IMMAGINI DEL PELLEGRINAGGIO DEL 13 AGOSTO 2006

DOCUMENTI ULTERIORI

Il Parco e i monasteri di Fruska Gora a Novi Sa


La Belgrado in Friuli

La cinta di fortificazione

Sempre più povero

Gli ultimi Nemanjidi

 

La Belgrado in Friuli

  La città in Friuli ha un significato piuttosto importante nella storia serba. Oggi distrutta e sconosciuta, si chiamava Belgrado e v'erano vissuti quattro santi serbi.

In Friuli, a sud-ovest da Udine, sulla riva sinistra del fiume Tagliamento, vicino alla città di Varmo, si erigeva il castello Belgrado.

Intorno all'anno 1465 l'aveva comperato Cantacuzena Brankovich, figlia del despota Giorgio,

vedova del Tedesco Ulrico II de Celie (1406-1456), un nobile ricchissimo che aveva possedimenti in Slovenia e in Croazia.

Essa l'aveva acquistato dal conte Leonardo di Gorizia (1456-1500), un suo ottimo conoscente.

Il castello era grande e in cattivo stato. Ne sono rimasti dei dati nei documenti serbi, tedeschi, ragusei e soprattutto in quelli veneziani.

In serbo il castello era designato come "Belgrado in Friuli", in tedesco "Velgrat", "Velgradt", "Belgratt". I Veneziani lo chiamavano "Belgrado", proprio come la capitale serba.

Per distinguerle, qualche volta aggiungevano "Belgrado in Friuli".

La Belgrado friulana si trovava in una regione dove venivano a contatto vari gruppi etnici: latini, tedeschi e slavi. I conti di Gorizia si consideravano tedeschi, sebbene vicini agli Italiani, la popolazione nelle regioni vicine alla costa marittima era stata romanizzata, mentre nel retroterra vivevano gli Slavi. Il nome del castello, senza dubbio, è slavo.

Che si trattasse di un castello, lo affermano con certezza le fonti: in tedesco è designato quale "Schloss", per i Ragusei era "castrum", a con tale epiteto lo menzionano anche i Veneziani.

 

La cinta di fortificazione

 

La contessa Cantacuzena non aveva comperato Belgrado per sé, ma per suo fratello, despota Stefano, nel 1441 accecato dai Turchi ventenne. Essendo stato espulso l’8 aprile

del 1459 da Smederevo, egli se ne andò dalla sorella attraverso Buda. Prima di stabilirsi definitivamente, aveva soggiornato a Ragusa, poi in Albania, dove sposò Angelina,

figlia di Giorgio Arianita, a nel 1462 giunse a Venezia.

Cieco, non poteva vederla, però sapeva ammirarla. Vi ricevette due eminenti visitatori che lo descrissero come un uomo alto di statura e di rara dignità, serio e saggio, il che rifletteva la sua personalità. Nel 1461 avendo venduto i suoi possedimenti in Croazia, tra i quali al primo posto

viene citata "civitatem Montisgrecensis juxta Zagrabiam", Cantacuzena aveva comperato con quel denaro Belgrado, dove infine si era sistemato suo fratello e quindi il castello diventò "casa dei despoti de Servia".

Belgrado consisteva di un castello, della chiesa di San Nicola e di alcuni edifici accessori, tra i quali viene esplicitamente menzionato, durante il periodo serbo, un mulino.

In un disegno datato posteriormente, si vede che tutto il complesso era cinto di fortificazioni.

Al castello apparteneva anche la "villa" i cui "abitanti sottomessi" dovevano versare una rendita feudale. Tutto il complesso veniva custodito da una guarnigione comandata dal "capitano".

Belgrado, come anche le altre città medievali, godeva di certe libertà saltuariamente riconfermate dai signori supremi.

Cantacuzena aveva comprato la città con tutti i suoi diritti feudali.

Al tempo dell'acquisto serbo di Belgrado, la padrona suprema del Friuli fu Venezia. I senatori s'erano accordati sulla compravendita contando che la Cantacuzena sarebbe potuta essere utile loro. Le loro supposizioni erano reali.

Fino ad allora essa aveva seppellito tutti e tre i figli e voleva assicurare il tetto al fratello e ai suoi due figli: Giorgio e Giovanni e alla figlia Mara. Mentre le stavano sottraendo i suoi beni, essa cominciò a pensare di abbandonare l'Occidente, anche se ci aveva passato la maggior parte

della propria vita. Finalmente nel 1468, stufa dei Latini, se ne andò in parta della propria vita. Finalmente nel 1468, stufa dei Latini, se ne andò in Turchia della sorella Mara.

