ANTONIO NIERO
SANTA
LUCIA
VERGINE E MARTIRE
Ø
PREMESSA
Ø
LA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO
Numerosi sono
i devoti che vengono a peregrinare fino alle Reliquie della Santa Siracusana.
Alcuni giungono persino dal Nord-Europa, altri dall’America.
Ma spesso la
pietà non si appaga nel visitare l’Urna o nel recitare delle preci. Vuol conoscere
da vicino la Santa protettrice degli occhi.
Esaurita la « Vita di S. Lucia » del compianto prof. don Enrico Lacchin (valoroso
docente di storia dell’arte nel Seminario Patriarcale), s’è pensato di
prepararne una di nuova, che pur nella brevità tenesse conto degli studi più
recenti compiuti dall’agiografia.
La non lieve
fatica venne generosamente portata a termine dal carissimo prof. don Antonio
Niero (insegnante nel Seminario).
Una piccola
ricerca nel nostro archivio parrocchiale diede modo di inserire nel testo
alcune stampe illustrative.
Possa ora
questo piccolo libro sulla vita di S. Lucia correre nelle mani di molti per
accendere nei cuori quella luce soprannaturale di cui la nostra Martire era
mirabilmente dotata.
Don Aldo Fiorin
Parroco dei Ss. Geremia e Lucia
Sul
finire del III secolo (anno 281?) nacque a Siracusa S. Lucia. La città natale
era famosa per essere stata fiorente centro di vita greca prima e poi
d’importante commercio, intimamente legata alle vicende delle guerre puniche:
conquistata da Roma nel 212 a. C. assolse una funzione notevole tra le città
della provincia di Sicilia.
Diffusosi
il cristianesimo in età apostolica per merito del vescovo S. Marziano, inviato
a Siracusa da
S. Pietro stesso secondo la tradizione, ospitò l’apostolo S. Paolo per
tre giorni nel viaggio verso Roma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli.
La fede di Cristo, nonostante le varie persecuzioni, si era potuta diffondere
notevolmente: quando nacque S. Lucia la colonia cristiana era assai numerosa
con le sue chiese e le sue catacombe cimiteriali.
Secondo
la tradizione, la famiglia della nostra santa era di nobile stirpe e ricca di
possedimenti terrieri: ci è lasciato il nome della madre: Eutichia; del padre
è detto che morì quando Lucia era quinquenne appena. Probabilmente egli poteva
chiamarsi Lucio, data la norma romana di porre alle figliuole il nome del padre.
Anche la famiglia forse era già cristiana se consideriamo il nome imposto a
Lucia, tipicamente cristiano secondo qualcuno, ispirato al testo paolino «
siete figli della luce ». Lucia significa senz’altro Luce per il dotto
Tillemont.
Cresceva
bella e buona la bimba siracusana, sotto lo sguardo vigile della madre:
soprattutto era bella nella modestia del portamento, onde la madre già pensava
per lei la soluzione di un felice matrimonio.
Invece
Lucia aveva ben altro proposito nella sua vita: si era consacrata perennemente
al Signore con voto di verginità. Neanche la madre fu a conoscenza di questo.
Soltanto
un insieme di circostanze fortuite resero manifesta la sua consacrazione al
Signore.
Alla
vicina città di Catania, ogni anno solevano andare in folla i cristiani per
venerare il corpo della vergine martire S. Agata, morta per la fede di Cristo
nel 231, durante la persecuzione di Decio. I miracoli, che avvenivano presso il
suo sepolcro, ne avevano diffuso la fama in tutta la Sicilia cristiana.
Il
5 febbraio del 301, festa della Santa, tra i pellegrini c’erano anche
Lucia ed Eutichia sua madre.
Da
oltre quarant’anni Eutichia soffriva di gravi emorragie, per le quali nessun
rimedio era stato utile: ormai aveva perduto ogni speranza di guarire.
In
quel giorno, durante i sacri misteri, fu letto il tratto evangelico, che
narrava l’episodio dell’emoroissa: una malattia identica alla sua. Il testo
evangelico fu compreso bene dalle due donne. Una fiducia insperata di poter
guarire provò Eutichia e viva fede ebbe Lucia nella potenza miracolosa di S.
Agata. L’emoroissa era guarita appena aveva toccato la veste del Signore: la
madre di Lucia sarebbe stata risanata se invece avesse toccato il sepolcro
della santa martire. Così Lucia suggerì a sua madre.
Sul
far della sera, quando tutti ebbero lasciato la chiesa, le due donne rimasero
nella penombra in fiduciosa preghiera accanto al sepolcro di S. Agata. Le loro
parole alla Santa erano di intensa richiesta di guarigione. A lungo però non
poterono pregare ché il sonno ebbe il sopravvento e Lucia si addormentò
profondamente lì nella penombra della chiesa, accanto al sepolcro della martire
catanese.
