Racconto di Marina Ferrante




"Gu bai, ciau." chiude il telefonino, ripiega la testa contro il finestrino, come se fosse a letto, e forse dorme. Non la vedo da dietro. sono alle sue spalle. Ha i capelli neri lunghi, spalmati di unto alla radice. Emana un percettibile odore di patate fritte. Fisso la sua nuca, come ipnotizzato, seduto come lei sul tram pienissimo. La linea circolare numero 29 è un acquario dai vetri sozzi. Terra di nessuno, dopo le otto di sera, che la mattina, si trasforma in una sorta di fiera, di concorso ippico anglosassone. Mancano i grandi cappelli è vero. Non ci sono i cavalli. Ma le fogge degli abiti. I contrasti mi suggeriscono parole dimenticate tipo commonwealth, impero, sudditi e reali. Si. C'è un che di coloniale nell'aria. Una coabitazione paradossale tra futura classe dirigente, e proletariato multietnico. Giovani bocconiani sui venti venticinque, che per vestirli, equipaggiarli di hardware e software e telecomunicazioni chissà che conti le famiglie si accollano.

Immagino spendano cifre paragonabili a fondi pensione in attivo. Hanno probabilmente dalla loro parte un paio di categorie di genitori: quelli che non pagano decisamente le tasse, frodando lo stato o quelli che pagano tutto per riscattarsi da qualcosa o traghettarsi chissà dove, - io pago tutto, cazzo, chiamami scemo ma io pago tutto purchè si veda che ce li ho i denari. Studenti eleganti, sportivi, belli carini, maleducati. Discorsi sparati a voce altissima. E l'immane immenso esercito di lavoratori cingalesi, filippini ,arabi, cinesi, malesi, sudamericani, vestiti con gli scampoli dei mercati, con gli scarti della padrona, muniti di moderni cellulari ,continuamente in funzione.

Siamo immagazzinati gli uni contro gli altri, complice l'orario, lo stesso per chi studia da principe e chi lavora da schiavo. Ma la legge osmotica, la compenetrazione dei corpi non appartiene a questa dimensione. Qui ci si tocca e ci si odia. Forzatamente si finisce quasi abbracciati a qualcuno. Nessuno accoglie l'altro. Allacciati contro voglia in una morsa, spinti piuttosto in una lotta greco romana alterniamo l'apnea al respiro contro il nemico. Un abbraccio contro. Una muraglia plurietnica che si alza elevando odori sempre più forti. I vapori spessi si impegnano in una difficile battaglia. E chi vinca, guadagnandosi il riconoscimento di una smorfia o di un flebile cenno di sollievo, non si sa con certezza.

Il profumo americano persistente costoso, alla moda stile casa enorme, e grandi certezze , o il profumo di ristorante, l'afrore di sudore, di olio sfrigolante, di cibo, lavori pesanti e alloggi scomodi? Anche i suoni si miscelano e si urtano, scalando le tonalità alla ricerca dell'assolo ,cercando di imporsi, tentando diverse vie di fuga in quest'acquario compresso, privo di fondali decorativi. parole parole parole sconosciute poi tac padrona tac portinaia tac codice fiscale tac permesso di soggiorno. Parole parole suoni suoni sconosciuti e poi zip trillano i telefonini: Beethoven, la carica dei cento e uno la Carmen, i Beatles. ciao sto arrivando anche tu anch'io.

Ah si la competizione positiva zip zap ho un collquio con il prof tic tac seeenti ma mi seeentiii ma sono quasi arrivataaa tic tac sono vicino a casaaa tic al lavooro tac tac zip. Pistolettate a salve di bugie. Tac zip. Tutto sommato a un certo punto la coreografia ha un ritmo perfetto. E' come un grande meccanismo di corpi che si strusciano e non si desiderano mai. Voci che vanno su e giù si uniscono e si confondono. Un paradosso percepito come un'assoluta, maleodorante, maledetta rumorosa, necessaria normalità. Ogni centimetro cubo di spazio sopravvivenza è occupato ma, in mezzo a tutto questo c'è un vuoto improvviso.

