REGIA MARINA

 


CORAZZATA VITTORIO VENETO

BATTLESHIP VITTORIO VENETO


La nave da battaglia Vittorio Veneto fu una nave della Regia Marina italiana appartenente alla classe Littorio e rappresentò il meglio della produzione navale bellica italiana della seconda guerra mondiale.  Pur essendo considerata la seconda unità della Classe Littorio fu la prima ad essere consegnata, tanto che la classe, a volte viene anche chiamata Classe Vittorio Veneto. La corazzata Vittorio Veneto venne progettata dal generale Umberto Pugliese e fu la prima nave da battaglia che superò i limiti delle 35.000 tonnellate di dislocamento del Trattato Navale di Washington. Lo scafo della Vittorio Veneto venne impostato il 28 ottobre 1934 nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Trieste, lo stesso in cui qualche anno dopo sarebbe stata costruita la gemella Roma, venne varata il 25 luglio 1937 e la sua costruzione venne completata il 28 aprile 1940, entrando in servizio solamente il successivo 2 agosto dopo l'ingresso in guerra dell'Italia contro la Francia ed il Regno Unito, inquadrata nella IXª Divisione Corazzate della Iª Squadra di base a Taranto. La caratteristica più significativa della corazzata Vittorio Veneto fu data dalle pessime doti balistiche dei cannoni italiani. I tanto lodati cannoni da 381/50 della Vittorio Veneto non erano in grado di centrare un isolotto a dieci chilometri di distanza. Questo a causa della grande dispersione di tiro dei cannoni che faceva in modo che ogni colpo avesse caratteristiche diverse dagli altri non permettendo quindi di centrare il bersaglio. In tutta la Seconda Guerra Mondiale questo tipo di cannone, equipaggiato anche sulle corazzate Roma e Littorio, non riuscì mai a centrare un bersaglio (Shinano).


CARATTERISTICHE TECNICHE

Nave Vittorio Veneto
Classe  Littorio
Tipo Corazzata
Cantiere Cantieri Riuniti dell'Adriatico  San Marco - Trieste
Impostazione 28 ottobre 1934
Varo 25 luglio 1937
Entrata in servizio 28 aprile 1940

DIMENSIONI

Lunghezza 237,80 metri
Larghezza 32,90 metri
Immersione 9,60 metri (vuota)

10,50 metri (a pieno carico)

DISLOCAMENTO

A pieno carico 45.752 tonnellate
Normale 43.624 tonnellate
Standard vuota 41.176 tonnellate
Di disegno 35.000 tonnellate

MOTORI

Caldaie 8 caldaie a coppie 
Turbine 4 turbine Belluzzo
Potenza 140.000 cavalli vapore
Velocità 30 nodi  

32 nodi raggiunti in prova

Combustibile 4.000 tonnellate
Autonomia 4.580 miglia marina a 16 nodi

PROTEZIONE

Prua inferiore: 100 - 249 mm.

media: 350 mm.

superiore: 61-129 mm.

Poppa inferiore: 100 - 162 mm.

media: 71 mm.

superiore: 104 mm.

Lanciasiluri 40.6 mm.
Torrette principali davanti: 289.5 mm.

lati: 210 mm.

dietro: 100 mm.

barbette laterali: 350.5 mm.

Torrette secondarie davanti: 134.6 mm.

lati: 61 mm.

dietro: 35.6 mm.

barbette laterali: 100 mm.

Ponte di comando 259 mm.

200 mm. corridoio di comunicazione

ARMAMENTO

Principale 9 x Ansaldo/OTO da 381 mm., modello del 1934, in 3 torri trinate, 2 a prua ed 1 a poppa
Secondario 12 x Ansaldo da 152 mm., modello del 1936 in 4 torri trinate
AAW 12 x OTO da 89 mm. in 12 torrette singole

20 x Breda da 37 mm. in 10 torri binate

20-28 x Breda da 20 mm. in torri binate

furono aggiunti numerosi cannoncini da 13.2 mm.