Nel
sonno le parve di aver presente una visione nitida: schiere e schiere di angeli
circondavano la vergine S. Agata, che
sorrideva a Lucia e le diceva:
« Lucia sorella mia,
vergine di Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere ? Infatti
la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è divenuta sana ».
Quando
Lucia si svegliò, rivelò alla madre la visione serena e le parole risanatrici
di S. Agata. Era guarita la madre. Inoltre era questo il momento opportuno .di
farle conoscere il suo voto di verginità. Così in realtà fece. Nessun
rammarico mostrò la donna per questo proposito santo: anzi le disse che ogni
sua cosa personale, dopo la morte, le sarebbe stata lasciata.
Il
momento era adatto per Lucia per suggerire alla madre propositi di maggiore
perfezione, giacché manifestava così vivamente il distacco dai beni della
terra; onde la consigliò di vendere tutte le sue sostanze e darle ai poveri.
Per
allora Eutichia non fece alcun progetto, ma poi, ritornate, a Siracusa, Lucia
riprese ancora a parlarle dell’ideale di perfetta povertà. Ben presto si decise
di vendere i suoi beni e distribuire il ricavato ai poveri, seguendo gli
esempi della primitiva chiesa di Gerusalemme.
Una
tale elargizione se era esemplare nella fervente comunità cristiana di
Siracusa, destava senz’altro lo stupore dei pagani, per i quali i beni di questo
mondo erano le cose migliori della vita. Ordinariamente un gesto del genere
era sintomo evidente di fede cristiana: solo i seguaci di Cristo giungevano a
disprezzare i beni della terra al punto da venderli e darli ai poveri. E così
pensò uno a cui molto interessavano i beni di Lucia: un giovane del quale la
tradizione non ha conservato il nome e che desiderava vivamente di farla sua
sposa.
Dalla
madre di Lucia volle sapere perché la figliuola vendeva le vesti preziose e
gli ornamenti; per quale ragione distribuiva il ricavato ai poveri, alle vedove
ed ai ministri del culto cristiano. Eutichia diede una risposta evasiva, che
per il momento lo rese tranquillo.
Ma
in seguito il sospetto che Lucia fosse cristiana divenne certezza: visto
fallire il suo desiderio di averla come sposa, poiché ella lo aveva respinto,
decise di denunciarla al prefetto della città come cristiana e di conseguenza
fossero applicati a lei i decreti imperiali.
Allora
per la chiesa cattolica non erano tempi tranquilli: l’imperatore Diocleziano
nel vano tentativo di arrestare l’inevitabile crisi dell’Impero romano stava
attuando varie riforme, da quella amministrativa a quella economica, fiducioso
di riportare lo Stato romano ai tempi migliori. Nel suo vasto piano di
rinnovamento generale, anche la riforma religiosa doveva avere la sua
importanza, come riforma delle coscienze: il culto imperiale doveva essere il
veicolo di penetrazione interiore del senso della romanità e della potenza
dell’impero. Approfittando di un complesso di circostanze, emanò i suoi editti
di persecuzione contro i cristiani il 24 febbraio del 303. Fu la più feroce
persecuzione la sua, soprattutto nelle province, dove funzionari zelantissimi
la applicarono ciecamente. Lattanzio (de mort. persec. 10) ha scritto pagine
celebri sulla furia di codesta persecuzione.
A
Siracusa era prefetto della città (meglio era correttore) Pascasio, succeduto
da pochi mesi a Calvisiano, che nell’agosto del 303 aveva condannato a morte
il vescovo S. Euplo.
Quando
Lucia gli fu portata innanzi sotto l’imputazione di essere cristiana, egli le
ordinò di sacrificare agli dei. Allora Lucia disse: Sacrificio puro presso Dio
consiste nel visitare le vedove, gli orfani e i pellegrini, che versano
nell’afflizione e nella necessità, ed è già il terzo anno da che io offro a
Cristo Dio tali sacrifici erogando tutto il mio patrimonio.
Pascasio
l’interruppe con senso d’ironia: Va a contare queste ciance agli stolti come
te, poiché io eseguo i comandi dei Cesari e perciò non posso udire siffatte
stoltezze.
Lucia
disse: Tu osservi i decreti dei Cesari come anch’io curo la legge del mio Dio
giorno e notte; temi pure le loro leggi, mentre io riverisco il mio Dio: tu non
vuoi mancare di rispetto a quelli ed io come mai oserò di contraddire il mio
Dio? Tu t’ingegni di piacere a loro ed io mi ingegno di piacere a Dio: tu
dunque fa come credi ti torna comodo ed io opero secondo è grato all’animo mio.