 

C'era anche una ragione immediata della sua partenza.

Cantacuzena aveva offerto ai Veneziani di fare da intermediaria, insieme alla sorella, nel trattare la pace con il sultano. Infatti, nel 1463 i Veneziani erano entrati in una guerra difficile di usura con l'imperatore turco. Quindi,accolsero la sua proposta entusiasti. Mara, sotto l'egida di Maometto II il Conquistatore, suo figliastro, viveva a Je'evo presso Ser, quale protettrice dei monasteri sul Monte Santo ed erede dei regnanti serbi.

Mentre Cantacuzena, avendo il titolo di contessa di Celie e della Slavonia, baronessa e principessa dell'Impero romano, era andata  in Turchia, suo fratello rimaneva a Belgrado.

Stefano, avendo dovuto subire varie sevizie durante i nove anni quale ostaggio nello stato del Sultano, restò il più ostinato avversario dei Turchi tra i figli del despota Giorgio Brankovich.

 

Sempre più povero

 

La principale mediatrice nei negoziati del trattato di pace fu l'imperatrice Mara. Intanto, ambedue le sorelle s'impegnavano molto, desiderando fare un favore a Venezia affinchè prestasse il suo aiuto al loro fratello a Belgrado.

Egli viveva molto modestamente, siccome le spese superavano gli introiti. Persino, di anno in anno diventavano sempre più poveri. Mentre i Ragusei avevano votato a stento una donazione di 15, rispettivamente 20 ducati, i Veneziani lo aiutarono generosamente assegnandogli prima 200, a dopo 300 ducati. Essi dovettero farlo, rivolgendo il loro sguardo verso Mara, consci che una guerra

sarebbe costata molto di più.

Anche se, tenendo conto della realtà medioevale, Stefano e le sue sorelle stavano molto distanti, essi avevano continui contatti. Per essere bene informati, i Veneziani fecero stare a Belgrado un ambasciatore, che partecipava alle trattative per le pace. Le due sorelle Brankovich non avevano avuto successo nei negoziati e Stefano percepiva un aiuto sempre più esiguo e stava impoverendo. Nella riscossione delle modeste entrate veniva ostacolato dai usurpatori e dai vicini.

Il conte Leonardo di Gorizia aveva persino accettato di rendere il denaro avuto dalla vendita di

Belgrado a condizione che il despota ci rimanesse. Nel 1475, sempre più malato, Stefano venne di nuovo a Venezia a chiedere 1' aiuto. I senatori decisero "di concedere a questo despota molto povero un sussidio mensile alla cassa di Udine".

Nell'ottobre del 1476 il despota Stefano il Cieco mori nella Belgrado friulana. Secondo la Genealogia dei Brankovich egli era stato sepolto prima "nella terra straniera, nel paese

latino", dove fu come "un bellissimo giglio in fiore accanto alle spine".

 V. J. Duric supponeva che "egli avesse avuto a Belgrado anche una chiesa in cui sia stato anche sepolto".

Possiamo soltanto aggiungere che posteriormente nella Belgrado in Friuli veniva menzionata una chiesa dedicata alla Madonna. E' noto che il despota aveva a Belgrado uno scrivano e che ci aveva portato dei libri della biblioteca patema di Smederevo, sebbene fosse cieco.

Dopo la morte del despota Stefano, nella Belgrado friulana c'era rimasta sua moglie Angelina con i figli. Presto si trovarono in condizioni ancora più misere. Il Senato veneziano concluse che sarebbe stato meglio renderle possibile di riscuotere senza difficoltà degli entroiti che aiutarla dandole denaro. Quindi, ordinarono all'ufficiale competente di garantirle il governo di Belgrado e dei sudditi e "che non avesse nessun superiore nella propria casa", eccetto il luogotenente veneziano del Friuli. Ciò nonostante la sua situazione non migliorò ed essa se ne andò coi figli a Vienna dall'imperatore Federico III d'Absburgo (1440 - 1493).

