LA STORIA DELLA NOSTRA PARROCCHIA

 

Il territorio della Parrocchia

 

I mercanti del Medio Evo si portavano nei principali centri mercantili e qui operavano come intermediari tra la madrepatria e gli altri mercati.

 

Essendo la nostra città, insieme a Pisa e Venezia, uno dei tre principali empori della penisola, i lucchesi si stabilirono a Genova per poter più agevolmente esercitare il commercio verso i porti dell’Oriente.

 

Genova, amicissima di Lucca, era per questa un posto ideale per il suo commercio, non bastandole il piccolo porto di Viareggio ed essendo più sicura sotto il gonfalone crociato. Del resto non poteva essere scelta Pisa perché per la sua vicinanza i lucchesi erano con questa in continue guerre, e neppure si presentava allo scopo Venezia perché troppo lontana.

 

Bisogna notare che i mercanti lucchesi in Genova godevano di speciali privilegi, nonostante che abitassero fuori di porta stabilendosi, nel secolo XII, sulla Piana del Bisagno.

 

 

 

La vecchia chiesa

 

Fondarono una Cappella dedicata al “Volto Santo”, l’antica devozione al Volto di Cristo Crocifisso come è rappresentato nel Duomo di Lucca. Dopo la morte di Santa Zita, la Cappella ne prese il nome. Vennero le alluvioni, gli straripamenti del Bisogno, le guerre ecc.: la piccola chiesa venne distrutta e ricostruita diverse volte, spostando la costruzione più distante dal mare e dalla riva del fiume.

 

L’ultima costruzione dell’antica chiesa di Santa Zita era fabbricata con lo stile dei vecchi oratori. Con la facciata prospiciente la Via Santa Zita, aveva alla sinistra la piazza omonima dove si svolgevano, nelle maggiori solennità, le tradizionali fiere borghigiane di cui erano manifesto indizio i numerosi anelli murati alla parete esterna della chiesa. Ivi gli abitanti dei borghi del Bisagno assicuravano il loro bestiame, mentre all’interno dell’oratorio si svolgevano le sacre funzioni, ed ai canti elevati a Dio si univano spesso belati e muggiti in una fusione armonica non sempre inappuntabile.

 

Sorgeva allora sulla piazza un pozzo d’acqua freschissima e assai buona, e vi erano diverse locande. Celebre “La locanda dei cipressi” e quella “Al cancello di ferro”; né deve dimenticarsi l’osteria del “Cillo” detta anche “Dell’Albero di fico” con l’ingresso da Via Santa Zita. La modesta chiesuola era di forma rettangolare, come tutti gli oratori del tempo, con piccolo alloggio per il cappellano addossato alla facciata. La porta principale, che ora si trova all’ingresso dell’attuale chiesa in via Santa Zita 2, aveva sopra l’architrave il Crocifisso con Maria Santissima e San Giovanni scolpiti in marmo opera del Paracca (1564).

 

Nella facciata si apriva una loggia dalla quale parlò San Vincenzo Ferreri alla folla; questo fu riprodotto in un affresco sulla porta principale. L’intera chiesa misurava metri 7.60 di larghezza per 21.50 di lunghezza oltre il presbiterio di metri 4.50.

 

 

 

 

L’erezione in Parrocchia

 

Il Borgo Pila dalla metà del 1800 andava intanto sempre più modificandosi per il crescere della popolazione e per l’ampliamento della città fuori porta orientale, e i floridissimi orti cedevano il posto alle nuove vie e piazze fiancheggiate dai nuovi fabbricati.

 

Già nel 1871 i maggiorenni della comunità avevano rivolta umile supplica all’Arcivescovo per l’erezione in parrocchia della chiesa di Santa Zita; la supplica fu accolta in data 29 Gennaio 1874, Mons. Magnasco dichiarava parrocchiale la chiesa di Santa Zita. Concedeva pertanto “agli abitanti residenti nei confini designati piena e libera facoltà di costruire nella detta chiesa parrocchiale il Fonte Battesimale, il campanile con le campane e tutte le altre insegne della parrocchia; come pure di costruire e ritenere proprio un Cimitero, secondo le norme da stabilirsi e quando ve ne fosse stata la necessità.”