Pascasio
continuò: Tu hai prodigato le tue sostanze ad uomini vani e dissoluti.
Presso
i pagani, secondo quanto testimoniano le apologie di Minucio Felice e
Tertulliano, vigeva l’accusa che i cristiani praticassero riti dissoluti come
si notavano in altri culti misterici. Ma Lucia subito smentisce Pascasio
dicendogli: Io ho riposto al sicuro il mio patrimonio e la mia persona non ha
gustato la dissolutezza.
Pascasio
soggiunse: Tu sei la stessa dissolutezza in anima e corpo.
Lucia
rispose: Siete voi che costituite la corruzione del mondo.
Pascasio
disse: Cessi la tua loquacità; passiamo ai tormenti.
Lucia
replicò: E’ impossibile porre silenzio
ai detti del Signore.
Pascasio
riprese: Tu adunque sei Dio?
Lucia
rispose: Io sono serva del Dio eterno, poiché Egli ha detto: quando sarete
dinanzi ai re ed ai principi non vi date pensiero del come o di ciò che dovete
dire, poiché non siete voi che parlate ma lo Spirito Santo che parla in voi.
Pascasio
disse: Dentro di te c’è adunque lo Spirito Santo?
Lucia
rispose: Coloro che vivono castamente e piamente sono tempio di Dio e lo
Spirito Santo abita in essi.
Pascasio
disse: Ti farò condurre in un luogo turpe e così fuggirà da te lo Spirito
Santo.
Anche
per piegare altre vergini cristiane il giudice romano spesso era ricorso a
simili mezzi: tant’è vero che Tertulliano scriveva, con i suoi tipici giuochi
di parole, che esse temevano più il lenone che il leone: la prova cioè contro
la loro virtù piuttosto che le belve feroci.
Innanzi
alla fermezza della santa di non piegare agli ordini di Pascasio, questi
raduna della gentaglia per costringere Lucia ad obbedirgli. Ogni suo tentativo
riesce vano: neppure i soldati, neppure le paia di buoi riescono a smuovere
Lucia che sta immobile come una roccia (l’episodio è narrato, tra gli altri,
con potenza d’arte da Lorenzo Bassano in una pala della Basilica di S. Giorgio
Maggiore di Venezia).
Tutti
codesti prodigi furono ritenuti da Pascasio opera di magia, onde ordina che
attorno a lei si prepari il rogo e sì accenda la fiamma, secondo quanto si
usava contro i sospetti di arti magiche.
Vengono
tosto portate pece e resina, legname ed olio; tutto viene gettato contro la
Santa. Divampano le fiamme,. ma lei non ne è toccata. Anzi dice a Pascasio:
Pregherò il mio Signore perché questo fuoco non si impadronisca di me.
Pascasio
non si conteneva più dall’ira. Allora alcuni dei suoi amici per impedire che
fosse ancor più deriso dalla Santa e gli sforzi suoi risultassero del tutto
vani, tirarono giù Lucia dal rogo perché fosse finita con la spada.
Lucia
comprese che ormai era giunto il momento di confessare Cristo con il martirio:
si pose in ginocchio pronta a ricevere il colpo mortale.
Prima
però volle parlare alla gran folla che nel frattempo si era radunata attorno a
lei: disse che la persecuzione contro i Cristiani stava terminando e la pace
per la Chiesa era imminente con la caduta dell’imperatore Diocleziano. Ricordò
loro che Siracusa l’avrebbe sempre onorata così come la vicina Catania aveva
in venerazione S. Agata. Quando ebbe terminato di parlare, venne il colpo
mortale che le recise il capo consacrandone la verginità con il martirio.
Era
il 13 dicembre del 304, secondo quanto narra la tradizione.
Deposto il suo corpo nelle catacombe, che da lei
presero il nome, divenne il suo sepolcro ben presto famoso richiamando i fedeli
che ne ricevevano grazie abbondanti. Fu subito la Santa per eccellenza dei
siracusani. In iscrizioni greche delle catacombe siracusane, anche dopo un
secolo dal martirio è detto «la nostra santa Lucia ». Soprattutto è rimasta famosa
la iscrizione di Euschia venuta alla luce nel 1894 in escavi archeologici. Essa
dice «Euschia la irreprensibile, vissuta buona e pura per anni circa 25, morì
nella festa della mia Santa Lucia per la quale non vi ha elogio condegno: (fu)
cristiana, fedele, perfetta, grata al suo marito di morta gratitudine».
All’inizio del V secolo, data dell’iscrizione, la Santa
era ormai popolare: Euschia, questa donna, muore giovane nel giorno festivo
della sua patrona, che nessuno può elogiare in maniera conveniente giacché ormai
tutti ne conoscevano vita, virtù e prodigi. Secondo il breviario Gallo-Siculo
sopra il sepolcro di S. Lucia sarebbe stata innalzata una basilica nel 310:
addirittura sette anni dopo il martirio !
