Sabato 26 Febbraio 2000

E LO CHIAMANO HUB

Aerei ed abusi: mezzo secolo di storia tutta italiana
Sindaci ed assessori hanno continuato a dispensare licenze per costruire case, scuole e negozi a due passi dalle piste

di RENATO PEZZINI

MALPENSA - Il segreto è nel nome. Che adesso è "Malpensa", e che alla fine del ’700 era "Cascina Malpensata". La fece costruire tale Giambattista Tosi per farne un grande centro agricolo: «Ma il luogo» è scritto in un libro che ne fa la storia «era poco adatto allo scopo, i terreni non rendevano ed erano troppo isolati». Una "malpensata", appunto.
Duecento anni di storia non hanno migliorato le cose. Anzi. Questa antica brughiera che ora chiamano "hub internazionale" si è trasformata nel luogo di una tipica storia all’italiana, dove le "malpensate" continuano a proliferare, dove sguazzano i più furbi e le decisioni vengono prese sempre a metà, fedeli all’ideologia del «...tanto le cose poi verranno da sole».
Che dire, per esempio, delle due palazzine ancora in costruzione a pochi passi dal recinto dello scalo? Sul cantiere campeggia il cartello dell’autorizzazione edilizia firmata dal sindaco. Cinque metri più in là c’è un altro cartello, degli anni 40: «Zona di sedime aeroportuale - Divieto di costruzione». Poi, quando le case saranno abitate, magari lo stesso sindaco che ne ha autorizzato la costruzione si straccerà le vesti per l’eccessivo rumore degli aerei che rende insopportabile l’esistenza dei suoi concittadini.
Alla Malpensa gli aerei ci atterrano dal 1914 (era un centro di addestramento aereo) e dal 1949 è uno scalo internazionale. Ma in questi cinquant’anni, sindaci, assessori e uffici comunali hanno continuato a dispensare permessi edilizi per case, scuole, negozi a due passi dalle piste. E in mancanza di autorizzazioni, c’è chi le case le ha alzate abusivamente. Il rumore dei reattori? I tetti scoperchiati? Non erano grandi problemi, e nessuna voleva pensare —per accidia o per interesse— che le cose dovevano cambiare.
Eppure il primo progetto per far diventare Malpensa quello che è adesso porta la data del 1971 e la firma dell’architetto Vittorio Gandolfi. Già allora, con il traffico aereo in crescita esponenziale, tutti sapevano che Linate era prossimo all’asfissia e che buona parte dei voli sarebbe stata dirottata su Malpensa. Infatti, mentre case legittime e abusive continuavano a venir su, cominciò a circolare l’idea di quella che ora si chiama Malpensa 2000. Era il 1980.
Il destino, in qualche modo, provò a dare una mano. Per motivi di ristrutturazione, infatti, Linate venne chiuso un paio di mesi, luglio e agosto ’82. Tutti a Malpensa, dunque: e fu il caos. Lo scalo non riuscì a reggere il peso del traffico aereo. Chi abitava nei dintorni si trovò improvvisamente in un inferno di decibel e smog. E poi ci si accorse che arrivare a Malpensa da Milano era un’impresa. Quaranta chilometri d’autostrada, due sole corsie affollatissime, per di più interrotte dal casello di pedaggio, che è un po’ come mettere un passaggio a livello sul grande raccordo anulare (per la cronaca: il casello è ancora lì). Nessun treno, nessun autobus, tariffe dei taxi alla portata degli sceicchi e pochi altri.
Bene, era l’occasione per meditarci su. Macchè. In quelli che sono tornati ad essere i "radiosi anni 80" non c’era tempo per le meditazioni. Nel 1986 divenne operativo il progetto "Malpensa 2000". Duemila come i miliardi di preventivo. Una torta importante, tant’è che le tesorerie dei partiti nazionali presero subito contatto con le tesorerie dei partiti locali: «Malpensa è cosa nostra» intimarono.
Certo, si sapeva che oltre al problema delle mazzette ci sarebbero stati anche quelli di viabilità, di impatto ambientale, di equilibri fra le varie compagnie aeree: «Ma le cose verranno da sole...».
Ed eccoci all’oggi. Il 19 novembre ’90 viene posata la prima pietra, ma ancora non si sa quali aerei dovranno restate a Linate e quali no. E nessuno pensa che, per alleviare i disagi di chi abita vicino alle piste, magari bisogna preventivare il divieto dei voli notturni o la diversificazione delle rotte di avvicinamento (cose che oggi sono allo studio)
Le inchieste di Mani Pulite per un po’ bloccano i lavori. Ma è una stagione breve. Nel ’93 il clangore delle ruspe torna a inondare l’antica brughiera, nel ’95 l’Ue mette il suo suggello (e i suoi denari) dicendo che Malpensa sarà uno dei 14 "hub" più importanti del Continente. E finalmente, nel ’96, qualcuno chiede: quali aerei voleranno sul nuovo scalo?
Ed ecco qua l’altra storia italiana. L’allora ministro Burlando risponde al quesito con un decreto: «A Linate rimarranno solo i voli Alitalia della navetta Milano-Roma. Tutto il resto a Malpensa». Un favore all’Alitalia, certo. Ma davvero non si poteva prevedere che le altre compagnie avrebbero fatto di tutto per impedirlo? Infatti cominciano a fioccare i ricorsi. Sempre Burlando, nel ’97, stabilisce che l’inaugurazione è fissata per l’ottobre ’98. Giorno in cui Malpensa diventa un grande aeroporto, ma solo sulla carta. Perché non c’è la ferrovia, l’ampliamento dell’autostrada non è completato, non c’è accordo coi taxisti sulle tariffe, il sistema informatico va in tilt.
Così, quest’ultimo anno e mezzo fila via fra ricorsi vinti e persi, traslochi di voli da Linate approvati e poi bocciati, ultimatum dell’Ue e decreti ministeriali bloccati. Ieri Bersani ha provato a mettere la parola fine. E va bene. Ma ora si ripropongono i problemi che già nel 1949 qualcuno aveva provato ad affrontare: e l’impatto ambientale? La storia ricomincia da capo.