REGIA MARINA
CORAZZATA LITTORIO (ITALIA)
STORIA
LITTORIO (ITALIA) |
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Nave | Littorio (Italia) |
Tipo | Corazzata |
Cantiere di costruzione | Cantieri Ansaldo (Genova) |
Impostazione | 28 ottobre del 1934 |
Varo | 22 agosto del 1937 |
Entrata in servizio | 6 maggio del 1940 |
STORIA
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Le corazzate tipo Vittorio Veneto furono le più grandi e le più armate fra quelle della Marina italiana. Lo scafo aveva il castello che si prolungava nella sovrastruttura centrale, la quale giungeva fino a comprendere la torre di grosso calibro di poppa. A poppa estrema vi era la catapulta per il lancio degli aerei con sottostante aviorimessa.
Vi erano tre timoni: uno centrale e due più piccoli laterali. Non vi erano alberi, ma solo un grande torrione a prora che sosteneva un alberetto, e un secondo torrione, più piccolo, a poppavia dei fumaioli munito di alberetto e picco di carico. L'armamento principale di 9 cannoni da 381 mm era suddiviso in tre torri trinate, due a prora, la prima sul castello e la seconda sopraelevata, e una a poppa anch'essa a livello del ponte di castello.
I
12 cannoni da 152 mm erano in 4 torri trinate ai lati delle torri da 381 mm di
prora e di poppa, mentre i 12 cannoni da 90 mm antiaerei erano in altrettante
torrette singole, sistemate in due file ai lati del torrione e dei fumaioli. Le
mitragliere da 37 mm. erano in postazioni multiple concentrate in plancette ai
lati del torrione. La protezione verticale di murata era costituita da una
cintura inclinata dello spessore di 350 mm sovrastata da una corazza verticale
Nella zona centrale vi era sui due lati la difesa subacquea a cilindri assorbitori.
L'apparato motore su 4 eliche sviluppava la velocità di 30 nodi. L8 Vittorio Veneto fu colpita da siluro nello scontro navale del 14 dicembre 1941 ma fu subito riparata.
Attività bellica (tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Littorio_(nave_da_battaglia)
Entrò in linea, il 6 maggio 1940 non ancora pienamente operativa allo scoppio
delle ostilità. Venne inquadrata nella IX Divisione Corazzate della I Squadra
quale nave comando divisionale con insegna dell'ammiraglio Bergamini. Nella
cosiddetta Notte di Taranto tra l'11 ed il 12 novembre 1940 venne gravemente
danneggiata da 3 siluri lanciati da aerosiluranti inglesi Fairey Swordfish ma
venne recuperata riprendendo il servizio attivo sei mesi dopo, sorprendendo gli
inglesi che ritenevano di averla danneggiata in modo molto più grave.
Durante il 1942 partecipò alla seconda battaglia della Sirte, con al comando
l'ammiraglio Angelo Iachino, colpendo con un proiettile da 152 mm l'incrociatore
inglese HMS Cleopatra e danneggiando pesantemente i caccia HMS Kingston e Havock
con i suoi cannoni di 381 mm. Successivamente, con la gemella Vittorio Veneto,
prese parte alla battaglia di mezzo giugno durante la quale venne colpita a prua
da un'arma lanciata da un aereo inglese e di striscio da una bomba sganciata da
un bombardiere statunitense.
Nella notte tra il 18 e il 19 aprile del 1943 la nave venne leggermente
danneggiata da un bombardamento aereo su La Spezia. Nel corso dell'incursione
venne affondato il cacciatorpediniere Alpino.
Il successivo bombardamento sulla base di La Spezia del 5 giugno, in cui vennero
danneggiate Roma e Vittorio Veneto, ridusse la squadra da battaglia alla sola
Littorio. Mente la Vittorio Veneto poté essere riparata in arsenale, rientrando
in squadra in poco più di un mese, per la corazzata Roma, colpita nuovamente in
un bombardamento nella notte del 24 giugno fu necessario l'entrata in bacino e
il trasferimento a Genova, rientrando in squadra solamente il 13 agosto.
La corazzata Littorio viene ribattezzata "Italia"
Dopo il Gran Consiglio del 25 luglio 1943, che vide l'approvazione dell'Ordine
del giorno Grandi, il 30 luglio venne ribattezzata Italia. Fino all'armistizio
effettuò complessivamente 46 missioni di guerra, di cui 9 per ricerca del nemico
e 3 per protezione del traffico nazionale.
Armistizio
Nella giornata dell'8 settembre, la nave si trovava a La Spezia quando nella
serata all'equipaggio giunse la notizia dell'armistizio e delle relative
clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato
delle navi italiane in località che sarebbero state designate dal Comandante in
Capo alleato, dove sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino e
che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli
neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde.
Alle 3 del mattino del 9 settembre, le navi italiane al comando dell'ammiraglio
Bergamini salparono da La Spezia.
La formazione navale navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e
aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole
dell'armistizio, ma la corazzata Roma con l'insegna dell'ammiraglio Bergamini
aveva innalzato il Gran Pavese.
Nel pomeriggio, al largo dell'isola dell'Asinara la formazione venne sorvolata
ad alta quota da ventotto bimotori Dornier Do 217 della Luftwaffe partiti
dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia, in tre ondate successive, la prima
delle quali si alzò in volo poco dopo le 14,00, con i velivoli che avevano
l’istruzione di mirare unicamente alle corazzate.
La flotta fu avvistata dagli aerei dopo poco più di un’ora di volo. Alle 15,30
una prima bomba venne diretta contro l'Eugenio di Savoia, cadendo a circa 50
metri dall'incrociatore senza provocare alcun danno, mentre una seconda bomba
cadde vicinissima alla poppa dell'Italia immobilizzandone temporaneamente il
timone, per cui la nave venne governata con i timoni ausiliari. Le bombe erano
del tipo a razzo teleguidate Ruhrstahl SD 1400,, conosciute dagli alleati con il
nome di Fritz X. Successivamente toccò alla Roma; gli aerei, una prima volta
fallirono il tiro, ma alle 15,45 la corazzata venne centrata una prima volta da
un colpo che apparentemente non produsse gravi effetti. Il secondo colpo alle
15,50 centrò la nave verso prua, questa volta con conseguenze devastanti. Lo
scafo si spaccò dopo pochi minuti. La torre corazzata di comando fu investita da
una tale vampata, che venne addirittura deformata e piegata dal calore,
abbattendosi in avanti e scomparendo, proiettata in alto a pezzi, in mezzo a due
enormi colonne di fumo: l'ammiraglio Bergamini e il suo stato maggiore, il
comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio vennero
uccisi pressoché all'istante. La nave, alle 16,11, girandosi su un fianco, si
capovolse e affondò spezzandosi in pochi minuti in due tronconi. Successivamente
l'Italia venne nuovamente attaccata e questa volta colpita da una bomba, ma
essendo la carica di scoppio assai ridotta, la nave da battaglia, nonostante
avesse imbarcato circa ottocento tonnellate di acqua continuò, seppure
appesantita, a navigare in formazione. i cacciatorpediniere Mitragliere e
Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti
della Roma, seguiti dall'incrociatore Regolo e dal cacciatorpediniere Fuciliere.
A queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso. I
naufraghi della Roma, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso
furono seicentoventidue, di cui cinquecentotre recuperati dai tre
cacciatorpediniere, diciassette dall’Attilio Regolo e centodue dalle tre
torpediniere. Le navi trasportarono i naufraghi, molti dei quali gravemente
feriti, alle Baleari.
A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento dalla
Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e
comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia, che adempì ad
una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto
sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde. mentre le sette navi si
erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della
squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Malta, destinazione scelta dagli
alleati, dove la formazione si sarebbe ricongiunta con il gruppo proveniente da
Taranto guidato dall'ammiraglio Da Zara e costituito dalle Duilio, dagli
incrociatori Cadorna e Pompeo Magno e dal cacciatorpediniere Da Recco. A Malta
le unità vennero raggiunte qualche giorno dopo dalla corazzata Giulio Cesare,
proveniente dal Cantiere navale di Pola, che giunse il 13 settembre insieme alla
nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia sotto la scorta di un idrovolante
antisommergibile CANT Z.506,[3] e nei giorni successivi dalle altre unità, quali
torpediniere, corvette, MAS, motosiluranti e altre unità minori. Il comando di
tutte le unità italiane presenti a Malta venne affidato all’ammiraglio Da Zara,
quale ammiraglio più anziano.
In un primo momento gli Alleati, su richiesta di Churchill avevano pensato di
utilizzarla insieme alla Vittorio Veneto nella guerra nel Pacifico, ma
motivazioni di ordine tecnico (le navi erano concepite per l'impiego nel
Mediterraneo) e politico fecero tramontarne l'idea ed ebbe inizio per le due
unità un lungo internamento nei Laghi Amari, in Egitto.
La demolizione
Rientrata alla base di Augusta dai Laghi Amari il 9 febbraio 1947, la Littorio secondo le condizioni del trattato di pace, avrebbe dovuto essere consegnata agli Stati Uniti, che però vi rinunciarono, così come fecero gli inglesi rinunciando alla Vittorio Veneto. Evitata la consegna delle unità, ancora moderne, le autorità italiane non riuscirono però ad evitare l'ingiunzione alleata di demolirle, cosa che si tentò di ritardare con ogni mezzo, ma senza successo. Inizialmente, su pressione dell'Unione Sovietica ci si limitò al taglio dei cannoni dell'armamento principale. Alla fine, dopo varie battaglie diplomatiche per poterla mantenere in linea (si era anche ipotizzato di barattare le due navi con le più vecchie Doria), la Littorio venne demolita tra il 1948 ed il 1955 insieme alla Vittorio Veneto.