La sociologia tra ricerca e didattica al tempo di Internet
di Alessandro Martelli*


1. Tra nuove teorie e narrazioni in atto: considerazioni introduttive
 
Il senso comune odierno registra ormai diffusamente la sensazione che la concezione e l’uso del tempo siano profondamente cambiati nell’arco degli ultimi decenni. Tale cambiamento è accompagnato da una trasformazione altrettanto evidente nei concetti di spazio, luogo e identità [1].
Le parole d’ordine quotidiane sono ‘flessibilità’, ‘globalizzazione[2], ‘just-in-time’, ‘on-line’ ed i meccanismi sia di trasmissione inter-generazionale, sia di socializzazione entro una medesima coorte demografica sembrano sempre più svincolarsi dai limiti imposti sino a qualche decennio addietro dalle variabili temporali e fisico-spaziali.
In altre parole, chi è nato in un Paese occidentale prima degli anni Settanta è in grado di testimoniare in prima persona una netta differenza tra ritmi e modi di vita del passato e del presente.
La separazione tra luogo sociale e luogo fisico, avviatasi con l’introduzione di telefono, radio e televisione[3], sembra oggi potersi compiere attraverso le notevoli potenzialità offerte dal computer.
Le scienze sociali hanno cominciato a tematizzare questo cambiamento a partire dalla fine degli anni Sessanta e, a tutt’oggi, dalla convergenza, dallo scambio, anche dalla contrapposizione tra forme e prospettive diverse del sapere sono emersi tre macro-approcci teorici, ognuno dei quali fa perno su un’immagine peculiare del mondo (occidentale) contemporaneo: società post-industriale, società post-fordista, società post-moderna[4].
Senso comune e scienza concordano ormai nel mettere la tecnologia, in particolare quella informatico-elettronica, al centro delle modificazioni ancora oggi in via di rapida e profonda evoluzione. Si può anzi affermare che, probabilmente, il filo rosso che può costituire un punto comune di riflessione consiste proprio nel riconoscimento del ruolo fondamentale ricoperto dalla risorsa informativa[5].
Tra le convinzioni di Bell, autore de The coming of post-industrial society nel 1973, v’era certamente quella per cui la società che stava preparandosi a sostituire quella precedente “era definita dai rinnovati metodi per raccogliere, elaborare e diffondere le informazioni e da questi prendeva il nome”[6] (anche se poi Bell in quegli anni era dell’idea che la nuova società dovesse essere iper-industriale, diversamente da ciò che poi è avvenuto).
Il post-fordismo, del resto, descrive prevalentemente lo scenario lavorativo-organizzativo che si lega alla globalizzazione dei mercati e della produzione ed investe il mondo intero, anche se i suoi caratteri appaiono più evidenti nella società occidentale. Tale scenario si è venuto a manifestare in modo particolarmente visibile e diffuso a seguito della vasta applicazione dell’informatica nei diversi settori della produzione e del terziario, nell’era della cosiddetta New Economy.
Per ciò che riguarda l’insieme variegato di posizioni che si possono un po’ forzatamente riassumere entro la definizione di post-moderne, caratterizzate – questo sì – da una forte critica e corrosione delle ambizioni di stampo illuministico-moderno (il cui ‘campione’ pare essere l’Habermas della ragione comunicativa) e da una tendenza allo slittamento verso forme di ‘discorso’ e di ‘trama’ autoreferenziali, buona parte della vis contestatrice ed alternativa nasce dagli scenari aperti dalle elaborazioni informativo-comunicative tra reale e virtuale[7].
Per ognuna delle tre teorie appena richiamate, naturalmente, si possono contare sostenitori ed avversari, entusiasti e pessimisti[8] e in merito a ciascuna delle immagini suggerite, o dei processi descritti, sembra ancora vivace la contrapposizione tra “apocalittici e integrati”[9]. In questo caso, tuttavia, le ragioni di cautela e di critica non vanno indistintamente riassunte nella ‘sindrome’ del dotto di Salamanca che cerca di ricavarsi uno spazio di potere e legittimazione creando un antagonismo esclusivamente strumentale verso il ‘nuovo’: sembra infatti del tutto condivisibile la sottolineatura del rischio di una naturalizzazione delle dinamiche socio-economiche, senza una prospettiva critica e progettuale rispetto ai fenomeni in atto.
Tra i più autorevoli e tempestivi interpreti dei mutamenti socio-economici (scrisse La societé post-industrielle nel 1969), Touraine definisce la società post-industriale – ma la descrizione vale al di là dell’immagine scelta in riferimento all’industrialismo – come frammentata e dis-integrata rispetto alla precedente, con una dissociazione profonda tra sistema e attore, laddove in passato anche le situazioni di vita privata erano subordinate alle istituzioni[10].
Tre sembrano dunque essere, provvisoriamente, le acquisizioni in merito alla società contemporanea:
  • la percezione di una sua profonda diversità dal sistema socio-economico di trent’anni orsono, cui non è riconducibile in forma di variazione o assetto particolare. Tale percezione è riconosciuta anche da chi individua in quella attuale una nuova e più sofisticata edizione della società capitalistica lungo sentieri, dal sapore fordista-taylorista, del controllo consentito dall’informatica, così come da chi – come Giddens – preferisce parlare di conseguenze della modernità;
  • la centralità dell’informazione – e di tecnologie e metodi per trattarla – nella trasformazione da un tipo all’altro di società;
  • l’annullamento della tradizionale distinzione tra elaborazione della conoscenza e sua comunicazione, attraverso il connubio tra computer e (tele)comunicazioni[11].
  • L’attuale società può dunque essere definita ‘dell’informazione’, secondo un’espressione largamente diffusa ed accettata anche quando essa è sottoposta a letture critiche.
    Del resto è ormai chiaro che la società dell’informazione ha già (è già) un programma politico sostenuto dalle principali istituzioni pubbliche occidentali (dalla Commissione Europea ai singoli Stati nazionali, all’OCSE, agli Stati Uniti d’America).
    Si può ad esempio far riferimento al recente Consiglio europeo straordinario tenutosi a Lisbona il 23 e 24 marzo 2000. In tale circostanza la Commissione ha elaborato un documento intitolato eEurope. Una società dell’informazione per tutti in cui, premettendo che “i cambiamenti in atto grazie alla società dell’informazione [sono] i più significativi dopo la Rivoluzione industriale [e] sono estremamente profondi e su scala mondiale” (p. 2), viene offerta una sorta di Carta dell’Europa digitale. Entro i macro-obiettivi del collegamento on-line per tutti (cittadini, imprese, amministrazioni pubbliche), della creazione di una cultura digitale e innovativa, della garanzia che l’intero processo avvenga con la piena partecipazione di tutti e con il potenziamento della coesione sociale si trova anche un esplicito riferimento all’area del sapere e della conoscenza: uno dei dieci paragrafi di questo ‘decalogo’ punta esplicitamente all’accesso rapido a Internet per ricercatori e studenti (p. 10).
