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Una strategia di lotta nonviolenta in India


di Alberto L'Abate

Militanti del MIR Italia

Nei trainings fatti in Kossovo per la formazione di formatori alla nonviolenza e la riconciliazione dalla Campagna Kossovo, Hildegard Goss-Mayr , che con suo marito, morto qualche anno fa, ha educato alla nonviolenza i movimenti nonviolenti di quasi tutto il mondo, compresi alcuni premi Nobel per la Pace, ci ha presentato i suoi tre strumenti, riportati anche in un libro citato in fondo a queste note. Per illustrare la loro applicazione concreta, in un training successivo, li ho applicati al caso di una lotta in India. Questo anche per sottolineare come la nonviolenza abbia due gambe: l’azione diretta nonviolenta e il programma costruttivo. Quest’ultimo serve a comprendere come possiamo trasformare i conflitti in modo positivo, e come passare dal linguaggio della violenza a quello della nonviolenza. Non possiamo dimenticare che il mondo è pieno di ingiustizie e se non troviamo modi di combatterle attraverso la nonviolenza, ci sarà sempre più violenza attorno a noi. Così penso sia importante questo esempio di una lotta nonviolenta da cui trarre alcune lezioni per l’analisi dei conflitti e per l’elaborazione di una strategia, in linea con quello che ci ha insegnato Hildegard Goss Mayr nel corso del training in Kossovo. Ma, dato che l’esempio viene dall’India, farò una breve introduzione sulla nonviolenza in questo paese.

Gandhi nelle sue lotte ha dato molta importanza ad ambedue le due gambe della nonviolenza, facendo un grande lavoro costruttivo per l’educazione della gente, per il miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie dei villaggi, per elevare le condizioni di vita dei più poveri, e allo stesso tempo, conducendo molte battaglie per la libertà e l’indipendenza dalla Gran Bretagna per mezzo della nonviolenza (ha chiamato questa lotta “Satyagraha”: lotta con la forza della verità). La più famosa di queste lotte è stata la disobbedienza civile contro la legge Britannica che non permetteva agli indiani di usare il sale dei loro mari: la ben nota “marcia per il sale”.


Dopo la morte di Gandhi, due leaders importanti hanno guidato il movimento nonviolento indiano: J.P. Narayan e Vinoba Bhave. Il primo, chiamato familiarmente dalla gente J.P., ha guidato le lotte contro la corruzione del governo di Indira Gandhi (che non era parente di Gandhi, come ha cercato di far credere alla gente, ma figlia di Nehru, primo ministro dell’India subito dopo l’indipendenza) e riuscì a farlo cadere. Il secondo ha marciato per molti anni per tutta l’India, cercando di persuadere i grandi proprietari terrieri a donare parti delle loro terre a favore dei più poveri, in quella che fu la prima riforma agraria nonviolenta (riuscì a distribuire diversi milioni di acri).


Ma, dopo la morte dei sui due leaders il movimento nonviolento Indiano ha subito una spaccatura: i seguaci di J.P. privilegiavano l’azione diretta nonviolenta e quelli di Vinoba al contrario davano più importanza al programma costruttivo. Questa spaccatura ha molto indebolito il movimento nonviolento indiano.


Attualmente c’è in India una coppia di gandhiani (che hanno conosciuto Gandhi e lavorato con entrambi i leaders che gli sono succeduti) Jagannathan e Krishnammal che sull’esempio di Gandhi utilizzano tutte e due le gambe della nonviolenza: aiutano i poveri e i fuori casta - specialmente le donne - a divenire proprietari di piccoli appezzamenti di terra e lottano per una società in cui la democrazia cominci dal villaggio e non dall’alto, sia cioè una democrazia partecipata e non semplicemente delegata. Essi vivono e lavorano nel Tamilnadu, uno stato del Sud dell’India. Qualche anno fa hanno organizzato nella zona una marcia per la pace per promuovere la riforma agraria e far progredire la democrazia nei villaggio. Ma quando arrivarono ai villaggi vicino al mare trovarono una situazione terribile.


Diverse compagnie multinazionali stavano promuovendo nella zona l’allevamento industriale dei gamberi da vendere ai paesi più ricchi del mondo per essere consumati in ristoranti costosi. Per questi allevamenti le compagnie hanno fatto scavare in località costiere diversi bacini che si estendono per un centinaio di metri quadri e profondi un paio di metri in cui viene pompata insieme all’acqua dolce, l’acqua del mare e dove vengono immessi i gamberi appena nati che vengono nutriti con cibi per lo più chimici e artificiali. Dopo sei o sette mesi i gamberi ben cresciuti possono essere venduti al Giappone, agli Stati Uniti, ed ai paesi occidentali, fornendo alle compagnie lauti guadagni e al paese valuta pregiata. Ma le conseguenze ecologiche ed economiche di questo tipo di sfruttamento del suolo sono gravissime, particolarmente per la povera gente che vive nell’area.


