La poesia
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nche
nelle sue liriche Scheggi esprime spesso un contributo al mondo rurale,
il mondo dei suoi antenati, esprime il rimpianto e la nostalgia per una
concezione della vita che non c’è più, ma lo fa con la
consapevolezza della durezza di quell’esistenza, come i suoi ricordi gli
hanno trasmesso. La durezza e la semplicità di un mondo dove il sacro e
il profano (la profonda religiosità, il senso della famiglia, ma anche
la voglia di vivere e la goliardia) si integrano in maniera ottimale.
Ecco
quindi che nelle sue liriche si conciliano magicamente la malinconia per
un mondo scomparso (L’ultimo
pastore, Dodola e Bianchina, Il casolare abbandonato), l’ironia scanzonata e la carnalità
(Cecco e i problemi di vista, Il mulo,
Desiderio) e infine l’amore
per la natura (Il vento, Colori e
sentimento, fiori di campo).
Le
sue poesie sono semplici e schiette nella loro concezione, prive di inutili
ermetismi.In un
certo senso figlio d’arte (conosce fin da piccolo la poesia in ottave
propria dei cantastorie locali tramite le composizioni del fratello del nonno,
Angelo Scheggi, che conobbe nel secondo dopoguerra una certa fama a livello
locale), inizia proprio dalla poesia in rima la sua avventura e
stabilisce un dialogo subitaneo con il vasto pubblico. Dopo questa prima fase
in cui la rima è predominate, la poesia di Scheggi si fa libera dagli
schemi e assume toni via via sempre più intimisti, fino alla
sublimazione delle ultime liriche (Un
mondo che fu) in cui aleggia un velo di tristezza e di delusione. In questa
mutazione non è estranea l’influenza di altri artisti locali e
pure l’evolvere dell’antropizzazione del territorio mugellano.
La
scoperta della pittura completa il percorso formativo dell’artista,
permettendogli di esprimersi compiutamente con la parola e l’immagine su
di un percorso, lineare certo, ma non per questo privo di spunti che indicano
il suo tentativo infinito di leggere dentro i propri sentimenti.
Nel dicembre
Il volumetto riepiloga circa 30 poesie tra le più
significative dell’artista composte negli ultimi anni; il libro, oltre a
contenere alcune tra le migliori poesie dell’autore e anche degli inediti,
fornisce con arguta vena uno spaccato della poesia popolare mugellana attraverso
i secoli. Ne conseguono numerose citazioni di autori famosi (da Lorenzo il
Magnifico al Pananti al Clasio) e un imprevedibile continuità di toni e
di temi tra poesia ufficiale e poesia contadina, fino al significativo fenomeno
dei cantastorie popolari di metà Novecento. Qui di seguito si riporta un
breve brano del libro.
“[…] Nella poesia dantesca troviamo
inoltre poche citazioni del Mugello (se si escludono i passi prima descritti
sull’Acqua cheta e sui personaggi della famiglia Ubaldini inseriti nella
Divina Commedia). Si può nel complesso dire che sul rapporto tra Dante e la valle non si sa quasi niente e si
possono fare solo delle ipotesi
partendo dalle leggende rusticane fiorite nei secoli. Una novella datata racconta dell’arguzia del sommo
poeta (ma ancor di più dell’arguzia contadina). Dante, passando a
cavallo nei dintorni di Vicchio (era andato a trovare l’amico Giotto in
temporaneo soggiorno presso Romagnano), si imbatté in un contadino al
quale chiese qual’era il piatto migliore che si potesse assaggiare da
quelle parti. Il villico gli rispose al volo: “L’ova!!”. Dopo
circa due anni Dante, che si trovava a passare per caso negli stessi luoghi,
rivide lo stesso contadino e pensò di fare il furbo chiedendogli
soltanto a bruciapelo: “Con che cosa?”. Ma il contadino senza
esitare alzò il capo e gli rispose subito ”Co
i’sale!”. Dante ci rimase un po’ male! […]”
“[…]
Nel gennaio Nel gennaio Fascicoli di poesia pubblicati: 1996 – La campagna in rima….ma com’era
prima! 1998 - La luna,
i colori e altre storie…… 2000 - Ricordi
del mondo contadino 2001 - La
magia della natura 2002 - Un
mondo che non ritorna 2003 - L’ultimo paradiso 2005 - Profumi di ginestra Dicembre 2005 – Pubblicato il libro “Ricordi del mondo
contadino” Gennaio 2011
Qui
di seguito alcune poesie:
Quante cose
potrebbe raccontare
quel vecchio carro
abbandonato nella neve;
stagioni di abbondanti fienagioni
e quelle di
crepitanti carichi di legna,
le raccolte
autunnali dei marroni
ed il vociare delle gran vendemmie.
E quelle vacche da
traino, vere risorse di famiglia,
compagne
inseparabili del duro lavoro contadino,
chine e schiumanti di fatica davanti a
lui,
al un vecchio
barroccio abbandonato nella neve….
Eh sì!
Tanto avrebbe da raccontare….
se ci fosse ancora
qualcuno capace di ascoltare!
Cullato dalle nuvole vecchio pastore
controlli il gregge dal cane raggruppato
e con un misto di gioia e di stupore
ripensi ancora a quel tuo tempo andato.
Ad una vita semplice, a cose genuine,
scandite al ritmo della tosatura,
a quel sentirti addossi le nebbie mattutine,
al bere a una sorgente d'acqua pura.
Ora una civiltà complessa ha preso il sopravvento,
non si può più pensare, è tutto in movimento.
Per te invece il tempo si è fermato,
non vuoi curarti del passar dell'ore
e sembra quasi che ti sia scordato
di essere ormai solo: sei l'ultimo pastore.
Al sole di Giugno di primo mattino
sull’aia del nonno mio contadino
a volte capivi, sentivi nell’aria
uno strano clamore levarsi dall’aia.
Ognuno il suo compito svolgeva veloce
con forza di mano e prontezza di voce,
ognuno il suo ruolo, ognuno un percorso,
la pula e il sudore mischiati sul dorso
e quella tavola imbandita con cura..…
che festa gioiosa la battitura!
Così dolcemente e senza pudore
eran sposi novelli fatica ed amore;
Per noi piccolini era un rito assai strano;
la barca saliva su in cielo, lontano……,
un castello dorato di stampo marziano
risorgeva ogni estate… dai campi di grano!
Cecco e i’fattore
all’osteria gli andonno
dopo che avean venduto del
bestiame,
e due bistecche all’oste
gli ordinonno
pe’ far placare la
sopraggiunta fame.
E quando nel vassoio gli fu
messo
una bistecca grossa ed una
piccolina
Cecco, che non volea passar da
fesso,
svelto si prese la grossa di
rapina.
Disse
i’fattore:”Sei un gran maleducato,
t’ingozzi pe’
codesta gran costata,
e proprio male ti sei
comportato,
io la più piccola mi
sarei tirata!”
Ma Cecco pronto con voce un
po’ alterata:
“I’ che la si lamenta, io
quella l’ho lasciata!”