toulon ma quando l’anno dopo scappai per andare a trovarla mi fu detto che non viveva più lì. Chissà dove si trova adesso … poverina!”

“Guarda Poussin di rialzarti da questo letto per domani e di ricominciare a lavorare perché le tue dannate chiacchiere mi hanno stancato” e, dopo un attimo di esitazione, Renard continua “Il vecchio Tonneau-Plein, mi aveva insegnato ogni cosa quando io ero ancora un ragazzo, allo scoppio della Rivoluzione; soltanto per questo motivo ti ho preso con me dopo la sua morte e permetto di chiamarmi “zio” anziché Renard. Non potevo accollarmi la responsabilità anche di un’altra marmocchia di otto anni come Clementine! E poi … volevo dirti che se ripensando al tuo vero zio, a Tonneau-Plein, intendo, ti viene in mente l’Uomo in Nero, vorrà dire che quest’uomo non è proprio un santo, non credi Poussin?”. E così dicendo Renard esce sbattendo violentemente la porta.

Una decina di giorni dopo i fatti finora raccontati, Amiral scodinzolando indisturbato per l'Hotel de Cabre, sente una strana melodia provenire dall’ala est e così, abbia ripetutamente per attirare l’attenzione di Siffrein. Anche il bambino si mette attentamente in ascolto.

 

 

Chapitre VIII

 

Où il est prouvé que la musique est un langage universel, et où un jeune homme rappelle de vieux souvenirs

Siffrein entreprend de se diriger vers la pièce d’où s’échappe la mélodie. En chemin, il rencontre le matelot devenu majordome.

“Monsieur Moucheron? Je pensais que c’était vous qui faisiez cette musique!”. Moucheron sourit largement.

“Tu me vois, moi, jouant du piano? Non, le capitaine a une invitée. Elle s’est installée dans l’appartement de l’aile est.”

“Une dame?”

“Oui. Tu n’as à te mettre en peine de rien, c’est moi qui ferai son ménage et qui lui porterai ses repas.”

 “Mais le capitaine est parti! Il m’a dit de vous dire qu’il quittait Marseille, et qu’il serait absent plusieurs semaines.”

Moucheron fronce les sourcils.

“Déjà? Est-ce qu’il t’a dit s’il partait seul?”

“Non, il ne m’a rien dit.”

Devant le silence contrarié de Moucheron, Siffrein tente de revenir à la mystérieuse occupante de l’aile est.

“Alors, son invitée va rester seule? Qu’est-ce qu’elle va faire?”

“Rien. Je te l’ai dit, tu n’as pas à t’occuper d’elle.”

Siffrein comprend qu’il est requis de ne pas approcher l’inconnue. Mais il ne renonce pas si facilement. Descendu dans la cour de l’hôtel, il repère les fenêtres de la pièce où se trouve le piano. La musicienne est apparemment en train de s’exercer, et le même motif revient fréquemment. Siffrein ne tarde pas à l’indentifier, puis à pouvoir le reproduire sur son violon. Bientôt, sa mélodie répond à celle de la pianiste. Celle-ci entame bientôt un nouveau morceau, immédiatement suivie par Siffrein. Lorsque le piano s’interrompt, l’enfant, au-dessus de sa tête, entend une fenêtre qui s’ouvre...

Quelques jours plus tard et quelques centaines de kilomètres plus loin, nous faisons la connaissance de Victor Jourdan, héritier d’une richissime famille de négociants marseillais, qui achève ses études à Paris. Le jeune homme se trouve pour le moment dans sa confortable garçonnière, en compagnie de sa dernière conquête: une actrice qui a déjà triomphé sur plusieurs scènes parisiennes, ainsi que dans les coeurs et les portefeuilles de plusieurs messieurs fortunés.

S’il goûte à tous les plaisirs de la vie parisienne, Victor n’en a pas pour autant oublié son pays natal. La preuve: il est en train de lire une gazette marseillaise.

“Quelles nouvelles? Plusieurs cas de choléra signalés à Marseille... Diable! Nous en étions à peine délivrés à Paris, et le voilà qui frappe mon pays natal. Un riche et mystérieux Oriental a racheté l’Hôtel de Cabre... En voilà un qui n’est pas superstitieux, de s’installer dans l’hôtel du parricide!”

“L’hôtel du parricide?” interroge la jeune femme.

“Oui, c’est une histoire horrible qui a eu lieu voici plusieurs années. C’était en 1824, alors que les Grecs était en pleine révolte contre l’oppresseur turc. Les états-majors français avait commencé à dresser secrètement les plans d’une intervention militaire en leur faveur. Or, ces plans sont tombés entre les mains des Turcs. Le scandale a été énorme, et l’intervention en Grèce a dû être retardée de plusieurs années. Comme tu le sais, c’est seulement en 1827 que la flotte française a finalement affronté les Turcs à Navarin.

La gendarmerie a mis la main sur un document permettant d’identifier les traîtres. Il s’agissait de trois jeunes officiers de marine, alors affectés à Toulon. Tous trois étaient issus d’honorables familles marseillaises. L’un d’eux en particulier, Zacharie de Cabre, était le fils d’un célèbre manufacturier de l’époque, propriétaire de cet hôtel qui vient d’être racheté. Mon père le connaissait très bien.

Le jour même où ils devaient être arrêtés, les trois hommes, sans doute prévenus par un complice, disparurent mystérieusement. En ce qui concerne Zacharie, tout au moins, on sut rapidement où il était allé. Dans la soirée du même jour, un domestique le vit arriver à l’Hôtel de Cabre, et demander à voir immédiatement son père. On a pu établir qu’il avait loué un cheval à Toulon, et qu’il avait galopé comme un fou tout le long de la route jusqu’à Marseille.

Malgré l’heure tardive, le vieux de Cabre travaillait encore dans son cabinet, et le domestique y introduisit son fils. Il ne le vit pas ressortir, mais le lendemain matin, la soeur de Zacharie, en entrant à son tour dans le cabinet, trouva le vieil homme égorgé d’un coup de couteau.

La jeune femme frissonne.

“Le fils avait tué le père?”

“Toujours est-il que le coffre-fort qui se trouvait dans la pièce était ouvert, et que son contenu, une jolie somme en rouleaux d’or, avait disparu. Ouvert et non forcé: or, seules deux personnes en connaissaient la combinaison, le vieux de Cabre et son fils. On pense que Zacharie est venu demander de l’argent à son père pour aider sa fuite, que le père a refusé... Tu devines la suite.

Toujours est-il que l’on n’a plus jamais revu Zacharie ni les deux autres officiers. Le vieux de Cabre était veuf, et n’avait qu’un seul autre enfant: la soeur dont je t’ai parlé. J’ignore ce qu’elle est devenue. Voilà ce qui se passait à Toulon et à Marseille il y a dix ans... Mais tu aurais pu le savoir, Clémentine, puisque tu as grandi à Toulon!”

 

Capitolo VIII

Nel quale viene provato che la musica è un linguaggio universale e dove un giovane uomo ricorda dei vecchi ricordi

Moucheron rivela a Siffrein che una donna è alloggiata a palazzo, ma gli vieta d’incontrarla. Tuttavia, il bambino, inizia comunicare con lei tramite la musica del violino che suona sotto la sua finestra. A Parigi, lo studente Victor Jourdan racconta alla sua amante, l'attrice Clémentine, come Zacharie de Cabre è stato nel 1824 imputato di tradimento, come sia giunto di notte a chiedere aiuto al padre e come il vecchio de Cabre sia stato l'indomani mattina trovato dalla figlia sgozzato nel suo gabinetto di lavoro, vicino alla cassaforte aperta e vuota.

 

 

Chapter IX

 

In which the Man in Black gets to Odessa and Saint Petersburg without his own knowledge about it

Pushkin got of the cab. He was short, but elegantly dressed. He did not feel tired, dancing all night. But now he wanted home, as fast as possible. He remembered the warmth of the woman with whom he was dancing. He also remembered her challenge. "Aleksandr, she said, why would not you try prose?

" Your poems are remembered by heart. Why would not you try? I am sure you will succeed. And when you will..."

