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La Margherita a Montichiari

Ultimo aggiornamento: 16-01-04

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Margherita a Montichiari 21 maggio 2002

Vorremmo iniziare a dare vita a un soggetto politico «nuovo» (la Margherita) capace di garantire continuità ideale con il nostro passato e la nostra storia, ma anche di proiettasi verso il futuro e le nuove sfide che esso impone. Non partiamo dal nulla… La Margherita ha già ricevuto a Montichiari 1.735 voti pari al 15% dell’elettorato monteclarense! (Giornale di Bs 15 Maggio 2001). Un’ ottimo risultato se si pensa alla novità politica ed alle forze in campo nella passata campagna elettorale! Certo molti di noi sono ancora legati ai vecchi partiti, ai quali riconosciamo certamente il merito di aver ristabilito e fatto crescere la vita democratica nel nostro Paese. Altri non ne vogliono sapere di legarsi ad un partito tradizionale. Tuttavia appare ineluttabile che lo viluppo delle nostre società, il declino delle ideologie, la nascita dell’Unione Europea e i processi di globalizzazione rendano ormai superate le vecchie forme-partito. Questo superamento ha creato una pericolosa frattura tra vita politica e vita sociale, tra istituzioni e cittadini, tra le persone e i partiti tradizionali, che è urgente sanare. Tutti sanno che i partiti sono essenziali alla democrazia rappresentativa, unico mezzo che può permettere a qualsiasi cittadino di assumere ruoli attivi nel sistema democratico; per questo, occorre dare vita a una nuova forma-partito, che — chiusa la stagione ideologica — risponda meglio alle nuove esigenze di partecipazione. Nessuno deve temere “di sciogliersi o di sparire” nella Margherita, perché in realtà questo passaggio non è la fine, ma è l’intento di dar vita ad un «area politica democratica» nuova e moderata, in cui possano confluire le diverse tradizioni riformiste del Paese:

·         la tradizione cattolico-democratica (che pone l’accento sulla centralità della persona e dei corpi sociali intermedi),

·         la tradizione liberal-democratica (che sottolinea l’autonomia e la responsabilità del soggetto),

·         la tradizione social-democratica (che insiste sulla necessità che i diritti civili e sociali siano effettivamente uguali per tutti),

·        la tradizione ambientalista (che richiama l’attenzione sulla qualità della vita e su uno sviluppo sostenibile).

Questa nuova forma-partito si struttura a partire dal territorio o da un tema: dal “circolo” appunto; sentendo le esigenze dalla società civile, e vuole fornire un punto di riferimento sicuro e riconoscibile, per coloro che hanno vissuto queste sensibilità politiche, ma anche, in una cittadina come la nostra, per i molti che sono venuti ad abitare da fuori, per le altre realtà vicine, accomunandoci a persone che hanno i nostri stessi ideali, nella provincia nella regione, sul territorio nazionale e forse in futuro su quello europeo.

2. quale programma?

In secondo luogo, quale programma.

Non si tratta tanto di fare un discorso teorico sui sommi principi e sui grandi valori, sebbene anche ciò sia importante. Occorre piuttosto far capire a tutti come la cultura politica riformista può risolvere i problemi del Paese con la sua attenzione particolare verso le fasce deboli della società, a differenza della cultura politica neoliberista la quale invece mira a favorire i ceti alti e altissimi.

In concreto, occorre prendere posizione ed elaborare proposte sui punti nevralgici del dibattito politico, che in questa fase sono:

a) il futuro dello Stato sociale,

b) la riforma federale del nostro sistema democratico,

c) la costruzione politica dell’Europa.

·        Per quanto riguarda il futuro dello Stato sociale, crediamo che esso vada riformato e non smantellato.

Lo Stato sociale, infatti, rimane ancora la forma più alta di democrazia che siamo riusciti a elaborare. Il fatto che esso, dopo l’avvio promettente del periodo postbellico, sia degenerato nell’assistenzialismo e si sia bloccato, non impone di abolirlo. Richiede piuttosto che se ne rivedano le regole, necessarie per equilibrare il gioco delle libere forze di mercato, al fine sia di garantire agli individui e alle famiglie un reddito vitale minimo e i servizi sociali essenziali, sia di assicurare le previdenze necessarie alle fasce più deboli della società (disoccupati, invalidi civili, anziani, handicappati...). L’impegno di evitare l’assistenzialismo non elimina il dovere che lo Stato ha di garantire i diritti delle persone più bisognose, aiutandole a essere protagoniste della propria elevazione umana e sociale. Non bisogna dimenticare che alla base dello sviluppo di tante piccole imprese e di tantissimi lavori autonomi e artigianali sta proprio lo stato sociale, che con le sue garanzie di base, permettono all’ individuo di “rischiare” ed intraprendere un’ attività in proprio.

Oggi tutti invocano il «principio di sussidiarietà». Ma, mentre la cultura neoliberista se ne appropria per giustificare il ritorno al privato e ad una cultura individualista, tipico del liberalismo classico, invece la nostra cultura vede in questo principio il criterio fondamentale per far partecipare responsabilmente persone e istituzioni diverse al perseguimento del bene comune. A questo punto, non sarà difficile far comprendere ai cittadini la differenza di fondo che vi è tra programma di centro-sinistra e programma di centro-destra, il quale invece punta alla demolizione dello Stato sociale.