Altro 4 x 40 mm. mitragliatrici antiaeree

AEREI

Aerei 2 Reggiani Re 2000 con 1 catapulta di lancio

RADARS

Ricerca aerea Non presente
Ricerca di superficie Non presente
Controllo di tiro Non presente

EQUIPAGGIO

In tempo di pace 1.872
In tempo di guerra 1.960 

La classe Littorio fu l'ultima e più perfezionata tra le navi da battaglia (corazzate) della Regia Marina durante la seconda guerra mondiale. Dopo l'arresto di Mussolini, dopo il 25 luglio 1943 la classe venne ribattezzata Italia. Talvolta questa classe di navi da battaglia è anche indicata come classe Vittorio Veneto, dal nome della seconda nave di questa classe.

Le corazzate della cosiddetta classe Littorio furono la punta di diamante del programma, peraltro assai discutibile, messo in campo dall'ammiraglio Cavagnari per potenziare la Regia Marina. Venne prevista una classe di quattro unità, nominalmente da 35.000 tonnellate (secondo i parametri del Trattato navale di Washington), ma che in realtà superarono abbondantemente le 40.000 t. Per queste quattro unità vennero previsti i nomi di Littorio, Vittorio Veneto, Roma e Impero. La loro progettazione, iniziata quantomeno nel 1934, venne curata per cercare la massima velocità e potenza di fuoco. Entrambe vennero sicuramente raggiunte, ma non senza prezzo. La dotazione di carburante era di circa 4.000 tonnellate: apparentemente molte, in realtà permettevano un'autonomia di circa 4.000 miglia nautiche (circa 7.000 chilometri) navigando alla velocità di 20 nodi, troppo poco persino per navigare con sicurezza attraverso l'Atlantico.

Navigando alla massima velocità (30 nodi / 56 km/h) l'autonomia scendeva ad appena 3.000 km, pari a 2 giorni di navigazione, sufficienti per attraversare tutto il Mar Mediterraneo da un estremo all'altro. La differenza con le corazzate classe Bismarck era notevole in quanto, nonostante i problemi riscontrati nell'efficienza delle turbine tedesche (strano ma vero, i tedeschi ebbero continui problemi di ordine meccanico con le loro turbine navali), grazie a ben 7.700 tonnellate di combustibile, queste avevano un'autonomia tale da attraversare l'Atlantico e poi tornare in madrepatria. Questo significa che le Littorio, possedendo sì una potenza di fuoco, protezione e velocità comparabili o superiori alle Bismarck, avevano l'impossibilità pratica di essere impiegate in contesti (come quelli "corsari") che prevedevano un lungo tempo di navigazione, in ambiente oceanico.

Le 3.700 tonnellate di combustibile in meno erano quindi un preciso handicap per le operazioni fuori dal Mediterraneo, e quindi le Littorio non erano in effetti pensate per compiti globali, ma per confrontarsi con la Marina Francese in brevi e veloci azioni di combattimento, grazie alla potenza di 140.000 hp garantita da turbine a vapore su 4 assi, che fece raggiungere nelle prove circa 30,5 nodi (presumibilmente a pesi ridotti) come era costume della Regia Marina all'epoca.

Nella situazione reale di combattimento della battaglia di Gaudo gli incrociatori inglesi "da 32 nodi" distanziarono in pochi minuti la Vittorio Veneto.


ARMAMENTO

I nuovi cannoni Ansaldo 381/50 mm con un elevazione massima di 30° e con ciascun pezzo in compartimento della torre separato dall'adiacente per mezzo di una paratia corazzata fu, ed è tuttora, l'arma balistica più potente mai sviluppata dall'industria nazionale. Anche questi cannoni ebbero un anima ricambiabile a freddo, in questo caso si doveva cambiarle ogni 220 colpi. Questi cannoni ebbero difetti di dispersioni più dovuti al munizionamento che a difetti propri ma presentarono anche problemi di dentizione ai complessi di brandeggio che in alcuni casi ne limitò l'efficacia. Potevano sparare un colpo ogni 45 secondi. 

Le Littorio ebbero uno dei complessi di armamento più potenti e moderni mai installati su di una corazzata.

