ANTONIO NIERO

 

SANTA LUCIA

VERGINE E MARTIRE

 

 

 

 

 


Ø     PREMESSA

Ø     LA FAMIGLIA DI LUCIA

Ø     LA GIOVINEZZA

Ø     LA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO

Ø     IL DIALOGO CON PASCASIO

Ø     IL MARTIRIO

Ø     STORIA DEL SUO CULTO

Ø     ICONOGRAFIA DELLA SANTA

Ø     STORIA DELLE SUE RELIQUIE

Ø     INDICAZIONE BIBLIOGRAFICA

                                                                                                                                                    

 

 

 

 


PREMESSA

 

 

Numerosi sono i devoti che vengono a peregrinare fino alle Reliquie della Santa Siracusana. Alcuni giungono persino dal Nord-Europa, altri dall’America.

Ma spesso la pietà non si appaga nel visitare l’Urna o nel recitare delle preci. Vuol conoscere da vicino la Santa protettrice degli occhi.

Esaurita la « Vita di S. Lucia » del compianto prof. don Enrico Lacchin (valoroso docente di storia dell’arte nel Se­minario Patriarcale), s’è pensato di prepararne una di nuova, che pur nella brevità tenesse conto degli studi più recenti compiuti dall’agiografia.

La non lieve fatica venne generosamente portata a ter­mine dal carissimo prof. don Antonio Niero (insegnante nel Seminario).

Una piccola ricerca nel nostro archivio parrocchiale diede modo di inserire nel testo alcune stampe illustrative.

Possa ora questo piccolo libro sulla vita di S. Lucia correre nelle mani di molti per accendere nei cuori quella luce soprannaturale di cui la nostra Martire era mirabilmente dotata.

 

Don Aldo Fiorin

Parroco dei Ss. Geremia e Lucia

Docente di S. Scrittura nel Seminario

 

 

 

Venezia, Chiesa dei Ss. Geremia e Lucia, 22 novembre 1965

 

 

 

 

 


LA FAMIGLIA DI LUCIA

 

Sul finire del III secolo (anno 281?) nacque a Siracusa S. Lucia. La città natale era famosa per essere stata fiorente centro di vita greca prima e poi d’importante commercio, intimamente legata alle vi­cende delle guerre puniche: conquistata da Roma nel 212 a. C. assolse una funzione notevole tra le città della provincia di Sicilia.

Diffusosi il cristianesimo in età apostolica per merito del vescovo S. Marziano, inviato a Siracusa da

S. Pietro stesso secondo la tradizione, ospitò l’apo­stolo S. Paolo per tre giorni nel viaggio verso Roma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli. La fede di Cristo, nonostante le varie persecuzioni, si era potuta diffondere notevolmente: quando nacque S. Lu­cia la colonia cristiana era assai numerosa con le sue chiese e le sue catacombe cimiteriali.

Secondo la tradizione, la famiglia della nostra santa era di nobile stirpe e ricca di possedimenti ter­rieri: ci è lasciato il nome della madre: Eutichia; del padre è detto che morì quando Lucia era quin­quenne appena. Probabilmente egli poteva chiamarsi Lucio, data la norma romana di porre alle figliuole il nome del padre. Anche la famiglia forse era già cristiana se consideriamo il nome imposto a Lucia, tipicamente cristiano secondo qualcuno, ispirato al testo paolino « siete figli della luce ». Lucia significa senz’altro Luce per il dotto Tillemont.

 

 

LA GIOVINEZZA

 

Cresceva bella e buona la bimba siracusana, sot­to lo sguardo vigile della madre: soprattutto era bella nella modestia del portamento, onde la madre già pensava per lei la soluzione di un felice matri­monio.

Invece Lucia aveva ben altro proposito nella sua vita: si era consacrata perennemente al Signore con voto di verginità. Neanche la madre fu a conoscen­za di questo.

Soltanto un insieme di circostanze fortuite resero manifesta la sua consacrazione al Signore.

Alla vicina città di Catania, ogni anno solevano andare in folla i cristiani per venerare il corpo del­la vergine martire S. Agata, morta per la fede di Cristo nel 231, durante la persecuzione di Decio. I miracoli, che avvenivano presso il suo sepolcro, ne avevano diffuso la fama in tutta la Sicilia cristiana.

Il 5 febbraio del 301, festa della Santa, tra i pellegrini c’erano anche Lucia ed Eutichia sua madre.

Da oltre quarant’anni Eutichia soffriva di gravi emorragie, per le quali nessun rimedio era stato uti­le: ormai aveva perduto ogni speranza di guarire.

