BRESEGA


Diapositive
 


frontale
Chiesa di Bresega


Chiesa di Bresega con
2 Campanili (1937)


Chiesa di Bresega attuale


Monumento ai caduti
Foto del 1929


Monumento ai caduti
Foto del 2001


Teatro e
Centro Parrocchiale


Isidoro Alessi


Domenico Facciolo


Don De Nale


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Risalgono al 5 febbraio 1165 le notizie storiche su Bresega, quando la località con il nome di “Bresica”, viene citata in un atto di vendita. Il suo nome sembra derivare da una parola dell’antico dialetto del vicino Polesine che vuol dire “briciola” e per Bresega s’intende un piccolo appezzamento di terreno o anche una piccola proprietà. C’è chi sostiene inoltre, come Gaetano Nuvolato, che il nome Bresega derivi dal latino “bis-secta”, cioè tagliata due volte dall’Adige che proprio qui creava un’ansa tagliando il paese in due, questo però prima della rotta della Cucca del 489 d.C. Un monumento funerario trovato, risale al 2º secolo dopo Cristo. Comunque non si conosce il periodo preciso della nascita in quanto gli archivi parrocchiali furono bruciati il 22 marzo 1702.Cenni relativi alla chiesa di Santa Maria non compaiono però nella decima papale del secolo seguente e solamente dalla visita vescovile del 1482 si viene a conoscenza della sua esistenza come parrocchiale dipendente dalla pieve di Santa Tecla d’Este (PD). Venne ampliata nel 1522 e ricostruita a nuovo nel 1695 ed ha un dipinto figurante la Madonna del Carmine, nel 1771 ebbe il coro e, agli inizi dell’800 la facciata. Tra il 1886 e 1888 furono aperti i quattro finestroni, restaurati gli altari e le cappelle laterali, rialzato e rinnovato il tetto. Il 24 gennaio 1937 fu inaugurato il nuovo campanile e il 18 novembre 1950 la chiesa fu dedicata alla Natività della Beata Vergine Maria.
BRESEGA: CULLA DI EMERITI PERSONAGGI
Bresega, può giustamente vantarsi di aver dato i natali a emeriti personaggi come Isidoro Alessi, notaio e storico che scrisse di Este e del suo territorio e Domenico Facciolo, fondatore della Cassa Rurale di Bresega.
Per quanto riguarda quest’ultimo, davanti alla facciata laterale della chiesa della piccola frazione, proprio in alto a destra, rispetto alla porta d’ingresso, c’è una lapide a lui dedicata, ma forse non tutti sono a conoscenza dei motivi per i quali la popolazione gli ha reso questo tributo. È stato infatti grazie alla sua geniale intuizione che nel 1901, proprio cento anni fa, assieme all’ora parroco don Giovanni Mosele, che la Cassa Rurale di Bresega ha avuto origine. Nasce a Bresega il 13 maggio 1844 alle ore due in via Tresto n. 9 da Giobatta e Veronese Tecla, e viene battezzato alle ore sei del giorno dopo dal parroco don Girolamo Dal Santo. La maggior parte delle famiglie che abitano in questa zona vivono in una situazione di costante miseria, ma quella di Domenico, oltre ad infondere nei figli dei sani principi morali e sociali, cerca di arricchirli anche culturalmente. Domenico, che presumo fosse il primogenito, dato che i genitori si erano sposati il 26 aprile dell’anno precedente, viene così avviato, non senza grandi sacrifici, a studiare per diventare un insegnante elementare nella vicina cittadina di Este. È proprio qui che a metà ‘800 subisce le influenze che lo faranno diventare promotore di iniziative atte a favorire il bene della popolazione, in particolare l’assistenza economica e materiale a tutti i lavoratori che ne hanno bisogno. Non dobbiamo però dimenticare che siamo a pochi anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, nel 1866 scoppierà la terza guerra d’indipendenza, durante la quale verrà liberato il Veneto. Siamo dunque in pieno Risorgimento ed è naturale che anche nelle nostre zone serpeggino fermenti patriottici uniti al desiderio e alla volontà di essere utili alla propria nazione e, soprattutto ai nuovi cittadini italiani.
Ad una persona attenta e colta come Domenico Facciolo, non sfuggono le situazioni di disagio in cui vivono i lavoratori costretti a cercare lavoro all’estero per poter intraprendere, con quanto poi guadagnato, un’attività in proprio che al momento rimane un desiderio irrealizzabile per la mancanza di mezzi finanziari. Il Maestro viene però a conoscenza, nel frattempo di quanto aveva fatto in Germania Friedrich Wilhem Raiffeisen (1818 – 1888) con la creazione di cooperative creditizie, cioè le prime banche orientate a sostenere i ceti medi urbani. Il Raiffeisen “faceva appello allo spirito di solidarietà delle popolazioni dei piccoli centri rurali per emancipare le più umili classi contadine, soprattutto facendole beneficiare del credito attraverso le casse rurali”[1]. Sulla scia dell’esempio tedesco, nel 1883 a Loreggia, poco lontana da Padova, Leone Wollemborg e don Nicola Condotta, costituiscono la prima Cassa Rurale italiana. È la prima, ma non sarà l’ultima perché cominceranno a diffondersi a macchia d’olio. Il seme lanciato dalla Lettera Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII che si propone di promuovere opere di carattere economico-sociale alla luce dei principi cristiani, trova, dunque, nella Diocesi di Padova, un terreno assai fertile. Ad Ospedaletto Euganeo, infatti, la Cassa Rurale nasce nel 1898, ma a Bresega, dopo un’assidua opera di persuasione a favore delle necessità economiche della zona, il 15 dicembre 1901 con altri soci, fra i quali il parroco don Giovanni Mosele, viene stipulato l’atto costitutivo della Cassa Rurale di Bresega, chiamata “Cassa di Prestiti di Bresega”, ed è pure coinvolto a prestare gratuitamente la sua opera il notaio estense Catterino Nazari. Credo sia doveroso citare anche i nomi di coloro che, insieme al Facciolo e al parroco di Bresega, versarono la quota sociale di £ 1 in qualità di primi soci: Seren Domenico di Angelo (Bresega), Gioachini Luigi di Stefano (Bresega), Giovanni Pietrogrande di Luigi (Este), Piva Antonio di Giovanni (Bresega), Paluan Eugenio di Severino (Bresega), Slanzi Matteo di Angelo (Bresega), Paluan Antonio fu Domenico (Bresega), Pantano Gaetano fu Giuseppe (Bresega), Pastorello Abramo fu Gherardo (Bresega), Gradin Luigi fu Angelo (Bresega) e Mussolin Luigi fu Giacomo (Bresega).