Se la notizia è discutibile per questa data, si può
peraltro ammettere che la basilica sia stata eretta non molto tempo dopo la sua
morte: comunque prima della citata iscrizione di Euschia.
Il suo culto
ben presto si diffuse fuori della Sicilia stessa come documentano le
stratificazioni più antiche del martirologio Geronimiano: prova ne siano
l’inserzione del nome della Santa nel Canone della Messa da parte di papa S.
Gregorio Magno ( 604), la devozione in Roma stessa, dove le vennero dedicate
una ventina di chiese e nell’Italia settentrionale, dove la troviamo effigiata
a Ravenna in S. Apollinare Nuovo nella processione delle vergini, in Inghilterra,
nella chiesa Greca, dove il Damasceno stesso compose la liturgia in onore
della Santa. Dopo le scoperte geografiche del secolo XV, il suo culto si
estende particolarmente nell’America Latina, nell’Africa, in alcuni luoghi
dell’America del Nord. Nella devozione popolare la sua vita si arricchisce di
particolari leggendari: il più famoso è quello di credere che la santa stessa
si sia levata gli occhi inviandoli in un bacile di argento al giovane, che si
era innamorato del loro splendore affascinante oppure, secondo la versione,
accettata fra l’altro anche dall’umanista Battista Mantovano, li abbia mandati
a Pascasio stesso, ma subito le siano stati rimessi con improvviso miracolo,
poiché S. Raffaele sarebbe sceso da cielo a compierlo.
Non sappiamo quando sia nata la leggenda (ma è
probabile di età umanistica), che presenta una particolare somiglianza con
episodi consimili verificatisi nella favolistica indiana: forse si è dato il
caso di omonimia con un’altra Santa, che si sarebbe tolta gli occhi per
liberarsi da un’incauta persona, o meglio per un processo di etimologia
popolare del nome ravvisando il rapporto: Lucia = luce, oppure come suggerisce
il Delehaye, quale ex-voto di devoto guarito. Di conseguenza, in base ai
principi della pietà popolare, S. Lucia fu invocata per proteggere la luce
degli occhi, cioè la vista. Forse, secondo quanto insinua il dotto Garana,
codesto rapporto è antichissimo, come può risultare dall’iscrizione di Euschia
del IV secolo, nella quale il nome della devota nel valore di « ombrosa » può
alludere ad affezione morbosa della vista. Certo nell’appendice miracolistica,
annessa al racconto della traslazione veneziana del 1280 (ma giuntaci in un
testo quattrocentesco), sono documentati alcuni miracoli di vista riacquistata.
Una prova ulteriore è data da quanto la tradizione afferma di Dante Alighieri,
almeno stando ai dati del figlio Jacopo, per cui il poeta sarebbe guarito da
grave danno alla vista subito per le lagrime sparse in morte di Beatrice, dopo
di aver invocato spesso S. Lucia durante il male, onde l’ha collocata nel
secondo canto dell’Inferno, nel nono del Purgatorio e nel trentatreesimo del
Paradiso: non più dunque in sola funzione allegorica, quanto invece come gesto
di riconoscenza devota.
Il culto
veneziano della Santa è provato tra l’altro dal Kalendarium Venetum del XI
secolo, e poi nei Messali locali del secolo XV, nonché nel Memoriale Franco e
Barbaresco dell’inizio del 1500, dove è considerata festa di palazzo, cioè
festività civile.
Sin dal 1107 sorgeva una chiesa in suo onore
all’estremità occidentale del Canal Grande, forse parrocchia nel 1182, dove
poi nel 1313 riscontriamo con sicurezza il corpo della Santa. In essa esisteva
la scuola a lei intitolata sin dal 1323, a cui nel 1703 fu aggiunto un
sovvegno. Ma in nessun’altra chiesa veneziana notiamo scuole in suo onore,
tranne a 5. Moisè, poiché qui sin dal 1313 esisteva una scuola per i ciechi,
onde fu naturale il culto alla Santa patrona della vista.
Prova più vasta dell’importanza della Santa nella
pietà veneziana è pure desumibile dalla sua iconografia in pale d’altare, per
buona parte di origine e sviluppo post-tridentino. Così si veda a S. Marco (mosaici
dei secoli XVI e XVII); nella pala con la Vergine e Santi, di Giovanni Bellini
a S. Zaccaria; a S. Giovanni in Bragora in polittico di Iacobello del Fiore;
in quella di S. Nicolò, del Lotto ai Carmini; a S. Giovanni Crisostomo, nella
pala di Sebastiano del Piombo; a S. Martino; a S. Elisabetta del Lido; a S.
