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INTERVISTE

 

  Intervista a BRIGITTE CARRERA e suo marito LORIS  KOTUM

Brigitte Carrera è nata a Borgomanero e ha vissuto gran parte della sua adolescenza nel piccolo paesino di Suno. Lei è di pelle nera perché sua madre si è sposata con una persona di colore: all’età di 21 anni lascia i genitori per andare a vivere da sola e comincia a rendersi indipendente lavorando nella cooperativa Deagostini. In questo ambiente incontra Loris Kotum ed è amore a prima vista, cominciano a frequentarsi e dopo due anni circa si sposano.
Lui è di pelle nera come Brigitte perché sono nati in Africa: a differenza dei suoi genitori è nato a Novara ma ha vissuto gran parte della sua adolescenza nel piccolo paesino di Alzate; uscito dalle medie si è iscritto al liceo scientifico Antonelli e si è diplomato con il massimo dei voti. Così ha ricevuto una borsa di studio grazie alla quale ha potuto iscriversi alla prestigiosa università Bocconi; con tanta difficoltà ha cercato un lavoro come programmatore di computer, ma la gente in quel tempo aveva una mentalità razzista quindi Loris si è trovato nelle condizioni di dover svolgere lavori umili per pagare l’affitto della casa. Ha lavorato come netturbino poi in una impresa di pulizie, poi come bidello e successivamente ha svolto le pulizie in un ospedale: ma poi un giorno, tornato a casa da una lunga faticosa giornata, ha ricevuto una telefonata da un suo caro amico di Londra che gli proponeva di lavorare come programmatore di computer: lui non ha esitato a dargli la risposta, infatti una settimana dopo è partito salutando la moglie e i figli che l’avrebbero raggiunto in seguito.
Dopo qualche tempo hanno avuto un’altra figlia. Brigitte ogni sera va a seguire lezioni di inglese per avere una parlantina scorrevole e grammaticalmente corretta per i suoi figli, lei non lavorava più per colpa dei troppi impegni tra figli e studi, però dice che la vita economica a Londra è molto più evoluta e moderna rispetto a quella italiana. Tuttavia afferma che l’integrazione è più facile che in Italia; invece Loris confessa che non gli manca niente dell’Italia e che tornerebbe solo se dovesse essere costretto. Lui non ha dimenticato il modo in cui l’ hanno trattato pur vedendo che possedeva una Laurea e un Diploma: si è sentito profondamente umiliato solo perché il suo colore della pelle è diverso da quello di noi italiani.
Non per questo prova disprezzo per tutti, ma pensa che molti hanno un comportamento razzista e differenziano la gente in base alla provenienza etnica e culturale. 

 

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DIARIO

 

Diario immaginario di Zaha

Mi chiamo Zaha. Ho 13 anni. Sono nata in Nigeria, a Lagos. Lagos è la città più importante della Nigeria e del Golfo di Guinea. Sorge su una laguna, formata dal fiume Ogun e da numerosi altri corsi d’acqua. La zona moderna è bellissima: ci sono bei palazzi, strade asfaltate e un grande parco. Io abito nella parte vecchia, ma conosco bene anche la città nuova. Sono orgogliosa della mia città e mi piace che gli Europei sappiano che in Africa non ci sono solo villaggi di capanne di paglia. Qui a Lagos mi trovo bene: ho molte amiche e una bella famiglia: ho tre fratellini più piccoli. A scuola sono brava, soprattutto in matematica. Conosco a memoria molti versetti del Corano e so scriverli alla perfezione. Mio padre dice che scrivere bene i versetti del Corano è un modo per onorare Allah e io ce la metto tutta. Da qualche tempo, mio padre lavora poco; si è ammalato e il padrone della miniera gli ha detto che non può più scendere nella gallerie e che sarebbe meglio si trovasse un altro lavoro, ma non è facile; così, ha deciso di emigrare: andiamo in Italia. Mi sento molto confusa: non voglio lasciare tutto quello che ho qui, soprattutto i nonni e tutte le mie cose e la mia casa e le mie amiche, ma so bene che non abbiamo tante altre alternative. Restare vorrebbe dire mettere in serio rischio il nostro futuro. Devo portarmi via poche cose. Sono tre giorni che non faccio altro che piangere. Dell’Italia non so niente o quasi. So che la capitale si chiama Roma e che lì ci abita il Papa. E poi so che gli Italiani mangiano la pizza, ma nient’altro! Devo farmi prestare una carta geografica: voglio capire bene dove andrò a finire. Perché Allah non ascolta le mie preghiere? Perché l’Africa deve sempre soffrire? La data della partenza è stata fissata tra una settimana. Pochi giorni e poi… Se penso che in Italia dovrò andare a scuola!! Prego Allah che mi aiuti perché sarò spaventatissima. 