Il 30 giugno 1887 nasce l’unico figlio maschio di Domenico Facciolo, che chiama Leone, nome non molto usuale a quei tempi, ma che certamente ricorda al padre le opere compiute da due grandi personaggi che portano proprio quello stesso nome: Leone XIII e Leone Wollemborg. Chissà, forse saranno questi esempi, oltre a quelli familiari, che condurranno più tardi il giovane a diventare sacerdote.
Domenico Facciolo, assieme alla moglie Margherita Marsotto e ai sei figli: Giuseppina, Assunta Maria, Agnese Luigia, Emma, Angela Ermelinda e Leone Giobatta, ha continuato la sua opera fino alla morte che è avvenuta il 4 febbraio 1914. È sepolto con i suoi familiari nella tomba di famiglia del cimitero di Bresega. Oltre alla lapide affissa alla chiesa parrocchiale, la Cassa Rurale di Bresega ha voluto ricordarlo anche con una scultura in ferro battuto posta davanti alla vecchia sede, ora ambulatorio medico. Vi è stata posta nel 1977, e lo raffigura assieme a F. W. Raiffeisen mentre tiene in mano lo statuto della Cassa Rurale di Bresega[2]. Per quanto concerne, invece, Isidoro Alessi, storico, notaio ed archeologo, sappiamo per certo, perché è lui stesso ad affermarlo[3], che nacque alle ore 7 di lunedì 27 dicembre 1712, da Giacomo e Felicita Guzzoni, gentildonna padovana.
Ciò che colpisce è il fatto che l’emerito personaggio non è prodigo di particolari riguardo il luogo di nascita, lo è invece per quello in cui riceve il sacramento del battesimo il 12 gennaio 1713, e precisamente nella parrocchia di Bresega, dove sembra che la famiglia avesse alcuni possedimenti. Ci si deve fidare di queste sue affermazioni perché, purtroppo, il registro dei battesimi della Parrocchia in questione inizia dal 1767, perché gli altri sono andati perduti a causa di un incendio che ha distrutto tutti i documenti dell’archivio parrocchiale. Sarebbe però certamente stato interessante sapere con esattezza dov’erano ubicate le proprietà degli Alessi nel villaggio rurale di Bresega. Forse è lecito ipotizzare che qui la famiglia trascorresse buona parte dell’anno, se la maggior parte dei figli veniva battezzata a Bresega, come era avvenuto infatti per il bisnonno, il nonno, il papà, la sorella Marina, vari zii e zie di Isidoro.
Giovanissimo, viene mandato a Padova a frequentare la scuola dai Padri Gesuiti, ma rimane prematuramente orfano dei genitori, e così viene adottato dallo zio don Francesco Allegri, il quale lo esorta a concludere i suoi studi di carattere letterario e filosofico presso la scuola estense di don Gaetano Perotti. Sarà poi l’abate Francesco Bortoloni ad avviarlo agli studi giuridici nella vicina Università di Padova, nella quale conseguirà la laurea il 10 luglio 1734. Dopo la scomparsa dello zio che lo aveva adottato, e il matrimonio con Ludovica Ughne, figlia di un ufficiale dalmata[4], comincia ad esercitare in Este l’attività forense. L’amore però per la letteratura, la storia, l’archeologia, la poesia, lo spingono a cimentarsi in varie attività quali la partecipazione all’Accademia degli Inesperti, la critica letteraria, un’assidua attività di ricerca e di trascrizione delle steli funerarie che emergono dal sottosuolo di Este e dintorni.
Nel 1743 abbandona l’attività forense per dedicarsi a quella notarile. L’anno seguente entra a far parte del Consiglio della Comunità Atestina e poco dopo viene nominato deputato entrando così a “far parte della più importante magistratura locale[5] “, ed è inoltre “uno dei quattro cittadini competenti in materia di DAZI, MERCANZIA e DUCATO per botte[6]”. Nel 1745 viene nominato revisore alla scuola pubblica. Negli anni seguenti ricopre altre cariche fino a diventare nel 1750 Provveditore alla Sanità. Ma è il 7 gennaio 1747 che la sua gioia è immensa quando diviene padre per la prima volta di Felicita Giovanna che muore purtroppo dopo soli 20 giorni di vita, e precisamente venerdì 27 gennaio alle ore 10. Seguiranno poi Marina Felicita, Giuseppe Maria, Anna Maria Lavinia che moriranno tutti in tenera età. Solo l’ultimogenito, Felice Giacomo, sopravviverà ai genitori.
L’attività di Isidoro Alessi è continua ed instancabile. A lui si deve la lodevole iniziativa di incaricare il pittore veneziano Gianbattista Tiepolo ad eseguire la celebre e splendida pala dell’altare maggiore del Duomo Atestino. Essa raffigura S. Tecla patrona di Este, che supplica il Signore affinché liberi la città colpita dalla terribile pestilenza del 1630[7]. La tela, oltre all’indiscusso valore artistico dovuto al suo rinomato autore, rappresenta un documento storico di rilevante importanza in quanto memoria di un evento doloroso della storia della cittadina ma, ancor più, della fede profonda dei suoi cittadini che si rivolgono all’Onnipotente e ai loro santi patroni in un momento di grande angoscia e preoccupazione. L’opera del Tiepolo contribuisce ancor oggi ad arricchire il patrimonio artistico della chiesa più importante di Este.
L’Alessi si cimenta anche come scrittore storico-critico con l’opera: “Ricerche istorico-critiche delle antichità di Este”, edita a Padova nel 1776. Il suo intento è quello di nobilitare Este, che per duemila anni ha conservato la sua indipendenza come città-stato, perduta nel 1213, quando quella di Padova l’aggregò a sé fino al 1405[8], anno in cui la Repubblica Serenissima di Venezia occuperà la nostra zona e ci resterà fino al 1797. Isidoro Alessi si spegne il 18 ottobre 1799 all’età di 87 anni, dopo una vita intensa e proficua. Viene sepolto nella tomba di famiglia che si trova nella Cappella del Crocifisso del Duomo di Este, dove riposa accanto a tutti i membri della sua famiglia.

