Abbasso l’Errore
Note sulla Costruzione Personale, a cura della Commissione Istruzione FIARC
di Vittorio Brizzi e-mail:studionet@vbrizzi.dsnet.it
In queste note non
parliamo di tecnica agonistica, ma di istruzione di base.
Uno dei guai più comuni che attanagliano le società arcieristiche è la fuga di
arcieri dopo i primi mesi di attività, dovuta nella maggior parte dei casi ad
una tendenza a relegare l’imprinting verso standard poco motivanti o, peggio, verso
la trascuratezza di chi opera per l’insegnamento.
Il lavoro sperimentale svolto dal sottoscritto
e Edo Ferraro,
coordinatori della Commissione Istruzione FIARC, in questi ultimi anni si è
rivolto verso questa direzione nel tentativo di superare tale problema. E
pensiamo, alla luce dei risultati ottenuti, di aver messo le mani su qualcosa
di importante. Presunzione a parte, la logica di questa "rivoluzione"
interessa per prima il nostro caro vecchio corso di base, e probabilmente potrà
evolversi negli stadi più evoluti dell’apprendimento.
Essa si ispira ad una didattica ancora sotto "esperimento" ma ben
conosciuta nell’insegnamento delle scienze chiamata "Costruttivismo",
mai applicata sul campo dello sport e delle discipline atletiche. Veniamo
quindi al sodo.
Innanzi tutto è da mettere in chiaro che
la sequenza temporale delle lezioni non è scansionata in alcun modo da
"gradini" di difficoltà, argomenti o passaggi obbligati.
Il consueto corso di base, che prevedeva le lezioni in scaletta (impostazione
dei piedi, del corpo, dell’asse spalle braccia, mano dell’arco, braccio
dell’arco, mano della corda, rilascio e follow-through) oggi è visto nella sua
globalità, senza questi step canonici "espositivistici".
Il concetto che deve guidare l'Istruttore è quello
che vede l’espansione sui piani di forza come unico obbiettivo da raggiungere
ai fini della tecnica di tiro, lasciando i dettagli all’interpretazione
dell’allievo che via via scoprirà da solo la strada che più gli si confà.
Questo non rinnega completamente il
passato, che ha visto una didattica dettagliarsi nel canonizzare stili,
sequenze e fasi di tiro; semplicemente semplifica il problema, ponendo come
unico bersaglio per l’apprendimento il "movimento" nella sua
globalità, e l’obbiettivo essenziale da raggiungere quello di sensibilizzare l’
allievo verso la comprensione dei concetti "piano di forza" ed
"espansione dinamica". A tutti gli effetti, questi sono gli unici
punti fondamentali e comuni tra tutti gli stili di tiro efficaci,
indipendentemente dalle loro peculiari varianti. Problemi legati al caricamento
dell’arco (leveraggi verticale, orizzontale, dal basso, dall’alto, power
archery, ecc.) risultano secondari ed accessori. Sarà l’allievo stesso a
scegliere.
Suddividere le lezioni per argomenti risulta poco
vantaggioso, alla luce delle precedenti considerazioni. Ogni allievo possiede
un "tempo relativo" di apprendimento scansionato da scoperte legate
alla sua sensibilità ed esperienza motoria.
In parole povere, l’Istruttore alla prima
lezione deve:
Quali sono i criteri di giudizio che ci
permettono di dire che tale matrice è da ottimizzare?
semplicemente in funzione di quanto tale modello si
avvicina ad un ideale in cui i piani di forza vengono rispettati con un movimento
in espansione. Questa
è la premessa fondamentale.
Da questo punto in poi parte la vera
didattica della "Costruzione Personale".
La Costruzione Personale parte dal presupposto che qualsiasi tipo di conoscenza
non deve essere "trasmessa" dal maestro all’allievo,
come bene o male è stato ogni tipo di insegnamento a cui siamo stati sottoposti
fino ad oggi in tutti i campi (Espositivismo); con un docente, cioè, che plasma
l’allievo forzandolo ad apprendere nozioni e modelli. In questo modo le conoscenze
rimangono appiccicate all’ esterno della sfera delle sue conoscenze e non si
radicano, se non con molta fatica, in profondità (è questa fatica una delle
prime responsabili dei molti abbandoni).
L’insegnante cerca invece di far scoprire
all’allievo la sua propria idealizzazione della disciplina, stimolandolo nel
concretizzare la sua personale interpretazione la quale parte già da un’idea
posseduta in partenza e che a mano a mano deve raffinarsi.
In questo modo l’apprendimento acquisisce
sostanza, non viene dimenticato e soprattutto gratifica, perchè è
sostanzialmente creato a misura dallo studente stesso. Il docente deve
stimolare l’allievo in modo tale da evidenziare ed eventualmente anticipare gli
ostacoli che egli troverà nel cammino, e sarà l’allievo stesso a proporre
soluzioni che non comportano l’osservanza di nessun dogma precostituito e
gratuito.