Nel frattempo i Turchi penetrarono in Friuli e misero a fuoco e fiamme tutta la regione dall'Isonzo fino al Tagliamento. Durante la sua assenza Belgrado fu governata dal suo capitano serbo Giorgio Grebeglian. Essendo stato menzionato ancora un Serbo sotto il suo comando, pare che la guarnigione della Belgrado friulana fosse serba almeno un certo tempo.

Gli ultimi Nemanjidi

 

Ancora dall'arrivo della Cantacuzena in Turchia, il sultano le stava chiedendo del denaro. Intanto, essa non poteva riscuotere il debito di un nobile Raguseo. Essendo rimasta senza soldi, il sultano la gettò in carcere a le fece picchiare.

Quindi egli decise di vendere la Belgrado in Friuli.

Autorizzò l'Ebreo Simone, il suo agente a Venezia, di sbrigare l'affare. Pur essendo schiava del Sultano, Cantacuzena non si lasciò domare. Uscita dal carcere, provò a vendere Belgrado e spartire il denaro con la cognata Angelina. In seguito inviò a Venezia il monaco Anastasio, e dal conte di

Gorizia il monaco Marco accompagnato dal suo "impiegato" Giorgio "il Serbo". Per due anni circa venne mantenuta la corrispondenza fra Maometto II, la Cantacuzena, i senatori veneziani e il conte di Gorizia. La despota Angelina suggeriva a Leonardo di comprare il suo ex possedimento,

mentre il capitano Giorgio Grebeglian dichiarava che non avrebbe ceduto Belgrado a un compratore mandato dal Sultano. Tutto il carteggio fini a metà del 1481, con la morte di Maometto II il conquistatore, l'ispiratore principale della vendita di Belgrado.

Nel 1485 la Belgrado in Friuli apparteneva ancora alla despota Angelina. In quell'anno essa l'aveva ipotecata a Matteo Spandugino, l'ex-nobile bizantino al servizio dell'imperatore Federico III d'Absburgo. Il denaro le era indispensabile perché voleva dare in sposa la figlia Mara al conte di Monferrato Bonifacio V, erede dell'imperatore bizantino Andronico II e di Irene di Monferrato. Però, lo sposalizio richiedeva la dote. Inoltre, quell'anno moriva il despota Vuk Grgurevich e il re ungherese nominava figlio maggiore di Angelina despota serbo. Gli donò un possedimento per cui doveva depositare molto denaro. Ipotecato il castello, Angelina e i figli se ne andarono in Ungheria. Essi portarono con loro i resti mortali del despota Stefano, che giacevano nella Belgrado in Friuli quasi da un decennio e li deposero "nella terra paterna Sirmio, nella città di Kupinovo". Cosi, la famiglia del despota serbo lasciò per sempre la Belgrado in Friuli.

Sebbene cresciuto tra gli Italiani e i Tedeschi, il despota Giorgio era rimasto un cristiano ortodosso religiosissimo.

Già dapprima incline alla chiesa, egli si fece monaco segretamente prendendo il nome Massimo. Verso la fine della sua vita era arcivescovo di Belgrado (alla foce della Sava nel Danubio). Suo fratello Giovanni, uomo coraggioso combatteva assiduamente contro i Turchi ispirato all'idea

di restaurare il Despotato serbo. La madre e i figli facevano donazioni ai monasteri del Monte Santo e nel 1509 fecero costruire il monastero Krusedol. Tutta la famiglia è stata canonizzata. Tutti, eccetto Giovanni, hanno avuto le Vite e anche le Messe individuali e una Messa comune. Secondo

gli autori di tali componimenti "essi pregano per il loro popolo da patrioti", per la salvezza "dalla tirannia turca".

Sono gli ultimi rampolli della stirpe dei Nemanjidi ed occupano "il trono del reame serbo". Il loro culto, dunque, non aveva un significato locale ma quello nazionale. "Il santo Stefano Serbo (il Cieco)" si festeggia il 22 ottobre del nuovo calendario, la "Santissima madre Angelina Serba" il

12 agosto, il despota Giorgio "Santo Massimo, Arcivescovo Serbo" il 31 gennaio e "San Giovanni, Despota Serbo" il 23 dicembre.

Tutto sommato, si può dire che la città in Friuli è stata di non esigua importanza per la storia serba. Oggi in rovina, dimenticata e sconosciuta, si chiamava Belgrado e ci erano vissuti quattro santi serbi.

 

Prof. Dott. Momcilo SPREMIC

Università di Belgrado


 

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