[1] F. W. RAIFFEISEN, Le casse Sociali di Credito, Ed. E.C.R.A., 1975, pag. IX.
[2] La statua in ferro battuto, su progetto del Prof. Michelini, è opera dello scultore Fumagalli.
[3] Ricordi di Isidoro Alessi storiografo estense per Alessandro Prof. Prosdocimi, Este, 1881, pag. 7.
[4] Terra d’Este, rivista di storia e cultura, Gabinetto di Lettura Este, Anno X, n. 19, pag.10.
[5] Terra d’Este, op. cit. pag. 11.
[6] Terra d’Este, op. cit. pag. 12.
[7]
Per la Comunità atestina la peste del 1630 fu una vera catastrofe, se si pensa che su 16.000 abitanti, tra luoghi e ville, ben 3.416 morirono a causa della peste; in L. PIVA, Le pestilenze nel Veneto, Edizioni del Noce, 1991, pag. 138.
Credo sia interessante sapere che il primo caso di peste nel distretto di Este si manifestò il 23 luglio 1630 a Tresto di Ospedaletto Euganeo; la donna colpita dalla peste si chiamava Paola Brognina e morì in sole ventiquattrore, tanto che le Autorità fecero bruciare il suo casone con tutto ciò che conteneva. La maggior parte delle abitazioni della nostra zona era costituita, infatti da casoni di paglia, canne, fango, legno, luogo ideale per pulci e topi, responsabili della diffusione del terribile morbo.

[8] Terra d’Este, op. cit. pag. 34.