Sicilianamente:

un modo di pensare, uno stile di vita, ma soprattutto tanta storia e cultura.

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La Lingua siciliana

Una delle delle prove più convincenti dell'unità spirituale del popolo siciliano è costituita dall'uniformità sostanziale del linguaggio parlato dai sui abitanti.

In assoluto contrasto con la sardegna e con l'Italia meridionale, i dialetti siculi danno l'impressione di una grande uniformità. Tolte alcune piccole divergenze fonetiche locali, vige nell'isola, un dialetto unitario. Le differenze che si possono riscontrare nel lessico derivano quasi esclusivamente dalla maggiore o minore presenza di relitti arabi e greci. Il lessico latino presenta in tutta l'isola tale uniformità quale di rado e dato di constatare nel resto d'Italia.

La romanità della Sicilia non ha le sue origini nel latino importato nell'isola dai romani, ma deve essere piuttosto il risultato di una nuova romanizzazione compiutasi gradatamente, solo dopo il crollo della dominazione araba.

In Sicilia non si è sempre parlato e non si parla tuttavia, unicamente ed esclusivamente il siciliano. Già nell'antichità greco-romana i siciliani parlavano correttamente tre lingue: il greco, il latino e il punico e fino all'età di Augusto le monete siciliane avevano iscrizioni in greco.

Sotto i romani e gli svevi l'isola divenne altresì paese di colonizzazione: si giustificano così le isole linguistiche, come Aidone, Nicosia, Piazza Armerina che conservano il loro dialetto gallo-italico o quelle che conservano forti tracce di linguaggio settentrionale come Bronte e Randazzo, dovuto alle immigrazioni di notevoli masse di persone che dall'Italia settentrionale si spostarono in Sicilia nell'undicesimo-tredicesimo secolo,sia come soldati con le loro famiglie, sia come coloni, che desideravano abbandonare le terre del Nord travagliate dalle lotte comunali, per lavorare nei campi tranquilli della Sicilia. Altre piccole isole linguistiche si formarono in Sicilia nel quindicesimo secolo, quando gli albanesi abbandonarono la patria per non sottostare alla dominazione dei turchi.

Quali sono le stratificazioni linguistiche più notevoli nel dialetto siciliano? Esse sono senza dubbio evidenti anche ai giorni nostri e possono suddividersi in cinque stratificazioni fondamentali: la greco-classica, la greco-bizantina, l'araba, la franco-latina del periodo normanno e la catalano castigliana del periodo aragonese spagnolo; e in talune stratificazioni minori, come la francese moderna o l'anglosassone, fino ad arrivare agli americanismi importati in Sicilia dalle truppe di occupazione nel periodo 1943-1945.

Limitando le esemplificazioni a quelle strettamente essenziali per ogni stratificazione.

Si nota che l'influsso greco-classico è ancora evidente nell'uso che i siciliani fanno del passato remoto invece del passato prossimo, per indicare un fatto recentemente accaduto (glielo dissi, invece di gliel'ho detto), sono poi vocaboli grecoclassici naca (culla), cannata (anfora), taddarita (pipistrello) ecc...

L' influenza greco-bizntina è soprattutto notevole nei toponimi, come nel caso di Adrano che per secoli diventa Adernò.

L' influsso arabo è chiarissimo in un numero notevole di toponimi, come: sciarra (rissa) da "sciarrah"; favara (sorgente) da "favarah"; giarra (Giara) da "giarrah" ; e tanti altri.

Numerosi sono gli influssi castigliano-catalani del periodo aragonese e spagnolo. Per influsso catalano si ha il siciliano abbuccari per versare, attrassari per attardarsi, accanzari per conseguire, e tanti altri potrebbero elencarsene. L'influsso castigliano da truppicari per inciampare, scupetta per fucile, taccia per bulletta ecc..

Quanto agli influssi più recenti, i mercenari tedeschi delle truppe spagnole e borboniche che inperversarono in Sicilia dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, hanno lasciato la lora tipica negazione nixi (da "nichts").

Il francese moderno ha dato al linguaggio siciliano lammuarru per armadio, buffetta per tavolino, tabbaré per vassoio, tirabusciò per cavatappi, tutti termini legati al confort della società abbiente, dal Settecento in poi.

Gli inglesi hanno lasciato un ricordo della loro permanenza in Sicilia nel periodo napoleonico, influenzando anche la formazione del superlativo degli aggettivi (in sicilia bellissimo si dice è veru bellu); fino ad arrivare ai recentissimi influssi americani come giobba per posto di lavoro, importati dai siciliani emigrati e poi tornati in patria.

Le stratificazioni linguistiche del dialetto siciliano fanno fede della travagliata storia del popolo che l'ha parlato attraverso i secoli e che lo ha innalzato a dignità di lingua. La validità del linguaggio siciliano attraverso i secoli, apparirà ancor più chiaramente, se si pensa che esso, lungo il quattordicesimo secolo, fu relativamente autonomo dal toscano e costituì un vero e proprio tentativo di nazionale italiana.

I siciliani sono molto attaccati al loro linguaggio, e la ricchezza e la bellezza dei canti popolari lo dimostra.

Così scrive Ignazio Scimonelli da Palermo (1753-1831) nel 1793:

Nun mettu peccu a Grecu o Germanisi

né a Toscu o Francu, a Latinu o Spagnolu;

ma bedda carta mi canta in cannolu

lingua e paisi.

E pri sta lingua sugnu tantu vanu

ca mortu, e prima di essiri urvicatu

lu misereri lu vogghiu cantatu

'n sicilianu.

