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MOVIMENTI DI ESTREMA DESTRA IN UNGHERIA ALL'INIZIO DEGLI ANNI '30

CAPITOLO TERZO





Allora essendo troppo difficile riprendere il filo del discorso dopo tantissimi anni propongo una serie di documenti sull'argomento:




studi e ricerche



Il fascismo ungherese

Aladar Kis

Negli ultimi due anni gli studiosi ungheresi di storia contemporanea hanno manifestato una sempre più spiccata tendenza ad elaborare la cosiddetta « sintesi » dello sviluppo della politica interna nell'epoca di Horthy (1919-1945), cercando di determinare il carattere delle formazioni politiche presenti in Ungheria dalla sconfitta della Repubblica dei Consigli fino alla Liberazione.

Tale indirizzo ha avuto impulso anche nel superamento delle contraddizioni che avevano influenzato gli scritti storici del recente passato.

La storiografia dell'ultimo decennio mentre aveva analizzato — sia sul piano della documentazione che della « sintesi » storica — la politica estera del regime horthysta, aveva registrato un certo ritardo a propo-sito della politica interna.

Un fenomeno, questo, che ha inevitabilmente determinato un contrasto, impedendo di dare un'immagine reale della situazione nel suo complesso.

Non possiamo qui, per esigenze di brevità, analizzare i motivi di tale contrasto.

Vogliamo solo notare come il ritardo sulle questioni della politica interna abbia dato luogo ad una certa incoerenza nei giudizi sul carattere dell'epoca di Horthy, sul fascismo ungherese e infine sulla determinazione stessa dell'essenza del fascismo in generale.

Nel periodo in cui nella vita politica ungherese, e di riflesso in quella culturale, ha predominato il dogmatismo, non è stato possibile analizzare questi problemi su basi prettamente scientifiche.

Al carattere del regime horthysta fu meccanicamente applicata la definizione del VII Congresso del Komintern secondo cui il fascismo non è altro che una « dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario ».

Ma già allora emerse che la definizione di Dimitrov del regime di Horthy, mal si adattava in molti punti alla realtà ungherese. Il primo problema riguarda appunto la struttura del capitale finanziario ungherese.

Per motivi storici il capitale finanziario che si sviluppò tra il 1867 (compromesso con l'Austria) e la prima guerra mondiale era per la maggior parte nelle mani dei capitalisti ebrei. Tale carattere non mutò in modo sostanziale neppure con l'avvento di Horthy.

Lo sciovinismo esasperato che caratterizzò il regime — e che nella già citata definizione del VII Congresso del Komintern viene individuato come un elemento fondamentale del fascismo, una demagogia che accompagna l'aperta dittatura del capitale finanziario — si è presentato in Germania e nei paesi dell'Est-Europa come un feroce antisemitismo, ma in Ungheria non è stato propugnatore di investimenti finanziari. Il capitale finanziario ungherese — anche se ha effettivamente sostenuto il regime di Horthy e alla fine degli anni '30 ha contribuito finanziariamente in modo so-stanziale alla preparazione di una guerra che andando oltre le rivendicazioni « nazionali » per la riconquista di una parte del territorio, servì soprattutto a scopi aggressivi e imperialistici (cosiddetta « Ungheria storica » e « Impero ungherese » che si doveva estendere a tutto il bacino dei Carpazi) — nella politica interna propugnò il mantenimento del carattere liberale del regime che caratterizzò il cosiddetto periodo di Bethlen (1921-1931).

Tuttavia il ruolo politico del capitale finanziario durante tutto il periodo del regime era secondario, dato che gli agrari avevano funzione di guida. Discutibile è anche la questione della dittatura terroristica. E' vero che il regime horthysta ha avuto origine da una controrivoluzione sanguinosa e che il suo primo periodo (1919-1921) è stato caratterizzato dal terrorismo; però il cosiddetto consolidamento bethleniano non solo ha eliminato il terrorismo, ma ha dato forma alla struttura tipica della politica interna del regime.

Questa struttura non ha esaurito i criteri dell'aperta dittatura terroristica, pur avendo dato luogo — ovviamente in misura limitata — al parlamentarismo, legalizzando la funzione del partito socialdemocratico e dei sindacati e garantendo certi diritti borghesi.

All'inizio degli anni '30, quando in seguito alla crisi economica mondiale si verificò la caduta di Bethlen e del suo sistema, si rafforzarono le tendenze di destra, che miravano a trasformare il regime in aperta dittatura (fra il 1932-'36 tentativo del primo ministro Gyula Gornbos, di instaurare una dittatura fascista; fra il '38 e il '39 Béla Imrédy sollecita uno stato totalitario).

Ma queste iniziative non ebbero successo.

Ciononostante il regime degli anni '30 si avvicinò sempre più al fascismo; per reazione alle tendenze fascistizzanti i deputati bethleniani cercavano di mantenere sempre più la loro linea politica nelle forme tradizionali, contro i nuovi metodi.

E' così dimostrata ancora negli anni trenta una certa forza del sistema parlamentare. La dittatura dichiarata si realizzò solo dopo l'occupazione tedesca (1944), anzi solo con la presa del potere da parte del partito delle croci frecciate (dichiaratamente fascista) dopo il fallito tentativo di Horthydi uscire dalla guerra.

Questa dittatura però, non è stata tanto il risultato di uno sviluppo autonomo, quanto la conseguenza dell'occupazione militare tedesca. La definizione di Dimitrov sulla dittatura aperta non era applicabile alle condizioni dell'Ungheria e la di-vergenza doveva essere appianata attraverso la crisi storica del dogmatismo.

La soluzione è venuta dall'analisi del VII Congresso del Komintern. La relazione di Dimitrov studia infatti il periodo preparatorio della dittatura fascista, e chiarisce inoltre che il fascismo non può trasformarsi in tutti i paesi in dittatura totalitaria, e che sulla base del rapporto fra forze interne e condizioni politiche, in certi paesi la dittatura totalitaria può avere un lungo processo di, formazione, dato che il fascismo divide il potere anche con partiti tradizionali borghesi. (In Italia questo periodo va dal 1922 al '26 fino all'entrata in vigore delle leggi speciali; in Germania invece durò solo alcuni mesi). Il nodo si è sciolto automaticamente: anche il regime di Horthy era fascista, però la sua evoluzione finale ha avuto un processo preparatorio assai lungo, attraverso le seguenti fasi: aperta dittatura del terrore bianco (1919-'21) a cui è seguito il consolidamento di Bethlen, cioè il cosiddetto fascismo mascherato, che negli anni trenta ha dato luogo alle tendenze che sollecitavano la dittatura totali-taria; nel 1944 presa del potere da parte dei croce-frecciati, con il fascismo classico dittatoriale e totalitario.





Il predominio del dogmatismo ha ritardato l'elaborazione scientifica del periodo di Horthy.

Negli anni '50 non è stata pubblicata nessuna ricerca storica di analisi dettagliata sull'evoluzione interna del suddetto periodo.

Lo storiografia è rimasta incagliata al livello di ripetizione di una posizione accettata generalmente: enunciazione di determinazioni schematiche con qualche documentazione. Negli anni '60 — con una maggiore apertura sul piano ideologico ungherese e attraverso utili dibattiti — è avvenuto un cambiamento di fondo.