Her eyes were close and so promising... He entered his house on Moika's Embankment, looked through the window at Saint Petersburg at night, took his goose pen presented to him by Goethe, and started to think. To hell with the woman, he had his own Goddess, but a story was something he wanted to try long ago. Byron, his "alter ego", never tried prose. Byron... Pushkin still could not relax after his death in Greece. "Freedom to Greece! Freedom from Turks! Oh, yes, there is something in it. He put the pen for a moment trying to concentrate. Before his eyes floated Odessa where he stayed 7 years ago, and an old Pole, Staszewsky, it seemed. Staszewsky was a friend of Mizkewisc, Pushkin's closest friend. He loved to talk to an old man. What did he tell him?

Something about a young gentleman accused of murdering his own father? But definitely, wrongly accused. Who really could believe that a nobleman would degrade so deeply?

Because of money? Some treasure involved? Puskin felt intrigued. What happened later?

Went to Greece? To Ypsilanti? Died? Lost?

Puskin, despite his genial memory, could not recollect exactly. It was becoming cold. The candles brought on to the walls strange shadows, and Aleksandr Sergeevich saw strange pictures emerging in his mind: he was fond of people who contained mystery in the look, clothes, odd talk, gait, and the whole aura of strangeness. They are characters, yes, they are: Balsamo, Saint-Germain, Nostradamus, that man of Stazewsky. He has to be in black, and the Pole told it had become his casual color. Yes, he said that he would change it only when he would find a real murderer. He learned medicine, it seems, otherwise why the name of Nostradamus would haunt Pushkin's image during this cold night.

Yes, something had been also connected with Nostradamus. Did he belong to the family of this celebrity? It does not matter. The personage is found, this is what matters.

The poet again took the pen. He would call him Silvio. It's a nice name having something Italian (Pushkin lived in Odessa on Italian street). And mysterious too. With his running handwriting which in some cases caused so many problems to the searchers, he wrote a title "The Shot". It was 1830.

And the history of the Man in Black, obeying the hand of a genius, took a completely different course. Power, revenge, death in Greece. But as our amiable readers already know, the Man in Black did not die. And, unfortunately, did not bring freedom to Greece. Just became the time to "collect the rocks". Greece gave him courage and contempt to death. Greece also showed him his friends. And he came back where everything started.

 

Capitolo IX

Nel quale l'Uomo in Nero si reca a Odessa e San Pietroburgo senza che ne venga a conoscenza

Il celebre poeta russo Puskin è a Odessa in esilio. Ama ascoltare le storie dei vecchi polacchi. Una è particolarmente interessante: parla di un giovane marsigliese che fu accusato ingiustamente di aver assassinato il proprio padre. Questa storia ispira Puskin, di ritorno a San Pietroburgo, a comporre un racconto intitolato "Il Colpo di pistola". Il personaggio principale, Silvio, è un uomo misterioso in cerca di vendetta. Finisce per perire in Grecia. L'Uomo in Nero è il prototipo di questa storia, ma lui non è morto. Vuole vendicarsi del vero omicida. Ed è per questo che è di ritorno a Marsiglia.

 

 

Capitolo X

 

Nel quale Victor fa sfoggio di cultura e Clementine si annoia mortalmente

Torniamo alla garçonnière parigina per riprendere la discussione fra Victor Jourdan e Clementine, la sua procace e giovane amante. Clementine, con lo sguardo intrigante di una gatta, fa una smorfia maliziosa e si rivolge al suo danaroso amante.

“Maleducato … mi parli di dieci anni addietro come se io fossi tu madre, Victor. Ero ancora una bambina allora e poi … io vivevo come una reclusa in un orfanotrofio dal quale fuggii fra tante difficoltà per raggiungere Parigi”.

“Non ti scaldare troppo Clementine. Non sai che a me piace scherzare? Piuttosto, non avevi altri parenti, oltre tuo zio?” l’interroga Victor.

“Si, c’era mio fratello Vinnie che tutti chiamavano “Poussin” perché, differentemente da me, aveva uno sguardo così innocente da imbrogliare qualsiasi persona per poi derubarla e … forse anche altri parenti, ma non ricordo bene”.

“Sei sicura di non ricordare nulla?”

“Avevamo di certo una madre, questo sembra a me di ricordarlo. Vivevamo in un paese straniero noi tre da soli, lei ci metteva sulle sue ginocchia e iniziava a suonare il pianoforte. Che musica incantevole per le nostre orecchie di bambini. Rimaneva a suonare per delle ore ma non ci stancavamo d’ascoltarla. Poi, successe qualcosa di terribile, non ricordo perfettamente”.

“Che genere di cosa avvenne?” chiede Victor che, dopo aver ascoltato con noncuranza, ha iniziato ad appassionarsi al racconto di Clementine.

“Facemmo un viaggio …  la mamma scomparve e un uomo che avevamo visto qualche volta in casa nostra ci disse che era morta, poi ci affidò allo zio Tourneaux-plein di Marsiglia”.

“Che razza di nome è questo? Si trattava ovviamente di un soprannome!”

“Per l’appunto era il soprannome che gli avevano affibbiato perché beveva parecchio. Ci picchiava spesso perché voleva che ci guadagnassimo da vivere. A Vinnie aveva insegnato a derubare la gente, mentre io fabbricavo fiori di stoffa che vendevo per strada. Questo lavoro me l’aveva insegnato la vecchia Annette!”.

“Annette?”

“Dicevano tutti che fosse la moglie dello zio ma adesso che sono cresciuta penso che fosse la sua amante! Anche lei beveva e morì pochi mesi dopo che entrammo in quella casa, sempre che di casa si potesse parlare, data la sporcizia e la miseria che vi regnavano sovrane”.

“Ma Tourneaux-plein era in fin dei conti veramente vostro zio?”

“Non sono riuscita mai a saperlo con certezza, ma credo proprio di no, non era nostro zio veramente”.

“E quell’uomo che vi portò da Tourneaux-plein non si fece più vedere?”

“No, non lo vedemmo più. Parlava francese ma delle volte, quando strillava alla mamma, usava un’altra lingua, quella lingua che Vinnie ed io avevamo sentito spesso dove vivevamo. Credo che fosse polacco”.

“E alla morte di vostra madre venne a prendervi  per portarvi a Marsiglia?”

“No, io penso che quando morì nostra madre noi tre fossimo già in Francia. Eravamo arrivati da una città che aveva tanti bei palazzi come Parigi, ma era una città portuale sul … Kara Dengis”.

“Kara Dengis è il nome turco del Mar Nero, forse si trattava allora di Odessa? I polacchi sono presenti in questa città dal XVI secolo e durante il governatorato di Armand du Plessis, duca di Richelieu che combattè i Turchi al servizio dell’impero austriaco, all’inizio di questo secolo, la città conobbe uno splendore notevole”.

Ma Clementine, annoiata da tanta saccenteria, chiude con un “forse, Victor” la discussione del ricco amante e, lentamente, chiude gli occhi per un sonno ristoratore.

Alcuni giorni dopo, il nostro Uomo in Nero, a bordo della Phénix naviga alla volta della costa del Mar Jonio. Con lui c’è una nostra vecchia conoscenza, Darcène che così si rivolge a lui: “Michel, ti senti preparato ad incontrare dopo tanto tempo il Siciliano?”

La notte è magnifica e il cielo versa nel mare tutte le sue stelle. Una stella attraversa il cielo rapidamente.

“Vendetta!” mormora Michel, “Vendetta per mio padre, mia sorella, i miei nipoti e per tutti coloro che come me nel mondo soffrono le pene dell’inferno per la malvagità altrui”.

L’Uomo in Nero conosce la superstizione, secondo la quale, l’augurio che si fa quando si vede passare una stella, viene esaudito. E non ha trovato che un pensiero, una parola d’odio.

“Credi che il Siciliano potrà aiutarti?” domanda perplesso Darcène.

“Lui può tutto … e poi ho con me le carte di famiglia che mia madre mi affidò prima di morire”.

Poche ore dopo, i due sbarcano al porto vivace di Catania e Michel, senza esitazione, si reca immediatamente al Monastero dei Benedettini dove chiede di vedere “Il Monaco Venerabile”.

Padre Ventura, il suo segretario, un individuo dal naso aquilino e dallo sguardo sfuggente, lo introduce al cospetto del “Venerabile”, un uomo di circa novanta anni, vestito di un semplice saio che immediatamente si rivolge all’Uomo in Nero in francese: “Ti aspettavo figliolo … è tempo che tu conosca tutti i segreti occulti per governare il mondo!”