Stefano nella pala dell’Immacolata, del Menescardi; a S. Giorgio Maggiore, di
Leandro Bassano; ai Tolentini, del Peranda; ai SS. Apostoli, di Giambattista
Tiepolo, ma soprattutto in chiesa, ora, a S. Geremia in tele della demolita
chiesa di S. Lucia.
Tralascio le altre documentazioni iconografiche nei
musei e raccolte private veneziane, poiché ora non sono più oggetto di culto;
alla pari accenno solo al vasto repertorio iconografico nella pittura veneziana
e veneta, fuori di Venezia, come, per fare un nome, in Cima da Conegliano.
Nell’ambito della diocesi, si notino le storie della Santa in affresco del
duomo di Caorle, navata destra, di anonimo trecentesco, e la Santa in pala di
altare laterale nella chiesa di Oriago, di anonimo settecentesco; in altare
laterale nella chiesa di Chirignago di anonimo neoclassico.
Il tipo iconografico, sino al periodo post-tridentino, non sempre la dà con gli occhi in mano: a volte, come in Cima, tiene la lampada verginale fra le mani (poittico di Olera; pala di Lisbona); il motivo degli occhi sul bacile di argento, sebbene sia presente anche in fase pre-tridentina, è poi costante in quella post-tridentina.
Il corpo di S.
Lucia rimase in Siracusa per molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu
poi portato nella basilica eretta in suo onore, presso la quale, all’inizio
del VI secolo, fu costruito un monastero. Nella minaccia araba per il suo
sepolcro nell’878, dopo la conquista islamica della Sicilia, il suo corpo fu
nascosto in un luogo segreto. Nel 1039, appena Maniace, generale di Bisanzio,
riuscì a strappare Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a Costantinopoli,
o come preda di guerra o, secondo l’affermazione della Cronaca del doge Andrea
Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e Costantino. Invece
secondo la tradizione francese, il corpo della Santa fu levato da Siracusa nel
corso del secolo VIII da Feroaldo, duca di Spoleto, dopo la conquista della
città che lo recò a Corfinio, donde il vescovo di Metz lo avrebbe trasferito
nella sua città episcopale. Indubbiamente qui si sviluppò un culto attorno a
codèste reliquie, sebbene, viene notato giustamente, si tratti di un’altra
martire siracusana, di nome Lucia e confusa per omonimia con la nostra Santa.
La linea maestra della tradizione afferma che il suo corpo fu tolto da
Costantinopoli nel 1204 dal doge veneziano Enrico Dandolo, dove lo aveva
trovato assieme a quello di S. Agata, ed inviato a Venezia. Invece secondo una
variante, documentata dal codice secentesco, o Cronaca Veniera, della
Biblioteca Marciana di Venezia (It. VII, 10 (= 8607) f. 15 v.), esso sarebbe
stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, sotto il
dogado di Pietro Centranico. Non sappiamo l’origine della notizia e se derivi
da una fonte anteriore, per quanto un fondato sospetto induca ad un errore
meccanico di amanuense, che ha letto 1026 per 1206, cioè gli anni della
traslatio ufficiale. E nella Cronaca Veniera lo si accettò, armonizzando il
fatto con il doge dell’epoca. Certo è difficile una precisazione storica di
codeste reliquie, esente da qualsiasi sospetto, almeno allo stato attuale delle
cose; per noi è prudenza elementare prendere atto della presenza del suo corpo
in Venezia sin dal 1204. Ma si noti che in Venezia esisteva già una chiesa
dedicata alla martire nel 1167 e 1182, come lo provano inequivocabili documenti,
per cui è probabile che la determinazione di trasferire le reliquie nelle
lagune sia stata originata dalla necessità di arricchire una chiesa veneziana,
come d’altronde si verificò per altri casi consimili.
Comunque a Venezia il suo corpo fu collocato nella
chiesa di S. Giorgio Maggiore e determinò un flusso di pellegrinaggi, che nel
giorno d’ella festa (13 dicembre) assumeva proporzioni impressionanti, nell’andirivieni
di imbarcazioni. Il 13 dicembre 1279 accaddero tragici fatti. Alcuni pellegrini
morirono annegati in seguito al capovolgimento delle imbarcazioni per
l’insorgere di un turbine improvviso.
Il Senato, ai fini di evitare ancora consimili
dolorosi incidenti, decise che il corpo della Santa fosse portato in una
chiesa di città. Fu scelta la chiesa di S. Maria Annunziata o della « Nunciata
» nell’estremo sestiere di Cannaregio, dove furono poste le preziose reliquie
trasferite da S. Giorgio il 18 gennaio 1280 con una solenne processione.