 

Si doveva considerare (sono parole del decreto su accennato) che la comunità residente in Borgo Pila, tra i confini parrocchiali delle Chiese di S. Francesco d’Albaro, di S. Pietro e dei Diecimila Crocifisso, sempre aumentava di numero e contava ormai quattromila e più abitanti, e che detta comunità possedeva una chiesa propria di ampiezza sufficiente, provveduta di sacre suppellettili per il culto e di ambienti per una decente residenza di due sacerdoti, con una rendita sufficiente “pro congrua Parochi sostentazione”. Inoltre il Borgo Pila era troppo lontano dalle chiese parrocchiali confinanti perché tutti potessero accedervi senza pericolo o con massima difficoltà nel tempo invernale. Il decreto pure stabiliva che la nuova parrocchia “in ricognitionis et debiti honoris signum” avrebbe offerto ogni anno alla Matrice di S. Francesco d’Albaro 24 libbre di bianca cera.

 

 

 

La nuova chiesa. Posa della prima pietra

 

Dopo la donazione del terreno da parte della Duchessa di Galliera, nel cuore degli abitanti di Borgo Pila fu un continuo alternarsi di ansie e di speranze intorno alla sorte del nuovo tempio.

 

Infaticabili furono i fabbricieri ed il parroco don Carlo Luxoro (prima Rettore dell'antica chiesa, poi dal 1856 al 1874 parroco e dal 1876 effettivo dopo la presa del possesso) i quali escogitarono ogni mezzo per costituire i fondi necessari per una costruzione di tal genere, né mai desistettero dall’esporre, nei momenti più opportuni, ai supremi amministratori della Duchessa la necessità che fossero tolte le clausole restrittive all’atto di donazione del terreno, pena, in caso contrario, di annullare l’effetto dell’atto medesimo.

 

In particolare i suddetti amministratori furono assicurati che il Municipio provvedeva già largamente al bisogno della pubblica istruzione nel Borgo Pila, sicchè era bene circoscrivere al solo insegnamento religioso l’obbligo della scuola, sotto l’insegnamento del parroco.

 

Tutto sembrava avviarsi a buon fine e ad ottima riuscita, quando la morte rapiva agli abitanti di Borgo Pila il loro primo parroco don Carlo Luxardo il 22 settembre 1890. Gli successe il Sac. Don Cosma Traverso

 

In una giornata che ci piace immaginare inonda dal sole più pieno – come piena doveva essere la gioia del Borgo Pila con il prevosto Cosma Traverso e la Fabbriceria – Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Tommaso Reggio (ora elevato agli onori degli altari N.d.W.), Arcivescovo di Genova, poneva la prima pietra della sua  nuova monumentale chiesa di Santa Zita. La costruzione della chiesa procede lentamente e solo il 15 Agosto 1899 può essere benedetta e si può celebrare per la prima volta la Santa Messa. Monsignor Tommaso Reggio benedice la nuova costruzione assistito dal Vicario Generale Monsignor Canavello e dal Commendator E. Calegaris, in rappresentanza del Sindaco Onorevole Pozzo, che interviene poi alla funzione vespertina. Celebrò la prima messa Mons. Poggi, abate di N.S. del Rimedio.

 

La costruzione è tozza, arriva solo alla base della cupola ed a tale altezza è posto un tetto di legno a terrazzo. Le difficoltà finanziarie sono enormi. È lanciato un prestito di Lit. 200.000 diviso in cartelle da Lit. 20 cadauna, autorizzato dalla Corte d’Appello di Genova in data 28 gennaio 1902, per soddisfare alle passività e provvedere al completamento della Chiesa.

 

L’esito è poco soddisfacente e se permette l’ammortizzamento della passività non da però la possibilità della ripresa dei lavori.

 

I tempi si fanno più tristi ed in particolare la guerra del 1915/18 segna una lunga stasi. Il 13 aprile 1923 muore don Cosma e don Angelo Piana gli succede come prevosto.

 

Fin qui si è parlato della storia della parocchia per quanto riguarda la costruzione, cioè il contenitore, ma c’era anche il contenuto, cioè l’attività del popolo cristiano che viveva della famiglia, del lavoro e del ritmo delle tradizioni parrocchiali che, per tutte le parrocchie del Levante cittadino, erano alternate dai sacramenti e dalle feste proprie di ogni parrocchia.