Gli storici hanno avuto così assai più ampie possibilità sul piano della ricerca.

Di conseguenza sono cominciate a uscire opere importanti soprattutto monografiche, anche se una sintesi del periodo fra le due guerre non è ancora stata prodotta. (Ovviamente questa deficienza si nota anche nel capitolo dedicato a Horthy nella Storia dell'Ungheria) (1).

La storiografia ungherese comunque non ha ancora preso posizione sulla questione del « carattere » del regime. Il termine « fascismo » applicato al regime di Horthy nella maggior parte delle opere storiche — alcuni autori hanno preferito tacere sulla valuta-zione di « fascismo » a proposito del regime di Horthy e altri considerandolo « fascista » tacevano lo stesso — veniva definito così: « sistema conservatore controrivoluzionario con caratteristiche e tendenze fascistoidi »; « sistema reazionario semi-fascista »; « regime conservatore-reazionario che si è spinto talvolta verso il totalitarismo »; « fascismo mascherato »; « fascismo costituzionale » in cui il terrore era protetto dalla costituzione.

Dagli scritti ci si può solo rendere conto dei diversi punti di vista:_per esempio il libro di Miklós Laczkó (Miklòs Laszlò , “Nyisasok nemzeti-szocialistàk, 1935-1944” Budapest , 1966) sul movimento delle croci frecciate non prende posizione sulla questione del carattere fascista_del regime di Horthy.

Malgrado ciò la posizione di Laczkó viene chiaramente alla luce dalla sua analisi, quando considera « fascisti » i movimenti di estrema destra e di tipo nazional-socialista.

Altri studiosi che hanno analizzato i tentativi di fascismo totalitario partendo dal presupposto che la formazione di uno stato fascista totalitario è possibile soltanto partendo da un fascismo già esistente, 1) o ritengono il periodo precedente di tipo fascista; 2) o deducono che dal regime conservatore e reazionario partono i tentativi di totalitarismo; 3) o rappresentano questi tentativi come un passo del fascismo verso il totalitarismo o « fascismo aperto ».

Risulta quindi evidente che le opinioni sono abbastanza divergenti. Però questi contrasti hanno una caratteristica comune: la discussione riguarda solo la terminologia. Per quanto riguarda invece il contenuto, gli storici non ne traggono ancora le conseguenze circa la definizione del regime di Horthy.

Quelli che non lo considerano fascista, riconoscono però l'esistenza di un movimento per la fascistizzazione del regime, valutano le tendenze fasciste e ritengono che il regime aveva in sé tutte le condizioni per diventare fascista.

La polemica è stata in certo senso superata perché si è ritenuto che si può addivenire a delle conclusioni solo se nello stesso tempo viene determinato il carattere del fascismo.

La domanda su cosa si intende per fascismo ha creato nuove divergenze a livello scientifico.

Qui per mancanza di spazio non possiamo analizzare la discussione che si è sviluppata sul piano della ricerca internazionale sul carattere del fascismo — che ovviamente influenzerà anche il dibattito che si sta svolgendo in Ungheria — ma vorrei fare soltanto qualche osservazione: gli storici ungheresi considerano il fascismo come un fenomeno internazionale, anche se si è manifestato in modo diverso nei vari paesi — e in molti casi anche con nette differenziazioni di contenuto.

Perciò più precisamente possiamo dire che gli storici ungheresi sono unanimamente d'accordo nel ritenere che nel periodo fra le due guerre mondiali si è sviluppato in Europa un movimento che possiamo definire « fascismo », il quale ha carattere internazionale poiché, nonostante differenze formali, ha una comune linea di base.

Le caratteristiche comuni sono: il soffocamento del movimento operalo rivoluzionario attraverso il terrorismo politico; il completo annullamento del liberalismo sul piano economico e politico; l'attuazione del totalitarismo ideologico e politico; lo sciovinismo aggressivo, il nazionalismo esasperato ecc.

La discussione degli storici in Ungheria e torniamo al nostro punto di partenza — si basa soprattutto sulla applicabilità al fenomeno del fascismo della definizione dimitroviana.

Nel periodo del dogmatismo questa era l'unica possibilità per gli storici di avvicinarsi al problema del fascismo. I ricercatori che oggi si occupano della storia più recente devono tener presente che la generazione passata, che si è dedicata al lavoro politico e scientifico, si è basata sulle tesi del VII Congresso Comunista Internazionale.

Queste tesi furono discusse, ma mai negate dal movimento comunista.

Proprio per questo alcuni studiosi ungheresi hanno ritenuto valida la definizione di Dimitrov.

Ora pare dimostrato che il compito dell'Internazionale Comunista nel 1935 era di dare un programma al movimento comunista e operaio, che aveva subito un grave colpo in seguito alla vittoria del nazionalsocialismo tedesco. Il VII Congresso ha dato un valido programma, segnando nello stesso tempo un punto di arrivo nella storia del movimento comunista, perché per la prima volta esso è uscito dal suo settarismo.

Il Komintern non ha potuto, naturalmente, allora, fare un'ampia analisi del fascismo, soprattutto non ha potuto studiare a fondo, nei particolari, le sue origini, il suo sviluppo e le diverse caratteristiche nei vari paesi. La definizione di Dimitrov — affermano gli storici — è valida per i due movimenti fascisti più forti, quello tedesco e quello italiano, che hanno avuto un ruolo determinante nella situazione internazionale degli anni '30.

Il Komintern allora non ha potuto nemmeno soffermarsi sui paesi minori, il cui fascismo è stato assai meno determinante di quello tedesco, che ha minacciato tutto il mondo.

Alcuni storici oggi ritengono insufficiente la definizione di Dimitrov non solo per quanto riguarda l'analisi del carattere del fascismo, ma anche la sua so-stanza (2).

Essi contestano innanzitutto l'esistenza del rapporto tra il fascismo e il capitale finanziario mettendo in dubbio che il fascismo, ormai sviluppato, avrebbe potuto incarnare la dittatura aperta del capitale finanziario.

Questi storici — prima di tutti vorrei citare i nomi di Gyórgy Rànki e Miklós Laczkó — hanno iniziato una ricerca per una analisi multilaterale del fascismo. Essi non ritengono che la base sociale che ha creato il fascismo sia il capitale finanziario, ma attribuiscono la funzione di appoggio e di iniziativa determinante ai fondiari e alla grande proprietà agraria. Di questi studiosi è in particolare interessante il modo di considerare la cosiddetta demagogia sociale del fascismo. Non considerano il fascismo come un movimento originato da una parte del capitale finanziario che le masse ingannate sostenevano con slogan di tipo socialista, ben sì danno rilievo al carattere di massa del fascismo, che per primo ha formulato certe istanze anticapitalistiche. Il capitale finanziario, sempre secondo questi storici, a un certo punto, ha aderito al fascismo, e anzi più tardi — rappresentando la maggiore forza economica della società — lo ha trasformato tenendo conto delle sue esigenze.