Nel 1313 fu consacrata una nuova chiesa dedicata a
S. Lucia, nella quale le reliquie della Santa furono deposte definitivamente.
Nel 1441 papa Eugenio IV dava questa chiesa, che era
piccola parrocchia, in commenda alle monache del vicino monastero del Corpus
Domini; nel 1478 invece papa Sisto IV, dopo una vivace contesa tra il monastero
della Nunciata e la parrocchia, che a volte assunse fasi davvero ridicole,
concedeva chiesa e parrocchia alle monache del monastero della Nunciata, che
avanzavano diritti contro quelle del Corpus Domini sul possesso del corpo della
Santa: la lite insorta fra i due monasteri fu risolta in favore di quello
della Nunciata, come si è visto: però esso doveva sborsare ogni anno 50 ducati
a quello del Corpus Domini.
Nel 1579 passando per il Dominio veneto l’imperatrice
Maria d’Austria, il Senato volle farle omaggio di una reliquia di S. Lucia.
Con l’assistenza del patriarca Trevisan fu levata una piccola porzione di carne
dal lato sinistro del corpo della Santa.
Altre reliquie della Santa si trovavano a Siracusa,
recate nel 1556 da Eleonora Vega, che le ottenne a Roma dall’ambasciatore di
Venezia’ così pure avvenne per alcuni frammenti di braccio sinistro, recati
ivi nel 1656 da Venezia, dal cappuccino Innocenzo da Caltagirone. Reliquie
ancora sono possedute a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vicenza
e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio Maggiore, dei SS. Apostoli, dei
Gesuiti, dei Carmini.
All’estero sono documentate a Lisbona nel 1587, con
una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del Belgio nel 1676; a Nantes, in
Francia, nel 1667. Nel 1728 una parte dell’urna fu donata a papa Benedetto
XIII.
Una nuova chiesa, al posto di quella antica, fu
costruita tra il 1609 e il 1611, su schemi palladiani, riecheggiante l’attuale
delle Zitelle, con due torri campanarie in facciata.
Per completarla, giravano per la città alcuni incaricati
dalle monache a raccogliere le offerte dei fedeli con la cassella concessa dal
Magistrato della Sanità.
Il 28 luglio del 1806, in seguito alla soppressione
napoleonica, chiesa e monastero furono chiusi e le monache si rifugiarono in S.
Andrea della Zirada, portando con sé le reliquie della Santa. Poco dopo, non
potendo rimanere lì per ragioni di spazio, con il consenso del Ministero del
culto ritornavano ancora all’antica sede insieme con il corpo di S. Lucia.
Nel 1813 il convento di S. Lucia veniva donato
dall’imperatore d’Austria alla b. Maddalena di Canossa, che vi abitò fino al
1846, quando si iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e per la
demolizione del convento. Per il momento la chiesa non fu toccata. Invece nel
1860 dovendosi ampliare la stazione ferroviaria, nella stolida furia
distruttiva dell’epoca, fu abbattuta anche la chiesa di 5. Lucia seguendo la
triste sorte di tante altre chiese veneziane. Vero è che minacciava rovina,
fatiscente ormai di secoli e di umane malizie. Si sarebbe potuto ripararla e risolvere
diversamente le esigenze della stazione ferroviaria. Invece presi accordi con
l’Autorità Ecclesiastica, si decise di trasportare il corpo della Santa nella
vicina parrocchiale di S. Geremia. Per la traslazione, avvenuta l’11 luglio
1860, intervenne il patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e popolo della
città: sette giorni rimase il sacro corpo sull’altar maggiore, poi fu posto su
un altare laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre anni dopo,
l’11 luglio 1863, il patriarca Trevisanato la inaugurava: essa era stata
costruita con il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia su
gusti palladiani. Finalmente per la generosità di Mons. Sambo, parroco di
quella Chiesa (che nel frattempo venne ad assumere la denominazione « dei Ss.
Geremia e Lucia ») su disegno dell’arch. Gaetano Rossi veniva preparato alla
Santa un più degno altare in broccatello di Verona con fregi di bronzo dorato.
Il 15 giugno del 1930 il servo di Dio patriarca La Fontaine lo consacrava e
collocava il corpo incorrotto della Santa nella nuova urna in marmo giallo
ambrato, che lo sovrasta. Nel 1955 il patriarca Angelo Roncalli, poi papa
Giovanni XXIII, volle che fosse data più condegna importanza alle sacre
reliquie, suggerendo l’esecuzione di una maschera d’argento, curata dal
parroco di allora don Aldo Da Villa.
Infine,
nell’anno 1968, per iniziativa del parroco prof. don Aldo Fiorin e la
generosità di benefattori, la Cappella e l’Urna sono state completamente restaurate.