In molte zone, per costruire, i loro bacini le compagnie multinazionali hanno distrutto illegalmente molti tipi di alberi di cocco, di mangrovie, ed altri, che proteggevano la costa dal vento e dalle inondazioni, dai cicloni e dall’erosione marina.
Gli insediamenti rurali situati vicino agli allevamenti di gamberi si trovano ad affrontare gravissimi problemi riguardo all’acqua potabile perché questi allevamenti esauriscono i rifornimenti d’acqua dolce. Inoltre l’acqua salata ed i liquami tossici dei bacini si infiltrano nel terreno circostante fino alle falde acquifere e l’aumento della salinità inquina sia le riserve di acqua potabile che i terreni circostanti rendendoli sterili. Molte fattorie locali sono state danneggiate dalle infiltrazioni d’acqua salata nei campi coltivati a riso il cui raccolto è stato enormemente ridotto e dopo qualche anno (da cinque a dieci) la zona diventa come un deserto, del tutto inutilizzabile anche per gli allevamenti di gamberi, cosicché le multinazionali devono cercare altre terre ed il problema si aggrava sempre di più. Inoltre lo scarico dell’acqua dal bacino inquina, a causa dei liquami tossici, il mare e l’ambiente marino, riducendo ed avvelenando la vita dei pesci. Viene rovinata anche l’economia dei villaggi circostanti perché questi allevamenti richiedono poca mano d’opera, mentre la zona era invece molto produttiva e forniva annualmente anche tre raccolti di riso che davano lavoro a molte donne ed anche a uomini. Anche le comunità di pescatori sono state gravemente colpite perché i bacini hanno bloccato l’accesso al mare dai villaggi e li hanno privati dei luoghi dov’erano soliti distendere le reti ed ancorare le barche.
Quando la coppia di gandhiani scopri questa situazione, con la collaborazione del movimento ecologico raccolse informazioni e documentazione sugli allevamenti dei gamberi in tutto il mondo (Bangladesh, Malesia, Equador eccetera) scoprendo che il problema non era soltanto locale ma internazionale e che molte popolazioni costiere avevano gravemente sofferto a causa di queste attività. Così cominciarono ad organizzare la popolazione locale a resistere a questi progetti di trasformazione, addestrandola alla resistenza nonviolenta. Organizzarono, prima di tutto, un digiuno (nel 1994 circa mille cittadini digiunarono a più riprese accanto a questi bacini o di fronte agli uffici di una di queste grandi Compagnie), o manifestazioni in bicicletta; poi iniziarono attività di “Satyagraha” impedendo in varie località, in modo nonviolento, il lavoro di scavo dei bacini. Ma la reazione delle Compagnie non tardò a farsi sentire: assoldarono un gruppo di picchiatori che incendiò le abitazioni dei dimostranti in un villaggio della zona, pretendendo (con l’aiuto della polizia locale corrotta) che fossero stati gli stessi abitanti del villaggio ad appiccare il fuoco. Trentasei persone furono messe in carcere per uno o più mesi. Molte donne, mentre i loro mariti erano in carcere, parteciparono ad iniziative Satyagraha con l’aiuto di Krishnammal che, per incoraggiarle, aveva rivitalizzato l’antico culto locale della lampada che aiuta le donne a sentirsi più forti nella consapevolezza che Dio risiede nel cuore di ognuna di loro. La lotta continuò per mesi ed anni durante i quali il movimento organizzò altre azioni di resistenza: marce, manifestazioni in bicicletta e grandi dimostrazioni alle quali venivano invitati esperti di ecologia di tutto il mondo. A Madras, in occasione di una di queste manifestazioni, alla quale hanno partecipato molti leaders di gruppi sociali ed ambientalisti di vari paesi del mondo, che pure soffrivano di questo problema , venne lanciata una Campagna Internazionale contro l’acquacultura non sostenibile”. Nel frattempo la stampa nazionale aveva dato molto spazio a queste proteste, contribuendo così a far conoscere il movimento ed a suscitare un dibattito intorno a questo problema. Il caso fu proposto alla Corte Suprema dell’India dove più di cento avvocati patrocinarono la causa delle Compagnie Internazionali e solo uno difese le richieste del movimento. Nel dicembre 1996 la Corte Suprema diede sostanzialmente ragione al movimento che si opponeva agli allevamenti di gamberi (sentenza confermata nell’agosto 1997) dichiarando che nessun terreno agricolo in quella zona, poteva venire convertito in allevamenti di gamberi a scopo commerciale, e che quelli già esistenti non potevano continuare a utilizzare l’acqua del terreno locale. Fu un gran successo per il movimento “Satyagraha”, ma a causa di pressioni da parte delle multinazionali e probabilmente anche corruzioni, l’applicazione di questa sentenza si fa aspettare e ci sono ancora problemi poiché il governo centrale dell’India (interessato ad importare la valuta straniera pregiata che queste industrie portano al paese) ha cercato di boicottare la sentenza della Corte Suprema, introducendo una legge sugli allevamenti dei gamberi (“Aquaculture Authority Bill”) che ha consentito agli allevamenti di continuare la loro attività.
Facciamo ora insieme l’analisi di questo conflitto con i tre strumenti di Hildegard. Il primo consiste nei tre triangoli, in uno dei quali, quello in mezzo collocato alla rovescia, cioè col vertice verso il basso, dobbiamo scrivere il problema o l’ingiustizia da analizzare. Possiamo scrivere: “Distruzione dell’economia e dell’ecologia locale”. Gli altri due triangoli si trovano ai lati di questo per tenerlo in piedi e formano, nell’insieme, un trapezio. Da un lato mettiamo i fattori interni, che dipendono dalle stesse vittime, che contribuiscono a far andare avanti l’ingiustizia.