 

Per S.Zita la celebrazione era nei giorni vicini al 27 aprile, giorno liturgico della santa, con processione, canti e confluenza di persone da tutto il Bisagno, Albaro e città ad est. Il torrente Bisagno si gonfia di acqua quando sono abbondanti le piogge di primavera ed autunno, ma in pochi giorni lascia asciutte le rive e si popolano di gruppi e di attività popolari per un incontro gioioso.

 

Dopo la 1ª guerra mondiale però don Piana si trova a dare un’impronta attiva alla comunità. Nascono i gruppi di Azione Cattolica, il Bollettino Parrocchiale e attività di gite insieme fuori città, ecc. Opera sul piano della carità con “le donne della S.Vincenzo” perché la popolazione aumenta vertiginosamente e si arriva ai 20 mila abitanti. C’erano quindi molti poveri, come sempre ha assicurato Gesù, e si dovevano cercare per aiutarli. Nascono la banda S.Zita, la Soc. Operaia Cattolica e cresce numericamente la Confraternita, la più antica forma di associazione.

 

 

La cupola

 

Il 1926 segna finalmente la ripresa dei lavori, con la costruzione della cupola, per il completamento dell’opera, per quanto riguarda il volume solo della chiesa.

 

Tre anni di intenso lavoro occorrono al compimento dell’opera e il 27 aprile 1929, festa di Santa Zita, Mons. C.D. Minoretti, Arcivescovo di Genova, benedice e inaugura solennemente la nuova cupola.

 

La cupola diventa subito il simbolo del quartiere ed anche oggi dire S.Zita è dire la grande cupola (e dire grande cupola è dire quella di S.Zita?). È a forma ottagonale, alta circa 60 metri, diametro del circolo iscritto di metri 25,30, diametro del circolo circoscritto di metri 27,50. Lo stesso Card. C.D.Minoretti lasciò uno scritto, conservato nell’archivio parrocchiale, in cui elogia il parroco ed i collaboratori, i parrocchiani e gli amici che hanno saputo erigere un monumento così significativo.

 

 

 

Gli anni della II guerra mondiale

 

L’euforia dei molti semplici cede alla terribile realtà dell’inizio degli anni quaranta quando allo scoppiar della guerra tutto quanto sembra crollare.

 

La lapide che ricorda ai posteri i caduti della guerra 1915/1918 del Borgo Pila posta sul palazzo municipale dell’anagrafe in Corso Torino, subirà un triste e terribile prolungamento nei cinque lunghissimi anni di guerra.

 

 

Lenta ripresa

 

La guerra è terminata e per fortuna la chiesa è uscita dai bombardamenti con ben pochi danni. Una bomba esplosa in Corso Buenos Aires procurerà qualche lesione alla copertura della cupola,  non pregiudicandone la stabilità, e la rottura delle vetrate. Mons. Piana che da vari anni è sofferente e degente in casa il 28 febbraio 1947 ritorna alla casa del Padre, pietra viva della Gerusalemme celeste.

 

È eletto prevosto in Santa Zita don Domenico de Barbieri. Tutta Genova, come il resto d’Italia, inizia il lungo travaglio della ricostruzione materiale e morale; si curano le ferite della guerra e si cerca in un nuovo assetto politico e spirituale la ripresa del Paese. Non è un compito facile neppure per la Parrocchia di Santa Zita e più che alla costruzione del tempio si deve pensare al recupero delle anime.

 

Per quanto concerne il tempio sono realizzate in questi anni due opere particolari, l’intonacatura dell’interno e la costruzione dei locali attorno alla base della cupola.

Solo nel 1958 sarà realizzato il pavimento marmoreo della chiesa. Non sono queste opere eccessivamente impegnative, tanto più che il prevosto non si sente di “fare l’impresario” e ben opportunamente si dedica alla pastorale, specie del confessionale e dell’archivio.

È lenta e difficile la ripresa delle associazioni parrocchiali, proprio perché Borgo Pila ha perduto il suo volto di famiglia, vecchio stampo, per assumere quello moderno, ma amorfo, di quartiere in parte residenziale, in parte “city”.

 

 

 

Verso il completamento

 

All’inizio del 1966 don Domenico de Barbieri è nominato Monsignore canonico primicerio della Metropolitana di San Lorenzo. Ai primi di Marzo è nominato Parroco don Giovanni Malosetti.

 

L’antico cappellano di Santa Zita, ora Cardinale Arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, comunicandogli la nomina gli presenta una lunga serie di lavori che si attende siano fatti con meta finale la consacrazione della Chiesa.