E
nel suo tempio ancor oggi riposa la Martire, meta venerata di tanti
pellegrinaggi, con l’augurio inciso nella bianca curva absidale, che si
specchia sulle acque del Canal Grande:
LUCIA
VERGINE DI SIRACUSA
MARTIRE DI CRISTO
IN QUESTO TEMPIO
RIPOSA
ALL’ITALIA AL MONDO
IMPLORI
LUCE PACE
Nella stesura della vita della Santa ci si è
attenuti al testo della Passio del codice greco Papadoupolos, edito dal Gaetani
(O. GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum, Palermo
1637, pp. 114-115) e ripubblicato da C. BARRECA, Santa Lucia di Siracusa. Pagine storiche, Roma 1902.
Per il suo valore critico si veda, oltre il citato
Barreca: O. GARANA, S. Lucia di Siracusa. Note agiografiche, Archivio storico siciliano, I
(1955), pp. 15-22, in cui sono
elencati altri codici greci della Passio della Santa, finora ignoti, che possono
suscitare interessanti questioni sul tipo del suo martirio.
S.
COSTANZA, Un « Martyrion » inedito di S.
Lucia di Siracusa, Archivio storico siracusano, III (1957), pp. 1-53 dell’estratto,
il quale pubblica una recensione medita della Passio, più ampollosa della
consueta e ricca di particolari romanzeschi. A pp. 5-6 nota esauriente sulle fonti della vita della Santa, con
riferimento alla BHL e BHG.
Nella narrazione presentata ci si è voluto astenere
da ogni valutazione critica su elementi più o meno favolosi di detta Passio:
chi voglia conoscerne l’aspetto critico può consultare utilmente: S. Lucia di A. AMORE, Enciclopedia Cattolica, VII, col. 1618
e relativa bibliografia, e G. RICCIOTTI, La
Era dei Martiri. Il cristianesimo da Diocleziano a Costantino, Roma, 1953, p. 177.
Tra le altre operette di divulgazione ricordo C. S.
R., La Gemma di Siracusa, Catania 1913, un breve opuscolo, che dà una
versione diversa del codice Papadoupolos sulla morte della Santa, riferita,
secondo pure la lezione del Breviario Romano, per ferimento alla gola; nonché
G. MAINO, S. Lucia vergine e martire, Bari
1950.
O. GARANA, S. Lucia, Siracusa 1958.
A. SANTELLI,
Santa dei ciechi d’oggi: S. Lucia e noi, Roma
1958.
O. GARANA,
Recenti studi sul martirio di S. Lucia in
S. Lucia, Siracusa 1962, pp. 36-37.
G. CINQUE, S. Lucia vergine e martire, Napoli 1963.
Sull’origine del particolare biografico della enucleazione
degli occhi si veda H. HERN, Een indische
wedergade van der legende der heilige Lucia, in De Gids, 1917, III, pp. 531-40 e la recensione di H. DELEHAYE in Analecta Bollandiana, XXXIX (1920-1921), p. 162, nonché dello stesso Les légendes hagiographique, Bruxelles 1955, p. 44; Cinq le~ons sur la méthode hagiographique, Bruxelles
1934, p. 134.
Per le questioni connesse con il nome si veda: C. TAGLIAVINI, Un nome al giorno, Torino
1956, p. 427.
MARTIGNY, Dictionnaire des antiquités chretiennes, Parigi
1887, p. 512.
Per Pascasio, sul suo nome e problemi vari si veda:
P. ALLARD, Storia critica delle persecuzioni, IV, Firenze
1923, p. 391 e segg.
Per il 13 dicembre, giorno del martirio, si veda:
J. CARCOPINO, Salluste et le culte des Ceréres et les Numides, Revue historique, CLVIII
(1928), p. 1 e segg.: secondo l’illustre studioso
il 13 dicembre non sarebbe il dies natalis della Santa, ma un giorno
scelto come sostituzione della festa pagana di Cerere, che cadeva il 13
dicembre. L’usanza siciliana, documentata oggi da O. GARANA, S. Lucia, Siracusa 1958, p. 89, di
consumare ritualmente la « cuccia », cioè
il grano nuovo cotto, nel dì della Santa, ne è una convalida.
Per la storia del culto si veda:
P. FUIANI, Profili della vita e del culto di Santa Lucia, Siracusa 1887, p. 93 e segg.
C. BARRECA, Santa Lucia, Roma 1902, p. 30 e segg.
H. DELEHAYE, Les
origines des cultes des Martyrs, Bruxelles 1933, p. 310; e dello stesso, Etude
sur le légendier romain. Les saints de Novembre et de Décembre, Bruxelles 1936, p. 56.