Sarà in latinu ben fattu e ben dittu,

ma un misereri in lingua nostra misu

l'arma mi la fa jiri 'n paradisu

drittu pi drittu!

 

Non trovo nulla da dire sulla lingua greca otedesca

ne su quella toscana o francese, latina o spagnola;

ma il documento linguistico ci fa apprezzare con sicurezza

lingua e paesi.

E per questa lingua io nutro un affetto così vivo

che, quando morirò, prima di essere sotterrato

il "De profundis" lo voglio cantato

in siciliano.

Sarà in latino ben fatto e ben detto

ma un "De profundis" recitato nella nostra lingua

l'anima me la farà andare in paradiso

direttamente!

 

Nei primi dell'Ottocento, un medico novatore di Modica, Carlo Amore (1768-1841) scriveva nel suo poemetto pedagocico in sestine intitolato L'educazioni:

Nun scrivu lu linguaggiu italianu

pirchì nun su' lumbardu o bolognisi.

Nascii in Sicilia, sugnu muducanu,

usu la lingua di lu me' paisi.

Si a tia, litturi, sta lingua nun piaci

strazza lu libru, e a mia làssami in paci.

Non adopero il linguaggio italiano

perchè non sono lombardo o bolognese.

Sono nato in Sicilia, sono di Modica,

uso la lingua del mio paese.

Se a te, lettore, questa lingua non piace

strappa il libro, e lasciami in pace.

 

Tratto da "Sicilia da conoscere e da Amare-Appunti di storia siciliana" Ed. Nocera.

 

Da dove deriva il nome SICILIA?

Il nome Sicilia deriva dalla radice SIK (fertilità) e dal suffisso -ILIA (terra), e pertanto Sicilia vuol dire terra fertile, non per caso i romani la chiamarono il granaio di Roma”.

Anche il nome Itlia deriva da “Vìtulia”, che era il tratto di costa jonica tra Taormina e Messina, dove si allevavano i vìtuli, ovvero i vitelli sacri al dio Sole.

   
   

 

Cos'è la Trinacria?

Il simbolo della trinacria (una testa con tre gambe) è un simbolo solare. La testa gorgònide che sta al centro ha un valore apotropaico, cioè di talismano portafortuna, infatti secondo la tradizione mitologica, la testa della gorgòne aveva il potere di pietrificare i nemici, mentre le tre gambe rappresenteno i raggi del sole.

I colori della bandiera.

Perchè rosso e giallo?

La bandiera giallo e rossa della Sicilia esiste da 720 anni. Venne fatta nel 1282 dalla Confederazione delle Città della Sicilia che, dopo la rivolta del VESPRO del 30 marzo 1282 a Palermo, con un patto solenne, il 3 aprile del 1282, decisero di cacciare i Francesi da tutta la Sicilia. I colori di questa bandiera sono il rosso ed il giallo con la Trinacria in mezzo. Il rosso è il colore del Comune di Palermo (ancora oggi), il giallo è il colore del Comune di Corleone, a quel tempo era la grande capitale agricola nel cuore della Sicilia. Furono le prime due città a fondare la Confederazione contro gli Angioini. La Trinacria esiste da circa 30 secoli in varie versioni. La testa della Trinacria era nel petto di tutte le statue della dea Atena presso i Greci. Identificata con MEDUSA da scultori e pittori, rappresentata in tutte le epoche.

Dal gennaio 2000 con la Legge N.1 del Parlamento Siciliano è la BANDIERA UFFICIALE della Sicilia. Questa Legge ne regola l'uso e l'esposizione su tutti gli edifici pubblici. Deve essere esposta sugli edifici comunali, sulle scuole, sugli edifici pubblici ed in tutti i luoghi in cui la Sicilia è rappresentata. La Polizia Municipale di tutta la Sicilia ha due stemmi uguali sulle divise. I Carabinieri delle caserme Siciliane hanno uno stemma con la Sicilia e la bandiera giallo rossa, la Guardia di Finanza e la Guardia Forestale anche. La Trinacria è usata da milioni di Siciliani in tutto il mondo come simbolo dei loro prodotti e delle associazioni. La troviamo nello stemma dell'università di Palermo, negli uffici postali prima dei Piemontesi ed è stata usata anche sulle medaglie delle Universiadi in Sicilia nel 1997. Le navi della Marina Mercantile Siciliana sino al 1861 issavano la bandiera giallo-rossa con la Trinacria su tutti i mari del mondo (anche sotto i Borboni).

Allo stadio viene usata in tutta la Sicilia, anche dove i colori della squadra non sono il giallo ed il rosso come invece sono a Messina da quel 1282. Tutte le Città della Confederazione inviarono i loro uomini a Messina per difendere la "porta della Sicilia" dall'esercito Angioino che, insieme a tutte le città Guelfe d'Italia inviate dal papa francese anche lui, voleva vendicarsi sterminando coloro che avevano osato fare una rivoluzione contro il re incoronato dal papa. 5 mesi di assedio a Messina non bastarono per piegare i Siciliani chiusi dentro le poderose e insuperate mura. 60.000 armati, 200 navi da guerra, 15.000 cavalieri NON RIUSCIRONO A TOGLIERE QUESTA BANDIERA DALLE ANTICHE MURA DELLA CITTA' STATO DI MESSINA, LIBERA REPUBBLICA. Nella precipitosa fuga, a settembre, restò sul campo lo stendardo della città di Firenze (guelfa), è ancora conservato nel Duomo di Messina.

inviato da: rossalfit2000@ ......