Gaetano Di Biasio
Gaetano
Di Biasio nacque a Cassino il 21 maggio 1877. Il padre, mastro
Antonio, faceva il calzolaio; la madre, Benedetta Gallozzi, la
calzettaia e fruttivendola. Il padre con grandi sacrifici, lo mandò
al Liceo di Arpino, e quindi all’Università di Napoli, alla facoltà
di Legge. Di Biasio, durante gli studi universitari, fu attratto dal
Socialismo, essendo già appassionato agli scritti ed all’opera di
Antonio Labriola. Nello stesso tempo lo seducevano le opere di
Pascoli, di Carducci, di Matilde Serao e tutti i maggiori autori del
diciannovesimo secolo. Nel 1903, sposò Antonietta Salveti. Nel 1908
pubblicò la raccolta di versi “Larve” e “La Selva”, quindi la
tragedia “Rupe Tarpea”, e “Amintore il Saggio”. Nel 1912 curò la
pubblicazione delle Lettere inedite di Antonio Ranieri e Vincenzo
Gros-si: 28 lettere scritte dal Ranieri, amico di Leopardi, al
Grossi, nelle quali sono espressi tutti i tormenti e gli ideali che
li ac-comunavano. Su proposta dell’amico Mentella, partecipò alla
commemorazione del poeta anarchico Pietro Gori e successivamente,
per incarico del Partito Socialista Anarchico, a quella di Carlo
Pisacane, nonostante Carlo Baccari avesse tentato di dissuaderlo dal
mettersi in mostra tra gli anarchici, già malvisti al governo e
sorvegliati. Il mattino del 14 marzo 1912, un giovane muratore
romano, anarchico, Antonio D’Alba, sparò due colpi di pistola contro
Vittorio Emanuele III, che non fu colpito. D’Alba fu arrestato, e,
invogliato dalla promessa di una riduzione di pena se avesse
indicato almeno un nome di coloro che lo avevano spinto ad eseguire
il regicidio, ricordandosi di Di Biasio, che con fervore aveva
commemorato prima Gori e poi Pisacane, lo accusò dicendo che, la
sera precedente all’attentato, gli aveva indicato come eseguirlo,
dandogli una pistola carica e 100 lire. Così anche “Don Gaetano” fu
arrestato. Nessuno, neppure i suoi nemici politici, lo ritenevano
colpevole; dopo meno di una settimana di carcere, avvenne il
confronto tra Di Biasio e D’Alba, che, di fronte alle proteste
dell’avv. Di Biasio, si confuse e ritrattò l’accusa contro di lui.
Di Biasio partecipò alla guerra 1915-18, finita la guerra e
congedato dal servizio militare, riprese a Cassino le sue attività
di avvocato, scrittore e letterato. Il suo nome era noto oltre i
confini del Foro di Cassino e spesso trattava cause per la povera
gente senza compenso. Ai primi bombardamenti del Settembre 1943, la
popolazione di Cassino si rifugiò nei paesi vicini e anche Di Biasio
fu costretto ad allontanarsi, con la morte nel cuore, dalla città.
Il 4 giugno, dopo l’arrivo degli alleati, Gaetano Di Biasio si mise
subito all’opera; formò un Comitato composto da Don Gregorio
Diamare, dall’avvocato Giuseppe Margiotta e da Giuseppe Di Zenzo, al
fine di promuovere aiuti per la Città. Dopo tanti messaggi alla
Nazione e al mondo per Cassino, da lui denominata “Città Martire”,
divenne noto in Europa e in America. Fu il Prefetto Zanframundi a
nominare d’autorità Di Biasio Sindaco di Cassino, poiché ancora non
era possibile indirvi le elezioni tra le sue rovine. Di Biasio,
appena Sindaco, elaborò il piano per la ricostruzione: inviò anche
un messaggio al Presidente degli USA Franklin Roosevelt il quale,
dopo la distruzione di Montecassino ne aveva pubblica-mente promessa
la ricostruzione: Roosevelt rispose soltanto il 3 febbraio del 1945
al messaggio di Di Biasio del settembre 1944. Trascorse molto tempo,
durante il quale la gente continuò a vivere nelle baracche, tra gli
acquitrini e le macerie, falcidiata dalla malaria e dal tifo, prima
che arrivassero aiuti consistenti. Nel III Anniversario della
distruzione venne in visita a Cassino Enrico De Nicola, Presidente
della Costituente e primo Capo dello Stato, dopo di che il Genio
Civile intensificò la costruzione di alloggi e iniziò la costruzione
dell’Ospedale, del Tribunale e delle scuole. Dopo il risultato delle
elezioni politiche del 18 aprile ’48, nelle quali Di Biasio,
candidato per la Camera dei Deputati nel partito Repubblicano, non
fu eletto per lo scarto di qualche voto, la Giunta Comunale fu posta
in crisi. Di Biasio, deluso, rinunciò alla vita politica e anche
alla professione di avvocato. La perdita della moglie e le amarezze
della irriconoscenza di molti concittadini lo indussero a chiudersi
in se stesso. Morì il 28 novembre del 1959, dopo aver trascorso gli
ultimi anni della sua vita a Lecce, presso una nipote, che aveva
allevato come figlia.
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