Trenta, quaranta, perfino cinquanta portate
che spaziano in ogni area dello scibile gastronomico: le chilometriche liste di
certi ristoranti sono senza pudori e impongono qualche riflessione.
E' buona norma diffidare di un'offerta troppo estesa e pretendere, come
requisito base, almeno il rispetto della stagionalità.
Perché un menù sovraffollato vuol dire, spesso, una gestione della cucina e
dell'approvvigionamento con qualche pecca.
Se non si ricorre alle meraviglie del surgelato, infatti, non è facile disporre
di materie prime fresche per una così vasta e variegata sequenza di portate.
Altra soluzione, molto in voga, è prepararle per tempo in porzioni individuali
sottovuoto e riaccomodarle quando sono scelte dall'avventore, una delle salvezze
di molta alta ristorazione. Se non si vuole essere in malafede, invece, bisogna
pensare che gli chef dai «quaranta piatti» dispongano di materie davvero
fresche.
Ma qui salta agli occhi un altro vizio della ristorazione non solo italica. Data
la deperibilità di molti prodotti, è impossibile non sprecarne una larga parte
se si pretende di accumularne più del necessario.
A parlarne dopo le trascorse abbuffate delle feste, non è difficile memorizzare
la quantità di cibo rimasto nei piatti dopo gli eterni pranzi familiari, per
una gestione malsana anche delle nostre cucine di casa.
Nessun'altra epoca si era mai concessa il lusso di sprecare le materie prime con
tale noncuranza e di gettarne una così larga parte.
Tutto ciò ha un costo, tutt'altro che trascurabile, sui bilanci domestici e va
a condizionare le scelte quando si va a fare la spesa.
Lì, sarà penalizzato il prodotto tipico, artigianale, più caro, a scapito di
quelle offerte «molto vantaggiose», confezionate in multipli di due, quattro,
sei: cibarie che costano meno, ma che non si riuscirà a consumare prima della
scadenza, e si butteranno per metà.
Se vogliamo orientarci sulla qualità, allora, è buona norma sceglierla,
preferirla, ma anche consumarla tutta.
Quando sento parlare dei costi dei prodotti di eccellenza, non posso non pensare
che la realtà contadina che li continua a produrre non si è mai permessa
l'arroganza di sprecare nulla. E proprio per una gestione oculata delle materie
prime gran parte dei nostri ricettari di tradizione tramandano una cucina del
riutilizzo, della manipolazione degli avanzi, del rispetto per una storia spesso
marchiata dalla fame.
di Carlo Petrini
6
gennaio 2001