Sempre secondo Rànki-Laczkó il fascismo è stato un movimento di massa soprattutto dei ceti medi, controrivoluzionario. E' controrivoluzionario quanto è assolutamente antiproletario, ed è stato diretto a soffocare terroristicamente sia il proletariato urbano che quello agrario; nello stesso tempo è anticapitalista in quanto esprime una anti-plutocrazia che nasce dalla condizione sociale dei ceti medi. In quanto movimento antipopolare è diretto e indirizzato a soffocare il movimento di massa del proletariato — che si presenta nel periodo del crollo dello stato liberale — a prevenire e a impedire la rivoluzione. Nello stesso tempo, però, non è una contro-rivoluzione tradizionale, ma si manifesta in forme nuove. E' una espressione moderna — come dicono — della controrivoluzione, cioè non solo una reazione violenta e terroristica, ma un movimento che trasforma e riorganizza la società esistente secondo le concezioni della media borghesia e dei piccolo-borghesi (3). A questa discussione ho partecipato con il mio libro Az olasz fasizmus tórténete (La storia del fascismo italiano), Edit. Kossuth, Budapest, 1970. La mia concezione del fascismo italiano si potrebbe riassumere così: il fascismo italiano è una controrivoluzione preventiva di tutte le forze reazionarie e antiproletarie; all'inizio è stato un movimento di massa spontaneo e multiforme, poi durante un lungo processo di integrazione di numerosi e diversi movimenti e gruppi politici, anzitutto di forze conservatrici e tradizionali della società italiana, è diventato una controrivoluzione di carattere nazionale. A livello politico questa controrivoluzione tendeva alla restaurazione della società capitalistica, però su basi più moderne, tendente da un lato a manifestare le aspirazioni sociali delle masse che hanno partecipato alla controrivoluzione nazionale, e dall'altro ad una ristrutturazione dell'economia, che non poteva più reggere con strutture sociali e politiche antiquate. I più dinamici iniziatori e sostenitori di questo movimento sono stati gli strati agrari. La base, composta soprattutto da medie piccolo-borghesi rurali, attraverso una graduale unione con i tradizionali gruppi reazionari (la monarchia, i gruppi militari e monopolistici) — prendendo il potere — ha fatto nascere un nuovo tipo di stato; una « terza alternativa » o « terza via » fra le strutture politiche sorte dopo la prima guerra mondiale, fra lo stato socialista nascente dell'Oriente (la Russia) e i regimi liberali democratici borghesi dell'Ovest (l'Inghilterra e la Francia). Questo terzo tipo di stato, per quanto riguarda la sua forma, è antiliberale, antidemocratico, antisocialista: una dittatura scoperta; nel suo contenuto, sul piano economico, politico e sociale, punta al massimo sfruttamento e alla massima concentrazione delleforze nazionali. E' quindi, in sostanza, capitalista: lasciando intatti i rapporti di proprietà stimola lo sviluppo in modo assoluto delle forze produttive. Nello stesso tempo è « anticapitalista » nel senso che subordina anche le tendenze capitalistiche alle esigenze « nazionali ». Ha carattere sociale perché, proprio per assicurare in modo massimale le risorse nazionali, tiene conto di certe esigenze e aspi-razioni delle classi lavoratrici, almeno in alcuni settori. Infine è moderno, nel senso che ha eliminato gli antiquati rapporti economici e politici che non davano più garanzia per lo sviluppo economico nazionale, o erano inadatti alla concentrazione massimale delle forze dell'economia nazionale. Il fascismo non è altro che l'organizzazione tardiva dello stato nazionale e proprio per questo si traduce in forma totalitaria. A questo punto vale la pena di accennare ad un'altra questione. Il fascismo è senza dubbio un fenomeno internazionale.

Movimenti simili sono nati in quasi tutti i paesi d'Europa (e anche negli Stati Uniti).

Però il fascismo, nel senso di cui abbiamo detto, ha potuto prendere il potere e organizzare lo stato soltanto in Italia, in Germania e in Spagna (anche qui con specifiche distinzioni).

Nei paesi in cui le rivoluzioni borghesi con la loro forza effettiva hanno por-tato un profondo sviluppo capitalista, in cui la struttura economica e politica si formò e si sviluppò con una stabilità permanente, il fascismo non ha potuto mettere radici (4).

Nei paesi invece in cui le rivoluzioni borghesi non hanno avuto forza sufficiente, lo stato nazionale è nato come conseguenza di uno sviluppo tardivo e semi-capitalista; e non a seguito di un disfacimento radicale di una condizione feudale, economica e politica, ma per un compromesso con le forze reazionarie.

Perciò nelle condizioni economiche e politiche dello stato nazionale non potevano essere dominanti le tendenze democratiche, ma erano dominanti le linee regressive, e la struttura economico-politica non ha mai acquistato stabilità per i contrasti esistenti che non sono mai stati risolti.

Quando questi paesi all'inizio del XX secolo hanno raggiunto un nuovo stato dello sviluppo capitalistico, i problemi interni sono diventati sempre più complicati. La prima guerra mondiale non ha attenuato i problemi, aggravando anzi la tensione interna.

In alcuni stati, dove i problemi erano più gravi, e la situazione più arretrata, i vecchi regimi sono necessaria-mente crollati, come è avvenuto per esempio in Russia: il più grande paese dell'Est-Europa ha così realizzato il suo stato socialista.

Tendenze di trasformazione si trovavano anche in paesi più sviluppati della Russia, ma meno sviluppati di altri paesi occidentali: in Germania e in Italia.

E' una questione ancora discussa la possibilità obiettiva di una rivoluzione socialista in questi paesi, dopo la prima guerra mondiale.

La Germania forse era la più vicina a seguire l'esempio della Russia — è dimostrato chiaramente in alcuni fatti del periodo 1918-1923 — ma sono stati vari i motivi per cui la sua realizzazione non ha potuto concludersi; l'Italia con l’occupa. zione delle fabbriche non si era ancora avviata sulla strada della rivoluzione socialista. Però in entrambi questi paesi era insita questa tendenza, che costituiva una valida possibilità per risolvere i pro¬blemi ,interni. La prospettiva di una rivoluzione socialista, come una delle alternative possibili, è stato un fattore costante dello sviluppo politico dei due paesi.

Ed è stato questo fattore che ha fatto nascere, fra l'altro, in Germania e Italia il fascismo, che da un lato era la continuità logica delle tradizioni politiche reazionarie e nello stesso. tempo era l'antitesi del liberalismo (non più sostenibile) e della rivoluzione socialista. La conclusione è avvenuta in tempi diversi in Italia e in Germania, ma non ha importanza che sia avvenuta durante il vero « pericolo » della rivoluzione socialista o prima.

Comunque è avvenuta nel momento di estrema crisi in entrambi i paesi, quando le forze interne premevano con grande intensità per cambiarne le condizioni e quando il sistema. tradizionale era di¬ventato antagonistico. Il dinamismo della trasformazione e il profilo dello stato che stava prendendo forma dipendeva nello stesso modo dall'intensità di queste forze; cioè il processo di integrazione delle nuove forze (fasciste) con i gruppi reazionari tradizionali era in relazione al gruppo di forze che aveva maggiore influenza nella tra¬sformazione. Infine un ruolo determinante avevano anche certi fat¬tori e circostanze interne.