    È dunque abbastanza evidente come le istituzioni pubbliche europee di vario grado abbiano ormai registrato e politicamente ufficializzato l’esistenza della società dell’informazione, promuovendo ed avviando da tempo programmi che vanno dallo studio alla diffusione delle tecnologie digitali, inclusa l’analisi dei riflessi sociali che esse possono comportare. Spesso tali iniziative sono state rivolte o abbinate alle possibilità che l’informatica offre ai processi di apprendimento e di educazione, sia per favorire percorsi di formazione continua, sia per agevolare fasce svantaggiate di fatto escluse o quasi dai cicli educativi[12].
    La centralità dell’informazione appare quindi l’elemento forte su cui ruotano le diverse interpretazioni della società contemporanea, nella sua irriducibilità a quella che l’ha preceduta.
    Altrettanto centrale appare allora la sfida lanciata dalla gestione dell’enorme flusso informativo-comunicativo: trattandosi di risorsa fondamentale, l’informazione e, soprattutto, la capacità di accedervi e di utilizzarla entra decisamente nella definizione del livello di cittadinanza raggiungibile da un individuo.
    Sembra ormai tecnologicamente plausibile ed attuale constatare che è finito il tempo in cui si andava fisicamente ad informarsi, a cercare, guadagnare, procurare informazione e conoscenza superando vincoli spaziali e temporali. Oggi, infatti, tecnicamente l’informazione viene a noi. Ciò implica, come si sottintendeva poc’anzi, la comparsa di una vera e propria frontiera: quella relativa al reperimento di ‘buona’ informazione ed alla costruzione di ‘buona’ conoscenza.
    Il cammino verso tale frontiera è ulteriormente complicato da due tendenze della società del ‘post’:
  • quella del sovrapporsi di globalizzazione e neo-localismo, dell’attrazione/repulsione tra sistema e individuo: “our societies are increasingly structured around a bipolar opposition between the Net and the Self”[13]. In un mondo caratterizzato sia da globalizzazione simultanea sia da frammentazione, come combinare nuove tecnologie e memoria, scienza universale e culture comunitarie, passione e ragione?[14]
  • quella della privatizzazione del sapere, intesa sia come insieme di ostacoli all’accesso all’informazione[15], sia come appropriazione privata di ciò che si può definire ‘conoscenza sociale’.
  • La difficile combinazione tra esistenza privata ed estensione della cittadinanza per via partecipativa e democratica trova una felice sintesi nell’immagine di ‘società incentrata sulla casa’ di cui parla Kumar[16]. Le possibilità ed i margini di manovra offerti ‘a domicilio’ dalla tecnologia informatica, infatti, ci trasformano in consumatori e produttori insieme di informazione e conoscenza. Per dirla con le altrettanto efficaci parole di Castells: “we are not living in a global village, but in customized cottages globally produced and locally distributed”[17].
     
    1.2. Università e conoscenza

    Nell’accelerato evolversi dell’information technology, fenomeno che, a detta degli esperti, viaggia ad una velocità almeno 3 volte superiore ai tempi della società basata sulla cosiddetta old economy (presumibilmente a rischio di diventare, per questa via, essa stessa una old society, costruita su strutture e logiche dissonanti rispetto a quelle che oggi riscrivono il rapporto tra scienza, norme sociali e valori), il ruolo delle agenzie di ricerca, elaborazione e distribuzione del sapere rimane assolutamente strategico.

    Nel prosieguo della riflessione ci si soffermerà su alcune delle sfide e delle possibilità che la società dell’informazione ‘consegna’ alle istituzioni addette alla trasmissione e produzione della conoscenza, in particolare a quella universitaria e, al suo interno, al comparto delle scienze sociali.
    L’indubbia rilevanza dei processi di informatizzazione che stanno caratterizzando la nostra società, in maniera profonda e pervasiva da più di un decennio, è accompagnata - come più volte e da più parti ribadito - da un’elevatissima rapidità di evoluzioni ed innovazioni. Tale rapidità sfida le capacità di qualsiasi osservatore intento a cercare la prospettiva di analisi più corretta e a valutare la portata e gli effetti del cambiamento.
    In altri termini, ci si trova di fronte ai rischi connessi a “tutte le forme di ‘storia del presente’”[18], laddove la velocità e la complessità di trasformazione di un fenomeno è tale da scoraggiare propositi previsionali di alcun tipo, nonostante l’ampia messe di studi e riflessioni che si riferiscono alla ‘rivoluzione’ informativo-comunicativa.
    Il pur abusato termine di rivoluzione identifica adeguatamente un passaggio che si è ormai pienamente rivelato come ‘mutamento di paradigma tecnico-economico’, ossia come livello più estremo per la significatività e la portata di un’innovazione secondo la tassonomia suggerita da C. Freeman[19].
    Attualmente la fase che sta vivendo la diffusione della tecnologia informatica - nelle sue diverse espressioni ed applicazioni - trova una possibile identificazione in un sistema di tipo “‘interattivo’ o ‘aperto’, tendenzialmente acefalo - anche se non privo di punti di forte concentrazione delle conoscenze - e costituito da una pluralità crescente di interlocutori decentrati, capaci di interagire tra loro, oltre che con i ‘vertici’, per così dire, del sistema”[20].
    Le istituzioni volte alla produzione ed alla diffusione del sapere - di grado medio, superiore ed universitario - sono evidentemente chiamate ad interpretare nella maniera più attenta queste dinamiche, che le vedono coinvolte tanto come destinatarie di innovazione tecnologica ed organizzativa, quanto come luoghi entro i quali si realizza la riflessività sociale sulle implicazioni e sulle conseguenze, oltre che sulle potenzialità, del nuovo paradigma[21].
    L’insieme delle possibilità legate alla modificazione dei supporti tecnici del sapere, alla moltiplicazione delle fonti di informazione ed alla facilitazione dell’accesso ad esse, alla supposta rottura della logica lineare dell’apprendimento e dell’insegnamento - in definitiva, della comunicazione tutta - a favore di un approccio ipertestuale, flessibile, circolare, dinamico sta certamente destabilizzando alla radice la sequenza di routines, di schemi cognitivi e di presupposti antropologico-culturali che si erano consolidati nella plurisecolare stagione gutenberghiana[22].
    Un dibattito entro il quale si condensano emblematicamente le problematiche appena richiamate è quello relativo alla più o meno imminente ‘fine della cultura del libro’.