 

 

Chapitre XI

 

Où Siffrein voit des gens diversement vêtus

Une voix féminine invite Siffrein à venir la rejoindre. Le jeune musicien se hâte de grimper l’escalier, et la porte de l’appartement mystérieux s’ouvre sur une adolescente de quinze à seize ans, à la peau brune, aux yeux et aux cheveux d’un noir profond. Couverte de bijoux, elle porte une robe à la forme exotique et aux couleurs vives. Siffrein, qui a déjà vu des Indiens sur le port de Marseille, comprend que la jeune fille vient des Indes.

Moucheron surgit dans le dos du petit musicien.

“Siffrein, je t’avais dit de ne pas déranger notre invitée! Excusez-moi, princesse,” reprend-il à l’adresse de la jeune fille, “je vais mettre ce garnement à la porte.”

“Il ne me dérange pas du tout, mon bon Moucheron” répond-t-elle avec une expression désarmante. “Au contraire, j’avais besoin d’un peu de compagnie!”

Le matelot se retire en grommelant, et Siffrein, son violon à la main et Amiral sur ses talons, suit l’Indienne à l’intérieur de l’appartement, dans le petit salon où est installé son piano. Lui et la jeune fille – il apprend qu’elle s’appelle Sarasvati – passeront l’après-midi à faire de la musique et à bavarder. Sarasvati parle le français avec un accent chantant et le comprend parfaitement, riant aux expressions provençales de Siffrein. Si elle veut tout savoir sur la vie du jeune garçon, sur sa famille et sur ce qui se passe en ville, elle élude les questions sur sa propre vie, se contentant de sourire lorsque l’enfant lui demande si elle a grandi aux Indes, et si elle est vraiment princesse.

Siffrein jette de fréquents regards à deux grands tableaux accrochés dans le salon. Le premier représente un homme aux cheveux grisonnants, en redingote, posant devant une usine à la cheminée fumante; de toute évidence, un manufacturier. Le second montre un jeune couple. La femme est assise devant un piano, et Siffrein serait prêt à jurer que le tableau a été peint dans ce salon même, et que le piano est celui sur lequel joue Sarasvati. L’homme est un officier vêtu d’une brillante tenue rouge et bleue, un uniforme que le petit Marseillais n’a jamais vu. Il est trop jeune pour avoir connu les lanciers polonais qui, sous le Premier Empire, combattaient dans la Garde Impériale.

“Qui c’est?” demande-t-il à Sarasvati.

“Les gens qui habitaient cet hôtel autrefois.”

“La famille de Cabre?”

“Oui.”

“Vous les connaissiez?”

“Je ne les ai jamais vus” répond brièvement la jeune Indienne. Siffrein sent qu’il n’en entendra pas plus.

C’est bientôt l’heure à laquelle il doit aller voir sa mère à l’hôpital. Sarasvati lui donne de quoi manger pour Marguerite, et lui propose de faire venir sa soeur à l’Hôtel de Cabre le lendemain.

 

Capitolo XI

In cui Siffrein vede delle persone vestite diversamente

Siffrein entra nell'appartamento misterioso ed incontra la giovane Sarasvati, principessa indiana e amante della musica. Ad una parete del salone, vede due ritratti. Il primo rappresenta un uomo dai capelli brizzolati, in redingote, posto dinanzi ad una fabbrica dal camino fumante; evidentemente, un manifatturiere. Il secondo mostra una giovane coppia. La donna è seduta davanti ad un pianoforte, l'uomo ha l’aria di un ufficiale vestito di una brillante divisa rossa e blu. Sarasvati dice che si tratta della famiglia de Cabre.

 

 

Chapter XII

 

In which Sarasati uses a different language for talking

After Siffrein left, Sarasvati placed herself in a deep armchair with shining arm keepers. The age did not tell on the furniture. Then she stood up, came to a tiny secretaire, opened it with a tiny key, got a leather purse, and with the fingers, which were trembling slightly, looked inside. "Darcene and Saltis did all they could", she thought, "but this is far from being complete. We have to know the whole music, all the notes, all of them; the combinations, which are being searched by Kismet, are innumerable. Damn the bastards who stole the scores!"

At this time somebody slightly knocked at his door. "Enter, she whispered. The Man in Black opened the door and bowed. "Moucheron, he called in a low voice.

"Can you bring coffee please?" The giant disappeared, and returned almost immediately. His hands were keeping the tray with two delicate cups from which one could feel a specific aroma of fresh ground coffee.

"Kismet, said Sarasvati, you came. Does this mean that you found out something new? Please don't overdo. Have some mercy on your brains. What you have already done is enough for two human's lives, not for one". She looked at him pleadingly.

"I won't be able to lose you."

"To lose me? Did you find me?" he smiled.

"I searched a new combination of notes. But, anyway, it has to be in minor. I just asked Siffrein to play anything sad. It worked. Or better to say, I hope it worked.

"Oh, it worked all right. One day more, and Siffrein is going to take his Mom home tomorrow. The mathematicians are working out a method of counting the combinations quickly have you ever heard of Charles Babbage? He plans to build a machine, which will calculate fast.

No, said a princess. I know nothing of this gentleman. He is English, I presume? People of my country hate the English. Oh, I don't want to talk about the English. Better say to me, Kismet, have you ever seen the "devadasi" dancing? Can you read the language of Indian dancing? She shook off her rich sari, staying in a sort of Greek himation, curved her shoulders in an inimitable movement, and made some motion.

"You are ready to speak ", translated in immaculate Hindi the Man in Black.

A musical box on a secretaire clicked and made strange musical sounds, long and monotonous. Sarasvati flew into dancing. The man smoked and sipped the coffee. The clock started to strike.

 

Capitolo XII

Nel quale Sarasvati cambia linguaggio

A palazzo de Cabre, la principessa indiana Sarasvati pensa agli spartiti musicali rubati che sono preziosi per curare la gente. L'Uomo in Nero le dice che cerca la perfetta combinazione di note e che ha ottenuto qualche successo. Sarasvati tenta di utilizzare la sua innocente civetteria infantile per impressionare Kismet e danza per lui un vecchio devadasi indiano. Utilizza il linguaggio della danza, ma Kismet non sembra esserne impressionato.

 

 

 

Testo di Riccardo N. Barbagallo, Vincent Mollet e Gennady Ulman

 

 

 


 

Capitolo XIII

 

Nel quale apprendiamo che la musica può nascondere misteriosi segreti

Finito appena di sorseggiare l’aromatico caffè, il nostro Uomo in Nero con un deciso cenno della mano interrompe la danza indù ed, alzandosi dalla poltrona per accomiatarsi, commenta - “Molto interessante Sarasvati, ma si è fatto tardi, quindi sarà bene che io lasci riposare te e Madame”.

Ma la ragazza, rapida come una gazzella lo raggiunge e con uno sguardo disarmante gli rivolge una domanda accorata - “Kismet, non vuoi tu vederla?”

“Ci sono forse dei miglioramenti rispetto al suo solito stato catatonico? Ha fatto qualcosa d’altro fuorché suonare il piano durante la mia assenza?”.

“No, mi spiace … soltanto la musica l’aiuta a sopravvivere”.

“Ti sbagli mia cara, anche la tua presenza le è indispensabile. Ti considerava una figlia già all’epoca della tragedia, ma allora tu avevi ancora un padre che ti amava teneramente”.

“Si, ma lottava per una sacra causa troppo lontano da me. Gli Inglesi lo hanno ucciso e il passato non si cancella!” ribatte con decisione la ragazza.

“Dai un bacio a Madame da parte mia Sarasvati. Sono tornato a Marsiglia solo perché speravo tu avessi fatto progressi nell’interpretazione degli ultimi spartiti che ti ho affidato. Nel mio ultimo viaggio ho compreso che la chiave di tutto risiede nella codifica dei pezzi musicali che mi affidò mia madre alla sua morte e che facevano parte dell’eredità dei suoi avi”.

E meditando a bassa voce: “L’accusa di alto tradimento, l’omicidio di mio padre e la vendetta nei confronti di Madame e dei miei due nipoti sono stati senza ombra di dubbio architettati con il solo scopo di arrivare alle carte che la nostra famiglia custodisce da secoli. Il Siciliano deve avere ragione e gli sarò sempre grato per tutto ciò che mi ha insegnato, ma non posso diventare lo strumento della sua ambizione”.