In quel giorno, durante i sacri misteri, fu letto il tratto evangelico, che narrava l’episodio dell’emo­roissa: una malattia identica alla sua. Il testo evan­gelico fu compreso bene dalle due donne. Una fi­ducia insperata di poter guarire provò Eutichia e viva fede ebbe Lucia nella potenza miracolosa di S. Agata. L’emoroissa era guarita appena aveva toc­cato la veste del Signore: la madre di Lucia sareb­be stata risanata se invece avesse toccato il sepolcro della santa martire. Così Lucia suggerì a sua madre.

Sul far della sera, quando tutti ebbero lasciato la chiesa, le due donne rimasero nella penombra in fiduciosa preghiera accanto al sepolcro di S. Agata. Le loro parole alla Santa erano di intensa richiesta di guarigione. A lungo però non poterono pregare ché il sonno ebbe il sopravvento e Lucia si addor­mentò profondamente lì nella penombra della chiesa, accanto al sepolcro della martire catanese.

Nel sonno le parve di aver presente una visione nitida: schiere e schiere di angeli circondavano la ver­gine   S. Agata, che sorrideva a Lucia e le diceva:

« Lucia sorella mia, vergine di Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere ? Infatti la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è divenuta sana ».

Quando Lucia si svegliò, rivelò alla madre la visione serena e le parole risanatrici di S. Agata. Era guarita la madre. Inoltre era questo il momento opportuno .di farle conoscere il suo voto di vergi­nità. Così in realtà fece. Nessun rammarico mostrò la donna per questo proposito santo: anzi le disse che ogni sua cosa personale, dopo la morte, le sareb­be stata lasciata.

Il momento era adatto per Lucia per suggerire alla madre propositi di maggiore perfezione, giac­ché manifestava così vivamente il distacco dai beni della terra; onde la consigliò di vendere tutte le sue sostanze e darle ai poveri.

Per allora Eutichia non fece alcun progetto, ma poi, ritornate, a Siracusa, Lucia riprese ancora a parlarle dell’ideale di perfetta povertà. Ben presto si decise di vendere i suoi beni e distribuire il rica­vato ai poveri, seguendo gli esempi della primitiva chiesa di Gerusalemme.

Una tale elargizione se era esemplare nella fer­vente comunità cristiana di Siracusa, destava senz’al­tro lo stupore dei pagani, per i quali i beni di que­sto mondo erano le cose migliori della vita. Ordina­riamente un gesto del genere era sintomo evidente di fede cristiana: solo i seguaci di Cristo giungevano a disprezzare i beni della terra al punto da ven­derli e darli ai poveri. E così pensò uno a cui molto interessavano i beni di Lucia: un giovane del quale la tradizione non ha conservato il nome e che desi­derava vivamente di farla sua sposa.

Dalla madre di Lucia volle sapere perché la fi­gliuola vendeva le vesti preziose e gli ornamenti; per quale ragione distribuiva il ricavato ai poveri, alle vedove ed ai ministri del culto cristiano. Eutichia diede una risposta evasiva, che per il momento lo rese tranquillo.

Ma in seguito il sospetto che Lucia fosse cri­stiana divenne certezza: visto fallire il suo desiderio di averla come sposa, poiché ella lo aveva respinto, decise di denunciarla al prefetto della città come cristiana e di conseguenza fossero applicati a lei i decreti imperiali.

 

 

 

LA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO

 

 

Allora per la chiesa cattolica non erano tempi tranquilli: l’imperatore Diocleziano nel vano tenta­tivo di arrestare l’inevitabile crisi dell’Impero roma­no stava attuando varie riforme, da quella ammi­nistrativa a quella economica, fiducioso di riportare lo Stato romano ai tempi migliori. Nel suo vasto piano di rinnovamento generale, anche la riforma religiosa doveva avere la sua importanza, come ri­forma delle coscienze: il culto imperiale doveva es­sere il veicolo di penetrazione interiore del senso della romanità e della potenza dell’impero. Appro­fittando di un complesso di circostanze, emanò i suoi editti di persecuzione contro i cristiani il 24 feb­braio del 303. Fu la più feroce persecuzione la sua, soprattutto nelle province, dove funzionari zelantis­simi la applicarono ciecamente. Lattanzio (de mort. persec. 10) ha scritto pagine celebri sulla furia di codesta persecuzione.

                                                                                                                              

 

 

IL DIALOGO CON PASCASIO

 

A Siracusa era prefetto della città (meglio era correttore) Pascasio, succeduto da pochi mesi a Cal­visiano, che nell’agosto del 303 aveva condannato a morte il vescovo S. Euplo.

Quando Lucia gli fu portata innanzi sotto l’im­putazione di essere cristiana, egli le ordinò di sa­crificare agli dei. Allora Lucia disse: Sacrificio puro presso Dio consiste nel visitare le vedove, gli orfani e i pellegrini, che versano nell’afflizione e nella ne­cessità, ed è già il terzo anno da che io offro a Cristo Dio tali sacrifici erogando tutto il mio patrimonio.