    Di fronte alle diverse paure e contrarietà degli uni ed alle certezze e adesioni degli altri, una riflessione equilibrata sembra condurre a scenari di “superamento-conservazione”, piuttosto che di “superamento-sostituzione”[23]. In altre parole, posto che lo sviluppo tecnologico potrebbe portare la forma-libro a diventare prevalentemente elettronica e in misura residuale cartacea (mantenendo la comodità, piacevolezza e maneggevolezza del libro stampato ed aggiungendo le opzioni che l’informatica è in grado di offrire, per esempio attraverso l’opportunità di aprire sul libro un file di appunti o di attingere a schede, filmati, banche dati, ecc.), in termini di modello concettuale di riferimento ci si confronterebbe con un aumento di possibilità (quindi con un’integrazione tra ‘vecchie’ e ‘nuove’), all’interno delle quali muoversi sulla base degli obiettivi e del tipo di informazione-comunicazione, anche multimediale, con cui si avrà a che fare.
    Si può immaginare un continuum di ipertestualità di una comunicazione che va da un minimo ad un massimo di complessità in funzione degli scopi, del contesto, delle risorse della comunicazione stessa[24].
    L’articolazione della didattica che potrebbe scaturire non annulla l’esistenza di ruoli diversi tra docenti e discenti. Tale rapporto non viene a mancare, ma si ridefinisce, cambia, trasforma le sue relazioni.
    “In sostanza: la pura opposizione fra ipertesto e testo lineare, come proposta in molte teorizzazioni dei sostenitori della ‘nuova cultura multimediale’ […] rappresenta non solo una ipersemplificazione, ma una ipersemplificazione fortemente fuorviante”[25].
    Queste pur rapide considerazioni fanno comunque intravedere quanto siano importanti la presenza ed il contributo dell’Università entro un dibattito così complesso e centrale per le sorti della società contemporanea.
    In questo senso, le riflessioni che di seguito saranno proposte sono di vario ordine, ma si rifanno tutte all’esigenza di un protagonismo del mondo della ricerca scientifica - in particolar modo della comunità delle scienze sociali - nell’analisi e nella gestione dell’attuale passaggio d’epoca.
    L’attenzione, allora, sarà dedicata agli scenari di tipo informativo-comunicativo sulla base di alcuni assunti di fondo:
    - in primo luogo, di per sé la complessità ed il grado di innovazione mostrati dagli sviluppi estremamente dinamici dell’informatica applicata alla gestione delle informazioni richiedono un forte impegno di osservazione e comprensione da parte delle scienze sociali;
    - in secondo luogo, la natura di questi macro-processi va intesa non solo come causa, ma anche come effetto di cambiamenti nella domanda sociale di conoscenza e nella sfera delle relazioni sociali quotidiane e ciò esige strumenti e sensibilità adeguate;
    - in terzo luogo, l’Università ha necessità di individuare ed implementare nuovi modelli sia organizzativi sia didattici per adeguarsi al mercato ed anche al bisogno sociale della conoscenza;
    - in quarto luogo, una disciplina come la sociologia in un certo senso ‘deve’ occuparsi di un tema così attuale sia perché esso costituisce, come appena ricordato, un oggetto di studio assai rilevante, sia perché a livello di ricerca e di didattica essa diventa utente di informatica e telematica.
    Risulta dunque centrale l’impatto delle tecnologie dell’informazione su un’istituzione come quella universitaria: essa, infatti, si può complessivamente rappresentare come denso ‘sistema informativo di sistemi informativi’ (organizzativo, amministrativo, scientifico, didattico, ecc.).
    Occorre già registrare, rispetto a questi temi, la presenza di un numero crescente di riflessioni cartacee e on-line sul rapporto tra multimedialità/telematica e ricerca/didattica/formazione, a testimonianza della necessità di predisporsi ad affrontarli anche in chiave operativa.
    L’insieme delle ragioni qui addotte per sottolineare la rilevanza di un dibattito e di un processo innovativo che preme dall’esterno e dall’interno dell’Università e della comunità scientifica si inscrive poi entro una riflessione più ampia, secondo la quale è il rapporto tra una data tecnologia e il contesto particolare in cui essa viene ad essere applicata che influenza in maniera determinante l’esito e l’efficacia di un nuovo assetto tecnologico-organizzativo, soprattutto quando il cambiamento ha una portata così vasta, di neo-paradigma, come quello basato sull’informatica.
    Ogni settore ‘reinventa’, per così dire, una tecnologia: “in presenza di un insieme di innovazioni interrelate capace di agire, come la tecnologia dell’informazione, in modo aspecifico e capillare, l’effettivo aumento della produttività dipenderà ancor più dalla stretta interazione tra le innovazioni migliorative e la loro diffusione nello specifico ambiente dell’utilizzatore (il cosiddetto ‘apprendimento attraverso l’uso’)”[26].
    Nel prosieguo, dopo una parte dedicata al rapporto tra Università, comunicazione scientifica ed Internet, con accenni alle possibilità di adottare metodologie e strumenti informatico-telematici per l’insegnamento, il contributo sposta l’attenzione sulla sociologia, integrando alcune sintetiche riflessioni con una ricognizione preliminare di esperienze e risorse disponibili in rete per finalità sia di ricerca, sia didattiche ad essa pertinenti. Tale ricognizione si traduce in un’appendice riportante una molteplicità di siti Internet - distinti per tipologie e contenuti - che viene proposta, come contributo forzatamente in itinere, a studenti, ricercatori ed esperti di questa disciplina.
     
    2. Didattica e comunicazione universitaria al tempo di Internet

    Le trasformazioni che attengono alla sfera comunicativo-informativa assumono quindi grande rilevanza per le agenzie di socializzazione e di trasmissione dei saperi. Ciò da un punto di vista tanto di nuovi linguaggi e di adeguamento tecnologico, quanto di potenzialità che si dispiegano per incrementare la qualità dei contenuti, in termini di valore conoscitivo aggiunto e di autonomizzazione dell’apprendimento nei vari ambiti della vita quotidiana e professionale (processo che comprende sia una personalizzazione del percorso, sia una maggior responsabilità - e per certi versi un maggior investimento - individuale).
    Anche se la nostra sembra essere definitivamente un’epoca in cui prevale il policentrismo formativo ed in cui il predominio spazio-temporale di famiglia e scuola nel campo della trasmissione dei saperi e delle abilità appare se non minacciato, almeno eroso ed affiancato da numerose altre agenzie ed occasioni di socializzazione, rimane centrale la variabile culturale rispetto alle chances di ogni individuo nel cammino verso una piena cittadinanza. Se è dunque necessario riflettere sull’opportunità di modificare ed aggiornare metodo, obiettivi e contenuti delle istituzioni scolastiche ed universitarie, queste mantengono comunque un valore rilevante nel aumentare le garanzie di successo di una persona verso l’inclusione sociale, rispondendo ai bisogni ed agli skills che caratterizzano la trasformazione socio-economica in atto.
    A questo riguardo è interessante notare come l’innovazione didattica tech(computer)-based abbia avuto cittadinanza prima nella scuola dell’obbligo e nella scuola superiore e successivamente nell’Università.