Il fascismo, sul piano della politica estera, non è altro che una presa di posizione dinamica nella situazione internazionale per cambiare le condizioni di potere e le sfere di influenza; è una « ribellione » al dominio mondiale per sostituirlo con il proprio dominio, contro una struttura politica europea e in¬ternazionale che si era sviluppata dopo la prima guerra mondiale, che non corrispondeva all'effettivo peso economico e politico di. questi due paesi.

L'intensità della ribellione è tanto più forte quanto più sono sviluppate le forze produttive nazionali e .il contrasto con la struttura politica internazionale.

Così si è sviluppata l'ideologia del. fascismo: ultrasciovinismo del nazionalsocialismo tedesco e teo¬ria della razza, secondo cui la razza tedesca doveva essere superiore alle altre.

Secondo il fascismo italiano il razzismo nasceva proprio su presupposti inversi, da un complesso di inferiorità.

Tornando alla questione del carattere del regime di Horthy, è evidente che gli storici che cercano la spiegazione di questo fenome¬no sulle basi della concezione di cui abbiamo parlato prima, riconoscono delle analogie fascistiche, ma non lo considerano fascista.

Essi ritengono che in Ungheria non si è mai sviluppato — nemmeno durante la controrivoluzione terroristica — un movimento di massa di carattere fascista o un partito fascista che, oltre ad azioni terroristiche, avesse avuto in animo di trasformare in. questo sensoIl regime controrivoluzionario. I movimenti ungheresi di carattere fascista all'inizio sono stati esclusivamente terroristici e il loro principale obiettivo era la vittoria incondizionata sulle forze del prole¬tariato per instaurare un regime dittatoriale; la politica estera era orientata da ma radicale nazionalismo (5).

I partiti di carattere fascista che sono nati negli anni venti, erano anch'essi oltranzisti e sciovinisti, con un programma di politica interna di poco diverso da quello governativo.

Negli anni '30 i partiti fascisti e nazional¬socialisti si richiamavano ormai chiaramente ai movimenti italiani e tedeschi, ma non sono mai diventati partiti di massa. In quegli anni la loro storia è consistita nello sciogliersi, nel riorganizzarsi, nell'unificarsi e nel fallire.

D'altra parte lo stesso regime ufficiale era in opposizione a questi gruppi, giudicando pericoloso il loro programma sociale, tanto che alla fine furono interdetti; il partito al :governo li ha sciolti anche nel periodo in cui le sue simpatie andavano chiaramente verso gli esempi italiani e tedeschi.

A questo punto è necessario analizzare il carattere del partito al governo. Il partito guida del regime ungherese era stato creato da Istvàn Bethlen che dopo il periodo terroristico (1919-'21) aveva assorbito i gruppi politici degli agrari medi e, grandi, e il partito dei piccoli possidenti, che raccoglieva i contadini grandi e medi.

Da questa unione « agrari-contadini » è nato il partito guida del regime: Partito unificato nazionale, che non era altro che una combinazione politica eterogenea degli influenti gruppi latifondisti del regime che si inserivano 'nell'organismo dello stato.

Di volta in volta il primo ministro fungeva anche da dirigente del partito men¬tre le federazioni locali erano guidate dal prefetto.

Ma sia il primo ministro che il segretario del partito non erano scelti dal partito stesso, ma dal « clan » dei grossi latifondisti, radunati intorno 'ad Horthy.

Questo partito di governo, come abbiamo detto, raccoglieva Vari gruppi politici esistenti fin dal 1919, compresi anche gli estre¬misti terroristi di un tempo.

Il partito era sconvolto• da dure lotte interne che si esprimevano però non nei congressi del partito, ma alla maniera « dei signori ungheresi » durante le cene, organizzate sistematicamente, nei castelli patrizi, alle partite di caccia — insom¬ma dietro le quinte.

Così negli anni '30 le tendenze alla fascistizza¬zione del regime ebbero inizio proprio dal partito governativo.

In questo quadro si collocano il tentativo di Gombos, e successiva¬mente quello di Imrédy, di imporre una guida autoritaria al paese,

Come pure le tendenze ad organizzare un partito di massa di tipo fascista ed uno Stato (corporativo) sull'esempio italiano.

La forma¬zione del partito avvenne in realtà in modo particolare: Gombos impartì disposizioni ai prefetti per la realizzazione di tale compito, 'così che la creazione del partito fascista ebbe in Ungheria un'origine assolutamente diversa che non in Germania e in Italia, dove movimenti di massa fascisti già esistenti si inserirono con violenza, o legalmente, nell'apparato dello Stato e, unitisi con le forze della reazione nella « rivoluzione fascista », presero il potere. In Ungheria una parte delle forze reazionarie, con l'aiuto dell'apparato dello Stato, cercò di organizzare un partito di massa fascista mentre, già negli anni '30, aveva avversato i gruppi fascisti esistenti dando la chiara dimostrazione di volersi riservare il diritto di condurre tale operazione.

D'altra parte fu lo stesso partito di governo a mandare all'aria questi tentativi: la malattia e la morte di Gombos, nel 1939, furono — anche se egli non venne apertamente costretto a dare le dimissioni — la conclusione del suo fallimento politico.

A questo periodo seguì un relativo ritorno alla linea di Bethlen e si arrivò quindi al tentativo di Béla Imrédy di organizzare un partito fascista indipendente dal partito governativo, ma con la partecipazione di elementi del medesimo ambiente.

L'azione di Imrédy fallì in modo mai verificatosi prima nel regime di Horthy: i deputati del partito governativo essendo contrari alla fascistizzazione erano usciti dal partito e in parlamento il governo si trovò in minoranza (1938) e Imrédy fu costretto a dare le dimissioni. Il nuovo primo ministro, conte Pal Teleki, riorganizzò il partito governativo integrandovi anche il movimento di Imrédy sotto il nome di « Partito della rinascita ungherese ».

Tutto questo non costituì naturalmente il ritorno ad una democrazia parlamentare.

Assumeva invece, il significato che in Ungheria la fascistizzazione non segnò il prevalere di movimenti fascisti reali, ma la trasformazione in senso fascista del partito di governo. Neppure la guerra riuscì d'altra parte a far vacillare le posizioni dominanti del « clan » dei signori, che fino al 1944 non fu minacciato da alcun pericolo interno.

Si verificò infatti una situazione particolare: la Germania, che già dagli anni '30 aveva favorito la nascita e sovvenzionato i movimenti nazionalsocialisti ungheresi, nel marzo del 1944, dopo l'occupazione militare del paese, non lasciò che i gruppi fascisti estremisti prendessero il potere ed accettò invece come primo ministro Dome Sztojay esponente dei gruppi tradizionali.

Neppure nell'ottobre del 1944, quando Horthy cercò inutilmente di ritirarsi dalla guerra ed i tedeschi intrapresero contromisure militari, si poteva prevedere che Ferenc Szàlasi, capo del movimento fascista estremista — un perfetto ebete — avrebbe assunto il ruolo di capo dello Stato.

Molto più probabile apparve invece all'inizio la candidatura di Béla Imrédy che rappresentava la continuità giuridica del regime tradizionale.

A questo punto è necessario accennare alla tesi di alcuni storici secondo cui in Ungheria il fascismo si identificò con la fascistizzazione delle classi dominanti e del partito governativo.

L'argomentazione di questi storici parte innanzitutto dal carattere dittatoriale del regime di Horthy.

Sia durante il periodo del terrore che durante la fase parlamentare la repressione di questo regime si indirizzò in modo particolare verso i movimenti degli operai e dei contadini e nell'ultimo periodo fu caratterizzato da un anticomunismo viscerale. Sotto questo aspetto esso è paragonabile al fascismo italiano, ed anche a quello tedesco, perché la sua azione principale consisteva proprio nel soffocamento del movimento operaio rivoluzionario. I primi campi di concentramento d'Europa sono infatti dell'Ungheria di Horthy, durante il terrore bianco. Nel 1924 il Partito Comunista — già illegale nel periodo di Bethlen — solo dopo alcuni mesi di vita legale con il nome di Partito Socialista Operaio Ungherese venne rudemente abbattuto dalla polizia e messo fuori legge durante tutto il regime di Horthy. I processi anticomunisti si susseguirono quasi con la stessa continuità che in Italia dopo l'introduzione delle leggi speciali e del Tribunale Speciale. La legge marziale proclamata nel 1931 Si differenziava dalle leggi speciali italiane solo perché non sopprimeva tutti l partiti; ma per l'iniziativa del partito comunista Intesa a rovesciare il regime era contemplata la pena di morte.

Il tribunale di Horthy con la condanna a morte dl Imre Sallay e Sàndor Furst si pose all'avanguardia del terrore anticomunista che si scatenò negli anni '30 in tutta Europa.L'introduzione delle leggi speciali era già di per sé una caratteristica del fascismo.

Un pazzo, un certo Silvester Matuska – probabilmente della polizia —fece saltare uno dei ponti del viadotto Budapest-Vienna al passaggio del treno.

La polizia horthysta attribuì immediatamente la responsabilità dell'attentato al comunisti e promulgò la legge marziale. L'”attentato” Zamboni e l'incendio del Reischtag hanno una origine simile.

La persecuzione del regime di Horthy nei confronti del movimento comunista si estese con la stessa intensità contro tutti i progressisti. In Ungheria ogni idea di progresso borghese e non borghese — fu identificata col comunismo ed attirò la rappresaglia del regime. Uno dei movimenti politico-culturali più avanzati degli anni ‘30 fu il cosiddetto movimento populista in cui figuravano i migliori nomi della cultura come Ferenc Erdei, Jozsef Darvas, Gyula Illyés, Imre Kovatcs e Geza Féja.

Nelle loro opere, degne di un lavoro, di sociografia, essi rappresentavano la vita drammatica, quasi feudale, dei contadini poveri ed indicavano nella liquidazione del latifondismo la sola via d'uscita. Naturalmente il loro movimento fu combattuto al pari del movimento operaio e rivoluzionario. Nell'Unghe-ria di Horthy mettere in dubbio il potere del latifondo « depositario » della « costituzione millenaria » e del potere politico — costituiva ia maggiore delle colpe.

Dal regime di Horthy fu bandito ogni tipo di democraticismo politico. E' vero che esisteva un parlamento, formato in occasione delle elezioni politiche, ma l'Ungheria era l’unico paese in Europa in cui le votazioni erano palesi. Solo prime dello scoppio della seconda guerra mondiale. nel 1939, fu introdotto Io scrutinio segreto. Anche questo avvenne in modo del tutto parti-colare: mentre cosiddetti gruppi costituzionali sostenevano il sistema delle I (nazioni palesi. i gruppi fascisti estremisti lottarono violentemente per l'introduzione delle votazioni segrete. Questo fenomeno si inquadra nel particolare carattere del parlamentarismo costituzionale del regime di Horthy. Del parlamento facevano parte alcuni rappresentanti del partito socialdemocratico e dei piccoli partiti liberai-borghesi moderati. Ma i criteri della democrazia parlamentare non erano assolutamente rispettati: il governo o il primo ministro non erano designati in base ai rapporti di forze parlamentari. Nel regime di Horthy le decisioni su ogni questione riguardante il paese — e così pure la designazione del capo del governo — erano affidate al ristretto ambiente fedele a Horthy. A proposito di questa situazione è necessario sottolineare il ruolo delle cosiddette società segrete sorte durante e dopo la contro-rivoluzione del 1919 (la “Lega di sangue della doppia croce” e, la “ Lega di Etelkoz” a cui appartenevano i principali esponenti del regime. I “ 12 capitani di Horthy “, i capi dell'Esercito Nazionale del 1919 – che formavano Io stato maggiore del comandante supre- mo esercitavano nell'ambito di queste società segrete un ruolo dirigente, e ad essi erano affidate le decisioni sulle questioni interne ed estere del regime; usando una espressione moderna lo si potrebbe definire un “gabinetto ombra” ma non nel senso dell’espressione parlamentare inglese, bensì in senso fascista. Queste corporazioni erano i veri fori ufficiali, e nello stesso tempo illegali. che manovravano dietro le quinte. Fra i loro membri troviamo: Bethlen, Teleki,. Gombos. Anche se a livello legale si manifestarono dei contrasti, in realtà si trattava spesso soltanto di uno scambio delle parti. Alcuni storici a sostegno della tesi del carattere fascista del regime di Horthy affermano che si'a in politica estera che in politica interna esso esprimeva una ideologia tipicamente fascista. Naturalmente anche il regime di Horthy cercò di richiamarsi alle tradizioni storiche rinnovando la “concezione di Santo Stefano “ che durante la monarchia austro-ungarica era stata la tesi ufficiale delle classi dominanti per giustificare il predominio ungherese sulle mi-noranze etniche. Secondo questa tesi nel bacino dei Carpazi la nazione ungherese costituiva la sola forza capace di dar vita ad uno stato e, come aveva fatto Santo Stefano, di unire gli altri popoli e tutelare la loro esistenza. Il Trattato del Trianon — secondo questa tesi -- che dimenticava le classi dominanti ungheresi lo avevano firmato senza esitazione per restaurare il loro potere, mentre la Repubblica dei Consigli aveva combattuto una guerra rivoluzionaria e nazionale per conquistare migliori condizioni territoriali di quelle stabilite nel trattato stesso), aveva decretato la fine dell'impero millenario di Santo Stefano.L'obiettivo era quindi la riconquista dei territori perduti perché ogni male della nazione ungherese — la povertà del popolo, la miseria del paese — stava appunto nella perdita da parte dell'Ungheria dei « territori storici ». Ovviamente i sostenitori di questa tesi non si preoccupavano minimamente del fatto che l'Ungheria storica di Santo Stefano in realtà non era mai esistita. Prima di tutto durante il regno di Santo Stefano (1001-1038) il potere del sovrano ungherese non si estendeva ancora a tutto il bacino dei Carpazi e inoltre i vari poteri feudali del medio-evo non possono essere considerati come entità nazionali. Così ad esempio il dominio di alcuni re magiari che si estendeva alla Croazia e alla Dalmazia; quello di Lajos Anjou (Lajos Nagy, 1340-1380), attraverso una unione personale alla Polonia e alla Lituania; quello di Mattia Corvino (1458-1490) alla Slesia e ad alcune province austriache, Vienna compresa. Con l'espansione turca (XVI-XVII secolo) l'Ungheria, in quanto entità nazionale, venne a cessare. Una parte del paese apparteneva all'impero austriaco, l'altra a quello turco.