È giunto il fatidico momento. Arriviamo all’aeroporto e qui, dopo aver passato i controlli, ci imbarchiamo sull’aereo. Sento già che la nostalgia della mia terra sarà pungente. Però, devo dire che incomincio a provare anche una certa curiosità. Mi sembra di andare alla scoperta di un nuovo mondo!

Dopo un po’ di ore, arriviamo a Malpensa. Agli arrivi, troviamo mia cugina Zineb che ci aspetta, anche lei è venuta in Italia perché i suoi genitori non avevano abbastanza lavoro. Sono impaurita. Ho l’impressione che tutti mi guardino. Ho un bel vestito, quello delle occasioni. E’ tutto colorato: ci sono meravigliosi fiori gialli e blu. Ma gli altri hanno tutti abiti scuri. Una bambina piccola per mano alla mamma mi sorride e si torce tutta per guardarmi: che vergogna! Se potessi, piangerei.

Andiamo a vivere a Venegono Superiore, vicino a Varese. Abbiamo trovato una piccola casa in campagna. Non è tanto bella, ma il papà è contento e anche la mamma. Venegono è un piccolo villaggio. Io ero abituata a stare in città e qui mi sento molto a disagio. È il 9 settembre, e domani sarà il mio primo giorno di scuola in Italia. 

Il fatidico giorno è arrivato. Nel mio paese la mattina, di solito, mi alzavo prestissimo. Cerco di mantenere questa abitudine anche qui, ma al mattino presto è buio e fa freddo. Pazienza. Prima di andare a scuola mangio una tazza di riso, ma sono talmente agitata che quasi non ce la faccio a deglutire. Mi metto di nuovo l’abito delle occasioni, quello che avevo quando sono arrivata in Italia. Verso le sette e mezzo io e mio padre ci avviamo per andare a scuola. Per fortuna mi accompagna lui. Lui un po’ di italiano lo parla perché era già stato in Italia quando era giovane. 

Già nel cortile della scuola vengo assalita da una paura terribile; però, incoraggiata da mio padre, entro. E’ stato subito evidente che ero vestita in modo inadeguato: qui anche le ragazze portano pantaloni e magliette. Vestita così, io sembro una marziana. Come fa Allah a non arrabbiarsi se tante ragazze si presentano in pubblico così? Mi sento osservata. Anzi, sono sicura che tutti gli sguardi sono puntati su di me. 
Sono molto in ansia. Vorrei tornare a casa. Chiudo gli occhi un attimo per tornare con la mente alla mia scuola di Lagos e farmi un po’ di coraggio. Dopo un breve colloquio con l’insegnante, mio padre mi saluta e mi dice di farmi forza. Entro in classe; mentre attraverso l’aula ho il cuore in gola. Prendo posto vicino alla finestra. Per fortuna,così posso guardare fuori e evitare lo sguardo dei compagni. Ci presentiamo, e quando pronuncio il mio nome, Zaha, qualcuno ride; forse non vogliono prendermi in giro, forse non ridono di me, ma come esserne sicuri? L’imbarazzo cresce, ma neanche tanto. Pensavo peggio. In fondo, incrocio con lo sguardo qualche sorriso. Sono due ragazze al primo banco. Sembrano simpatiche. Chissà, forse diventeranno mie amiche! Il momento più tragico è stata la pausa del mattino: l’intervallo. Tutti mangiavano e bevevano e parlavano fra di loro. Per un attimo mi sono sentita perduta. Poi si sono avvicinate le due ragazze del primo banco. Mi hanno offerto la loro merenda. Sono state davvero gentili. Domani porterò loro da assaggiare il biscotti al cocco che fa la mamma. Son sicura che li troveranno squisiti. Non ho ancora conosciuto una persona che non li abbia apprezzati. Anche le ragazze italiane saranno pure capaci di gustarne la bontà! Dopo poco, entrano in classe due altri ragazzi. Sembrano più grandi. Portano una specie di striscione. Forse si stanno rivolgendo a me. Sì, c’è scritto il mio nome. E un’altra parola. E’ una parola inglese. La conosco, perché un po’ di inglese l’ ho studiato anch’io. “Benvenuta Zaha”. Sono contenta. Abbasso gli occhi perché sono in imbarazzo e non so come si fa per dimostrare la propria gratitudine. So che sarà dura stare in Italia, ma adesso so che potrò farcela. 

 

 

  

 

 

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