    Si possono infatti individuare due fasi del rapporto tra insegnamento ed informatica che hanno attraversato con tempi diversi questi due mondi: per il sistema dell’istruzione primaria e secondaria in una prima fase l’informatica ha rappresentato una possibilità per diminuire la percentuale di drop-out e di esclusi dalla fruizione delle risorse istituzionali; in un secondo momento la parziale sconfitta nel perseguimento di un più elevato tasso di scolarizzazione e di riuscita ha spostato l’obiettivo sul miglioramento della metodologia formativo-didattica, ritenuto comunque un requisito fondamentale per conservare la prima finalità[27].
    L’Università sta seguendo un analogo percorso, ma si trova più direttamente impegnata ad elevare la quota degli iscritti, dando loro concrete possibilità di raggiungere la laurea, quindi con obiettivi che stanno a metà tra la prima e la seconda fase vissute dalle istituzioni scolastiche primarie e secondarie.
    Occorre subito precisare come l’aspirazione di offrire possibilità didattiche alternative alla frequenza diretta non sia nuova, non sia cioè nata con le opportunità concesse dalle tecnologie elettroniche e come ancora oggi, non diversamente dal passato, corra il rischio di cadere facilmente vittima di una stigmatizzazione.
    Già nel secondo dopoguerra le esperienze note come ‘scuole per corrispondenza’ cercavano di facilitare l’accesso all’istruzione per fasce di popolazione altrimenti impossibilitate a seguire i normali corsi superiori secondari[28]. Il caso decisamente noto, per essere divenuto un fatto di costume, della Scuola Radio Elettra di Torino[29], che offriva pacchetti didattici per corrispondenza per diventare periti elettrotecnici, racchiude, proprio per l’ironia con cui viene spesso richiamato, quel giudizio riduttivo e quasi denigratorio che rischia di suscitare e portare con sé anche l’attuale didattica a distanza, anche quella ‘high-tech’ basata su prodotti e tecnologie di tipo informatico, quasi a considerare ‘di serie b’ tutto ciò che pone un’alternativa concettuale, prima ancora che pratica, alla tradizione.
    Va peraltro richiamata l’esperienza ampiamente positiva della Open University britannica, che nella sua storia ormai trentennale ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza nell’offrire pacchetti didattici per studenti part-time e/o a distanza, con oltre 200.000 iscritti ai suoi corsi, in totale, nel 1997/98, dei quali circa l’8% al di fuori della Gran Bretagna[30].
    Del resto, una forma di cultural lag viene a confermarsi anche sul piano delle pubblicazioni scientifiche. “Malgrado tutte le belle novità che dell’Internet si sono [...] raccontate, una cosa tuttavia resta ancora ben solida in questi primi anni del nuovo medium: che la grande maggioranza degli intellettuali, quando ha qualcosa da comunicare che ritiene importante o anche soltanto utile, scrive un libro [...]. Pochi invece, anche tra quelli che dissertano sui nuovi media, affidano le loro idee più care a CD-Rom o a pagine Internet. Oppure lo fanno in seconda battuta, mettendo anche in rete, ma dopo, quei materiali che hanno comunque concepito per la carta stampata”[31].
    Ciò ha una rilevanza non secondaria, poiché ha a che fare con l’assetto di Internet così come determinato dai suoi utenti, ovvero inerisce alla funzionalità della Rete tra caratteristiche tecnologiche-comunicative (con l’informatica viene superato il limite della connessione diadica tipica del telefono e, ancor prima, la pressoché nulla interattività di televisione, radio, giornali) ed effettivo uso quotidiano.
    In effetti, due considerazioni si rendono opportune: da una parte Internet concede alla visibilità di una notizia (sia essa un sito personale, un sito di e-commerce oppure un testo di taglio giornalistico o scientifico) una fortuna improbabile, poiché la sua stessa forza ‘democratica’, ovvero quella di essere acentrica rete di reti, abbassa enormemente la speranza di godere di un pubblico certo; dall’altra i surfer della Rete mostrano di seguire logiche di interesse – personale e/o professionale – piuttosto che l’ebbrezza di un continuo viaggiare senza meta[32], indicando quindi come la navigazione non sia tanto improntata ad attuare in forma tecnologica l’idea mitica del viaggio, almeno dopo i primi momenti, quanto a seguire percorsi mirati ed ordinati.
    In sostanza, allora, la forma comunicativa attualmente dotata di maggior seduzione, potenzialità e ‘futuribilità’ appare caratterizzata da due modi ‘antichi’ di essere. In primo luogo occorre ancora “farsi pubblicità […] per poter diffondere la propria pubblicità”[33] (poter comunicare con tutti, dunque, non equivale automaticamente a comunicare con molti). In secondo luogo, “l’utente ‘a regime’ […] preleva dai dispositivi di memoria di uno o più server solo le informazioni che rispondono alle sue esigenze lasciando le altre dove si trovano, esattamente come, davanti alla propria edicola, chiunque sa dove dirigere lo sguardo con sostanziale indifferenza a ciò che circonda la pubblicazione cercata”[34] (la comunicazione telematica non è solo metafora e strumento del viaggio, ma anche espressione di trame socio-antropologiche storicamente situate e determinate).
    Ecco perché si spiega la scarsa o nulla propensione a pubblicare in maniera esclusiva su Internet: di per sé la rete non garantisce (ancora?) sulla visibilità e sulla diffusione effettiva di un messaggio.
    In questo senso, allora, il ruolo dell’Università come istituzione sociale appare ancora importante e soprattutto dotato di un ampio potenziale in prospettiva: essa, infatti, come accade ad altre istituzioni in altri settori, detiene e richiama prestigio, affidabilità, legittimazione, riconoscibilità, dando al contenuto in essa o da essa veicolato una ‘certificazione’ che comunica fiducia e promette visibilità.
    Per questo motivo, nello specifico ambito della ricerca e della trasmissione di conoscenze l’Università conserva piena cittadinanza anche nel mondo telematico, portando con sé il peso del proprio brand e della propria autorevolezza (che naturalmente variano da Ateneo ad Ateneo, da Paese a Paese). Il suo compito è quindi quello di saper rispondere ai bisogni (agli interessi) dei propri interlocutori, garantendo innanzitutto metodo, sapere esperto, coerenza scientifica nella pur acquisita molteplicità dei percorsi individuali di socializzazio-ne/apprendimento e nell’aumentata disponibilità/reperibilità di fonti informative.
     
    3. Il significato e gli strumenti dell’innovazione didattica universitaria: non solo Internet, non solo ‘a distanza’
     
    Il riferimento ad Internet viene oggi frequentemente utilizzato per intendere la portata complessiva delle soluzioni offerte attualmente - e previste per il futuro - dall’innovazione informatico-telematica.