“Kismet, sono convinta che Siffrein nella sua innocenza mi sarà d’aiuto nel decifrare il messaggio in codice contenuto negli spartiti trascritti nel XVI secolo utilizzando gli antichissimi raga e ragini di cui parla il Brahmana del periodo vedico intorno al 1500 a.C.”.

“Ma questo sarà soltanto il primo passo per risalire ai misteri universali in essi nascosti” riflette accennando un sorriso Michel. “In ogni caso, il mio unico obiettivo è la Vendetta … non mi interessa altro!”

Poi riprendendo a discutere con Sarasvati - “Ripartirò questa notte e starò via per almeno due mesi questa volta, tu però non disperare. Quando sarò tornato a Marsiglia probabilmente avrò con me le prove che inchioderanno i responsabili di tante malefatte” e, inarcando leggermente i baffi sottili, aggiunge “Spero che Siffrein non si sia accorto che tu non fossi sola in questa parte dell’edificio”.

“No, ha creduto che fossi soltanto io a suonare il piano”.

Poco dopo, incontrando Moucheron l’Uomo in Nero chiede informazioni su Siffrein. Il colosso dai capelli rossi lo informa che il bambino è andato a trovare la madre e Jeannette che non vede ormai da parecchio tempo.

“Ha preso tutte le precauzioni per evitare il contagio?” chiede allarmato Michel.

“Si, ho appena permesso a Siffrein d’andare a trovarle soltanto dopo avere ricevuto l’autorizzazione del medico il quale, tuttavia, ha proibito categoricamente che la sorella varchi la soglia di questo edificio”.

“Benissimo Moucheron, come sempre posso fidarmi ciecamente di te!”

“Capitano vi sarò sempre in debito per quello che avete fatto per me. Non dimenticherò mai che nel mio paese natale, nei Carpazi orientali, avevano deciso di uccidermi senza un regolare processo”.

“Ma tu eri innocente e ciò mi è bastato per occuparmi della questione”; poi, cambiando discorso – “Fra poco incontrerò Darcène per stabilire gli ultimi dettagli del nostro prossimo viaggio”.

“Fate molta attenzione Capitano!”

Poche ore dopo ritroviamo l’Uomo in Nero e Darcène seduti all’osteria Vecchia Ancora a parlare indisturbati. Ma qualcun altro sta ascoltando la discussione.

Si tratta di Nina, la bella e procace figlia di Patron Girardi, il proprietario del locale di origini italiane. Poussin è follemente innamorato della ragazza la quale, benché non sia indifferente alle qualità del giovane, ha già pianificato il suo futuro e le sue mire sono per un miglior partito rispetto al ladruncolo. Da quando si è ristabilito dalla ferita ricevuta dall’Uomo in Nero, Poussin si è messo alla sua ricerca. Vuole capire per quale motivo il suo volto non gli sia sconosciuto e perché ha cercato di salvarlo dopo il ferimento. Renard lo ha minacciato ancora una volta di dargli una lezione che non dimenticherà facilmente se lui non tornerà a lavorare, ma il giovane ha altro a cui pensare. Già qualche giorno prima aveva messo in guardia la bella Nina di ascoltare qualunque discussione potesse riguardare il misterioso Uomo in Nero e, casualmente, lei  sta apprendendo informazioni molto interessanti.

“Dovremo sbarcare a Napoli per raggiungere El-Iskandariya in Africa dove chiederò aiuto ad una delle persone fidate di Mohammed Alì per raggiungere la necropoli” sta dicendo il nostro eroe a Darcène.

Ma Nina non è la sola ad ascoltare la discussione. Da qualche minuto un oscuro figuro è entrato nell’osteria per carpire qualche parola dell’Uomo in Nero e del suo compagno. Riuscito nel suo intento, l’oscuro figuro esce dall’osteria e informa immediatamente una persona che camuffata in un vicolo lo sta aspettando con impazienza: si tratta  di Padre Ventura che ha deciso di seguire le mosse dell’Uomo in Nero.

“El-Iskandariya … la città degli infedeli d’Egitto!” esclama con il bieco monaco e, pagato il suo complice, decide d’imbarcarsi alla volta di Napoli dove, troverà rinforzi per fermare il nostro eroe in procinto di partire a bordo della “Phénix”.

La sera è buia e nessuno si accorge che Siffrein, saputa da Moucheron la notizia della partenza del suo salvatore, grazie al fiuto di Amiral lo ha seguito e si è imbarcato clandestinamente.

Poco dopo, anche Poussin raggiunge il porto. “Cosa hai intenzione di fare?” gli ha domandato Nina dopo averlo informato dei particolari che ha carpito. E il giovane, esclama ad alta voce - “Raggiungo l’Uomo in Nero … qualcosa mi dice che questo incontro mi porterà la ricchezza e la fortuna necessarie per fare di te la mia sposa!” mentre si precipita fuori dall’osteria. Purtroppo arriva troppo tardi, la “Phénix” ha già preso il largo, ma Poussin ha ormai deciso che seguirà l’Uomo in Nero … a qualsiasi costo!

 

 

Chapitre XIV

 

Chiffre qui pourrait bien porter malheur à nos héros

Le lendemain matin, en entrant dans le salon de musique, Sarasvati trouve le violon de Siffrein posé en évidence sur un fauteuil. Ne sachant pas écrire, l’enfant n’a trouvé que ce moyen pour la prévenir de son départ.

“J’en était sûr!” fulmine Moucheron. “Ce jeune imbécile a voulu à toute force suivre le capitaine!”

Le lecteur sait déjà que le fidèle matelot ne s’est pas trompé. A quelques jours de là, nous retrouvons le “Phénix” ancré dans le port de Naples, au large du lazaret car, la nouvelle de l’épidémie qui touche Marseille étant parvenue en Italie, les autorités napolitaines lui ont imposé trois jours de quarantaine. Le capitaine, Darcène et Siffrein (lequel, après une sévère mercuriale pour s’être introduit clandestinement à bord, a été promu mousse), sans oublier Amiral, attendent patiemment l’autorisation d’entrer dans la ville.

La perspective de transmettre le choléra aux Napolitains n’a pas fait souci à un groupe de contrebandiers marseillais, qui viennent de débarquer clandestinement d’un petit voilier, dans une anse à l’écart de la ville. Ils se sont aussitôt rendus à Naples pour rencontrer Farfalla, le chef des truands avec lesquels ils font habituellement affaire. Mais ce dernier les a prévenus qu’il faudrait attendre un peu pour traiter de leur cargaison: il a, dans la soirée, un rendez-vous qu’il ne peut pas remettre.

Farfalla et deux de ses compagnons se trouvent donc pour l’heure dans une taverne du port, à écouter attentivement les propos d’un personnage à la tête dissimulée par une capuche.

“Il n’y a rien de plus simple: il n’y a à bord que deux hommes et un enfant, sans parler du chien. Nous montons à l’abordage, vous les neutralisez en évitant de les tuer – en tous cas, je tiens absolument à garder le capitaine en vie – et vous fouillez le navire.”

“Que cherchons-nous?”

“Quelque chose comme ceci.”

L’homme à la capuche sort, de sous son vaste manteau, une liasse de feuilles couvertes de signes incompréhensibles.

“C’est l’écriture qu’on utilise en Inde,” explique-t-il aux bandits. “Nous cherchons un document qui doit ressembler à celui-ci. A vrai dire, c’est la suite de celui-ci.” ajoute-t-il avant de glisser de nouveau les feuillets sous son manteau. “Mais prenez garde, ces hommes savent se battre. Je pense qu’il faudra être au moins une quinzaine.”

Les bandits quittent la taverne, après que l’homme à la capuche leur ait donné rendez-vous sur les quais à minuit.

“Il va nous falloir plus de monde, chef!” dit l’un d’eux. “Qui allons-nous prendre?”

“J’ai pensé à nos amis de Marseille” répond Farfalla, faisant allusion aux contrebandiers qu’il a vus arriver le jour même. “Des Français pour attaquer des Français! Nous pourrons faire retomber sur eux tous les soupçons de la police. Ce dont ils ne se porteront ni mieux ni plus mal, puisqu’ils seront déjà repartis pour Marseille avec leur part de la récompense... qui sera, nous y veillerons, la plus petite possible!”

Voilà pourquoi, lorsqu’à minuit l’homme à la capuche se rend à son rendez-vous sur les quais, c’est avec trois bandits napolitains et une douzaine de contrebandiers marseillais qu’il prend place dans une barque à fond plat, laquelle se dirige rapidement vers le “Phénix”.