Ho un soprassalto felino. I miei occhi cercano il punto di fuoco. c'è un elemento a se. Una specie di fuorigioco. Ce' un uomo, che ha un sentore tutto suo, forte, sgradevole e chiaro. Ha i dreadlosks ma non, è un rasta man. E' tutto extralarge e strappato. Ma sono stracci veraci. Privi di etichetta. E' sporco puzzolente e straordinariamente somigliante a un santo o a personaggio biblico. Anche lui fa parte del tram acquario, in compagnia del suo un penetrante inconfondibile. Odore. una zaffata acre, dal ricco bouquet. Solitudine, rinuncia forse, ribellione, non appartenenza a nulla e nessuno. La capacita di sopravvivere come un solitario animale, per strade che non riescono ad essere ospitali nemmeno per chi semplicemente le percorre .La libertà di esistere o meno scandita da ogni minuto di tempo trascorso agli angoli delle piazze. Di resistere. Guardando le case, le finestre da fuori. Un lupo vecchio. Gli occhi acquosi che non si prendono il disturbo di guardarsi attorno, ma sono ben concentrati su di un muro immaginario.

Mi riempio di questa visione. Un angelo lacero, Gesù tra i mercanti presuntuosi, tra gli schiavi che lo scansano temendo di venire contagiati.. mi guardo distrattamente il retro del polso . Un segno rosso. Più su c'è un altro sfregio più grosso. E più scuro. "Papà - penso - e mi fa ancora male. Ogni volta che voglio ricordarmi di mio padre mi guardo queste cicatrici . Penso a quando l'hanno seppellito . Una cerimonia che per me era durata un eternita' . La sua seconda moglie, mia madre, i miei fratelli. Un corteo funebre colorato perchè non avevamo i soldi per comprarci abiti scuri. Una lontana zia ci aveva portato cioccolatini dalla svizzera. E io pensavo che sarebbe saltato fuori dalla cassa da un momento all'altro. Avevo circa vent'anni e non sapevo decidermi se piangere o tirare un respiro di sollievo per la sua dipartita. Tenevo chiuso dentro di me un dolore ancora più grande. Quello di avere perso mio padre nel momento in cui aveva cominciato a picchiarmi come se fosse l'unico modo per stabilire un rapporto con me. Sul mio corpo un mappa dei nostri incontri rabbiosi. Il tram acquario infila una serie di strattoni, assesta qualche colpo per separare meglio il carico e farsi strada tra una scia di macchine incollate l'una all'altra. Comincio a muovermi verso l'uscita. Devo scivolare per un varco tra la marmellata di cappotti e borse e vaporizzazioni di aliti pesanti.

A quest'ora Elmer sta ancora dormendo. Lui lavora di notte. Ha appena smontato dal suo posto di portiere all'hotel. Si alzerà verso le tre di pomeriggio con caffè e biscotti, poi si metterà al computer per vedere se ci sono e mail dal mondo. Tutti i suoi amanti virtuali che gli scrivono maree di sconcezze dolcissime. Io lo chiamerò per salutarlo con le solite frasi "tutto bene?" novità? Qualche aneddoto dalla sera precedente?.- di solito ne ha sempre qualcuno. La clientela gli offre spunti per farsi grasse risate e sogghigni pregustanti divertimento quando potrà raccontarmi quelle storielle. Sceso dal tram, respiro la nebbia. Sto andando a lavorare come tutti. E tutti i giorni cerco di darmi un buon motivo per non lasciarmi andare e licenziarmi. Diventare come il santo, l'angelo caduto dal cielo, in una pozza di melma cittadina. Perdere la casa e il lavoro di ingegnere elettronico. la versione hardware and sofware per aziende dell'elettricista di casa. Guardi le mando il mio uomo vedrà che le risolve il problema.