    L’Università ha l’occasione di ‘agganciare’ questo processo tecnologico sia per aggiornare e migliorare le funzionalità tecnico-organizzative interne (dall’immatricolazione all’iscrizione agli esami, dagli archivi statistico-amministrativi alla comunicazione con gli studenti), sia per conformare la didattica alle esigenze di un bacino di potenziali studenti sempre più differenziato, sia per potenziare la ricerca.
    Internet, allora, deve essere inteso come un più ampio obiettivo di adeguamento dei modelli didattico-organizzativi, al di là della legittimazione conferita quasi automaticamente dal possesso di un sito www che, magari, si esaurisce semplicemente in una forma di visibilità e pubblicità dell’ateneo o della facoltà ‘al passo coi tempi’.
    Le potenzialità per la didattica, in particolare, si esprimono attraverso percorsi complessivamente multimediali in cui la logica ipertestuale racchiusa, ad esempio, in un CD-Rom (supporto off-line, eventualmente con la predisposizione di links alla rete) si unisce alla comunicazione elettronica (on-line e/o off-line) ed è sostenuta da un impianto metodologico che deve assicurare l’efficacia del circolo collaborativo insegnamento-apprendimento-(auto)valutazione.
    In un’ottica di progettazione ed innovazione didattica si può dunque pensare all’ipotesi di una scelta non duale tra modelli ‘in presenza’ e ‘a distanza’[35].
    Ciò nella consapevolezza che, anche grazie all’ingresso delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, non sia più possibile oggi distinguere in maniera netta tra formazione in presenza e a distanza. Si assiste, infatti, ad una continua ibridazione e contaminazione tra i concetti di ‘frequenza’, ‘distanza’ e ‘relazione educativa’ (del resto, non è un caso che al termine ‘formazione a distanza’ si stia rapidamente sostituendo quello più significativo di open and distance learning).
    Le possibilità aperte dalla comunicazione telematica finiscono per “incrinare una distinzione netta fra modelli di ‘formazione in presenza’ e ‘formazione a distanza’, perché da una parte ogni ‘sito’ in grado di produrre comunicazione diventa in qualche modo un potenziale contesto formativo e, dall’altra, è possibile interagire in maniera bidirezionale, o polidirezionale (posta elettronica, teleconferenze, gruppi di discussione), non solo trovandosi all’interno dello stesso luogo, ma a partire da contesti separati e non necessariamente specialistici, purché tecnologicamente collegati”[36].
    L’attivazione di esperienze che combinano in vario modo l’interazione formativa tra soggetti, l’accesso ai materiali e agli strumenti conoscitivi, le modalità di organizzazione del sapere, i tempi e i luoghi dell’apprendimento, mette quindi in crisi la rigida distinzione tra i due modelli ‘in presenza’ e ‘a distanza’ e si apre alla definizione di nuove forme, ibride, di organizzazione dei modelli didattici.
    Secondo una logica di integrazione della didattica tradizionale attraverso gli strumenti concettuali ed operativi provenienti dalla riflessione sulle tematiche dell’open and distance learning, allora, l’intervento didattico si può orientare verso la promozione di alcune modalità innovative:
  • la multimedialità
  • la flessibilità del percorso di studio per frequentanti e non frequentanti
  • la multiformità dell’offerta formativa
  • la creazione di un canale comunicativo permanente a due vie tra docente e studenti
  • L’esistenza di un’articolata tipologia di studente fornisce poi un ulteriore motivo alla scelta didattica non duale. È possibile infatti rilevare la presenza di vari tipi di studenti:
  • frequentanti abituali face-to-face
  • frequentanti abituali face-to-face con integrazione di attività di formazione a distanza
  • frequentanti a distanza
  • non frequentanti totali
  • L’utilizzo di strumenti telematici e multimediali rende possibile l’accesso a sedi remote di produzione di materiali didattici e conoscitivi, l’interconnessione tra più soggetti (docente-allievi; studenti-studenti, ecc.) in ottica di scambio cooperativo, la costruzione da parte dello studente di un processo di apprendimento flessibile.
    Questi strumenti consentono, inoltre, un’interazione diretta e a distanza tra docente e studente, tramite, ad esempio l’invio di e-mail. Tale possibilità va ad arricchire le attività (e le modalità) di tutoring.
    Certamente il consolidarsi della prospettiva multimediale ci ‘racconta’ di un mutamento più ampio attualmente in atto all’interno della produzione e riproduzione dei saperi.
    Internet, oltre ad essere quella enorme banca dati elettronica che conosciamo, è anche potente metafora della costruzione delle informazioni e della conoscenza: rete di dati, di punti di vista, di interpretazioni, di sistemi valoriali, essa detiene lo stesso fascino su cui insiste la multimedialità, intesa come possibilità di combinare più sensi, più capacità e strumenti – ognuno diverso dall’altro e quindi complementare all’altro – nella ricognizione, descrizione e comprensione della realtà.
    L’integrazione fra tecnologie dell’informazione e della comunicazione asseconda e per certi versi precede l’estensione e la flessibilizzazione del concetto di sapere.
    Un processo di secolarizzazione della tradizione e della ‘oggettività civico-morale’ ha investito la trasmissione inter-generazionale da qualche decennio a questa parte, modificando profondamente il rapporto tra civis e civitas in direzione di un pluralismo delle idee e dei modelli di riferimento (conseguenza dell’indebolirsi del funzionamento gerarchico di norme e valori), dell’individualizzazione del rapporto tra norme e valori, del prevalere di una validazione esperienziale, piuttosto che basata su contenuti ereditati da altre generazioni ed interiorizzati, nella costruzione di modelli di riferimento per le scelte quotidiane[37].
    Parallelamente a questo processo i modi e i contenuti dell’apprendimento sembrano seguire un analogo percorso di apertura alla flessibilità, al decentramento, alla personalizzazione. In una parola, alla ‘co-costruzione’[38]: sembra essere questa, infatti, una delle più diffuse narrazioni della riflessione socio-pedagogica in riferimento alla potente strumentazione che la tecnologia elettronica pare aver fornito ad una società occidentale ormai avviata sulla strada della razionalizzazione, del relativismo, della multiculturalità, in cui difficilmente si possono riproporre schemi unitari ed omologanti imposti dall’alto, con criteri di ‘verità’ unilaterali.
    Le tecnologie della comunicazione, in altre parole, fornirebbero un supporto ed una concreta traduzione alle posizioni teorico-concettuali secondo le quali la conoscenza è ormai apertamente, definitivamente indirizzata verso un riconoscimento del suo carattere socialmente e storicamente situato, nonché della sempre più sottile distanza che separa l’insegnante dallo studente, l’insegnamento dall’apprendimento. La differenza consisterebbe nel possesso (e nella trasmissione) del metodo, più che dei contenuti.
    D’altra parte, secondo alcuni il rapporto tra telematica e didattica può arricchire il rapporto tra docente e discente con il miglioramento del difficile equilibrio io-noi, stimolando contemporaneamente entrambi attraverso quello che viene definito come ‘apprendimento collaborativo’[39].