 

“Attendo dal Signore ancora questa grazia prima di chiudere gli occhi: consacrare la chiesa cui ho dedicato i miei primi 14 anni di sacerdozio.”.

 

Dai verbali della Fabbriceria del 7 giugno e 28 Luglio 1966 risulta presentato ed approvato il piano per una definitiva sistemazione esterna ed interna della Chiesa. Evidentemente don Malosetti non vuole perder tempo e il piano che presenta alla Fabbriceria non è certo per tempi brevi; eccone i termini:

 

            Riordino casa canonica e appartamento sopraelevato

            Riscaldamento canonica

            Ascensore

            Appartamenti Rev.di Curati

            Appartamento sacrestano

            Sistemazione atrio da Via Santa Zita

            Intonacatura e soppalco sacrestia per ricavare nuovo locale per opere parrocchiali

            Facciata e sagrato da Corso Buenos Aires

            Altar Maggiore e Altari Laterali

            Sistemazione interno.

 

Con lo stesso coraggio dei suoi predecessori affronta immediatamente l’attuazione del piano. Entro il 1968 sono sistemati i servizi (canonica, sacrestia, ecc.) nel contempo si affronta il “problema facciata”.

 

Va ricordato che di progetti per sistemare la facciata ve n’erano stati diversi, uno dei quali prevedeva addirittura il prolungamento del porticato esistente nel palazzo dell’Augustus.Vennero tutti abbandonati e la soluzione fu affidata all’Architetto Ing. Angelo Sibilla il quale propose una soluzione che si teneva strettamente legata allo stile neoclassico dell’edificio e al tempo stesso sfruttava come zona di respiro l’area attorno ad esso, fino ad allora recintato da pesante cancellata.

 

 

La consacrazione

 

Ormai tutto era pronto per realizzare l’antico desiderio del “Cappellano di Santa Zita” dedicando il tempio con la sua solenne consacrazione a “Dio Ottimo Massimo e Santa Zita” come sta sul frontespizio della chiesa che venne celebrata il 28 giugno 1975 da Cardinal Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, assistito dal Reverendo don Giovanni Malosetti, prevosto.

 

La cerimonia fu tutta, solo ed esclusivamente religiosa, niente battage esterno, quasi a voler ricordare il travaglio che dal lontano 12 novembre 1893, posa della prima pietra, aveva accompagnato per ben 82 anni l’opera di quattro parroci.

 

Quando dagli anni ’60 le ideologie politiche, filosofiche e morali ,piano piano, rompono il monolitico mondo Cattolico, sempre più con fatica i sacerdoti guidati da don Gianni Malosetti, cercano di combattere la battaglia della fede. Tempi di frazionamento, di allontanamento dalla pratica e dalla testimonianza della convinzione cristiana. I più deboli ed attivi prendono strade ed attività contrarie, i più pigri entrano nella grande schiera degli indifferenti. I pochi che rimangono, rinnovano l’impegno con la loro maggiore partecipazione alla vita sacramentale e di collaborazione alla vita della parrocchia.

 

Don Gianni si ammala: disturbi al cuore, precoce invecchiamento, lo obbligano negli ultimi 5 anni a stare periodicamente lontano dalla parrocchia. Dopo 25 anni (dal 1966 al 1991) di guida parrocchiale, suo malgrado rinuncia alla responsabilità di parroco e viene dal Card. G.Canestri trasferito come cappellano delle Suore di clausura Romire di S.G.Battista, nel convento di Sturla; vi rimarrà 4 anni. Ritorna poi in parrocchia come ospite, restando molto caro a tutti i sacerdoti e fedeli. Morirà, mirabilmente assistito, il 4 aprile 1998.

 

Il 1° giugno 1991, don Francesco Pedemonte, nato a Quinto al mare il 13-10-’32, e parroco nella parrrocchia di N.S.delle Grazie nel comune di Recco dal 1971, viene nominato parroco di S.Zita. Già il 29 aprile don Franco incontrava don Gianni per un trasferimento di una realtà parrocchiale complessa e per alcuni aspetti molto problematica. Si presentava un complesso di strutture con particolari esigenze di manutenzione: cupola, tutti i tetti, facciate, locali interni, soffitti interni della chiesa e locali delle abitazioni inagibili. