TOMOYUKI YAMASHITA

Nato nel 1885, frequenta l’Accademia militare di Hiroshima e il Collegio di guerra giapponese e ricopre vari incarichi militari, svolgendo servizio anche come inviato in Svizzera, in Germania e in Austria. Negli anni Venti aderisce a un’organizzazione di destra, che mira all’instaurazione di un governo militare in Giappone e che nel 1936 tenta un colpo di stato. Non direttamente coinvolto nel complotto, viene punito solo con provvedimenti che ne rallentano la carriera. Ben presto tuttavia egli riesce nuovamente a emergere, acquisendo un ampio prestigio soprattutto fra i giovani ufficiali, e nel 1937 viene promosso luogotenente generale.Temendone la popolarità, il ministro della guerra Tojo lo invia nel 1940 in Italia e in Germania. Forte della fama di accorto stratega, viene nominato comandante generale della XXV armata nel 1941 .All’inizio del 1942 conquista la Malesia, con una campagna durata soltanto 54 giorni. Le sue truppe (70.000 uomini) compiono un’avanzata inattesa aprendosi la strada attraverso la giungla, superando difficoltà ambientali enormi e riuscendo così a realizzare un’impresa ritenuta impossibile. Le truppe britanniche, australiane, indiane e malesi devono soccombere alle agguerrite formazioni giapponesi, che con una tattica aggressiva le attaccano da ogni direzione, prendendole di sorpresa. SuccessivamenteYamashita conquista anche Singapore: in un drammatico incontro, pone i britannici di fronte a un duro ultimatum, e ne ottiene la resa il 15 febbraio 1942. I giapponesi catturano oltre 80.000 prigionieri e si impossessano di una grande quantità di armi e munizioni; le loro perdite appaiono in confronto alquanto limitate. Cade in tal modo la maggiore delle basi britanniche in Estremo Oriente, che rappresenta il principale ostacolo all’espansione del Giappone verso sud-ovest; la via per la definitiva affermazione della “più grande Asia orientale” sembra ormai aperta. Nel suo diario Yamashita si mostra alquanto critico sull’organizzazione e l’efficienza dell’esercito giapponese e sulla validità di alcuni dei suoi generali, e ossessionato dal sospetto che a Tokyo e nelle alte sfere politiche e militari siano in atto manovre contro di lui. Mentre in Inghilterra Churchill si presenta davanti alla Camera dei comuni per annunciare una sconfitta storica,Yamashita(d’ora in avanti chiamato Ia”tigre della Malesia”)viene elevato al rango di eroe nazionale dalla stampa giapponese; la sua notorietà suscita preoccupazioni fra quanti ne temono l’ascesa politica, e ancora una volta se ne decide l’allontanamento dal paese: nel luglio del 1942 viene inviato a comandare gli eserciti stanziati nel Manchukuò, con l’incarico di difendere la regione da un’eventuale offensiva dell’Unione Sovietica.
Il generale torna in primo piano nel 1944, quando viene nominato comandante supremo delle Filippine, con l’incarico di portare a termine un’altra impresa impossibile, quella di difendere la zona dall’assalto americano. Nel corso della lunga battaglia di Leyte, le sue truppe opporranno un’accanita resistenza alle forze statunitensi. Dopo aver appreso dalla radio che il Giappone ha capitolato, continua a combattere fino al 2 settembre 1945, prima di presentarsi agli americani, per consegnare la resa nelle mani del generale Jonathan Wainwright.
Dopo la guerra Yamashita viene accusato di aver violato le leggi belliche, per non aver controllato “le operazioni dei membri del suo comando, permettendo loro di commettere brutali atrocità e altri gravi crimini contro il popolo degli Stati Uniti e dei suoi alleati,e in particolare delle Filippine”. La sua appassionata difesa, basata anche su obiezioni di anticostituzionalità riguardo al procedimento giudiziario, risulterà inefficace. Condannato a morte per impiccagione, si appella inutilmente alla Corte suprema americana.
Viene giustiziato il 23 febbraio del 1946.

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