Lunedi 5 Agosto 2002

Arrivano i nuovi limiti del tasso alcolico per chi guida
Addio bicchiere della staffa

di GIACOMO A. DENTE
UNA SERA a cena, un po’ di amici. Uno dei riti più tranquilli e più diffusi, che sia l’Italietta pop o quella dei vip a recitarlo. James Dean abita da un’altra parte. E anche i rockettari estremi, quelli delle notti brave romagnole e della disco sparata a mille, prima delle albe sconsiderate sulle strade a cento all’ora. La scena è molto più casereccia. Zoomando su gli amici a cena non si va al di là di uno spaghetto alle vongole, una grigliata di pesce, un fritto di calamari e gamberi prima di finire col dolce e col caffè. L’acqua minerale cammina veloce - col caldo, ci mancherebbe altro - e anche il vino bianco, ma niente di trascendentale, giusto qualche bicchiere. Qualcuno chiede anche una grappa, poi tutti in auto verso casa. Anzi, no. Contrordine. Perché, con le norme del nuovo codice della strada, i limiti del bere sicuro diventano rigorosissimi. Un nulla ed è cartellino rosso. Per chi vuole sgarrare non resta che la misericordia dell’amico astemio, il taxi, il treno, la corriera, tutto meno che mettersi alla guida col bicchiere di Chianti o di Sauvignon di troppo.

Di fronte alle stragi del sabato sera come non essere d’accordo col nuovo proibizionismo preventivo? Né si può pretendere che la legge si metta a far sociologia andando a cercare il distinguo tra il forsennato con il Tequila bum bum facile al rave party e il padre di famiglia che si è bevuto un quartino di Cerasuolo d’Abruzzo. Tant’è bisogna misurarsi col nuovo e mettere in conto alcuni mai più. Primo fra tutti quello del pranzo spensierato senza far troppo caso al vino. Da ora in poi, a meno di essere soli e quindi condannati a un regime di assoluta attenzione e rinuncia, il nuovo galateo suggerisce di munirsi di uno stock di pagliuzze. Chi tira la più corta va ad acqua e così si sobbarca l’onere di riaccompagnare in auto il resto della brigata, quasi si trattasse di un reggimento di disertori cosacchi obnubilati dalla vodka. In molti paesi stranieri funziona già così. Ma da noi la cosa ha ancora l’aria di una bizzarria. Anche perché sembrava in parte scomparsa dalle nostre città la figura dell’ubriaco. L’andatura caracollante, l’eloquio svampito sembravano abitare più che altro nelle barzellette.

E invece i dati raccontano di un Paese reale che, nella risposta effimera e dolorosa del bicchiere di troppo, cerca il rimedio al suo male di esistere, o la panacea alle inquietudini della difficile condizione giovanile. La scienza medica dà una misura precisa al legislatore: le colonne d’Ercole tra la sobrietà virtuosa e il pericolo di nuocere a sé stessi e agli altri sono chiare. Si potrà correre a 150 all’ora sulle autostrade, ma occhio a non eccedere col Frascati, perché lì - secondo la stima di pericolosità stabilita dal legislatore - abita la lusinga insidiosa di Bacco, che non a caso gli antichi chiamavano anche Libero, un Dio che scioglie i freni e precipita nel disordine della vita e dei sensi. Peccato. Anche perché la norma penalizza involontariamente lo sviluppo di un fenomeno intelligente e poco pericoloso, ben distante dalle frenesie discotecare. La crescita della gastronomia italiana ha stimolato infatti tutto un turismo del vino che, insieme al museo, alla cattedrale, alle meraviglie del paesaggio, aveva imparato ad appropriarsi della cultura materiale di un borgo o di una regione anche attraverso il ristorante dello chef creativo o la cantina intelligente. Pazienza. Crisi idrica permettendo, ci consoleremo con l’acqua.