Tout semble dormir à bord, mais les aboiements d’Amiral réveillent Siffrein qui a le temps de donner l’alerte, au moment où les assaillants envahissent le bord. L’enfant est rapidement maîtrisé, mais le reste de la troupe se heurte aux épées de l’Homme en Noir et de Darcène, et trois contrebandiers se retrouvent rapidement étendus sur les planches.

Menaçant d’égorger Siffrein, le capuchonné exige la reddition des deux assiégés. Au moment où ils abaissent leurs armes, prêts à obéir, l’un des contrebandiers fait tournoyer son gourdin, assommant les deux hommes qui maintenaient l’enfant, et jetant leur chef à terre. Dans sa chute, son capuchon glisse en arrière.

“Le père Ventura!” murmure l’Homme en Noir, qui n’est pas moins étonné de reconnaître Poussin dans le contrebandier providentiel.

“Je suis avec vous, capitaine!” crie le jeune Marseillais pendant que Siffrein, délivré, court se mettre hors d’atteinte des bandits. L’Homme en Noir et Darcène relèvent leurs épées, Poussin bondit à leurs côtés, et la bataille reprend, nos héros se trouvant désormais trois contre... beaucoup.

 

Capitolo XIV

Un numero che potrebbe portare disgrazia ai nostri eroi

La "Phénix" è ancorata nella baia di Napoli. Padre Ventura spera di trovare dei documenti preziosi a bordo dell’imbarcazione. Di notte, travisato sotto un cappuccio, trascina un gruppo di contrabbandieri napoletani e marsigliesi all'abbordaggio. Sono accolti a forza di spada da Zacharie e Darcène. Ventura cattura Siffrein e minaccia di sgozzarlo se i due uomini non si arrenderanno. Uno dei contrabbandieri marsigliesi si schiera improvvisamente a fianco dei nostri eroi brandendo randellate sui suoi vecchi compagni: si tratta di Poussin!

 

 

Chapter XV

 

In which the reader learns what is life, fame, and revenge, and that Hamlet was a bad student

The Monastery of Benedictines in Catania is a place of eternal holidays. Celebrations come to change other celebrations, and, sometimes, it seems that Saint Agatha and Saint Benedict after what they had to endure within their lifetime, would also be happy looking at their country-fellows. Yes, Italy believes in God, but not as stiffly as Germans, not as frighteningly as Spaniards. Italians believe in God as children, merrily and lightly like their airy and soul-taking songs. If some tourist, after walking within the ancient walls of the Monastery, built in 1635, would decide to please his hungry stomach, he would definitely notice a picturesque small cafe, also very old, but of course, not 200 years old. Still, there were dishes with the names which could shock. The sandwich with dried tomatoes, for example, had a threatening name of "The sword of Lodovico Ariosto", and the anchovies in a spicy tomato sauce bore the name of "The sword-fish which killed the Leviathan". Perhaps, the owner interpreted the Bible to his own taste and understanding. Anyway, the cafe was never empty. Partly because, the cafe itself had the name "The ninth circle". Sure, everybody wanted to experience in safe conditions the immortal invention of Dante.

It was already the evening, and even in Italy such evenings are rare. The fragrance of the Ionic Sea mixing with Sicilian flowers, brought strange sadness and languidness.

The owner, despite the warmth, dressed in a blue cloak, left his premises, and sneaked along the narrow path, which led actually to nowhere. He stopped near a mighty Sicilian oak-tree and knocked in a strange manner, three times, and after a minute, three times more, but in a shorter succession. Almost immediately the stem went to the sides, making a hole wide enough to enter. The owner went inside, walked along the chilly and long corridor, and found himself in front of the huge door, made of the wood with a metal knob. He knocked at the door, and heard " Enter". It was a room so enormous that one could not believe that he just entered through the tree. Perhaps, it was a cave, somewhere deep under the earth. It was richly decorated, but there was no furniture except a big table of the work of the old masters, and a small stool.

An old man was sitting on it, writing something into a book, which could easily be called by a connoisseur an "incunabula", so enormous it was. It was hard to see the face of the old man, but his wrists almost exactly told his age. He was really and utterly old. He looked at the owner and said with an unexpectedly strong voice: " How long do people have to live? I am getting ready. These are some of my thoughts, which might be interesting for coming generations. Tonight, Salvatore, I remembered my meetings with Goethe and his complete trust into what we call truisms".

Salvatore, who heard the name of Goethe, but was not sure who was the man, humbly listened, not pronouncing a word "Goethe, continued the old man," was so sure that Hamlet was a great man, and that he revenged his father, so sure that I did not want to disillusion him".

The old man clapped the ancient book lying in front of him. "Did Shakespeare really want to show that Hamlet was great? Oh, yes, he was great. Great fool, who did not understand what revenge is. Revenge is an act to keep the balance of Nature, violated once. Revenge is an equilibrium, a homeostasis. It heals the broken ones, brings a relief to the wounds of the soul, it makes you believe in Justice. And what is Justice?

Justice is God's order. We in Sicily know what revenge is, and what Justice is. Right, Salvatore? Hamlet distorted the balance even more than before. Instead of revenging one man, he killed everybody. I don't know what he learned in his universities, but, perhaps, he was stupid from his birth?"

Suddenly the old man changed his tone and asked "What is the news from the ship?

I told Ventura not to act silly. Did he disobey the orders? "

"Your Honor", said Salvatore, "who am I to give Padre Ventura the orders? Even if I dared, he would never listen to me."

"Wait," said the old man suddenly. He listened attentively and suddenly roared "Come in. I hear you muttering at the door." The door opened and a young woman in her thirties entered. "They were fighting", she said," I don't know what happened after."

The old Sicilian maliciously smiled. "All right, he said, if Kismet did not forget fencing, and this is highly unlikely, Ventura would get his lesson".

"Padre Ventura? His lesson? But he is the best... ".

"Was the best, was... until this devil Kismet appeared. Leave me alone now".

In a moment, the old man's order was performed. He opened his book and took a feather for writing. "Ventura, what an ambitious fool! He wants to be glorified. He wants to have the fame to defeat Kismet. And what is fame? Just a longing for immortality. Has anybody lived for ever?"

The old Sicilian put his head on his hands, and only heavy breathing said that he was still alive.

 

Capitolo XV

Nel quale il lettore apprende ciò che sono la vita, la fama e la vendetta, e che Amleto era un misero studente

In un locale sotterraneo e segreto del Monastero dei Benedettini di Catania, il vecchio Siciliano, custode di numerosi misteri, parla ad uno dei suoi servitori. Discute delle eterne questioni relative alla Vita e alla Morte, alla Fama e alla Vendetta, parla di Shakespeare e di Amleto. Sembra che sappia tutto dell'Uomo in Nero ed è sconvolto nell’apprendere che il suo segretario, padre Ventura, abbia aggredito l'Uomo in Nero e i suoi compagni. Il Siciliano afferma che Kismet batterà padre Ventura. Conosce la sua abilità in duello.

 

 

Capitolo XVI

 

Nel quale ritroviamo un’anima dannata e due semplici anime votate al sacrificio

Al Monastero dei Benedettini di Catania, solo tra i mille pensieri e ricordi che affollano la sua mente, il Siciliano inizia a ripercorrere le tappe della sua lunga e tormentata esistenza.

“Quanto tempo è passato dagli anni della mia infanzia spensierata tra gli stretti vicoli di Palermo, il mio noviziato presso il convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone, l’iniziazione alla loggia della “Speranza” a Londra? Troppo tempo sicuramente, ma ho vissuto la vita intensamente e non ho rimpianti …”.

“Per il mondo dei vivi sono ormai un ricordo sbiadito, lo spettro di un’epoca passata. Sono già passati trenta anni dai tempi della mia prigionia a San Leo quando nel 1795 con l’aiuto dei miei seguaci, scappai dal carcere dopo avere strangolato il confessore e averne indossato gli abiti”.

“D’allora però la mia vita è profondamente mutata, completamente votata alla ricerca delle nostre origini, all’insegna della Verità. Ho viaggiato molto, più di quanto feci durante la mia esistenza conosciuta, affinando lentamente potenzialità nascoste. Sono stato in India, Egitto, Turchia e ho visitato le sacre pietre d’Inghilterra. Ho ripreso i documenti che mia madre, discendente di Carlo Martello, mi lasciò e che raccontano fatti incredibili di cui erano già a conoscenza i vecchi sovrani Merovingi”.

“Ma questi documenti da soli non bastano a spiegare ogni cosa. Le carte di Kismet relative a Nostradamus sono indispensabili per completare questo immenso mosaico”.

“L’esito delle mie ricerche mi ha già permesso di arrivare a delle conclusioni che la gente comune di quest’epoca non riuscirebbe ad immaginare. Probabilmente in un futuro lontano l’Uomo riuscirà a prendere coscienza del vero significato della Vita e sarà la pace nel mondo, ma adesso è indispensabile che una persona soltanto abbia in pugno il destino dell’Universo! Solo la volontà del singolo permetterà all’Umanità di sopravvivere nei prossimi secoli fino al tempo delle Rivelazioni”.

“Ma il mio cammino volge al termine … ed è indispensabile che prima della mia scomparsa Kismet ricopra questo ruolo. Ricordo ancora il nostro incontro in Turchia quasi dieci anni or sono. Zacharie de Cabre era una persona distrutta nel corpo e nello spirito, ma grazie ai miei insegnamenti e alla sua irriducibile natura combattiva è riuscito a sollevarsi dalla mediocrità della massa! Lui potrà portare al termine il progetto oscuro al quale ho lavorato soprattutto negli ultimi trenta anni, il progetto di istruire l’Eletto a guidare il mondo intero e dominarlo grazie al proprio carisma e alle conoscenze millenarie acquisite dall’interpretazione dei testi sacri di tutto il mondo che ci riconducono all’Origine, al mondo sotterraneo di … Agarttha!”.

“Tutte le grandi religioni traggono le loro origini dalla religione primordiale di Agarttha, così come tutte le tradizioni particolari sono in fondo solo adattamenti della grande tradizione primordiale; nel corso dei millenni le religioni si sono secolarizzate e conservano ormai solo qualche pallido ricordo della loro gloriosa e comune identità. Con l'aiuto e gli insegnamenti occulti dei Superiori Sconosciuti , mescolati agli uomini della superficie, la tradizione originale di Agarttha è stata portata avanti dalle Società esoteriche e da ristretti gruppi di iniziati che a malapena conoscono il Vatannan, il linguaggio sacro da cui deriva la primitiva lingua Indo-Europea”.

“Ma Kismet possiede i fondamentali manoscritti che servono a svelare gli arcani misteri. La corretta interpretazione degli ultimi spartiti musicali indiani sarà fondamentale per poter localizzare il principale tempio di Agarttha che si estende nelle profondità del sottosuolo dove si trovano oggetti dagli straordinari poteri - tra cui il Graal – e, in un’immensa biblioteca, l'originale delle "Stanze di Dzyan", il testo che racconta le origini dell'Universo”.

“È impossibile portare il testo in superficie … significherebbe la fine del mondo per cui chi esce vivo da questa biblioteca deve contare soltanto sulla propria memoria”.

Mentre tutto questo succedeva presso il Monastero dei Benedettini a Catania, a Marsiglia, in una situazione molto diversa da quella appena presentata, ritroviamo Jeannette e Marguerite Lambert tornate ad occupare la soffitta nella quale hanno vissuto alcuni momenti di gioia e parecchi di dolore. Marguerite si è ripresa dal colera, benché risulti piuttosto indebolita. Quanto a Jeannette, non ha voluto accettare il denaro offerto da Moucheron a lei e sua madre da parte di Michel, l’Uomo in Nero.

“Non accetterò mai la vostra offerta, ve l’ho già detto parecchie volte!” tiene a ribadire anche questa mattina l’orgogliosa e testarda ragazza.

“Il signor Michel ha già fatto molto per noi e il fatto che Siffrein sia adesso al sicuro, sotto la sua ala protettrice, rende noi oltremodo felici e onorate”. E continuando: “In ogni caso ho ripreso il mio lavoro di sarta e proprio ieri la moglie di Lord Montford, la principessa Veratowska, una nobildonna di origini polacche che ha avuto modo di apprezzare il mio lavoro in precedenza, ha chiesto a me di recarmi da lei perché faccia una serie di cappelli da sera”.

“Permettetemi almeno che vi accompagni” azzarda timidamente Moucheron che nelle ultime settimane ha iniziato ad avere una vera propria venerazione per Jeannette Lambert.

“Se proprio ci tenete, non posso rifiutare una gentilezza come la vostra” dice la ragazza “salgo a prendere il materiale di lavoro, saluto la mamma e sono da voi monsieur Moucheron”, e il colosso per la prima volta vede accendersi un sorriso nel viso imbronciato di Jeannette.

“Sapete signorina Lambert, siete molto più carina quando sorridete che quando piangete!” esclama Moucheron, facendo arrossire la pudibonda ragazza.

“Monsieur posso chiedervi chi vi ha attribuito questo buffo soprannome e da dove venite? Mi pare dal vostro accento che non siete Francese!”

“Il mio vero nome è Christo, ma ormai tutti mi conoscono col soprannome che mi diede il Capitano Michel. Sono originario dei Carpazi orientali”.

“E’ molto lontano da qui, come siete arrivato in Francia?

“Si tratta di una storia molto lunga signorina. Se ci tenete proprio a conoscerla ve la racconterò lungo la strada per la residenza della principessa Veratowska”.

“Con piacere signore!” e Moucheron inizia il suo racconto che i nostri gentili lettori avranno la pazienza di ascoltare anche se fremono di conoscere l’esito del combattimento che a Napoli vede contrapposti Zacharia de Cabre e  i suoi uomini contro gli aggressori a capo dei quali è il bieco Padre Ventura.

 

 

Chapitre XVII

 

Dans lequel les intrus à bord du “Phénix” connaissent des fortunes diverses

Suivons donc Moucheron et Jeannette, le premier portant le panier de la seconde, qui se dirigent vers la villa louée par Lord Montford et son épouse, née princesse Veratowska, un peu à l’extérieur de Marseille. Nous apprendrons ainsi comment le jeune Christo grandit dans les montagnes de Moldavie, principauté alors âprement disputée entre les Russes et les Turcs; comment, après avoir brisé les vertèbres de trois janissaires qui en voulaient à la vertu d’une sienne cousine, il dut quitter son village et fuir jusqu’au port de Galatz; et comment, retrouvé par ses poursuivants, il se réfugia au hasard sur un navire en escale, qui se trouva être le “Phénix”.

“Le capitaine a pris de grands risques pour me faire sortir du pays,” explique Moucheron. “Cela aurait pu lui coûter sa tête. Depuis, je l’accompagne.”

“Mais que faisait-il à Galatz?” demande Jeannette, en prononçant drôlement le nom du port moldave.

“Je ne sais pas. Je crois qu’il revenait de rendre visite à un châtelain dans les Carpathes. Mais depuis, nous avons visité ensemble tout le pourtour de la Méditerranée et au-delà.”

La villa des Montford apparaît, interrompant le récit de Moucheron. Jeannette reprend son panier et, avec un signe de la main à l’adresse du matelot, disparaît à l’intérieur de la maison. En attendant son retour, Moucheron regarde distraitement le cocher qui, devant l’écurie, nettoie une voiture peinte aux armes accolées de Lord Montford et de son épouse.

“Où donc ai-je déjà vu ce blason?” se demande-t-il soudain en fronçant les sourcils.

Celui qui cherche les armoiries de la famille Veratowski serait peut-être bien surpris de les retrouver sur la garde d’une épée maniée par l’Homme en Noir, une nuit où, avec deux compagnons, il a hardiment repoussé une attaque de pirates sur son yacht.

Presque tous blessés, les agresseurs refluent par-dessus bord et regagnent leur barque qui s’éloigne à force de rames, abandonnant leurs morts et laissant aux mains de l’ennemi leur commanditaire, à moitié assommé par Poussin.

Pendant que Darcène maintient solidement le père Ventura, l’Homme en Noir le fouille, sans rien trouver d’intéressant.

“Il ne les a pas sur lui,” marmonne-t-il. “Ç’aurait été trop beau!”

“Mais décidément,” reprend-il à l’adresse de son prisonnier, “vous faites bien des métiers qui sont peu compatibles avec l’état ecclésiastique! Votre maître est-il au courant de tout ceci?”