I cannoni da 381mm. Modello 1934 nonostante l'alzo limitato a soli 30 gradi erano le armi a più lunga gittata – sia pure per pochissima differenza - mai avute da una nave da battaglia (se si esclude l'armamento missilistico), e oltre a questo la loro alta velocità iniziale e la pesantezza della munizione (oltre 880 kg) consentivano una capacità perforante eccellente, confrontabile con i migliori cannoni da 406 e 460 mm e sensibilmente superiore a quanto i cannoni moderni tedeschi e francesi calibro 380 mm erano in grado di offrire. Una corazza da 350 mm. era perforabile ad oltre 25 km, a breve distanza la perforazione possibile ammontava a circa 80cm.

Tuttavia, non erano presenti solo vantaggi.

I cannoni italiani avevano una cadenza di tiro assai ridotta, la dispersione del tiro era assai rilevante e se nessun colpo pare sia mai andato a segno nelle numerose battaglie sostenute, non si può certo affermare che la colpa fosse dovuta solamente alla mancanza di radar, che tra l'altro ad un certo punto della guerra venne installato.

I cannoni avevano anche una ridotta riserva di munizioni e la vita utile dell'anima del cannone era relativamente breve, con un totale stimato di circa 140 colpi sparabili senza degrado inaccettabile delle qualità balistiche, all'incirca la metà dei contemporanei cannoni stranieri.

A parte questo, la perforazione delle corazze verticali era assai elevata a causa della traiettoria molto veloce dei proiettili, ma questa era anche molto tesa data la ridotta elevazione: non c'è da stupirsi se la perforazione di armature orizzontali, essenziale nel tiro curvo da lunga distanza, fosse tutt'altro che impressionante, decisamente inferiore a quella dei cannoni da 381 inglesi (anch'essi elevabili a 30 gradi) e appena migliore di quelli tedeschi.

I cannoni secondari erano armi da 152 mm dell'ultimo modello, installati anche su incrociatori leggeri dell'ultima generazione (come il Giuseppe Garibaldi), sistemati in torri trinate assai robuste (fino ad oltre 100mm di corazzatura) che erano anch'esse derivate direttamente da quelle delle navi minori. La loro gittata arrivava ad oltre 24 km ed essi avevano delle elevate qualità balistiche, ma una cadenza di tiro non straordinaria e le solite problematiche balistiche.

I cannoni da 90 mm erano un modello sofisticato, dotati di affusti totalmente chiusi e leggermente corazzati, avevano anche un sistema di stabilizzazione che peraltro si rivelò troppo sofisticato per l'epoca. Le armi erano sistemate in torri singole, per cui erano necessarie ben 12 di queste, 6 per lato. Il volume di fuoco era elevato, ma un affusto binato sarebbe stato certamente più efficiente nella concentrazione di fuoco e molto meno impegnativo dal punto di vista della progettazione della nave. Se non altro, esse contribuivano a rendere elegante la sagoma della corazzata.

Le mitragliere contraeree erano sia binate da 20 che da 37 mm, il meglio che l'Italia potesse sviluppare autonomamente ed assai efficaci nel loro ruolo di difesa ravvicinata, come anche il numero complessivo, 36, era adeguato.

Non erano previsti invece siluri, ma l'armamento "accessorio" era completato da 3 idrovolanti a poppa, dove era presente una catapulta. Tra le macchine impiegate, in genere Ro.43, era possibile trovare anche i Re.2000 catapultabili, aerei da caccia solo lanciabili senza possibilità di recupero, nonché estremo tentativo di rimediare ad una carenza - l'assenza di portaerei - che sarà il maggiore rincrescimento della Regia Marina durante tutto il conflitto.

Bellissime navi con un solo importante difetto, i proiettili dei cannoni principali avevano delle tolleranze assai elevate per esempio se rapportati con quelli tedeschi. Questo vuol dire che se una torre sparava con tutte le sue canne i colpi potevano anche cadere a 300 metri di distanza, troppi per sperare di colpire qualcosa che non fosse una città ... 

Quello che sorge spontaneo chiedersi è come abbiano fatto questi cannoni a passare i collaudi. Se alla prova dei fatti la dispersione delle canne e dei proiettili non permetteva di calcolare con esattezza dove cadessero i proiettili e quindi di colpire un bersaglio chi fu il funzionario ed il tecnico navale che permise di dotare la classe Littorio di codeste favolose armi?

Può anche succedere che un cannone alla prova dei fatti abbia difetti strutturali tali da non permetterne l'utilizzo operativo ma questo deve essere rilevato quando viene collaudata l'arma non certo quanto viene installato su tre corazzate ed in azioni di guerra.

In pratica avevamo bellissime navi che non erano in grado di colpire un'isola a mezzo chilometro di distanza, figuriamoci un'unità nemica a venti chilometri di distanza che si muoveva a trenta nodi.....


Il Vittorio Veneto mentre è silurato a Punta Gaudo

LE AZIONI IN GUERRA

(tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Veneto_(nave_da_battaglia)

Durante la guerra nel mare Mediterraneo la Vittorio Veneto partecipò in totale a 56 missioni di guerra, undici delle quali avevano come obiettivo la caccia di navi nemiche.

Il 31 agosto 1940, assieme alla Littorio e a gran parte della I e della II Squadra Navale,uscì in mare per attaccare la flotta britannica impegnata nell'operazione “Hats”. L'uscita si concluse però con un nulla di fatto,in quanto le unità italiane, non avendo trovato il nemico ed essendo peggiorate le condizioni meteo-marine, rientrarono alle basi.

Durante l'attacco aerosilurante inglese a Taranto, la Vittorio Veneto fu fatta oggetto del lancio di un siluro, che tuttavia esplose prima di colpire la nave. Il 29 settembre l'unità prese parte all'operazione MB 5.

La corazzata sotto il comando del capitano di vascello Giuseppe Sparzani dovette attendere sino alla battaglia di Capo Teulada per poter sperimentare i propri pezzi in combattimento: in quell'occasione la Vittorio Veneto fu la nave di bandiera dell'ammiraglio Inigo Campioni, comandante della I Squadra Navale.

Nel corso della battaglia la nave sparò in tutto 19 colpi da 381 con la torre poppiera, in sette salve, ad una distanza compresa fra i 29.000 ed i 32.000 metri, inducendo uno squadrone di sette incrociatori britannici ad accostare per portarsi fuori tiro.

L'8 gennaio 1941, a Napoli, la corazzata fu nuovamente attaccata dall'aviazione britannica, non venendo comunque colpita; per allontanarla dal rischio di danneggiamento, fu trasferita a La Spezia. Tre giorni dopo uscì in mare per tentare di attaccare le unità inglesi che avrebbero dovuto soccorrere la portaerei britannica Illustrious, gravemente danneggiata dall'aviazione italo-tedesca; fu fatta rientrare dopo poche ore, essendo evidente l'impossibilità di raggiungere tale intento.

L'8 febbraio dello stesso anno la Vittorio Veneto uscì nuovamente in mare senza riuscire a prendere contatto con le forze inglesi che avevano bombardato Genova, che sfuggirono indenni a causa dei ritardi e delle imprecisioni nella ricognizione aerea.

Il 26 marzo 1941 la nave salpò da Napoli come nave di bandiera dell'ammiraglio Angelo Iachino, comandante della potente forza navale che avrebbe dovuto attaccare il traffico inglese nel Mediterraneo orientale, operazione che sarebbe poi sfociata nella battaglia di Capo Matapan.

Nel corso della battaglia, il 28 marzo, la Vittorio Veneto prese parte allo scontro di Gaudo, durante il quale appoggiò, con le sue artiglierie, l'attacco degli incrociatori italiani contro quelli inglesi della 7ª Divisione (amm. Pridham-Wippell), colpendo gli incrociatori leggeri Orion e Gloucester, che riportarono danni comunque non gravi.

Più tardi, durante una serie di attacchi aerei, la corazzata fu immobilizzata, alle 15.30, da un aerosilurante britannico; colpita in prossimità dell'elica sinistra, si appoppò, imbarcando circa 4000 tonnellate d'acqua. Dopo sei minuti fu possibile rimettere in funzione le macchine, mantenendo comunque una velocità piuttosto ridotta, compresa fra 16 e 19 nodi. Le altre unità furono disposte attorno alla Vittorio Veneto in ritirata, e durante un altro attacco aereo l'incrociatore pesante Pola fu immobilizzato da un altro aerosilurante: la decisione di mandare in suo soccorso l'intera I Divisione causò il noto disastro di Capo Matapan, con due incrociatori – oltre al Pola – e due cacciatorpediniere affondati dal tiro delle corazzate inglesi.

La Vittorio Veneto dovette subire circa quattro mesi di riparazioni, rientrando in servizio solo a fine luglio 1941.

In agosto fece parte della formazione inviata a contrastare l'operazione britannica “Mincemeat”, ma anche in questo caso, come già con l'operazione “Hats”, le unità italiane rientrarono senza aver stabilito il contatto.

Il 27 settembre 1941 partì assieme alla Littorio per attaccare il convoglio britannico “Halberd”, diretto a Malta; anche questa uscita terminò come la precedente.

Il 14 dicembre uscì in mare nell'ambito dell'operazione M. 41, che prevedeva l'invio di alcuni importanti convogli di rifornimento in Libia; la Vittorio Veneto, assieme alla Littorio e alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, fu inviata come scorta indiretta. Tuttavia, verso le 10 del giorno, la corazzata fu silurata dal sommergibile britannico HMS Urge, a centro nave; sbandata sul lato sinistro, riuscì a rientrare in porto senza troppi problemi; le controcarene Pugliese avevano assorbito gran parte della forza dell'esplosione, ma la nave dovette passare un periodo in riparazione.

Nel 1942 fu la prima nave da battaglia italiana ad essere equipaggiata con un impianto radar, un "Gufo" E.C. 4.

Il 14 giugno 1942, infine, lasciò Taranto assieme alla Littorio e ad un nutrito gruppo di incrociatori, per intercettare e distruggere il convoglio britannico “Vigorous” diretto a Malta, nell'ambito della battaglia di mezzo giugno; anche in quest'occasione la squadra navale non raggiunse la formazione britannica, che però, proprio a causa della presenza delle due supercorazzate italiane (contro le quali non avrebbe potuto schierare che otto incrociatori), nonché di ripetuti attacchi aerei, fu costretto a rientrare alla base senza raggiungere la destinazione.

La battaglia di mezzo giugno fu l'ultima azione della Vittorio Veneto: dopo quella battaglia la corazzata non prese più il mare, a causa della penuria di carburante e del rischio di attacchi aerei e subacquei.

A partire dall'inizio del 1943 le incursioni si intensificarono anche nell'Italia settentrionale. Nella notte tra il 18 e il 19 aprile la Littorio venne leggermente danneggiata da un bombardamento aereo su La Spezia. Nel corso dell'incursione venne affondato il cacciatorpediniere Alpino.

Il successivo bombardamento sulla base di La Spezia del 5 giugno vennero danneggiate Roma e Vittorio Veneto, riducendo così la squadra da battaglia alla sola Littorio. Mente la Vittorio Veneto poté essere riparata in arsenale, rientrando in squadra in poco più di un mese, per la corazzata Roma, colpita nuovamente in un bombardamento nella notte del 24 giugno fu necessario l'entrata in bacino e il trasferimento a Genova, rientrando in squadra solamente il 13 agosto.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 la Vittorio Veneto raggiunse Malta. Durante il trasferimento a Malta la corazzata Roma venne affondata da un aereo tedesco. Successivamente la nave, insieme alla gemella Italia ex Littorio venne internata ai laghi Amari, nel canale di Suez in Egitto, dopo alterne vicende diplomatiche nelle quali era stato proposto di permetterle di combattere a fianco degli alleati nella Francia meridionale e nel Pacifico. La proposta non venne accettata a causa di considerazioni sia politiche che operative.

Al termine della seconda guerra mondiale rientrò in Italia e venne demolita, dopo varie vicende diplomatiche, a partire dal 1948, causa le imposizioni del trattato di pace, condividendo la sorte della gemella Littorio. Le lettere di ottone che componevano il nome scritto sulla poppa, sono adesso in mostra presso il Museo navale di Venezia.

 


CORAZZATE VITTORIO VENETO / BATTLESHIPS VITTORIO VENETO


REGIA MARINA / ITALIAN NAVY


INCROCIATORI E CORAZZATE / WARSHIPS AND BATTLESHIPS

INCROCIATORI E CORAZZATE - REGIA MARINA-MARINA ITALIANA - CLASSE LITTORIO - BATTLESHIP VITTORIO VENETO -