L’espansione lungo i piani di forza corretti risulta essere l’unico
"dogma" da rispettare, ma essa è una condizione naturale di
ottimizzazione del gesto in ergonomia, e istintivamente (l’esperienza
sperimentale insegna) essa risulta contenuta, anche se in maniera più o meno
latente, in ogni allievo.
La figura del docente sfuma dall’immagine di colui che obbliga ad un percorso
d’apprendimento a tappe precostituite, trasformandosi in un compagno (più
esperto) di scoperte, che propone strade diverse finché la forma più
gratificante del cammino si forma da sé nell’allievo.
Egli "costruisce" in prima persona ciò che più lo gratifica.
Per ciò che riguarda la nostra disciplina
specifica, il tiro con l’arco di qualsivoglia etichetta, alcune argomentazioni
non possono essere risolte senza l’ausilio della meccanica didattica
tradizionale (ad esempio le regole di sicurezza!!) ma la cosa funziona in modo
straordinariamente efficace, e si può prevedere, soprattutto agli inizi, una
sorta di metodo in cui Costruzione Personale e didattica tradizionale
(Espositivismo) camminano assieme.
La didattica dovrà essere impostata quindi
in una direzione estremamente flessibile attraverso un dialogo
Istruttore-allievo costante, in cui il primo "propone" esperimenti e
il secondo li esegue commentandoli più profondamente possibile.
Da questo dialogo l'Istruttore deve trarre
spunti per poter proporre via via situazioni diverse che enfatizzino gli
ostacoli canonici che l’allievo troverà nel suo cammino di scoperte.
All’ allievo non potrà mai venir detto che ciò che
compie è sbagliato e basta, ma gli si dovranno proporre esercizi tali per cui
egli stesso percepisca, ad esempio, instabilità, tensione o disagio. I suoi non
saranno più "errori", quindi, ma difficoltà nel superare ostacoli. Il
compito dell’ Istruttore, ripetiamo, dovrà essere quello di enfatizzare questi
ostacoli per renderli più evidenti e meno insidiosi, e quindi più facilmente
affrontabili dall’allievo stesso.
Non bisogna dare mai la soluzione ad un
quesito posto. Bisogna farla ricercare all’allievo, ed aiutarlo nella ricerca;
una volta trovata, concettualizzarla.
Sarà necessario, giocoforza, affrontare un ostacolo alla volta, organizzando
con domande ed esercizi situazioni che possano mettere in crisi l’idea o
l’atteggiamento motorio che per l’allievo costituiscono ostacolo
all’acquisizione del movimento in espansione lungo i piani di forza corretti.
Come pure è necessario che l’allievo impari a "sentirsi" nel
movimento, a percepirsi sempre più profondamente, cercando di lavorare sulle
sue sensazioni fin da subito portandolo a focalizzare gli ostacoli. Tutto ciò
tenendo ben presente che i processi cognitivi e le velocità di apprendimento non
sono ovviamente uguali per tutti, e che è necessario rispettare i
livelli di partenza (fisici, culturali e psicologici) e le individuali velocità
e capacità di autoanalisi e strutturazione del proprio modello motorio e
concettuale, veri e propri filtri personali attraverso i quali si apprende e si
interpreta la realtà. Non bisogna violentare nessuno.
Quali sono i "problemi"
immediatamente emergenti dal voler applicare questo metodo? sicuramente la
difficile applicabilità e comprensione da parte dell’istruttore abituato ad
insegnare in modo tradizionale. Ai nostri corsi di aggiornamento per istruttori
FIARC diplomati secondo i vecchi canoni, si assiste alla più svariata quantità
di reazioni.
C’è chi sbalordisce, strabuzza gli occhi, viene colto da malessere.
-Come, non devo più correggere? devo osservare, trattenermi
nell’abbassare la spalla dell’arco all’allievo che la spinge verso l’alto, e
cosa devo proporre?-
C’è invece chi (e qui c’è da preoccuparsi) neanche ammicca, dichiarando con autorevole
sicurezza che lui l’aveva già scoperto, nonché sempre capito, sempre
applicato e che si meraviglia dello choc degli altri colleghi.
Molto spesso questi equivocano. La vera
difficoltà nella comprensione del metodo sta nella negazione di un modello da
seguire pedissequamente, qualsiasi modello come quello personale che
l’istruttore ha conquistato dopo anni di fatica, e pure quello del campione
olimpico.