S. L. AGNELLO, Silloge di
iscrizioni paleocristiane della Sicilia, Roma 1953, p. 66, dove risulta che
l’epigrafe di Euschia non sarebbe in relazione (ma forse a torto) con S. Lucia.
5. L. AGNELLO, Recenti esplorazioni
nelle catacombe siracusane di S. Lucia, Rivista di archeologia cristiana, XXX (1954),
pp. 1-60.
Sulla lipsanologia della Santa e storia del culto a
Venezia si rimanda a:
Narrazione
della traslazione del corpo di S. Lucia da Siracusa a Costantinopoli e da
Costantinopoli a Venezia, Venezia 1626.
F. CORNER, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis
illustratae ac in decades distributae, VIII, Venezia
1749, pp. 333.
E. ZANOTTO, Vita di S. Lucia vergine martire, Venezia 1861, dove è riportata la notizia,
tra l’altro, di Battista Mantovano sull’estrazione degli occhi.
C. RIANT, Exuviae Sacrae Costantino politanae, I, Ginevra 1877, pp.
184-186; 263-265; lI (de
reliquiis in Italiam advectis: ad Venetias), pp. 290-302.
E. LACCHIN, La vita di S. Lucia, Venezia, s. d.
G. DAMERINI, L’isola e il cenobio di S. Giorgio Maggiore, Firenze 1956, pp. 92, 92, 95.
G. IMBRIGHI, I santi nella toponomastica italiana, Roma
1957, p. 26. Secondo l’Autore, S. Lucia ha dato il nome a 45 luoghi italiani
(più di ogni altra Santa), dei quali 19 in Italia meridionale, 14 nella
centrale e 12 nella settentrionale. Tra questi, 8 si trovano nel Veneto, che
detiene il primato relativo tra le regioni italiane.
O. GARANA, I Siracusani rinnovano, « Corriere della Sicilia », 13 dicembre 1957. Lo studioso
siracusano rifà la storia delle reliquie della Santa possedute dai siracusani
nonché ricorda i vari tentativi compiuti dai suoi concittadini per riavere da
Venezia il corpo di S. Lucia, avanzando proposte per ottenere una reliquia
insigne.
Ma soprattutto per il culto veneziano si rimanda a:
G. MUSOLINO, Santa Lucia a Venezia, Venezia
1961, con ricchezza pressoché completa di particolari per le vicende storiche,
per le reliquie, per l’iconografia, sino agli aspetti folcloristici, con
aggiornamento bibliografico. Ora vi si aggiunga: G. TRAMONTIN, A. NIERO, G.
MUSOLINO, C. CANDIANI, Culto dei santi a
Venezia, Venezia 1965, in particolare: pp. 198-199 (sulla lipsanologia, di
A. NIERO); 229-230 (sul culto, di G. MUSOLINO); 323 per la festività liturgica.
Per altri luoghi ivi citati, si veda l’indice analitico dei santi, a p. 334.
Tuttavia per l’iconografia si aggiunga:
G. KAFTAL, Iconography o/the saints in
Tuscan painting, Firenze 1952, coli. 643-646, ed ora dello
stesso, I conography o/the saints in
central and south italian painting, Firenze 1965, nonché Cima da Conegliano, a cura di LUIGI MENEGAZZI, Venezia 1962.
Per l’origine e sviluppo del suo culto nel Veneto si
veda per il documento dell’824, R. CESSI, Documenti
relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, I, Venezia 1940, p. 75;
per la diocesi di Vicenza si veda:
G. MANTESE, La chiesa vicentina: panorama storico, Vicenza
1962, p. 184;
per
la diocesi di Concordia:
E. DEGANI, La diocesi di
Concordia, Udine 1924, pp.510, 333;
per
le diocesi di Verona e Treviso si veda:
Rationes decimarum Italiae nei secoli XII e
XIV. Venetia- Histria- Dalmatia, a cura di P. SELLA e G. VALE,
Città del Vaticano 1941, p. XII e n. 880.
Per
le regioni italiane nei secoli XII e XIV, si veda:
Rationes
decimarum Italie nei secoli XIII e XIV: Tuscia, Città
del Vaticano, 1932; Aemilia, ib. 1933; Aprutium-Molisium, ib. 1936; Apulia - Lucania - Calabria, ib. 1939; Sardinia, ib. 1943; Sicilia, ib. 1946; Latium, ib. 1946; Marche, ib.
1950; Umbria, ib. 1952, ai rispettivi indici di luogo.
Inoltre alcuni articoli di
carattere divulgativo, ma validamente documentati, sulle vicende delle
Reliquie della Santa e del suo culto, si possono leggere ne «La Custodia di Santa Lucia », periodico
edito dal Tempio dei Ss. Geremia e Lucia, Venezia.