“Il est ton maître aussi bien que le mien, Michel,” crache le moine, en prononçant le pseudonyme de l’Homme en Noir avec une ironie acerbe. “Le Vénérable a beau t’avoir donné ce nom, n’espère pas que tu pourras utiliser la science de Nostradamus à tes fins personnelles! Même si tu es meilleur escrimeur que la dernière fois où nous nous sommes affrontés.”

“Quand à vous, j’espère que depuis la fois où vous nous avez battus à la course, Byron et moi, vous êtes toujours aussi bon nageur.”

Et, saisissant le père Ventura au collet, l’Homme en Noir le projette dans l’eau glacée, le regardant s’éloigner à la force des bras vers la barque des contrebandiers qui a déjà presque disparu à la vue.

“Tu aurais mieux fait de lui passer ton épée au travers du corps,” reproche Darcène.

“Non, le sang a assez coulé pour cette nuit. Ventura nous laissera tranquilles au moins jusqu’à Alexandrie. Il nous reste à jeter ceux-là par-dessus bord,” ajoute-t-il en regardant les cadavres étendus sur le pont, “et à remercier ce jeune homme! Décidément, mon garçon,” continue-t-il à l’adresse de Poussin, tandis que Siffrein et son chien sortent de la cale où ils s’étaient réfugiés pendant la bataille, “mes rencontres avec toi sont toujours intéressantes!”

Il semblerait aussi qu’elles soient toujours malheureuses pour le jeune Marseillais. Il s’effondre soudain sur le pont, la main crispée sur sa blessure qui s’est rouverte pendant la bataille.

 

Capitolo XVII

In cui gli intrusi a bordo della "Phénix" conoscono delle fortune diverse

Moucheron scorta Jeannette fino dai Montford. Mentre la ragazza entra nella villa, riconosce, sulla fiancata della carrozza del lord, il blasone dei Veratowski e quello dei Montford. Sulla "Phénix", i nostri eroi mettono i contrabbandieri in fuga e catturano Ventura. Zacharie lo getta in acqua così che sia costretto a riguadagnare a nuoto la costa. Poussin, cui la ferita si è riaperta durante la battaglia, perde conoscenza.

 

 

Chapter XVIII

 

In which the reader has an opportunity to have a closer look at Padre Ventura, who was anybody, but not an ordinary person

Padre Ventura, the secretary, trustee, and assistant of the Sicilian, was neither bad, nor good.

He definitely was not a malefactor from the novels of Van de Velde, so much repulsed by a reading public. He was not a hero from the novels of Samuel Richardson either. Padre Ventura was a real man of an utter courage, and he lived a real life. His name "Ventura" which was a fake, of course, only showed his attitude to life. He was completely sure that he who did not risk, did not win. And Padre wanted to win.

He was not young anymore, and started to think that he would like to leave something after him: fame, fear, respect--he did not really care. Somehow, the word "love" never occurred to his wise head. Perhaps, because he never had known one. No, not in the meaning of not having connections with women. On the contrary, Padre Ventura knew too many of them to doubt if the word "love" had ever meant anything. He was inclined to philosophy--the feature highly valued by the Sicilian. Actually, the Sicilian hired him for the service because of the skills of the latter to think, and to come to the conclusions.

Padre was born 45 years ago in a beautiful city of Venice in the family which rooted back to Venetian doges.

He loved his city, but every time thinking about his home, he came to remember not the marvelous bridges or the spacious lagoon, leading to the magnificent Palace of Doges, and Saint Mark's Square, but the stale smell of water, and its yellowish color.

He obtained a brilliant education, could speak several languages, his family was not poor, but young Sergio Brunetto was not happy. He tried a military career, made several engineering inventions (for example, elaborated an English gun, extending its shooting distance; added several tricks to a famous school of Italian fencing and founded a fencing school, in which the disciples came to realizing that Italy was a mother of fencing, not France), traveled a lot, mostly in South America, and Malaysia, had one thousand ventures and adventures, changed names, women, friends. And he was terribly bored. After all, life did not offer him any reimbursement except its usual routine. Ventura (he was already Ventura) at that time wanted much more.

On learning about the possible place of keeping Grail in the South of France, and about the Southerners who never gave the Grail to the furious Duke of Montford, Ventura wanted to find it. Not for the sake of an apparent reward--he did not care about money, but let's look at the beginning of the chapter... Fame, fear, respect.

Let's add one more thing: the unquenchable thirst for the hidden knowledge of the world. It seemed to him that a little bit more, and he would be able to explain what hidden powers ruled on the Earth, who in reality was that genial engineer constructing a person with millions of systems inside. He was also curious to know the real history of the world. The existing system of the knowledge already did not suit him.

He spent a lot of time in Mexico as in the book of one of the Padres written 400 years ago, the Padre informed that the real history of the humanity was inscribed with the signs of Aztecs on 50 golden boards concealed in or under one of the ancient temples of Mexico, former Tenochtitlan. Teotihuacan was known to him as his own small apartment. At that time he found nothing. Then he moved to India, looking for the knowledge hidden in the temples of Assgartha, visited Lhasa in Tibet looking for Shambala, and was seriously considering the question of coming to Russia to find the drowned famous Kitezh--God's revelation. He learned Russian, at least its basis, and was suddenly struck by the idea: if all ages and times only the priests kept the mysteries of the world, why not to become a priest? At 35 he accepted the priesthood of the Jesuits, which was convenient: no usual clothes and no usual rules. Everything, which was done, was done ad Majorem Dei Gloriam.

Ventura became liar and more cruel. He did not think of anything, for his own interests. He did not kill anybody as yet, but he was ready to eliminate everybody who might stay on his way to please his interests.

He was also in Greece and Turkey, where his fame as an inimitable warrior could be compared only with no less famous Michel, nicknamed Kismet. Nobody knew his real last name, but his courage gave him the right not to answer questions. These two had to meet, and they did meet. It was also the time when Ventura, still not a Jesuit, met a Sicilian.

He was making up plans how to make Kismet accept the duel challenge once in the evening, smoking fragrant tobacco in a pipe, and suddenly somebody touched his had.

-- So, Ventura, somebody interrogated, did you understand the difference of good and bad? Did you find the sense of a human being "I know a man who might help you.

--Who is he?

--Michel Kismet, retorted an old man. He has a secret, which can change the lives of millions. And, finally, you will be unable challenge him. He fences better than you.

--You, old devil, screamed Ventura. How can you know this?

--I know because I can see and analyze. Just like you. Can you explain to me what is good and what is bad?

--No, said Ventura. Can you?

--Oh, yes. Good is the instinct of the continuation of the human genus, transformed into our today's feeling of good. What concerns bad, it's even easier. It's the instinct of self-preservation. If you, Ventura, don't believe me, think, what is more favorable for us: to be good or to be bad?

Ventura had a duel with Michel and lost it because he was too outraged that somebody could keep the sword as strong as he himself; hundreds of times had a chance to believe he conclusion of the Good and Bad, became a priest, until he met a mysterious man again and this time he accepted the offer to become the old man's helper.

He felt that being together with his master, might give him an opportunity to kill two hares: one to have a revenge over Kismet, and to get inside his secret, which would enable him to get to the heart of realizing the Great Mystery of the world. Now he understood that Michel was still better than he. He could not understand why.

Padre Ventura had come to his boss now, and this boss never forgave mistakes, especially when they were caused by the stupidity. Padre knew this time he made stupid mistake.

 

Capitolo XVIII

Nel quale il lettore ha l'opportunità di guardare più vicino padre Ventura che è tutto tranne un personaggio ordinario

Il vero nome di padre Ventura è Sergio Brunetto, uomo d’ingegno che ha ricevuto una brillante educazione e che, per sua stessa natura, ricerca l’avventura, le prove d’abilità, le sfide ed è senza scrupoli. Suoi interessi sono i misteri del Vita e, per caso, ha scoperto i segreti di Kismet, dal quale è stato battuto parecchie volte, diventando d’allora suo rivale e nemico. Di sicuro Kismet possiede tutta la conoscenza che egli ricerca, per cui ha iniziato a dargli del filo da torcere come meglio può.

 

 

Capitolo XIX

 

Nel quale apprendiamo che sotto un copricapo possono celarsi i drammi di una donna

Abbandoniamo il machiavellico Padre Ventura per tornare ad occuparci della giovane Jeannette, recatasi a palazzo Montford per discutere con la principessa Veratowska i dettagli relativi ad una serie di copricapo che le ha commissionato.