Molto new economy. Abbandonarmi ad un destino totalmente incerto, dipendente dagli eventi atmosferici, dalla carità della gente. aprire le braccia come se mi arrendessi, sapendo che la libertà non è per forza felicità. Essere liberi da tutto. Non possedere. Non appartenere. L'unica persona che mi dispiacerebbe perdere è Elmer. La sua risata contagiosa. Forse lui potrebbe volermi bene lo stesso. Ma io, una volta oltrepassato il cancello di bum-city, avrei ancora dei ricordi, desidererei ancora volergli bene? La mia unica certezza è che in questo momento ho freddo e ho voglia di un caffè. Piu tardi chiamerò Elmer. Ta ra ta ta ta la carica. E' la suoneria del mio cellulare. "Hey ci sono ancora le stelle e la luna in cielo hai visto?" La voce di Elmer mi urla nelle orecchie tappate. Non ho di certo guardato in su in un mattina così, e lui ha sempre la capacità di orientare lo sguardo degli altri altrove. "Non dovresti essere sotto le coperte in questo momento?" gli dico quasi acido. Mi irrita tanta carica di lirismo mattutino. "soonoo sotto le coperte vick, e dal letto vedo una cospicua porzione di astri.!" Aggiunge con palese godimento. Una porzione di astri! Penso. Come fa a venirgli fuori una definizione simile. Sembra alludere più a una fetta di zuppa inglese. Nessuno riesce a farmi ridere e allo stesso innervosire come lui.

Dopo qualche secondo di silenzio dice a voce più bassa "te ne devo raccontare una bellissima!" Ma me la tengo per stasera, così quando ci vediamo ti faccio anche la scenetta. Ci vediamo più tardi?" Chiudo la comunicazione con un si al risparmio e affretto il passo. Sono in ritardo ed è una sensazione sgradevole. Non sono sicuro che vedrò Elmer più tardi. Domattina devo alzarmi presto. Ho prenotato uno stand in una fiera stile garage market. Quelle dove chiunque può vendere qualsiasi cosa. Dalle ciabatte marocchine comprate in un momento di entusiasmo e mai messe, alle carabattole di cui sono piene le soffitte di tutte le case che ne hanno una. Io per esempio ho intenzione di portare giacche usate che mi sono piaciute per una manciata di ore, cassette e cd complessivamente inascoltabili, foulard ereditati da varie zie, materiale che esce da ogni angolo di casa mia proveniente da tristi smantellamenti di altri luoghi appartenuti a parenti defunti, e anche in questo caso incamerati per avidità forse. Passione per tutto ciò che somiglia a festosa abbagliante merce da bancarella. Nel mio Dna c'è una miscela esplosiva. Mercanti nomadi russi, ebrei ungheresi in fuga , contadini pugliesi e friulani, genti di romania la toscana come Jaffa, e l'Africa. E' evidente che in tutto questo enorme famiglione mondiale si sono frullate tante di quelle spezie che io, ultimo derivato da tutto questo ne esco come uno di quei cani elegantemente definiti meticci invece di bastardini. In me convivono l'anima da eremita e la selvaggia aggressività del venditore nomade. La furia del pastore che difende i propri confini, la malinconia e l'oblomovismo del nobile decaduto, l'aspirazione all'assoluto del poeta povero. E vado pazzo per gli stracci. E per gli scampoli di vita, un po di tutti.

