CACCIATORI DI TALPE


La Talpa

La talpa è un piccolo animale mammifero insettivoro, vive in ambiente sotterraneo e si nutre di lumache, lombrichi, erba, piccoli insetti e beve acqua. La talpa femmina va in gravidanza nel mese di marzo ed ha la figliolanza in aprile. Vive in una tana discretamente profonda e costruisce gallerie quasi circolari, partendo con una galleria chiamata principale dalla sua tana. Le gallerie sono a fior di terra.. Le gallerie servono per intrappolare come cibo gli animaletti che vi s’introducono. Queste gallerie rovinano i  raccolti.

Motivi della caccia

La talpa è un animale da pelliccia a pelo raso, così che la caccia alla talpa produce gli effetti di liberare il terreno da questi animaletti “dannosi” e veniva usata nel mercato della pelliccia. Il momento migliore per la sua caccia sono i mesi da ottobre a marzo per il motivo che in questo periodo il suo pelo è “invernale” cioè folto e morbido al massimo.

Insorgenza dell’attività di caccia
Da questa logica, e dalla necessità di portare denaro in casa negli anni difficile 1920/21 e 1946/52, subito dopo le due guerre mondiali, sorse l’attività della caccia alla talpa, per  la sua pelliccia, che lavorata e assiepata  ad altre forniva il prodotto per costosi capi di vestiario.

Luoghi e terreni di caccia
Dalle zone della bassa, per primi si mossero uomini di Casale di Scodosia, che per non intralciare il lavoro di altri battevano zone del mantovano e del modenese. Impararono poi anche gente di Ponso e Carceri, e avevano zona di caccia verso l’Adige, Lendinara, Rovigo verso il Po e a est fino al mare.

Modo di ricerca e attrezzatura
Il viaggio, o giro, durava una settimana. In piccoli gruppi partivano dalle loro case il lunedì mattina, con bicicletta munita di portapacchi, alcuni sacchi di tela di canapa, una coperta per dormirci, circa 50 trappole, dei chiodini, un martello e una piccola forbice, gli attrezzi del mestiere. Individuata la zona, chiedevano al proprietario della campagna, oltre che il  permesso per apporre le trappole, anche il permesso per dormire nel sue stalle, cosa che ottenevano sempre, dato il servizio che svolgevano.

Lavoro

In questo modo veniva eseguito il lavoro: trovate le gallerie delle talpe venivamo interrate le trappole cariche, in quantità e luogo che era diverso a seconda dell’esperienza dei “tupinarai”. Il terreno più proficuo era nei bordi degli “stagnari” dove era seminata l’erba medica, specialmente vicino ai rigagnoli d’acqua.

Raccolta delle prede e prima lavorazione delle pellicce
Il giorno dopo ripassavano a riprendere le trappole con la preda morta, che veniva messa nel sacco e camminando caricavano la trappola per porla in altro luogo. Nel ritorno, verso la fattoria seduti sul bordo di un ponticello scuoiavano le talpe tagliando con la forbice le punte delle zampette e il musino e con un taglio netto verso la coda, buttavano nel fosso il corpo e raccoglievano la pelliccia. Arrivati alla fattoria, su qualche asse gentilmente prestata ne inchiodavano le pelli puntando quattro chiodini alle zampe e le assi venivano poste all’aria, sotto il porticato.

Vitto e alloggio
Gli uomini poi si pulivano e cenavano con qualcosa acquistato durante il giorno, del latte veniva comperato in fattoria, poi il programma per il giorno dopo, la buonanotte sulla coperta sopra la foglia nuova nella stalla.

Ritorno a casa
Così fino a giovedì sera. Con le prede del venerdì e del sabato, più quelle essiccate in fattoria, facevano ritorno alle loro case, dove veniva ultimato il lavoro.

Conservazione pellicce essiccate
Da secche, le pelli venivano poste in una valigia di cartone, messa sotto il letto con coperchio semiaperto per la loro aerazione.

La vendita e il mercato delle pelli
La vendita delle pelli era un momento difficile, di rispetto e di fiducia reciproca al compratore. Vicino al Duomo di Montagnana, agli inizi, in seguito a Ponso, venivano dei compratori Veronesi, Bresciani ed altri con la loro auto del tempo Balilla  e Giardinetta. Dai pacchi legati con 50 pezzi ognuno, il compratore n’estraeva a caso qualcuna, la osservava che non avesse tagli, l’annusava perché non avesse l’odore di muffa, e soffiava contropelo per verificarne l’aspetto e la sofficità. Bisognava non fare trucchi, guai se trovava qualche difetto. Poi buttava il prezzo, quantificato tra i 20 centesimi e qualche centinaio di lire secondo il periodo suddetto. Si sa che qualche bravo “tupinaraio” ne vendeva in una stagione 3-4.000 e che in pochi anni, oltre a sfamare la famiglia, si poté acquistare la piccola casetta, prima in affitto.