Ridurre il modello a due semplici e fondamentali obbiettivi, quello dei piani
di forza e quello dell’espansione, è una semplificazione elegante che però
richiede estrema maturità tecnica e competenza nell’applicarlo, e tanto
coraggio nel "smontare" le proprie radicate convinzioni costruite in
anni di attività, accettando le interpretazioni dell’allievo anche se si
discostano dai canoni consueti. Ci vuole maturità e voglia di rimettere (e
rimettersi) in discussione. Purtroppo esse non sono piante comuni nel nostro
orticello. Cari Istruttori, dite la vostra. Ogni scambio di esperienze è
prezioso, e queste righe vogliono solamente stimolare ad un dialogo. Vi
invitiamo a partecipare ad esso sulle pagine di questo sito.
La Ricetta Magicadi Edo Ferraro e-mail:quest@studionet.it
Molto spesso sui campi di tiro vengo
avvicinato da arcieri disorientati che mi chiedono consigli per risolvere i
loro problemi di tiro. La cosa mi mette parecchio in imbarazzo perchè, molte
volte , devo rispondere che inseguono chimere, sogni di tarature mistiche, di
accorgimenti ed attrezzature che facciano sempre centro, senza ricordare che,
dietro l’arco c’è l’arciere. Ed è già un punto di vista duro da digerire. Mi
chiedono diagnosi e correzioni di errori quando io ho abolito questa parla dal
mio vocabolario arcieristico e mi sforzo di farla sparire da quello dei miei
Istruttori. Provo grande rispetto e simpatia per questi amici, ma la loro
grande confusione, le loro aspettative spesso destinate a non trovar risposte
mi fanno pensare che molte cose richiedano un approccio diverso.
E’ sicuramente un po’ colpa di tutti noi
che ci occupiamo di arcieria, quindi anche nostra, di qualche istruttore più
presuntuoso che bravo, di qualche super esperto che, purtroppo, continua a
scrivere, oltre tutto utilizzando fumo e schiuma da barba piuttosto che la
penna, di qualche guru che ha fatto il suo tempo, ma che è bravissimo a vendere
la sua immagine assieme alle sue inossidabili verità, ma anche di un ambiente
che stenta a rinnovarsi. Un pizzico di umiltà, una qualche predisposizione a
rimettersi in discussione di tanto in tanto. Una maggior semplicità, tutto
andrebbe a beneficio di tanti arcieri e di conseguenza a beneficio di
federazioni, riviste, commercianti, cioè, del mondo dell’arco. Ma tornando al
nostro arciere tormentato, cercherò di chiarirmi meglio, non basta dire a uno
abbassa la spalla per correggere quell’ "errore". Sennò, uno dopo che
se lo è sentito dire e ripetere una decine di volte, o è stupido, o non
dovrebbe più incorrere in quell’ "errore". E invece non è così. Per
lo stesso motivo che sono restio a far diagnosi personalizzate e a prescrivere
terapie a qualcuno che ho incontrato una volta sui campi di tiro e che, forse,
non incontrerò più.
Alla Commissione Istruzione FIARC (la
Federazione che si occupa del tiro di campagna) con il mio amico Vittorio
Brizzi, l’astrofisico, grande arciere e tecnico al cospetto degli uomini e
delle stelle, abbiamo elaborato una metodologia che chiamerò della
"costruzione personale". Si basa sulla convinzione che il tiro con
l’arco non sia uno stereotipo sul quale conformare l’arciere, ma che il tiro
con l’arco Sia nell’arciere e, guarda caso, ogni arciere è diverso dall’altro;
è un’individualità psicofisica dalla quale non si può prescindere. Ne
conseguono strategie operative tanto "rivoluzionarie" da non farci
considerare "errore" l’ "errore" dell’arciere, ma un suo
ostacolo personale sulla strada dell’apprendimento che come tale va affrontato
aiutandolo a superarlo. E’ un’ipotesi di lavoro che sta cominciando a dare i
suoi frutti, cioè, sta formando con successo arcieri. Più consapevoli, meno
inclini a cadere nelle trappole delle alchimie, dei santoni, delle attrezzature
risolutive e roba simile. Questo è il messaggio che voglio trasmettere ai
lettori di Armi e Tiro assieme alla mia ricetta magica. Affidatevi ad un
istruttore serio, se potete. No fatevi condizionare da chi contribuisce, magari
in buona fede, a complicarvi la vita. Diffidate da chi possiede, lui e lui
solo, la conoscenza della verità.
Tarate l’arciere altrettanto bene quanto
l’attrezzatura, soprattutto l’arciere. Arricchite la vostra cultura
arcieristica, ci sono molte cose rimasticate in giro, ma anche parecchio di
buono. Leggendo molto riuscirete presto a distinguere e potrete anche fare
scoperte interessanti. Comunque pensate sempre che, probabilmente, c’è una
soluzione ai vostri problemi più semplice di quanto crediate. E divertitevi.
Edo Ferraro