    4. La sociologia ed Internet, tra ricerca e didattica
     
    Al di là degli aspetti più generali e del significato complessivo che le trasformazioni tecnologiche rivestono per la diffusione delle conoscenze e per i processi di socializzazione, è indubbio, come si diceva, che la disponibilità di nuovi mezzi e di nuovi spazi concede alla comunità scientifica un terreno ancora abbastanza inedito su cui cimentarsi sia per la ricerca - per potenziare i metodi di indagine, di raccolta dati e di scambio tra studiosi -, sia per la didattica, con la possibilità di ridefinire il rapporto tra docente e discente, tra insegnamento ed apprendimento.
    La sociologia è chiamata a seguire queste vie di innovazione – e, al tempo stesso, di consolidamento – della sua comunità scientifica, ma per propria vocazione è evidentemente portata anche a riflettere sulle origini, sulle dinamiche e sugli scenari futuribili della società telematica.
    In questa sede non ci si soffermerà su quest’ultima area tematica, peraltro già ampiamente praticata all’interno delle scienze sociali e, in particolare, nelle sociologie della comunicazione, per dedicarsi invece a qualche considerazione sulle risorse che la telematica offre alla ricerca e alla didattica sociologica.
    Certamente Internet rappresenta per la sociologia uno strumento per potenziarsi, ma al contempo nasconde anche una serie di insidie[40].
    Uno scoglio iniziale, evidentemente, sta nell’apprendimento della base minima di conoscenze che metta in condizione di viaggiare tra i vari siti disponibili.
    Ma la prima vera sfida all’utilizzo efficace del web è certamente rappresentabile con la popolare immagine dell’ago nel pagliaio: sulla rete si viaggia tra milioni di siti che spesso sono totalmente irrilevanti, alla ricerca del sito o della specifica informazione che si desidera rintracciare per una particolare necessità[41].
    Da qui si giunge a quella che è la seconda grande difficoltà che oppone Internet ai propri esploratori: la ricerca per parole chiave di temi e dati si scontra con la “insensibilità epistemologica” dei motori di ricerca[42]. La richiesta di uno o più vocaboli viene gestita attraverso criteri meccanici di rilevanza, basati sulla pura individuazione delle parole richieste nei documenti disponibili, senza alcuna altra forma di controllo o di approfondimento. In questo modo può capitare che si ottengano articoli di costume, saggi, pubblicità insieme a materiali di interesse sociologico. Occorre quindi una notevole abilità (e a volte fortuna) nel restringere il campo di indagine digitando le parole chiave più opportune, nonché utilizzando istruzioni che prevedano, ad esempio, di trovare due parole solamente quando sono compresenti e, magari, quando lo sono entro un titolo.
    Attualmente sono in via di sperimentazione motori di ricerca cosiddetti ‘intelligenti’, che sulla base dei termini inseriti come parole chiave avviano processi di restringimento del campo di ricerca attribuendo valore ai links, piuttosto che alle parole, e alle scelte/preferenze dei ‘navigatori’.
    A queste due sfide per la ricerca via Internet si aggiungono due ulteriori annotazioni: da una parte il grado di mutevolezza del panorama di siti presenti in rete e di ciascun sito al proprio interno è estremamente elevato, dall’altra il traffico sul web – che sta aumentando in modo davvero impressionante per ciò che riguarda gli allacciamenti (necessari anche se si usa solo o prevalentemente la posta elettronica), ma anche per la propensione a ‘navigare’ – può facilmente e frequentemente trasformarlo da rapido sistema informativo ad una congestionata “World Wide Wait”[43].
    Ciò che oggi offre la maggior garanzia di contestualizzazione di una ricerca, contenendo la deriva entropica cui è soggetta la richiesta di chi non possiede indirizzi specifici testati e pregnanti, è il “gateway directory site”, ovvero quel portale[44] che si fa carico di strutturare per contenuti, indici o motori di ricerca aree tematiche sufficientemente definite. Naturalmente per la sociologia, che assieme alle consorelle delle scienze sociali sconta ancora difficoltà definitorie rispetto ai confini tra una disciplina e l’altra, risulta più complicato organizzare e disporre un portale che sia rappresentabile come esclusivamente sociologico, anche in forza della stessa vaghezza e/o della trasversalità di un cospicuo numero di contributi, non solo sul web.
    Una considerazione particolare va poi fatta in merito allo stato di salute della sociologia italiana alla luce della sua ‘cittadinanza’ su Internet.
    Il grado di autorevolezza e di vivacità di una comunità scientifica non può certo dipendere unicamente dalla sua visibilità e diffusione sulla Rete, soprattutto di fronte ad un’ancora netta prevalenza della comunicazione cartacea per la formalizzazione di discorsi scientifici. In prospettiva, però, la capacità di attraversare ed utilizzare il canale telematico può essere assunta come indicatore della vitalità di una disciplina, in questo caso entro un contesto internazionale.
    Nel 1996 – in tempi quindi che, misurati alla velocità della new economy, lasciano spazio a modificazioni anche profonde, e tuttavia non molto probabili nel caso specifico esaminato – vi fu chi cercò di valutare la presenza e la rappresentatività della sociologia italiana in Internet[45].
    Attraverso a) un censimento in diversi cataloghi di Internet delle pubblicazioni di un campione di 30 docenti ordinari, b) la comparazione con un analogo campione di sociologi francesi e c) il raffronto tra la presenza dei sociologi italiani in Rete ed anche in un database italiano relativo alle dieci principali riviste italiane di sociologia dalle origini al 1993, l’indagine portò a registrare complessivamente una scarsa presenza e rappresentazione. Emblematiche, a questo proposito, le conclusioni dell’autrice: “è necessario che chi opera all’interno di questa disciplina apporti il suo contributo affinché la sociologia non venga tagliata fuori da un canale di comunicazione e di trasmissione del sapere scientifico così importante quale sta diventando attualmente Internet”[46].
    A distanza di cinque anni qual è la situazione?
    Oggi senza dubbio il sistema universitario e dipartimentale italiano ha compiuto notevoli passi avanti, con molti atenei e facoltà (forse con una prevalenza e maggior intraprendenza di quelli scientifico-tecnologici) ormai dotati di bacheche elettroniche anche piuttosto complete, ma occorre aggiungere che la presenza su un mezzo di comunicazione come Internet – immenso archivio con una soglia di accesso tutto sommato bassa per l’inserimento di documenti – testimonia più di una capacità tecnica che non di una qualità dei contenuti.
    In altre parole, Internet non pare ancora essere uno strumento sufficientemente autorevole, da un punto di vista scientifico, per indurre ad includere o escludere questo o quel contributo, questa o quella scuola, nella comunità internazionale della sociologia, accademica o professionale che sia.
    In ogni caso rimane importante l’appello affinché la sociologia italiana prenda piena cittadinanza su Internet e, in senso più vasto, all’interno del mondo della telematica, poiché le sue potenzialità e la sua pervasività sembrano essere elementi in grado di farne uno strumento centrale per la ricerca e per la comunicazione, anche didattica, di tipo scientifico.

    * Il presente contributo rientra nell’attività di studio condotta nell’ambito dell’assegno di ricerca “Documentazione scientifica multimediale per l’apprendimento delle scienze economico-sociali”, svolta dall'ottobre 1999 al settembre 2001 presso la Facoltà di Scienze Politiche (Centro di Coordinamento) di Forlì. Si ringraziano in particolare il prof. P. Zurla, tutor dell’attività di ricerca relativa all’assegno ed il prof. G. Gambetta, già preside della Facoltà e promotore di numerose iniziative di innovazione didattica.
    L’ultima verifica degli indirizzi telematici riportati nel testo è stata effettuata il 27/9/2001.
    [1] Per un’interessante rassegna delle principali posizioni ed acquisizioni in merito ad una delle relazioni più significative della modernità, quella tra tempo di vita e tempo di lavoro, si veda V. Borghi, M. La Rosa (a cura di), Tempo di lavoro, tempo di vita, Angeli, Milano, 1996 (numero monografico di Sociologia del lavoro, n. 58).
    [2] Per una ricognizione teorica sul concetto di globalizzazione, confortata da dati di ricerca relativi al contesto italiano, si veda V. Cesareo (a cura di), Globalizzazione e contesti locali. Una ricerca sulla realtà italiana, Angeli, Milano, 2000; sui diversi aspetti e temi della globalizzazione cfr. V. Cesareo, M. Magatti (a cura di), Le dimensioni della globalizzazione, Angeli, Milano, 2000.
    [3] Cfr. J. Meyrovitz, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1993, in particolare alle pp. 197-214.
    [4] Cfr. K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo, Einaudi, Torino, 2000.
    [5] Per una lettura approfondita della società dell’informazione, definita come network society, si veda M. Castells, The rise of the network society, Blackwell Publishers, Massachusets – Oxford, 1998. Per ciò che riguarda il modificarsi dei concetti di tempo e storia cfr., in particolare, cap. 7 “The edge of forever: timeless time”, pp. 429-468. Su quest’ultimo tema, ma anche sulla più generale trasformazione socio-economica, cfr. D. Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993.
    [6] Cfr. K. Kumar, op. cit., p. 5.
    [7]Ibidem, p. 7: “Tanto eclettico – ed elusivo – nei suoi tratti ideologici quanto l’eclettismo in cui esso vede la caratteristica principale del mondo oggi, il post-modernismo è la teoria contemporanea più difficile da valutare. I suoi termini possono sospingere in uno sconcertante circolo di auto-referenzialità”.
    [8] Tra i più recenti moniti rispetto ai rischi di deriva tecnocratica ed artificiale dell’informatica, si veda P. Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, entro una prospettiva che pure è piuttosto ‘apocalittica’.
    [9] Cfr. U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano, 1985.
    [10] Cfr. A. Touraine, voce Società postindustriale, in Enciclopedia delle Scienze Sociali - Treccani, Roma, 1998, vol. VI, pp. 156-166. “Giova ripeterlo: la società postindustriale va definita innanzitutto come società dell’informazione”, p. 158.
    [11] Cfr. K. Kumar, op. cit. Kumar si riferisce ai fautori della società dell’informazione (della sua ‘novità’) affermando che per alcuni di essi “il lavoro e il capitale, le variabili cruciali della società industriale, sono sostituiti dall’informazione e dalla conoscenza”, p. 17.
    [12] La Commissione Europea nel periodo 1995-1999 aveva adottato il Programma Socrates anche per “incoraggiare l’istruzione aperta e a distanza” (come noto il 1996 era stato dichiarato “Anno europeo dell’istruzione e della formazione lungo tutto l’arco della vita), assumendo come centrale il ruolo delle nuove tecnologie. Attualmente sta avviando Socrates 2 e dedica una Direzione Generale alla Società dell’Informazione: http://europa.eu.int/comm/dgs/information_society/index_it.htm, conservando una forte attenzione alle tecnologie informatiche anche nella Direzione Generale su Istruzione e Cultura (in particolare alla sezione e-learning: http://europa.eu.int/comm/dgs/education_culture/index_it.htm). In termini formali un punto di riferimento centrale è costituito dalla Risoluzione del Consiglio d’Europa del 6 maggio 1996 riferita al software educativo multimediale, in cui si sottolineava l’impegno ad avvicinare insegnamento ed apprendimento, migliorando l’uno e l’altro: “the use and evaluation of ICT in education must lead to an improved approach to meeting teaching and learning needs and introduce new methods. These must take full account of the evolution of the role of the teacher, give pupils and students a more active and participative role, personalise learning, encourage a cross-curricular approach and foster collaboration and multidisciplinarity”. Attualmente l’impegno dell’Unione su questi temi è particolarmente visibile attraverso l’Azione “Minerva”, volta a promuovere - entro il quadro teorico-concettuale ed esperienziale di Socrates -, la cooperazione nel campo dell’Open and Distance Learning e dell’Information and Communication Technology (per informazioni si veda all’indirizzo http://europa.eu.int/comm/education/socrates/minerva/guideline.html).
    L’OCSE (http://www.oecd.org) conduce frequenti studi sulle medesime tematiche; per quanto riguarda l’Italia, accanto alle attività che fanno capo ai diversi ministeri preposti, si segnala come l’art. 6 del collegato alla legge finanziaria 1998 (L. 450/97) abbia previsto per la prima volta un contributo per l’acquisto di attrezzature multimediali nelle scuole.
    [13] M. Castells, op. cit., p. 3.
    [14] Cfr. ibidem, p.23.
    [15] Si tratta della tematica affrontata da J. Rifkin nel suo ultime lavoro L’era dell'accesso: la rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano, 2000.
    [16] Cfr. K. Kumar, op. cit., in particolare pp. 210-222.
    [17] M. Castells, op. cit., p. 341.
    [18] G. Martinotti, voce Informatica, in Enciclopedia delle Scienze Sociali - Treccani, Roma, 1994, vol. IV, p. 703.
    [19] Cfr. C. Freeman, voce Innovazioni tecnologiche e organizzative, in Enciclopedia delle Scienze Sociali - Treccani, Roma, 1994, vol. IV.
    [20] G. Martinotti, op.cit., p. 707.
    [21] Nel rivendicare un ruolo primario per le istituzioni educativo-formative, G. Roncaglia esplicitamente afferma che “è proprio nel campo dell’educazione che si gioca la partita più importante relativa alla comprensione e all’uso consapevole delle nuove tecnologie” (G. Roncaglia, “Lo studio e i nuovi media”, lezione n. 10 del Corso di “Educazione al multimediale” di Mediamente-Rai, rintracciabile all’indirizzo:
    D’altra parte ciò risponde ad un fondamentale bisogno sociale, non semplicemente alla necessità di apprendere abilità tecniche da parte di insegnanti e studenti. Si veda anche G. Martinetti, “Una rete per la conoscenza”, Il Sole-24Ore, 31/12/2000.
    [22] Si veda, in particolare per ciò che concerne i riflessi in termini di didattica, R. Maragliano, Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Bari, 1998.
    [23] Cfr. G. Roncaglia, “Oltre la cultura del libro?”, scheda di approfondimento n. 7, lezione n. 10 del Corso di “Educazione al multimediale” di Mediamente-Rai, rintracciabile all’indirizzo:
    [24] Cfr. ibidem.
    [25] Cfr. ibidem.
    [26] C. Freeman, op.cit., p. 743.
    [27] Questo cammino è ben visibile nel passaggio dal I al II Piano per l’informatica (detto “Progetto Rete”) del Ministero dell’Istruzione.
    [28] Già negli anni Sessanta si trovano i primi studi valutativi sull’efficacia dell’apprendimento a seguito di formazione/istruzione a distanza. Cfr. A.M. Garito, L’insegnamento a distanza oggi: nuove tecnologie e nuovi metodi. Analisi di un modello, in A.M. Garito (a cura di), La multimedialità nell’insegnamento a distanza, Garamond, Roma, 1996. Cfr. il sito del Consorzio Universitario NET.T.UN.O (NETwork Teledidattico per l’Università Ovunque) http://nettuno.stm.it/.
    [29] Peraltro tuttora attiva: si veda il sito www.scuolaradioelettra.it/.
    [31] F. Carlini, Lo stile del Web. Parole e immagini nella comunicazione di rete, Einaudi, Torino, 1999, pp. 174-175.
    [32] Cfr. M. Negrotti, Internet e la trappola dell’informazione, in G. Boccia Artieri, G. Mazzoli (a cura di), Tracce nella rete. Le trame del moderno fra sistema sociale ed organizzazione, Angeli, Milano, 2000, laddove egli poggia sui risultati di una recente ricerca svolta dal Georgia Institute of Technology di Atlanta – http://www.gvu.gatech.edu/gvu/user_surveys/, nell’ambito di una riflessione generale sulle caratteristiche di Internet tra realtà e retoriche.
    [33]Ibidem, p. 125.
    [34]Ibidem, p. 127. Negrotti avverte quindi che “la pubblicazione di qualche messaggio o articolo, sia di carattere scientifico che di costume o di pura espressione di opinioni individuali, si pone in una luce molto chiara: pubblicare in Internet non consiste affatto in qualcosa di simile alla pubblicazione di qualcosa in un grande quotidiano o in una grande rivista. Piuttosto, si tratta di un’operazione molto simile a quella degli studenti che affiggono piccoli annunci sulle numerose pareti della propria Università già tappezzate di altri annunci”.
    [35] Ciò non toglie che le specifiche esigenze di studenti solo a distanza richieda certamente risorse (di personale ed organizzative) espressamente dedicate.
    [36] G. Giovannini, “Un PC come Prof”, Linea- Rivista di comunicazione sociale,  n.2, 1997, p. 48.
    [37] Cfr. L. Sciolla, “Come si può costruire un cittadino”, il Mulino, n. 4, 1999.
    [38] Cfr. F. Larose, “Information and Communication Technologies in University Teaching and in Teacher Education: Journey in a Major Québec University’s Reality”, Electronic Journal of Sociology, 1999, http://www.sociology.org/content/vol004.003/francois.html.
    [39] Cfr. G. Trentin, Insegnare e apprendere in rete, Zanichelli, Bologna, 1998.
    [40] L’utilizzo di Internet è ormai abbastanza diffuso all’interno della comunità scientifica, in particolar modo per l’efficienza del sistema di posta elettronica. Si vogliono qui riassumere in maniera estremamente sintetica gli elementi ed i passaggi fondamentali per entrare, anche concettualmente, nella ‘ragnatela’ telematica mondiale.
    La world wide web è un luogo sul quale si possono reperire (ed inserire) materiali di vario tipo (documenti, dati, software, fotografie, disegni, filmati) in connessione (link) con altri materiali secondo criteri di affinità, contiguità, classificazione, ecc.
    L’insieme di istruzioni attraverso le quali è possibile ‘navigare’ nella rete comporta il recepimento di una serie di concetti e di un gergo specifici. Tanto per richiamarne qualcuno particolarmente diffuso, l’immancabile “http://” è un acronimo che sta per hypertext transfer protocol, ovvero costituisce il sistema attraverso il quale è possibile trasferire gli ipertesti, cioè i gruppi di pagine collegate, dei vari siti che richiamiamo digitandone l’indirizzo. Il codice che consente di collocare i materiali sullo schermo, di mostrare le immagini, di udire i suoni è chiamato “html” (hypertext markup language) ed è possibile servirsene digitando le istruzioni per mezzo di un interfaccia grafico che nel linguaggio della rete, l’inglese, viene chiamato browser. Il più diffuso è probabilmente Netscape, cui si è affiancato – con le note accuse di abuso monopolistico – l’Explorer della Microsoft. Oggi la maggior parte dei computer dispone di software in grado di tradurre automaticamente materiali in html e, quindi, di renderli pubblicabili su Internet.
    Naturalmente la capacità di praticare Internet sarà in funzione anche del corredo tecnico di cui si dispone (software ed hardware del proprio personal computer e della macchina – server – attraverso la quale si è collegati alla rete).
    Sono ormai disponibili diversi manuali cartacei ed on-line che consentono di conoscere Internet. Riguardo ai primi si veda, tra gli altri, A. Aparo, Il libro delle reti, Adnkronos, Roma, 1995, V. Pasteris, Internet per chi studia, Apogeo, Milano, 1998, mentre per i secondi si può visitare il sito della casa editrice Laterza (www.laterza.it/internet/home/index.htm) - in cui si possono consultare ed ordinare i manuali nelle edizioni 2000 e 2001 -, nonché interrogare i principali motori di ricerca (Yahoo, Altavista, ecc.).
    [41] Cfr. M. Specter, “L’ago nel pagliaio”, Internazionale, n. 353, 22 settembre 2000.
    [42] R. Kling, “The Internet for Sociologists”, Contemporary Sociology, luglio 1997, p. 438. Si veda anche M. Specter, op.cit.
    [43]Ibidem, p. 443.
    [44] Un portale si può intendere come ‘porta di accesso’ ad un insieme di links e di notizie riferite ad un’area tematica di varia ampiezza, frequentemente dotato di un motore di ricerca.
    [45] Cfr. B. Bruschi, “La sociologia italiana in Internet”, Quaderni di Sociologia, 11, 1996.
    [46]Ibidem, p. 132.