Pascasio l’interruppe con senso d’ironia: Va a con­tare queste ciance agli stolti come te, poiché io eseguo i comandi dei Cesari e perciò non posso udire sif­fatte stoltezze.

Lucia disse: Tu osservi i decreti dei Cesari co­me anch’io curo la legge del mio Dio giorno e notte; temi pure le loro leggi, mentre io riverisco il mio Dio: tu non vuoi mancare di rispetto a quelli ed io come mai oserò di contraddire il mio Dio? Tu t’ingegni di piacere a loro ed io mi ingegno di piacere a Dio: tu dunque fa come credi ti torna comodo ed io opero secondo è grato all’animo mio.

Pascasio continuò: Tu hai prodigato le tue so­stanze ad uomini vani e dissoluti.

Presso i pagani, secondo quanto testimoniano le apologie di Minucio Felice e Tertulliano, vigeva l’ac­cusa che i cristiani praticassero riti dissoluti come si notavano in altri culti misterici. Ma Lucia subito smen­tisce Pascasio dicendogli: Io ho riposto al sicuro il mio patrimonio e la mia persona non ha gustato la dissolutezza.

Pascasio soggiunse: Tu sei la stessa dissolutezza in anima e corpo.

Lucia rispose: Siete voi che costituite la corru­zione del mondo.

Pascasio disse: Cessi la tua loquacità; passiamo ai tormenti.

Lucia replicò: E’  impossibile porre silenzio ai detti del Signore.

Pascasio riprese: Tu adunque sei Dio?

Lucia rispose: Io sono serva del Dio eterno, poi­ché Egli ha detto: quando sarete dinanzi ai re ed ai principi non vi date pensiero del come o di ciò che dovete dire, poiché non siete voi che parlate ma lo Spirito Santo che parla in voi.

Pascasio disse: Dentro di te c’è adunque lo Spirito Santo?

Lucia rispose: Coloro che vivono castamente e piamente sono tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in essi.

Pascasio disse: Ti farò condurre in un luogo turpe e così fuggirà da te lo Spirito Santo.

Anche per piegare altre vergini cristiane il giu­dice romano spesso era ricorso a simili mezzi: tant’è vero che Tertulliano scriveva, con i suoi tipici giuochi di parole, che esse temevano più il lenone che il leone: la prova cioè contro la loro virtù piuttosto che le belve feroci.

Innanzi alla fermezza della santa di non piega­re agli ordini di Pascasio, questi raduna della gen­taglia per costringere Lucia ad obbedirgli. Ogni suo tentativo riesce vano: neppure i soldati, neppure le paia di buoi riescono a smuovere Lucia che sta im­mobile come una roccia (l’episodio è narrato, tra gli altri, con potenza d’arte da Lorenzo Bassano in una pala della Basilica di S. Giorgio Maggiore di Venezia).

Tutti codesti prodigi furono ritenuti da Pascasio opera di magia, onde ordina che attorno a lei si pre­pari il rogo e sì accenda la fiamma, secondo quanto si usava contro i sospetti di arti magiche.

Vengono tosto portate pece e resina, legname ed olio; tutto viene gettato contro la Santa. Divampano le fiamme,. ma lei non ne è toccata. Anzi dice a Pascasio: Pregherò il mio Signore perché questo fuoco non si impadronisca di me.

Pascasio non si conteneva più dall’ira. Allora al­cuni dei suoi amici per impedire che fosse ancor più deriso dalla Santa e gli sforzi suoi risultassero del tutto vani, tirarono giù Lucia dal rogo perché fosse finita con la spada.

 

                                                                                                                                     

 

IL MARTIRIO

 

Lucia comprese che ormai era giunto il momento di confessare Cristo con il martirio: si pose in ginoc­chio pronta a ricevere il colpo mortale.

Prima però volle parlare alla gran folla che nel frattempo si era radunata attorno a lei: disse che la persecuzione contro i Cristiani stava terminando e la pace per la Chiesa era imminente con la caduta del­l’imperatore Diocleziano. Ricordò loro che Siracusa l’avrebbe sempre onorata così come la vicina Cata­nia aveva in venerazione S. Agata. Quando ebbe terminato di parlare, venne il colpo mortale che le recise il capo consacrandone la verginità con il mar­tirio.

Era il 13 dicembre del 304, secondo quanto narra la tradizione.

 

 

 

STORIA DEL SUO CULTO

 

Deposto il suo corpo nelle catacombe, che da lei presero il nome, divenne il suo sepolcro ben presto famoso richiamando i fedeli che ne ricevevano gra­zie abbondanti. Fu subito la Santa per eccellenza dei siracusani. In iscrizioni greche delle catacombe sira­cusane, anche dopo un secolo dal martirio è detto «la nostra santa Lucia ». Soprattutto è rimasta fa­mosa la iscrizione di Euschia venuta alla luce nel 1894 in escavi archeologici. Essa dice «Euschia la irreprensibile, vissuta buona e pura per anni circa 25, morì nella festa della mia Santa Lucia per la quale non vi ha elogio condegno: (fu) cristiana, fedele, perfetta, grata al suo marito di morta gratitudine».