Lo fa, senza dirlo esplicitamente, ma favorendo di fatto i ceti alti, nella convinzione — tipicamente liberale — che più i ricchi saranno ricchi, meglio staranno anche i poveri. Pertanto, non è un caso che la prima scelta politica del centro-destra sia stata di eliminare l’imposta di successione e sulle donazioni, privilegiando i grandi patrimoni. Anche la prevista riforma fiscale, riducendo la tassa sui redditi a due sole aliquote (il 23% fino a 200 milioni di reddito e il 33% oltre i 200 milioni), premia in pratica i redditi medio-alti (oltre i 70-80 milioni l’anno). La possibilità — pur limitata ad alcuni mesi — di far rientrare i capitali esportati illecitamente all’estero, versando la percentuale irrisoria del 2,5%, non è che una forma di «condono» di cui possono usufruire soltanto coloro che dispongono di ingenti patrimoni. Nella medesima direzione va la legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio, con cui si stende un velo sulle malefatte imprenditoriali. Lo stesso si deve dire del progressivo abbandono di alcune caratteristiche forme di garanzia dei diritti del mondo del lavoro: quali l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (che prevede il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa) del quale si progettano ampie deroghe, e il metodo della «concertazione», con lo scopo evidente di rendere il rapporto di lavoro sempre più individuale e privato. Per non parlare delle nuove norme sull’immigrazione, che considerano gli extracomunitari non tanto come persone, soggetti di diritti e doveri fondamentali, quanto come «lavoratori ospiti a tempo determinato», fino a quando sono utili.

·         b) Il secondo confronto tra progetto riformista e progetto neoliberista riguarda le riforme istituzionali, prima fra tutte la riforma della Costituzione in senso federale.

Il programma della Margherita persegue un «federalismo solidale», fondato sulla centralità della persona, sul principio di sussidiarietà e sul principio del pluralismo. Coerente con questa concezione è la riforma attuata dal centro-sinistra nella passata legislatura, confermata dal referendum popolare del 7 ottobre 2001, ed entrata in vigore con la promulgazione della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Opposta invece è la concezione neoliberista, secondo cui il federalismo è uno strumento di «competizione», più che di cooperazione, destinato più a contrapporre che a unire le periferie fra di loro e con il centro. è chiaro che, in un’Italia a due velocità, un simile federalismo competitivo, che chiede per le Regioni la competenza legislativa «esclusiva» in materia di sanità, di scuola e di polizia locale, non fa che porre le premesse di una ulteriore frammentazione del Paese, tra Regioni ricche e povere, avviando una sorta di secessione strisciante.

·        c) Infine, il terzo confronto concreto tra progetto riformista e progetto neoliberista riguarda l’atteggiamento da tenere di fronte alla costruzione politica dell’Unione Europea:
europeismo convinto o euroscetticismo? Non occorre insistere sul fatto che solo una chiara scelta europeista, leale e senza sottintesi, è in piena
sintonia sia con gli ideali politici dei fondatori.

Anche su questo punto, dunque, la fedeltà leale della Margherita all’Europa è agli antipodi dell’«euroscetticismo» neo-liberista, che è molto più profondo di quanto si voglia far credere. Basterebbero da sole le clamorose dimissioni del ministro degli Esteri, Renato Ruggiero. Ineluttabilmente esse hanno causato un forte calo di credibilità dell’Italia all’estero, già compromessa a causa del macroscopico conflitto d’interessi e delle vertenze giudiziarie che rendono scarsamente affidabile il nostro Premier.

Con quali ragioni potremmo mai spiegare all’opinione pubblica internazionale la resistenza del Governo di centro-destra alla ratifica del trattato italo-svizzero sulle rogatorie internazionali, che rende più difficile la cooperazione tra le magistrature nel perseguire alcuni specifici reati, compresi quelli finanziari? Che cosa possono pensare i partner europei, quando l’Italia — sola contro tutti — ha tanto insistito sul rinvio dell’accordo sul «mandato di cattura» comunitario, chiedendo che dalla lista dei reati venisse cancellato anche quello di corruzione?

Tuttavia, l’ostentata indifferenza e noncuranza del Governo di centro-destra per i vincoli comunitari preoccupa soprattutto a motivo della sottostante concezione di democrazia, secondo cui il ricorso diretto al popolo viene prima delle regole e delle istituzioni della democrazia rappresentativa. Una simile cultura porta a tollerare male ogni vincolo di legittimità istituzionale o soprannazionale, con il rischio non ipotetico di populismo e di deriva plebiscitaria.

Queste cose vanno dette ai cittadini. Esse riguardano il lavoro, la scuola, la sanità, il futuro stesso della nostra Nazione. Forse non sono temi strettamente amministrativi ma non toccano forse altrettanto direttamente la vita di tutti? E’ per questo che dobbiamo partire per costruire, per aderire, e portare avanti questo progetto che è la Margherita.

                                                                       Per il gruppo promotore
                                                                       Stefano Mutti

 

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