La continuità giuridica del regno ungherese era rappresentata soltanto dai territori appartenenti all'impero austriaco, il cui imperatore era anche re d'Ungheria. Nel medesimo periodo si costituì in Transilvania un nucleo nazionale ungherese. Dopo le guer-re di liberazione contro i turchi (alla fine del XVII secolo) l'Ungheria fu sottomessa alla dominazione austriaca, fatta esclusione appunto per il principato di Transilvania.

Soltanto nel 1867, dopo due secoli di dominio austriaco e dopo numerose guerre di liberazione nazionale, si ricostituì, con il compromesso con l'Austria, lo stato d'Ungheria unito nella monarchia austro-ungarica.

Naturalmente anche questo non significò la piena sovranità perché essendo comune l'imperatore, comuni erano gli affari militari, la politica estera e finanziaria.

Fu ristabilito però il potere delle classi dominanti su tutto il bacino dei Carpazi e l'Ungheria, avendo un notevole peso nella monarchia, esercitò una grande influenza nella condotta della politica estera. Questa situazione assicurò all'Ungheria — anche se indirettamente — un ruolo di grande potenza europea. Le classi dominanti ungheresi non si rassegnarono al crollo di questo sistema e perciò il regime di Horthy sostenne che le esigenze vitali del popolo ungherese si sarebbero raggiunte solo con la revisione del trattato del Trianon e con la restaurazione dell'impero di Santo Stefano. E' evidente il parallelo fra il revisionismo ungherese e il motivo della « vittoria mutilata del fascismo italiano », e anche con la campagna anti-Versailles del nazional-socialismo tedesco. per quanto riguarda la politica interna, era una variante-della demagogia sociale ungherese che cercò di minimizzare i problemi interni. Sul piano della politica estera il revisionismo aveva un duplice scopo: 1) Sul terreno della politica estera --e in tutta la ideologia del regime — il revisionismo ha alimentato un feroce sciovinismo contro gli stati vicini che avevano assorbito parte del territorio ori-ginario ungherese e dei popoli che vi abitavano. Come è noto, i trattati di pace dopo la prima guerra mondiale non avevano tenuto conto del fatto etnico e territori abitati per la maggior parte da ungheresi erano passati ad altri stati. Questo fatto aveva creato in Ungheria una giusta indignazione — che non ha risparmiato nemmeno i lavoratori — e ovviamente la classe dominante l'aveva utilizzata per la sua propaganda. Però all'inizio della seconda guerra mondiale è venuto alla luce che l'obiettivo del regime era non solo quello di riavere i territori di origine ungherese, ma anche dí ricostituire l'impero ungherese che si estendeva fino al bacino dei Carpazi. L'in-tensa campagna nazionalista che caratterizzò tutto il periodo di Horthy si rifaceva ai criteri ultra-sciovinistici del fascismo. I cechi, gli sloveni e i rumeni erano considerati razza inferiore, incapaci di dirigere uno stato e rispetto agli ungheresi inferiori persino fisicamente. 2) La politica estera revisionista era accompagnata da un avventurismo tipicamente fascista. Ogni possibilità di arrivare ad un accordo pacifico venne respinta. Nel 1921 fra Cecoslovacchia e Ungheria si svolsero varie trattative in seguito alle quali Masaryk propose la restituzione di alcuni territori di origine ungherese. Il governo di Horthy, in base allo slogan « o tutto o niente », rifiutò l'of-ferta. Quando negli anni venti per la stabilità della situazione internazionale la revisione del trattato del Trianon si rivelò impossibile, il governo ungherese — costretto ad accettare suo malgrado la si-tuazione — iniziò la sua politica estera avventuristica nell'intento di indebolire la Piccola Intesa.

Caratteristica di questa politica rimane la falsificazione dei franchi che il governo ungherese fece stampare in enorme quantità cercando di piazzarli, attraverso i suoi agenti, sul mercato finanziario internazionale, allo scopo di indebolire la posizione della Francia, principale componente della Piccola Intesa.

E' anche nota la partecipazione dell'Ungheria di Horthy all'omicidio di re Alessandro di Jugoslavia a Marsiglia: gli attentatori ustascia avevano ricevuto infatti un addestramento specifico proprio in Ungheria. Bisogna parlare infine anche dell'antisovietismo esasperato del regime horthysta. L'Ungheria era uno dei paesi europei all'avanguardia nella lotta all'Unione Sovietica e al bolscevismo. Nel 1924 l'Italia fascista, quasi contemporaneamente all'Inghilterra e alla Francia, aveva riconosciuto e stabilito rapporti diplomatici con l'Unione Sovietica. Il governo Bethlen nel 1924 aveva fatto un passo simile, ma il parlamento non lo ratificò. Il riconoscimento avvenne solo dieci anni dopo, nel 1934, in coda a quasi tutti i paesi europei. Una conseguenza logica di tale antisovietismo fu nel 1941 l'im-mediata partecipazione dell'Ungheria alla guerra contro l'Unione Sovietica, nonostante che i trattati con le potenze dell'Asse non ve la impegnassero. D'altra parte l'entrata in guerra rifletteva tipicamente la politica interna ed estera del regime di Horthy.

Nei primi giorni della guerra tedesco-sovietica sulla città di Kassa furono avvistati alcuni aerei ma non venne dato l'allarme in quanto, a unanime constatazione dell'aviazione ungherese, si trattava di aerei tedeschi. La città fu bombardata. L'indomani il governo Bàrdossy — malgrado fosse in possesso di una lettera riservata del comandante dell'aereoporto il quale informava il primo ministro che si era trattato di una provocazione tedesca — comunicò al governo dell'URSS che l'Ungheria si riteneva in stato di guerra per l'azione militare sovietica. Il parlamento venne informato solo più tardi, anche se la Costituzione prevedeva la sua preventiva approvazione. Con la partecipazione alla guerra contro l'Unione Sovietica si veniva a creare una situazione grottesca: dopo il secondo arbitrato di Vienna l'Ungheria non aveva richieste territoriali altro che nei confronti della Romania ed era proprio insieme alla Romania che si trovava in guerra contro l'Unione Sovietica. D'altra parte la Romania non aveva mai riconosciuto il Trattato del Trianon ed aveva più volte dichiarato di non avere alcun problema da risolvere con l'Ungheria. >br>
Per riassumere, ma non certo con la pretesa di chiudere la discussione, vorrei aggiungere alcune osservazioni in ordine al carattere del regime di Horthy. E' evidente, innanzitutto, che il carattere del regime ungherese non può essere definito in base a criteri formali. Il fatto che la sua struttura includesse l'esistenza del par-lamento non dice nulla. In Italia, fino al novembre del 1926, il parlamento rimase in piedi, anche se con scarse funzioni. Ciononostante è difficile negare che l'Italia aveva fin dal 1922 un regime fascista. (E pure in Germania — anche se solo per alcuni mesi — dopo la presa del potere da parte del nazionalsocialismo il parlamento non fu soppresso). Una situazione simile si ritrova anche per quanto riguarda la legalità dei partiti.