All’inizio del V secolo, data dell’iscrizione, la Santa era ormai popolare: Euschia, questa donna, muore giovane nel giorno festivo della sua patrona, che nes­suno può elogiare in maniera conveniente giacché or­mai tutti ne conoscevano vita, virtù e prodigi. Secondo il breviario Gallo-Siculo sopra il sepolcro di S. Lucia sarebbe stata innalzata una basilica nel 310: addirit­tura sette anni dopo il martirio !

Se la notizia è discutibile per questa data, si può peraltro ammettere che la basilica sia stata eretta non molto tempo dopo la sua morte: comunque prima della citata iscrizione di Euschia.

Il suo culto ben presto si diffuse fuori della Si­cilia stessa come documentano le stratificazioni più antiche del martirologio Geronimiano: prova ne sia­no l’inserzione del nome della Santa nel Canone del­la Messa da parte di papa S. Gregorio Magno ( 604), la devozione in Roma stessa, dove le vennero de­dicate una ventina di chiese e nell’Italia settentrio­nale, dove la troviamo effigiata a Ravenna in S. Apol­linare Nuovo nella processione delle vergini, in In­ghilterra, nella chiesa Greca, dove il Damasceno stes­so compose la liturgia in onore della Santa. Dopo le scoperte geografiche del secolo XV, il suo culto si estende particolarmente nell’America Latina, nell’Africa, in alcuni luoghi dell’America del Nord. Nella devozione popolare la sua vita si arricchisce di particolari leggendari: il più famoso è quello di cre­dere che la santa stessa si sia levata gli occhi invian­doli in un bacile di argento al giovane, che si era in­namorato del loro splendore affascinante oppure, se­condo la versione, accettata fra l’altro anche dall’uma­nista Battista Mantovano, li abbia mandati a Pascasio stesso, ma subito le siano stati rimessi con improvviso miracolo, poiché S. Raffaele sarebbe sceso da cielo a compierlo.

Non sappiamo quando sia nata la leggenda (ma è probabile di età umanistica), che presenta una parti­colare somiglianza con episodi consimili verificatisi nella favolistica indiana: forse si è dato il caso di omonimia con un’altra Santa, che si sarebbe tolta gli occhi per liberarsi da un’incauta persona, o meglio per un processo di etimologia popolare del nome rav­visando il rapporto: Lucia = luce, oppure come sug­gerisce il Delehaye, quale ex-voto di devoto guarito. Di conseguenza, in base ai principi della pietà popo­lare, S. Lucia fu invocata per proteggere la luce degli occhi, cioè la vista. Forse, secondo quanto insinua il dotto Garana, codesto rapporto è antichissimo, come può risultare dall’iscrizione di Euschia del IV secolo, nella quale il nome della devota nel valore di « om­brosa » può alludere ad affezione morbosa della vista. Certo nell’appendice miracolistica, annessa al racconto della traslazione veneziana del 1280 (ma giuntaci in un testo quattrocentesco), sono documentati alcuni miracoli di vista riacquistata. Una prova ulteriore è data da quanto la tradizione afferma di Dante Ali­ghieri, almeno stando ai dati del figlio Jacopo, per cui il poeta sarebbe guarito da grave danno alla vista subito per le lagrime sparse in morte di Beatrice, dopo di aver invocato spesso S. Lucia durante il male, onde l’ha collocata nel secondo canto dell’Inferno, nel nono del Purgatorio e nel trentatreesimo del Paradiso: non più dunque in sola funzione allegorica, quanto invece come gesto di riconoscenza devota.

 

 

 

ICONOGRAFIA DELLA SANTA

 

Il culto veneziano della Santa è provato tra l’altro dal Kalendarium Venetum del XI secolo, e poi nei Messali locali del secolo XV, nonché nel Memoriale Franco e Barbaresco dell’inizio del 1500, dove è con­siderata festa di palazzo, cioè festività civile.

Sin dal 1107 sorgeva una chiesa in suo onore all’estremità occidentale del Canal Grande, forse par­rocchia nel 1182, dove poi nel 1313 riscontriamo con sicurezza il corpo della Santa. In essa esisteva la scuola a lei intitolata sin dal 1323, a cui nel 1703 fu aggiunto un sovvegno. Ma in nessun’altra chiesa veneziana no­tiamo scuole in suo onore, tranne a 5. Moisè, poiché qui sin dal 1313 esisteva una scuola per i ciechi, onde fu naturale il culto alla Santa patrona della vista.

