Venerdi 3 Novembre 2000

CARI TASSISTI, ECCO ALCUNE PROPOSTE PER UN SERVIZIO MIGLIORE.

di CESARE LANZA
PREMETTO che mi considero un buon amico dei tassisti. Primo, per una scelta personale: considerando i costi di benzina e parcheggi nonché il rischio di multe, il risparmio di tempo, la possibilità di poter telefonare o leggere il giornale o semplicemente pensare ai casi miei, e odiando come tutti lo stress del traffico, preferisco prendere il taxi piuttosto che guidare l’auto in città. Secondo, e forse soprattutto, per curiosità professionale: il tassista, oltre al volante, ha in pugno il termometro degli umori nazionali. Tradizionalmente conservatore, è però tra i primi a cogliere tendenze e cambiamenti. A Milano ad esempio, i tassisti accolsero con entusiasmo la novità e l’affermazione della Lega, quando di Bossi si erano accorti solo gli amici intimi. E quando il Senatur dilagava sui giornali e in tivù, ma aveva cominciato a perdere contatti con l’elettorato, furono tra i primi a prendere le distanze, ovviamente negando di aver mai creduto seriamente nelle capacità del capopolo secessionista.
Politica a parte, un buon tassista è un sublime e popolare testimone del nostro tempo in qualsiasi campo, un opinionista un divolgatore rude ed efficace: sulla popolarità e la tenuta delle star dello spettacolo e dello sport, sulla sensatezza delle stangate economiche, su qualsiasi vicenda di attualità, che so, da Bill Clinton e Monica alla vita disperata degli immigrati; dalla prostituzione all’usura, dall’inflazione alla crisi dell’euro, dalla malasanità alle tragedie aeree o ferroviarie. E’ un tuttologo, uno Sgarbi da strada, che riflette vizi e virtù nazionali. Ben consapevole che ogni generalizzazione è ingiusta, direi che un tassista di norma si distingue per queste caratteristiche: non è servile, non esprime mai un pesante interesse alle mance (a differenza di quanto succede all’estero), si esprime con un efficace slang dialettale intriso e impreziosito da motti e lazzi di vecchio e nuovo conio, è pigro ma professionale, è fumantino ma raramente disponibile alla rissa, tollerante ma con diritto d’insulto verso chi gli ha tagliato la strada, pessimista ma senza tristezza, disincantato, capace di ascoltare, ma mai disposto a coinvolgersi più di tanto nelle effimere disavventure quotidiane di chiunque.
Tutto ciò premesso, dicevo, vorrei aggiungere qualche annotazione minimalista, utile - se raccolta - a migliorare la taxivita dei sostenitori della vita in taxi. Sono appena quattro. La prima riguarda l’educazione: in vita mia non ho mai visto un tassista scendere per aprire la porta al cliente, se non ci sono bagagli. Vecchiette ottantenni, mammine col bebé al seno non suscitano alcuna tenerezza: si sbrighino come possono. Seconda: al radiotaxi spesso restiamo in attesa anche cinque/dieci minuti per poi sentirci dire che il taxi arriva in tre minuti. Com’è possibile? A volte sei obbligato ad ascoltare ossessivi messaggi pubblicitari: forse il tempo di attesa è legato a un obbligo contrattuale? E sarebbe così difficile organizzare una centrale unica per raccogliere tutte le chiamate in arrivo per tutti i radiotaxi e così accelerare i tempi delle risposte? Terza: sarebbe utile una ripassatina alle cartine stradali. A Roma, ad esempio, uno dei miei percorsi abituali va da via Nera a via Castelgomberto. Almeno la metà dei tassisti romani non hanno la minima idea di dove si trovino, eppure sia Nera (Salaria) sia Castelgomberto (Rai, Mazzini) hanno una buona, dignitosa e centrale collocazione. (Al ristorante devi forse spiegare come si fanno le patatine fritte? E perché al tassista devi spiegare dove si trova una strada?). Quarto: se paghi con un biglietto da 100 mila o addirittura da 50 mila lire, spetta al tassista attrezzarsi per il resto, e non al cliente provvedere con i soldi contati. Senza fastidiose discussioni.