Il palazzo ducale riluce di sfarzo e la principessa, una donna di una settantina d’anni, sembra completamente presa dalla frenesia per i nuovi copricapo che indosserà presto alle serate mondane, incurante dei tragici eventi che la città di Marsiglia sta vivendo, attanagliata com’è dal colera che indiscriminatamente miete vittime tra nobili e popolani. Ma vediamo di conoscere i rispettabili abitanti del palazzo; i nostri gentili lettori ci scuseranno se li accompagneremo per mano tra le vicende di questa famiglia nobiliare, ma la loro storia è strettamente legata ai fatti finora raccontati.

Iniziamo con la civettuola principessa Iawdiga Veratowska, amante nonostante l’età avanzata della moda e abituata a spendere cifre da capogiro per la sua stravagante passione per i copricapo. A chi l’incontri una volta soltanto questa sua abitudine potrebbe sembrare la semplice mania di una donna danarosa, ma i bene informati conoscono i dettagli delle tristi vicende che l’hanno portata, una decina d’anni addietro, a vivere in un mondo irreale. La sua forma di follia si è manifestata dopo la morte di un figlio, della nuora e dei due nipoti. Vladimir era il secondo di quattro figli, il suo preferito, per il quale avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma indubbiamente aveva un pessimo carattere. Forse anche l’ultimogenito, Milton, le darebbe qualche preoccupazione se lei avesse ancora la testa a posto.

Quanto al settantatreenne marito inglese, Reginald duca di Montford, stimato per la sua integrità morale e per avere dato asilo nel suo castello nel Galles a parecchi nobili francesi durante il Terrore, vive in un’ala  del palazzo separata da quella abitata dalla moglie. Qualcuno afferma che sia diventato un appassionato di esoterismo da quando ha scoperto dei vecchi documenti sui quali aveva messo le mani durante le razzie Simon di Montfort, antenato di origini francesi che nel 1211 sterminò gli Albigesi. Diventato membro di una confraternita misteriosa, nel novembre del 1786, alla taverna di Reilly, Great Queen Street, Reginald ha conosciuto assieme a pochi altri esaltati il famoso Cagliostro, in esilio in Inghilterra dopo lo scandalo della collana e interessato a fondare una loggia egizia nella città di Londra. Mentre i compagni del duca non cadono nella rete del mistificatore, il giovane Montford finisce per farsi plagiare dal “mago” che intende spillargli il patrimonio facendo credere al duca di poter riuscire a trovare, attraverso l’interpretazione delle carte di famiglia, il luogo esatto nel quale Simon di Montfort nascose poco prima di morire nel 1213, la mappa per trovare l’esatta collocazione del Graal. Convinto che il prezioso oggetto gli appartenga ormai di diritto, Reginald inizia a dedicare la sua vita a questo ambiziosa ricerca grazie ai poteri “mistici” di Cagliostro. Ma dilapida presto quasi l’intero patrimonio di famiglia e, scomparso Cagliostro, sposa la principessa Veratowska, francese di nascita ma polacca di origini, nonché unica erede di un immenso patrimonio lasciatole dal padre i cui antenati nel XVI secolo si erano stabiliti nella città che avrebbe assunto il nome di Odessa. Durante la Rivoluzione, ancora nella vana speranza di ottenere notizie del Graal, il duca aiuta i nobili francesi in fuga ospitandoli nel suo castello nel Galles, poi si stabilisce nel Mezzogiorno della Francia dove diventa uno dei nobili più rispettati della città di Marsiglia. Parecchi anni dopo Vladimir, il figlio secondogenito, si appassiona agli ideali napoleonici e contro il volere paterno di arruola diventando un ufficiale sotto il Primo Impero, combattendo nella Guardia Imperiale.

Ma l’astro di Napoleone Bonaparte tramonta e Vladimir inizia a bere e far uso di hashish. Già fidanzato ad una nobile gallese, il giovane Montford nel 1815 conosce Olympe, la diciassettenne figlia del ricco Olivier de Cabre, una ragazza dolce e sensibile, ma senza una goccia di sangue nobile nelle vene. La principessa Veratowska, romantica com’è si abitua rapidamente alla situazione, mentre il marito disereda il figlio. Questi, tuttavia, con l’aiuto di Olivier de Cabre e del figlio diciannovenne Zacharie, del quale Vladimir è diventato buon amico, sposa Olympe e assieme l’anno successivo si trasferiscono a Odessa presso la tenuta dei Veratowski. Lo stesso anno la coppia ha una coppia di gemelli, ma quella felicità, non dura a lungo; Vladimir non riesce a vivere senza il fasto a cui era abituato ed è follemente geloso della sua compagna che incomincia a torturare in modo tale da ridurre alla disperazione. Si convince di non essere il padre dei gemelli e proibisce alla moglie di uscire di casa. Vladimir manca da casa per mesi interi e quando ritorna picchia la moglie. La poverina non fa parola del suo dramma ai familiari a Marsiglia fino a quando, circa otto anni dopo il matrimonio, la giovane non potendo sopportare ulteriormente una tale vita d’inferno lascia il tetto coniugale per rifugiarsi presso il padre ed il fratello. Anche quella volta, tuttavia, la donna non rivela i suoi problemi. Le basta avere accanto i suoi familiari, l’allegra Sarasvati – la piccola figlia di uno dei ribelli al governo inglese in India che Olivier de Cabre ha accolto sotto il proprio tetto – e la musica del suo pianoforte. Presto Vladimir apprende la notizia della fuga di Olympe e raggiunge a Marsiglia dove supplica la moglie di iniziare una nuova vita insieme, dimostrandosi davanti alla famiglia di Olympe molto affettuoso. Al cognato Zacharie regala perfino una spada che fa parte dell’eredità dei Veratowski.

In quel periodo Vladimir ha modo di rivedere il padre che frattanto ha avuto uno sgradito incontro con Padre Ventura per il quale la ricerca del Graal è soltanto uno dei suoi ambiziosi e oscuri disegni. Reginald Montford scaccia di casa ancora una volta il figlio che, in un momento di euforia dovuta all’hashish e all’alcool, costringe la madre a dargli parecchio denaro, ma la poverina gli fa capire di non essere più in grado di soddisfare le sue continue richieste economiche.

Pochi giorni dopo Zacharie de Cabre è accusato, assieme ad altri due ufficiali, di essere al soldo dei Turchi. Tuttavia, la sera dell’arresto Vladimir li avverte dell’imminente pericolo facendoli fuggire. Ma Olivier de Cabre viene trovato assassinato e la responsabilità attribuita al figlio. Iniziano delle approfondite indagini per riuscire a scovare Zacharie, ma nessuno intuisce che il giovane ufficiale si è nascosto, ancora una volta aiutato da Vladimir, in una soffitta sita al Vecchio Porto. Una settimana dopo i funerali di Olivier de Cabre, i nipoti scompaiono nel nulla e Olympe subito dopo. Per la gente di Marsiglia la donna si è gettata in mare disperata per la scomparsa del padre e dei figli. Una notte un urlo agghiacciante rompe il silenzio al porto; Vladimir de Montford è precipitato dalla finestra della soffitta che ospita Zacharie il quale, in fuga dalla città in uno stato di delirio, ripete macchinalmente a se stesso un’unica frase: - “No … non era mia intenzione uccidere!”. Quando la principessa Verowska apprende della morte del figlio, rimuove tutti i fatti tragici occorsi e si estranea definitivamente dalla società che la circonda. E’ ormai … pazza!

Ma cosa accadde a Vladimir Montford? Fu lui ad assassinare Olivier de Cabre? Era una spia dei Turchi? Possibile che avesse fatto scomparire i figli? Perché aveva aiutato Zacharie? E questi aveva saputo del lato oscuro del carattere di Vladimir? L’ossessione di Reginald duca di Montford per la ricerca del Graal ebbe un qualche ruolo in queste intricate vicende? E la presenza di Sarasvati?

I nostri cortesi lettori dovranno avere la pazienza di leggere i prossimi capitoli della seconda parte di questo romanzo per trovare le risposte a tali numerose domande.

 

 

 

Testo di Riccardo N. Barbagallo, Vincent Mollet e Gennady Ulman

 

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Il Vendicatore di Marsiglia