Prova più vasta dell’importanza della Santa nella pietà veneziana è pure desumibile dalla sua icono­grafia in pale d’altare, per buona parte di origine e sviluppo post-tridentino. Così si veda a S. Marco (mo­saici dei secoli XVI e XVII); nella pala con la Ver­gine e Santi, di Giovanni Bellini a S. Zaccaria; a S. Giovanni in Bragora in polittico di Iacobello del Fio­re; in quella di S. Nicolò, del Lotto ai Carmini; a S. Giovanni Crisostomo, nella pala di Sebastiano del Piombo; a S. Martino; a S. Elisabetta del Lido; a S. Stefano nella pala dell’Immacolata, del Menescar­di; a S. Giorgio Maggiore, di Leandro Bassano; ai To­lentini, del Peranda; ai SS. Apostoli, di Giambattista Tiepolo, ma soprattutto in chiesa, ora, a S. Geremia in tele della demolita chiesa di S. Lucia.

Tralascio le altre documentazioni iconografiche nei musei e raccolte private veneziane, poiché ora non sono più oggetto di culto; alla pari accenno solo al vasto repertorio iconografico nella pittura venezia­na e veneta, fuori di Venezia, come, per fare un no­me, in Cima da Conegliano. Nell’ambito della diocesi, si notino le storie della Santa in affresco del duomo di Caorle, navata destra, di anonimo trecentesco, e la Santa in pala di altare laterale nella chiesa di Oriago, di anonimo settecentesco; in altare laterale nella chiesa di Chirignago di anonimo neoclassico.

Il tipo iconografico, sino al periodo post-tridenti­no, non sempre la dà con gli occhi in mano: a volte, come in Cima, tiene la lampada verginale fra le mani (poittico di Olera; pala di Lisbona); il motivo degli occhi sul bacile di argento, sebbene sia presente anche in fase pre-tridentina, è poi costante in quella post-tri­dentina.

 

 

 

STORIA DELLE SUE RELIQUIE

 

Il corpo di S. Lucia rimase in Siracusa per molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu poi por­tato nella basilica eretta in suo onore, presso la quale, all’inizio del VI secolo, fu costruito un monastero. Nella minaccia araba per il suo sepolcro nell’878, dopo la conquista islamica della Sicilia, il suo corpo fu nascosto in un luogo segreto. Nel 1039, appena Ma­niace, generale di Bisanzio, riuscì a strappare Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a Costantinopoli, o come preda di guerra o, secondo l’affermazione della Cronaca del doge Andrea Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e Costantino. Invece secondo la tradizione francese, il corpo della Santa fu levato da Siracusa nel corso del secolo VIII da Feroaldo, duca di Spoleto, dopo la conquista della città che lo recò a Corfinio, donde il vescovo di Metz lo avrebbe trasferito nella sua città episcopale. Indubbiamente qui si sviluppò un culto attorno a codèste reliquie, seb­bene, viene notato giustamente, si tratti di un’altra martire siracusana, di nome Lucia e confusa per omo­nimia con la nostra Santa. La linea maestra della tra­dizione afferma che il suo corpo fu tolto da Costantinopoli nel 1204 dal doge veneziano Enrico Dandolo, dove lo aveva trovato assieme a quello di S. Agata, ed inviato a Venezia. Invece secondo una variante, do­cumentata dal codice secentesco, o Cronaca Veniera, della Biblioteca Marciana di Venezia (It. VII, 10 (= 8607) f. 15 v.), esso sarebbe stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, sotto il dogado di Pietro Centranico. Non sappiamo l’ori­gine della notizia e se derivi da una fonte anteriore, per quanto un fondato sospetto induca ad un errore meccanico di amanuense, che ha letto 1026 per 1206, cioè gli anni della traslatio ufficiale. E nella Cronaca Veniera lo si accettò, armonizzando il fatto con il doge dell’epoca. Certo è difficile una precisazione sto­rica di codeste reliquie, esente da qualsiasi sospetto, almeno allo stato attuale delle cose; per noi è pru­denza elementare prendere atto della presenza del suo corpo in Venezia sin dal 1204. Ma si noti che in Ve­nezia esisteva già una chiesa dedicata alla martire nel 1167 e 1182, come lo provano inequivocabili docu­menti, per cui è probabile che la determinazione di tra­sferire le reliquie nelle lagune sia stata originata dalla necessità di arricchire una chiesa veneziana, come d’al­tronde si verificò per altri casi consimili.

Comunque a Venezia il suo corpo fu collocato nella chiesa di S. Giorgio Maggiore e determinò un flusso di pellegrinaggi, che nel giorno d’ella festa (13 dicembre) assumeva proporzioni impressionanti, nel­l’andirivieni di imbarcazioni. Il 13 dicembre 1279 accaddero tragici fatti. Alcuni pellegrini morirono an­negati in seguito al capovolgimento delle imbarcazio­ni per l’insorgere di un turbine improvviso.