Nell'Italia fascista fino al 1926 esistevano i partiti borghesi non uniti al fascismo e, de jure, esistevano anche i partiti operai (in pratica però già in condizioni di semilegalità), fra questi ultimi, non solo il partito socialista unitario riformista ma anche il partito socialista massimalista ed il partito comunista. (In Germania il partito comunista sopravvisse soltanto per alcuni mesi, fino alla provocazione dell'incendio del Reichstag).

Il carattere del regime non può essere definito neppure in base all'antitesi formale fra dittatura aperta e dittatura mascherata, fra terrore aperto e terrore istituzionalizzato.

Dopo il periodo della guerra civile fascista (in Italia lo squadrismo, in Germania le operazioni S.A.) il terrore, con la vittoria del fascismo, fu ufficialmente istituito. La sostanza della dittatura totale è fra l'altro di adottare il terrorismo come un suo elemento organico, incorporato anche nelle leggi dello Stato. (In Italia, dopo la vittoria fascista, troviamo solo nel 1924 il tipo di terrorismo spontaneo delle squadre fasciste, e in Germania solo durante il periodo dei progrom antisemiti. Ma anche tali azioni vennero eseguite dalla milizia inserita nello stato fascista). E' difficile stabilire il preciso carattere del regime ungherese anche se esaminiamo altri importanti elementi, come ad esempio l'antisemitismo. E' vero che tutto il periodo horthysta fu caratte-rizzato — almeno sul piano ideologico — da un antisemitismo politico che, specie nel 1919, era per molti versi paragonabile all'antisemitismo nazional-socialista tedesco di Rosenberg ed a quello del fascismo italiano formulato da Preziosi. In Ungheria si arrivò ad affermare che il bolscevismo (la Repubblica dei Consigli) era una conseguenza dell'azione degli ebrei e durante il terrore bianco fu condotta una violenta campagna antisemita. La prima legge anti-semita, iI cosiddetto numerus clausus, che limitò il diritto dei cittadini ebrei a frequentare le Università, ebbe i natali in Ungheria.

Nello stesso periodo gli altri regimi fascisti non erano antisemiti (per esempio il fascismo italiano lo fu solo negli ultimi anni), tanto è vero che numerosi cittadini ebrei emigrarono dall'Ungheria di Horthy fascista per sfuggire alla persecuzione.

Più tardi però sia rispetto al fascismo italiano che, soprattutto, al nazional-socialismo tedesco, subentrò una certa moderazione. E' vero che nel 1938, e poi nel 1940, vennero ratificate due leggi antisemite che più o meno seguivano l'esempio delle leggi di Norimberga; ma la persecuzione fisica dei cittadini ebrei, poi la, atroce campagna del loro sterminio avvenne solo dopo l'occupazione tedesca, e con maggiore intensità durante il dominio dei crocefrecciati.

Il carattere del regime ungherese — tenuto conto che ogni soluzione « conclusiva » del problema viene naturalmente influenzata dai punti di vista suaccennati — può essere definito sulla base dell'analisi della sua nascita, del suo sviluppo, del suo contenuto e del suo funzionamento, prendendo in considerazione i modelli che caratterizzano il nazional-socialismo tedesco e il fascismo italiano.

Non possiamo decisamente definire fascista il regime di Horthy se consideriamo questi due ultimi come la manifestazione' tipica e caratteristica del fascismo internazionale, che prima abbiamo definito come una controrivoluzione preventiva, la quale sia all'interno che all’estero vuole raggiungere in modo assoluto i suoi obbiettivi, definiti nazionali; e mentre restaura e rafforza gli strati più reazio-nari soffoca e distrugge le condizioni politiche, sociali, culturali ecc., ritenute non convenienti ad una concentrazione di forze nazionali.

-Una netta differenza va subito notata fra il fenomeno del fascismo ungherese e quello tedesco e italiano. Bisogna tener presente che l’Ungheria, è un paese piccolo in cui lo sviluppo interno è assai . condizionato da fattori esterni che non in Italia e in Germania. Essendo l’Ungheria un paese annesso fino al 1918, finiva per assorbire la tradizione dello stato di cui faceva parte, sia nella politica estera che neI movimento operaio.

L'Ungheria d'altra parte aveva gravi problemi interni per la difficile situazione che si era creata dopo la prima guerra mondiale, oltre ai problemi economici, politici, delle minoranze etniche e territoriali, conseguenza del crollo della monarchia.

Dopo la rivoluzione borghese del 1918, l'Ungheria e stato il primo e l'unico paese, dopo la Russia, ad avere una rivoluzione socialista che si ispirava ad un modello comunista.

Obbiettivamente, la Repubblica dei Consigli e stata il frutto di una rivoluzione socialista. Questo fatto ha provocato l'immediata organizzazione delle forze controrivoluzionarie per far fallire la rivoluzione del proletariato ungherese e per ristabilire il dominio della borghesia reazionaria.

Qui non si tratta di una controrivoluzione pre- ventiva, ma di una effettiva controrivoluzione.

Essa aveva due centri: uno a Vienna, dove si organizzavano i politici filo-monarchici capeggiati da Bethlen; l'altro a Szeged che era stata occupata dagli eserciti dell’Intesa (francesi) dove trovavano gruppi di ufficiali ungheresi del disciolto esercito della monarchia.

Tuttavia, la Repubblica Ungherese dei Consigli non è fallita a causa di queste organizzazioni, ma per la instabile situazione militare della guerra nioluzionaria nazionale in definitiva per fattori esterni. La controrivoluzione è partita coI—cosiddetto “governo dei sindacati”.

Dato che la parte orientale del paese e Budapest erano occupati dalle truppe rumene, I’”Esercito Nazionale” di Szeged (composto da gruppi di ufficiali reazionari e la cui truppa era formata da sottufficiali del vecchio esercito e da vari strati contadini) inizio la sua marcia, con-trorivoluzionaria fino al Transdanubio, con l'approvazione dell'intesa e in seguito all'allontanamento dell'esercito rumeno, fece il suo ingresso a Budapest per “punire la capitale rossa” (per usare leparole di Horthy). Allora Horthy fu eletto reggente.

L'Intesa però, anche se aveva favorito la presa del potere, ha ostacolato il regime terroristico. I distaccamenti ufficiali raggruppati intorno a Horthy venivano scambiati per controrivoluzionari; con la nomina di Pal Teleki a primo ministro e poi di Bethlen si è venuta formando la cosidetta “struttura bethleniana”.

Questo regime non ha usato slogan rivoluzionari, non, ha dichiarato mai di aver fatto una rivo-luzione come sosteneva il fascismo italiano o il socialnazionalismo tedesco, ma orgogliosamente si definiva controrivoluzionario, come infatti era.

Con la controrivoluzione i gruppi reazionari hanno ristabilito il loro potere, che non era assolutamente minacciato; hanno organizzato la polizia, che ha soffocato nella maniera più brutale ogni tipo di iniziativa dei lavoratori. Questo regime non ha assolutamente tenuto conto né della classe operaia né dei contadini poveri, che anzi, per aver preso le armi nella primavera del 1919 a favore dei giusti interessi nazionali, erano poi stati esclusi dai diritti civili nazionali perché “traditori”.