Possiamo scrivere: “passività ” e “mancanza di organizzazione e di addestramento alla nonviolenza” che impediscono l’azione concreta da parte della popolazione, “paura”, “ isolamento” e “povertà”, che aumentano il senso di alienazione, la sensazione cioè di non poter far nulla per modificare la situazione, la “disoccupazione” che porta gente senza scrupoli (come i picchiatori) ad accettare qualsiasi lavoro, anche sporco. Nel triangolo dall’altro lato dobbiamo scrivere, al contrario i fattori esterni che contribuiscono a quest’ingiustizia. Possiamo elencare dal basso verso l’alto: “l’informazione scorretta”, “la corruzione della polizia” , “la burocrazia” “i picchiatori” “ i grossi interessi delle multinazionali”, “l’interesse del Governo ad avere moneta pregiata” che entra nel paese, le responsabilità del Fondo Monetario Internazionale.


Il secondo strumento è il circolo della solidarietà incontrata dal movimento nonviolento che ha contribuito ai risultati positivi della lotta. Nel circolo centrale possiamo scrivere: “la popolazione locale”, nel secondo circolo: “ Il movimento nonviolento gandhiano” , nel terzo: “i movimenti nonviolenti stranieri” come per esempio gli OSM Italiani, nel quarto circolo “il lavoro della stampa e dei Media indipendenti” che hanno contribuito a far conoscere il problema, nel quinto: “ la Corte Suprema”.

C. Renouy - P. Causu - Hildegard Goss Mayr - M.  de Vries - C. Ronnefeldt


Il terzo strumento è quello della strategia alternativa che è stata utilizzata e che ha contribuito ai risultati. Qui possiamo scrivere: “le marce” che hanno contribuito a far emergere il problema, la “ricerca e documentazione su altri paesi” che ha contribuito a rafforzare il movimento nonviolento ed ecologico e la resistenza a queste ingiustizie; le “conferenze ed incontri” per richiamare la solidarietà di altri settori della popolazione; “l’addestramento della gente alla resistenza nonviolenta” attraverso la rinascita di tradizioni religiose i digiuni e le attività di Satyagraha che hanno portato prima gli uomini e poi le donne a lottare contro i lavori di preparazione dei bacini; “la ricerca di solidarietà “ grazie anche alla collaborazione di giornalisti e degli addetti ai media indipendenti; ed infine “l’appello alla corte suprema dell’India”.


Quel che è mancato finora, e che ha lasciato il problema parzialmente irrisolto, è la solidarietà dei movimenti nonviolenti ed ecologici dei paesi ricchi che importano e consumano gamberi. Nel caso portato ad esempio da Hildegard Goss-Mayr della lunga lotta nonviolenta (sciopero) dei Chicanos (lavoratori di origine messicana) che lavoravano nelle piantagioni d’uva da tavola della California per avere salari più adeguati, c’è stato l’aiuto di persone e lavoratori di tutto il mondo che si sono rifiutati di comprare l’uva di quella zona, acquistata dal governo americano ed inviata anche in altri paesi e nazioni, e di scaricarla dalle navi. Come scrive Hildegard “I Chicanos sono stati così obbligati ad imparare che nel nostro mondo economicamente integrato l’ingiustizia organizzata a livello internazionale può essere vinta solo da strategie nonviolente che siano pure organizzate a livello internazionale” (p. 43). Questa lezione deve essere appresa anche dai movimenti nonviolenti ed ecologici dell’India e di altri paesi, compreso quello del nostro.


 

Bibliografia minima in italiano:

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Jean e Hildegard Goss-Mayr, La nonviolenza evangelica, Ed. La Meridiana, Molfetta (Ba), 1991;

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Gruppo “Sulle Tracce di Gandhi Firenze”, a cura di, Dossier su “Il flagello dei gamberetti e le lotte contro i loro allevamenti dei nonviolenti indiani”, litografato, Firenze, maggio 1995.

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Associazione “Pace e Dintorni”, a cura di, ...sulle tracce di Gandhi. Unità didattica per le scuole superiori sulla Nonviolenza nel cambiamento sociale, si veda il paragrafo “Una storia di gamberetti che ora non uccidono più”, pp. 79-81, stampato a cura dell’Associazione, Milano, 1999;

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Laura Colucci, Elena Camino, Educazione ambientale e sostenibilità. Lo studio di un caso: la controversia sugli allevamenti di gamberetti in India, Ed. Gruppo Abele, Torino, 2000.

 

 

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