Il Senato, ai fini di evitare ancora consimili doloro­si incidenti, decise che il corpo della Santa fosse por­tato in una chiesa di città. Fu scelta la chiesa di S. Maria Annunziata o della « Nunciata » nell’estremo sestiere di Cannaregio, dove furono poste le preziose reliquie trasferite da S. Giorgio il 18 gennaio 1280 con una solenne processione.

Nel 1313 fu consacrata una nuova chiesa dedicata a S. Lucia, nella quale le reliquie della Santa furono deposte definitivamente.

Nel 1441 papa Eugenio IV dava questa chiesa, che era piccola parrocchia, in commenda alle mo­nache del vicino monastero del Corpus Domini; nel 1478 invece papa Sisto IV, dopo una vivace contesa tra il monastero della Nunciata e la parrocchia, che a volte assunse fasi davvero ridicole, concedeva chiesa e parrocchia alle monache del monastero della Nun­ciata, che avanzavano diritti contro quelle del Corpus Domini sul possesso del corpo della Santa: la lite insorta fra i due monasteri fu risolta in favore di quel­lo della Nunciata, come si è visto: però esso doveva sborsare ogni anno 50 ducati a quello del Corpus Domini.

Nel 1579 passando per il Dominio veneto l’im­peratrice Maria d’Austria, il Senato volle farle omag­gio di una reliquia di S. Lucia. Con l’assistenza del patriarca Trevisan fu levata una piccola porzione di carne dal lato sinistro del corpo della Santa.

Altre reliquie della Santa si trovavano a Siracusa, recate nel 1556 da Eleonora Vega, che le ottenne a Roma dall’ambasciatore di Venezia’ così pure avven­ne per alcuni frammenti di braccio sinistro, recati ivi nel 1656 da Venezia, dal cappuccino Innocenzo da Caltagirone. Reliquie ancora sono possedute a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vi­cenza e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio Maggiore, dei SS. Apostoli, dei Gesuiti, dei Carmini.

All’estero sono documentate a Lisbona nel 1587, con una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del Belgio nel 1676; a Nantes, in Francia, nel 1667. Nel 1728 una parte dell’urna fu donata a papa Benedet­to XIII.

Una nuova chiesa, al posto di quella antica, fu costruita tra il 1609 e il 1611, su schemi palladiani, riecheggiante l’attuale delle Zitelle, con due torri cam­panarie in facciata.

Per completarla, giravano per la città alcuni inca­ricati dalle monache a raccogliere le offerte dei fedeli con la cassella concessa dal Magistrato della Sanità.

Il 28 luglio del 1806, in seguito alla soppressione napoleonica, chiesa e monastero furono chiusi e le monache si rifugiarono in S. Andrea della Zirada, por­tando con sé le reliquie della Santa. Poco dopo, non potendo rimanere lì per ragioni di spazio, con il con­senso del Ministero del culto ritornavano ancora al­l’antica sede insieme con il corpo di S. Lucia.

Nel 1813 il convento di S. Lucia veniva donato dall’imperatore d’Austria alla b. Maddalena di Ca­nossa, che vi abitò fino al 1846, quando si iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e per la demolizione del convento. Per il momento la chiesa non fu toccata. Invece nel 1860 dovendosi ampliare la stazione fer­roviaria, nella stolida furia distruttiva dell’epoca, fu abbattuta anche la chiesa di 5. Lucia seguendo la triste sorte di tante altre chiese veneziane. Vero è che mi­nacciava rovina, fatiscente ormai di secoli e di umane malizie. Si sarebbe potuto ripararla e risolvere diver­samente le esigenze della stazione ferroviaria. Invece presi accordi con l’Autorità Ecclesiastica, si decise di trasportare il corpo della Santa nella vicina parroc­chiale di S. Geremia. Per la traslazione, avvenuta l’11 luglio 1860, intervenne il patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e popolo della città: sette giorni rimase il sacro corpo sull’altar maggiore, poi fu posto su un altare laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre anni dopo, l’11 luglio 1863, il patriarca Trevi­sanato la inaugurava: essa era stata costruita con il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia su gusti palladiani. Finalmente per la genero­sità di Mons. Sambo, parroco di quella Chiesa (che nel frattempo venne ad assumere la denominazione « dei Ss. Geremia e Lucia ») su disegno dell’arch. Gaetano Rossi veniva preparato alla Santa un più de­gno altare in broccatello di Verona con fregi di bronzo dorato. Il 15 giugno del 1930 il servo di Dio patriarca La Fontaine lo consacrava e collocava il corpo incor­rotto della Santa nella nuova urna in marmo giallo ambrato, che lo sovrasta. Nel 1955 il patriarca Angelo Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, volle che fosse data più condegna importanza alle sacre reliquie, sug­gerendo l’esecuzione di una maschera d’argento, cu­rata dal parroco di allora don Aldo Da Villa.

Infine, nell’anno 1968, per iniziativa del parroco prof. don Aldo Fiorin e la generosità di benefattori, la Cappella e l’Urna sono state completamente re­staurate.

E nel suo tempio ancor oggi riposa la Martire, meta venerata di tanti pellegrinaggi, con l’augurio in­ciso nella bianca curva absidale, che si specchia sulle acque del Canal Grande:

 

LUCIA

 

VERGINE DI SIRACUSA

 

MARTIRE DI CRISTO

 

IN QUESTO TEMPIO

 

RIPOSA

 

ALL’ITALIA AL MONDO

 

IMPLORI

 

LUCE  PACE

 

 

 

 

 

 

 


INDICAZIONE BIBLIOGRAFICA

 

Nella stesura della vita della Santa ci si è attenuti al testo della Passio del codice greco Papadoupolos, edito dal Gaetani (O. GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum, Palermo 1637, pp. 114-115) e ripubblicato da C. BARRECA, Santa Lucia di Siracusa. Pagine storiche, Roma 1902.

Per il suo valore critico si veda, oltre il citato Barreca: O.  GARANA, S. Lucia di Siracusa. Note agiografiche, Archivio storico siciliano, I (1955), pp. 15-22, in cui sono elencati altri codici greci della Passio della Santa, finora ignoti, che pos­sono suscitare interessanti questioni sul tipo del suo martirio.

S. COSTANZA, Un « Martyrion » inedito di S. Lucia di Sira­cusa, Archivio storico siracusano, III (1957), pp. 1-53 del­l’estratto, il quale pubblica una recensione medita della Passio, più ampollosa della consueta e ricca di particolari romanzeschi. A pp. 5-6 nota esauriente sulle fonti della vita della Santa, con riferimento alla BHL e BHG.

Nella narrazione presentata ci si è voluto astenere da ogni valutazione critica su elementi più o meno favolosi di detta Passio: chi voglia conoscerne l’aspetto critico può con­sultare utilmente: S. Lucia di A. AMORE, Enciclopedia Cat­tolica, VII, col. 1618 e relativa bibliografia, e G. RICCIOT­TI, La Era dei Martiri. Il cristianesimo da Diocleziano a Costantino, Roma, 1953, p. 177.

Tra le altre operette di divulgazione ricordo C. S. R., La Gemma di Siracusa, Catania 1913, un breve opuscolo, che dà una versione diversa del codice Papadoupolos sulla morte della Santa, riferita, secondo pure la lezione del Breviario Romano, per ferimento alla gola; nonché G. MAINO, S. Lucia vergine e martire, Bari 1950.

O.   GARANA, S. Lucia, Siracusa 1958.

A.      SANTELLI, Santa dei ciechi d’oggi: S. Lucia e noi, Roma 1958.

O.   GARANA, Recenti studi sul martirio di S. Lucia in S. Lucia, Siracusa 1962, pp. 36-37.

G.   CINQUE, S. Lucia vergine e martire, Napoli 1963.

Sull’origine del particolare biografico della enucleazione degli occhi si veda H. HERN, Een indische wedergade van der legende der heilige Lucia, in De Gids, 1917, III, pp. 531-40 e la recensione di H. DELEHAYE in Analecta Bollan­diana, XXXIX (1920-1921), p. 162, nonché dello stesso Les légendes hagiographique, Bruxelles 1955, p. 44; Cinq le~ons sur la méthode hagiographique, Bruxelles 1934, p. 134.

Per le questioni connesse con il nome si veda: C. TA­GLIAVINI, Un nome al giorno, Torino 1956, p. 427.

MARTIGNY, Dictionnaire des antiquités chretiennes, Pa­rigi 1887, p. 512.

Per Pascasio, sul suo nome e problemi vari si veda:

P.    ALLARD, Storia critica delle persecuzioni, IV, Firen­ze 1923, p. 391 e segg.

Per il 13 dicembre, giorno del martirio, si veda:

J.    CARCOPINO, Salluste et le culte des Ceréres et les Numides, Revue historique, CLVIII (1928), p. 1 e segg.: secondo l’illustre studioso il 13 dicembre non sarebbe il dies natalis della Santa, ma un giorno scelto come sostituzione della festa pagana di Cerere, che cadeva il 13 dicembre. L’usan­za siciliana, documentata oggi da O. GARANA, S. Lucia, Sira­cusa 1958, p. 89, di consumare ritualmente la « cuccia », cioè il grano nuovo cotto, nel dì della Santa, ne è una convalida.

Per la storia del culto si veda:

P.    FUIANI, Profili della vita e del culto di Santa Lucia, Siracusa 1887, p. 93 e segg.

C.    BARRECA, Santa Lucia, Roma 1902, p. 30 e segg.

H.   DELEHAYE, Les origines des cultes des Martyrs, Bruxelles 1933, p. 310; e dello stesso, Etude sur le légendier romain. Les saints de Novembre et de Décembre, Bruxelles 1936, p. 56.

 

S.    L. AGNELLO, Silloge di iscrizioni paleocristiane della Sicilia, Roma 1953, p. 66, dove risulta che l’epigrafe di Euschia non sarebbe in relazione (ma forse a torto) con S. Lucia.

5.    L. AGNELLO, Recenti esplorazioni nelle catacombe siracusane di S. Lucia, Rivista di archeologia cristiana, XXX (1954), pp. 1-60.

Sulla lipsanologia della Santa e storia del culto a Ve­nezia si rimanda a:

Narrazione della traslazione del corpo di S. Lucia da Si­racusa a Costantinopoli e da Costantinopoli a Venezia, Venezia 1626.

F.    CORNER, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, VIII, Venezia 1749, pp. 333.

E.   ZANOTTO, Vita di S. Lucia vergine martire, Venezia 1861, dove è riportata la notizia, tra l’altro, di Battista Man­tovano sull’estrazione degli occhi.

C.   RIANT, Exuviae Sacrae Costantino politanae, I, Gine­vra 1877, pp. 184-186; 263-265; lI (de reliquiis in Italiam advectis: ad Venetias), pp. 290-302.

 

E.    LACCHIN, La vita di S. Lucia, Venezia, s. d.

G.   DAMERINI, L’isola e il cenobio di S. Giorgio Mag­giore, Firenze 1956, pp. 92, 92, 95.

G.   IMBRIGHI, I santi nella toponomastica italiana, Ro­ma 1957, p. 26. Secondo l’Autore, S. Lucia ha dato il nome a 45 luoghi italiani (più di ogni altra Santa), dei quali 19 in Italia meridionale, 14 nella centrale e 12 nella settentrionale. Tra questi, 8 si trovano nel Veneto, che detiene il primato relativo tra le regioni italiane.

O.   GARANA, I Siracusani rinnovano, « Corriere della Sicilia », 13 dicembre 1957. Lo studioso siracusano rifà la storia delle reliquie della Santa possedute dai siracusani nonché ricorda i vari tentativi compiuti dai suoi concittadini per ria­vere da Venezia il corpo di S. Lucia, avanzando proposte per ottenere una reliquia insigne.

Ma soprattutto per il culto veneziano si rimanda a: G. MUSOLINO, Santa Lucia a Venezia, Venezia 1961, con ric­chezza pressoché completa di particolari per le vicende sto­riche, per le reliquie, per l’iconografia, sino agli aspetti fol­cloristici, con aggiornamento bibliografico. Ora vi si aggiunga: G. TRAMONTIN, A. NIERO, G. MUSOLINO, C. CANDIA­NI, Culto dei santi a Venezia, Venezia 1965, in particolare: pp. 198-199 (sulla lipsanologia, di A. NIERO); 229-230 (sul culto, di G. MUSOLINO); 323 per la festività liturgica. Per altri luoghi ivi citati, si veda l’indice analitico dei santi, a p. 334.

Tuttavia per l’iconografia si aggiunga:

G.   KAFTAL, Iconography o/the saints in Tuscan pain­ting, Firenze 1952, coli. 643-646, ed ora dello stesso, I cono­graphy o/the saints in central and south italian painting, Fi­renze 1965, nonché Cima da Conegliano, a cura di LUIGI MENEGAZZI, Venezia 1962.

Per l’origine e sviluppo del suo culto nel Veneto si veda per il documento dell’824, R. CESSI, Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, I, Venezia 1940, p. 75;

 

per la diocesi di Vicenza si veda:

G.   MANTESE, La chiesa vicentina: panorama storico, Vicenza 1962, p. 184;

per la diocesi di Concordia:

E.   DEGANI, La diocesi di Concordia, Udine 1924, pp.510, 333;

per le diocesi di Verona e Treviso si veda:

Rationes decimarum Italiae nei secoli XII e XIV. Venetia- Histria- Dalmatia, a cura di P. SELLA e G. VALE, Città del Vaticano 1941, p. XII e n. 880.

 

Per le regioni italiane nei secoli XII e XIV, si veda:

Rationes decimarum Italie nei secoli XIII e XIV: Tuscia, Città del Vaticano, 1932; Aemilia, ib. 1933; Aprutium-Moli­sium, ib. 1936; Apulia - Lucania - Calabria, ib. 1939; Sardinia, ib. 1943; Sicilia, ib. 1946; Latium, ib. 1946; Marche, ib. 1950; Umbria, ib. 1952, ai rispettivi indici di luogo.

Inoltre alcuni articoli di carattere divulgativo, ma valida­mente documentati, sulle vicende delle Reliquie della Santa e del suo culto, si possono leggere ne «La Custodia di Santa Lucia », periodico edito dal Tempio dei Ss. Geremia e Lucia, Venezia.