Questo regime non cerco minimamente di modernizzare le strutture del paese, ma solo di assicurare il potere agli strati reazionari. E poiché questo non era minacciato da nessun pericolo interno, in Ungheria non si verificarono processi come avvenne in Italia o in Germania, dove coll'in-tegrazione delle varie tendenze politiche delle classi antiproletarie sono venuti formandosi sia il fascismo nazionale sia il nazional-socialismo (7).

Ma la struttura antiquata del regime di Horthy dava chiari segni di poca funzionalità; per questo ebbero un certo gioco (per l'influenza italiana e più tardi tedesca) le tendenze che miravano ad una trasformazione in regime fascista.

Come abbiamo già detto alcune di queste si svilupparono proprio nel partito di governo attraverso un graduale processo di assimilazione.

Mentre in Italia e in Germania, dopo la prima guerra mondiale le forze fasciste hanno assorbito le tradizionali conservatrici, dando una propria faccia al nuovo movimento, in Ungheria è avvenuto esattamente il contrario: il carattere e l'egemonia della reazione tradizionale ha sempre dominato in tutta la struttura politica escluso i periodo di Szàlasi.

Ma dato che il regime di Horthy ha avuto come funzione primaria l'oppressione delle classi rivoluzionarie, noi lo possiamo ritenere analogo al fascismo, sia pure con varie diffe-renziazioni. Per concludere, se noi volessimo dare una definizione del regime di Horthy,

lo potremmo ritenere semi-fascista, fascistoide, in quanto sia nella sua formazione e nel suo sviluppo, sia nel suo contenuto aveva caratteristiche assai divergenti. E’ dato che in numerosi paesi dell'Est Europa (Polonia, Romania, -Bulgaria e Jugoslavia) fra le guerre mondiali si sono sviluppati movimenti e regimi simili, ci sembra di dover stabilire una categoria a parte diversa sia dalle democrazie borghesi occidentali che dal fascismo, cercando i motivi che hanno portato alla formazione di un modello comune di queste articolari forme di stati autoritari. (1) Da segnalare l'importante opera di Dezso Nemes: Az ellenforradalom tarténete Magyarorszàgon, 1919-1921 (La storia della controrivoluzione in Ungheria. 1919-1921) che analizza la nascita del regime. il periodo della controrivoluzione e del consolidamento del regime. Manca. seguendo lo sviluppo crono-logico. l'elaborazione scientifica del cosiddetto periodo di 13ethlen (1921-1931) e ciò rende particolarmente difficile definire il carattere e la natura del regime. E' proprio la struttura interna e il contenuto del governo Bethlen che potrebbe spiegare il determinarsi delle condizioni per cui è messo in dubbio il carattere propriamente fascista del regime di Horthy. Sulla storia dei periodi successivi citiamo alcune importanti monografie: Laszlò Màrkus. A Karolyi Gyula-kormany bel- és kulpolitikàja (La politica interna ed estera del governo Gyula Karolyi), Budapest, Akadémiai Kiadó, 1968: Sàndor Kònya, Gombos kisérlete totailis fasiszta diktatura megtererntésere (Il tentativo di Gombos di una dittatura fascista totalitaria), Budapest, Akadémiai Kiadò, 1968; Péter Sipos, Imrédy Béla és a Magyar Megujulàs Partja (Béla Imrédy e il Partito della Rinascita Ungherese), Budapest, Akadémiai Kiadò, 1970. Citiamo le opere che si occupano della storia del partito e di alcune tendenze estremo-fasciste: Kaàlmàn Szakàcs, Kaszàskeresztesek (I Crocefrecciati, i nazional-socialisti, 1935-1944), Budapest, 1966. (2) Finora nessuno storico ha dichiarato di non considerare valida la definizione di Dimitrov, anche se alcuni lo hanno fatto indirettamente. Gyòrgy Rànki nella prefazione del libro di Chabod: L'Italia contemporanea (1918-1948) tradotto in ungherese Olaszorszdg legujabbkori torténete afferma che non si può dare una definizione semplicistica del fascismo, ma che è necessario condurre attente analisi ed approfondire quelle di Gramsci e di Togliatti che sono da considerare, di fronte alla sintesi tradizionale (di Dimitrov), valutazioni scientifiche.

Anche il libro di Chabod dà il suo contributo in questa direzione anche se, come dice Rànki, non si può essere d'accordo con molte delle definizioni date dall'autore. Mihàly Vajda nel suo saggio A fascista diktatura funkciòja. (La funzione della dittatura fascista), pubblicato da Filozófiai Szemle, 1970, XIV, n. 3-4, analizzando il fascismo sul piano filosofico rifiuta chiaramente la tesi di Dimitrov e la concezione di fascismo data dal Komintern nel 1935. (3) Mihàly Vajda nel suo saggio fa risalire l'origine del fascismo in Italia alla sua struttura economica. Vajda analizza giustamente il tardivo sviluppo del capitalismo in Italia ed afferma che il fascismo aveva come suo unico scopo quello di appoggiarlo. Vajda dice fra l'altro che la presa del potere da parte del fascismo non era soltanto la logica conseguenza di tale tardivo sviluppo capitalista, ma anche una condizione necessaria per lo sviluppo del capitalismo nel dopoguerra in Italia.

Secondo questa concezione il capitale monopolistico ha appoggiato fin dall'inizio il fascismo da cui aspettava la espansione capitalistica che, secondo Vajda, era l'unica via politica possibile per l'Italia dopo la prima guerra mondiale.

In base a questo punto di vista l’autore giudica in fondo regressivo ogni tipo di corrente politica che ostacolava o ritardava l'unica possibilità di tale sviluppo.

(4) L'esempio della Francia — dove pure il fascismo si era sviluppato e con il governo di Vichy aveva in fondo anche preso il potere — sembra contraddire questa tesi.

Ma mentre per il governo di Vichy i fattori esterni hanno avuto un peso maggiore che non quelli interni, negli anni '30, quando il fascismo in Francia cominciò a rafforzarsi e tentò il colpo dì Stato, furono proprio le forze interne ad abbatterlo. (5) I nuclei reazionari ufficiali erano sotto certi aspetti simili ai legionari di D'Annunzio. Furono questi gruppi ad organizzare nel 1920 una “spedizione” per riconquistare all'Austria — che li aveva ottenuti con il trattato del Trianon — i territori dell'Ungheria occidentale (Burgenland) ed a costituirvi una zona ungherese, il cosiddetto « Lajtabànsàg », di chiara ispirazione dannunziana. Però il «Lajtabànsàg» non è in alcun modo paragonabile allo Stato del Quarnaro, in quanto non prevedeva alcun programma di sviluppo sociale.

(6) Alla domanda se fra le due guerre mondiali fosse più sviluppata l'Ungheria o l'Italia, la risposta è ovvia: l'Italia, nonostante il fascismo. (7) In Ungheria né prima, né durante la prima guerra mondiale si svilupparono tendenze “prefasciste” simili a quelle italiane — quali il sindacalismo nazionale e l'interventismo di sinistra che pur essendo caratterizzati da antidemocraticismo, antiparlamentarismo e antisocialismo tuttavia mantenevano un certo carattere socialista.

Nel sistema politico della monarchia austro-ungarica e nel movimento operaio ispirato alle idee austro-marxiste non si ritrova alcun tipo di formazione e tradizione politica simile.








BIBLIOGRAFIA