Mi affascinano le vite degli altri. Vorrei entrare nei loro letti e spiare, non visto, dalle cucine e dai bagni il lento scorrere delle ore. Forse è anche per questo che amo Elmer. Lui dalla sua postazione di portiere di notte, getta sguardi continui sui documenti di identità della gente e poi chiede, fa domande, incalza, sorriso pronto, chiede, datemi voi stessi, dite chi siete, e i clienti sedotti, protagonisti, vai ,che si raccontano non resistono, e' come andare in tv, con Elmer. Interviste fantastiche. Lui sembra un figo della tivvu spazzatura. Dovrebbe alla fine scriverci qualcosa. Per il momento, ogni tanto, va solo a letto con qualche cliente. Perchè è pigro, e infantile. Ha paura di relazioni durature. Troppo innamorato di se stesso. E' un complicato. Penso. Per lui è pesante convivere con un se stesso così ingombrante. Su Internet, privo di corpo è leggero come una piuma. Libero di amare, lungo quei serpenti di linee telefoniche e cavi che resistono sotto gli oceani. Non che si finga una strabella o un tipino coperto di fine caucciù. No. il suo nome è Elmer. Elmer di Milano. E il mio è Vick. Vittorio. Lo filo da un anno fingendomi amico. Che coglione.

Sulla scrivania, in ufficio, la pila di carte, promemoria scritti di telefonate che dovrò fare, perone da richiamare, sembra un onda sul punto di infrangersi. Un imponente tsunami che vuole travolgermi. Mi sento un faro diroccato. Mai chiedersi perchè, di mattina, davanti a un castello di cose da fare. Mai fermarsi, un secondo di troppo potrebbe far perdere definitivamente la strada. Magari magari magari. Prendo la cuffia, del telefono me la posiziono sul cranio dolente, l'orecchio ha uno spasimo. Fatti il programma della giornata - mi dico - e taci. Vicino alla tempesta di carte c'è già un caffè e un bicchiere di latte e una spremuta d'arancia. Devo solo scegliere con cosa incominciare. Una vocina da dentro mi dice dopo andrà meglio. Bevi in fila caffè latte e aranciata e il mondo sarà migliore. Se vuoi c'è anche la brioche, poi affronterai il primo utente della lista che con voce piena di calore, di ansietà e di sollievo ti dirà oh finalmente è lei!!. Solo lei ci puo' salvare! Uno stupido moderno salvatore di anime dipendenti dai computer. Alzo appena gli occhi, ridotti a fessura. Lo spazio intorno a me è pieno di scatoloni. Sono arrivati terminali e pc da installare. E i due vecchi magazzinieri sono troppo impegnati a far ordine tra altre forniture appena consegnate. Non c'è più quasi luce. Gli imballi ripieni paiono persone in piedi a cercarsi con lo sguardo, impegnate a scovare un modo per sedersi, come nel lurido tram che ho appena lasciato. Stamattina ho la sensazione che mi abbiano piazzato nel vecchio film di Fritz Lang Metropolis.

Oggi non sono in sintonia con il mondo. Sono fuori sincronia. Ma è da un po di tempo che e così. Io non ci credo. Non credo che il mondo debba andare così. Non ci ho mai creduto. Che uno si alza va a lavorare, mangia, va di corpo, beve sogna, qualche volta ama. Si acconcia per accaparrarsi sesso e affetto. Si trasforma per amicizia. Desidera e piange senza mai avere. Spera e sogna e niente. Fa così con le dita e schiocca e schiocca e succede di tutto. Che uno è bello e basta. E l'altro è brutto e basta. Non ci credo perchè è troppo duro. A me piacciono le favole e alla mia età non osa raccontarmele più nessuno. Io per primo. Però io ci vivrei di favole dove alla fine va tutto a posto e c'è una grande giustizia finale e tutti hanno quello che desiderano perchè sanno desiderare. Abbasso lo sguardo di nuovo sulle carte. Sento le voci da dietro i monoliti di cartone. Sono Charlie-Charlie e Ulla. Il megaboss e la segretaria. Lui si sta lamentando del casino, lei premurosa come una elegante oca muove le penne e lo conforta. E' una donna adorabile. Mai visto una persona così intelligente e profonda vestire i panni di mamma oca in versione elegante e sempre all'altezza di tutte le situazioni. Quando esce appende la pelle d'oca nel bagno delle signore. Giuro. ok . Bevo in fila il caffe latte e spremuta. Compongo il numero di telefono, il primo della lista. Si parte. Pronto, buongiorno.. Ah è lei finalmente, solo lei ci può salvare.