BATTAGLIA NAVALE DI MIDWAY

VISTA DAI GIAPPONESI

(U.S. NAVY 4 - MARINA IMPERIALE 1)

L'incrociatore giapponese Mogami


LE RAGIONI DELLA SCONFITTA

 Tratto dal libro
MIDWAY: The Battle That Doomed Japan di Mitsuo Fuchida Masatake Okumiya.
pubblicato da U.S. Naval Institute. Annapolis. Maryland. U.S.A.


Ecco, dunque, come fu concepita, messa in atto e perduta la battaglia di Midway. Ora vorremmo analizzare le cause di questa sconfitta e tornare su certi punti.  Midway fu una « vittoria del servizio informazioni », ha scritto Samuel E. Morison, il famoso storico americano della guerra navale.

Condividiamo in pieno la sua opinione: senza dubbio, la scoperta del piano giapponese molto prima che venisse messo in esecuzione, fu la causa principale della nostra sconfitta. Il successo dei servizi segreti americani implica una colpa da parte nostra: avremmo dovuto proteggere meglio il segreto dei nostri piani. Inoltre, al successo americano corrisponde una insufficienza dei nostri servizi d'informazione.
All'inizio delle ostilità, i Giapponesi erano in ritardo anche tecnicamente, rispetto agli Americani, e non riuscirono mai a mettersi alla pari. 

Per esempio, non possedevano il radar.  Due giorni prima di salpare per Midway, venne installato il radar su due corazzate, che furono cosi le prime navi nipponiche a esserne munite. Le autorità navali reclamavano i radar da mesi, per le portaerei, ma la nostra industria elettronica era cosi poco sviluppata, che quei due primi radar erano solo modelli sperimentali.

Dall'inizio dell'incidente della Manciuria fino ai primi di dicembre del 1941, il Giappone aveva riportato solo facili vittorie su un nemico poco agguerrito. 

Fu dunque con apprensione che s'imbarcò nell'impresa della guerra del Pacifico. Le grandi vittorie dei primi mesi sbalordirono lo stesso Giappone ne più ne meno che gli altri Paesi. 

A poco a poco, i timori dei Nipponici si dissiparono. 

La popolazione civile e i militari cominciarono addirittura a nutrire una sorta di disprezzo per i nemici e manifestavano un'arroganza, che al momento di Midway condizionava ancora il pensiero egli atti degli ufficiali e dei soldati delle grandi unità combattenti. 

Questo eccesso di sicurezza è stato giustamente definito « malattia della. vittoria ».


Era andato tutto cosi bene, fino a quel momento, che i nostri strateghi navali concepirono l'attacco contro Midway tenendo conto più del loro intuito che dei mezzi e della tattica del nemico. 

Eravamo alla ricerca di una battaglia tra flotte, e il modo più sicuro per ottenerla consisteva nell'attaccare la posizione nemica più vitale. Se gli Americani si fossero rifiutati di uscire per difendere Midway, tanto meglio avremmo occupato l'isola e creato un posto avanzato, cosi come avevamo fatto con le basi delle Aleutine. 

Nello stesso tempo, avremmo ampliato il nostro perimetro difensivo, mettendoci in condizione di agire lungo la catena delle Hawaii: ogni avanzata sarebbe servita da trampolino di lancio per la seguente. 

Il nemico sarebbe pur stato costretto ad accettare la battaglia. 

Davamo per scontato il fatto che non potesse agire altrimenti, e questa cecità non era di stretta pertinenza della flotta. Durante una conferenza preliminare, uno dei rappresentanti dello Stato maggiore dichiarò:
  « L 'unica cosa che potrebbe crearci dei fastidi, nel corso di questa operazione, è che il nemico non osi affrontare la nostra flotta e si rifiuti di uscire dalle basi. » .
I giovani ufficiali e i marinai erano afflitti quanto i loro capi da questa « malattia della vittoria ».

Il 3 giugno, la maggior parte delle nostre perdite fu causata non dallo scoppio delle bombe, ma dalle ustioni.  Ustioni che avrebbero potuto essere evitate, almeno in parte, se gli uomini fossero stati convenientemente vestiti. 

I nostri marinai portavano camicie dalle maniche corte e calzoncini.  E perché no? Fa caldo, ai tropici, e, quando non si ha niente da temere da parte del nemico, perché indossare le pesanti e ingombranti tute antincendio? 

La sostituzione delle bombe con i siluri fu messa in atto partendo dallo stesso concetto: perché mettere le bombe al riparo, nei luoghi più protetti ?  Perché non ammassarle semplicemente sul lato sinistro del ponte? Tanto, il nemico non avrebbe mai colpito le nostre navi.
Durante le esercitazioni teoriche che precedettero l'operazione, quest'arroganza arrivò a rasentare la stupidità. Secondo il calcolo delle probabilità, erano necessari nove colpi a segno, per affondare due portaerei. Questo calcolo fu ridotto arbitrariamente a tre colpi a segno per affondare una portaerei. E, in seguito, fu ridotto ancor più. Lo stesso si fece per quanto riguardava le perdite degli aerei.
In ultima analisi, le profonde ragioni non solo della sconfitta di Midway, ma del fatto di aver perso la guerra, vanno ricercate nel carattere nazionale giapponese. Un carattere impulsivo, che spesso rende le azioni del nostro popolo imprevedibili e contraddittorie. 

La tradizione del provincialismo causa ristrettezza di vedute e dogmatismo, rifiuto di abbandonare i pregiudizi, lentezza nell'adottare i mutamenti più necessari che le nuove concezioni di vita impongono. 

Indecisi, esitanti, noi Giapponesi soccombiamo facilmente alla vanità. Adattabili, ma sprovvisti d'audacia e d'iniziativa, siamo inclini a fidarci molto degli altri e siamo troppo pronti a inchinarci davanti ai superiori. 

La nostra irrazionalità ci porta spesso a confondere il sogno con la realtà. Solo quando un atto precipitoso ci conduce alla sconfitta, cominciamo a ragionare logicamente, in genere per trovare attenuanti al nostro comportamento.
Per farla breve, come Nazione manchiamo di maturità e non sappiamo mai quando e come dobbiamo sacrificarci per raggiungere lo scopo.
Queste le debolezze del carattere nazionale giapponese, che si rifletterono sulla sconfitta di Midway, rendendo inutili gli eroismi e l'abnegazione degli uomini che là combatterono.


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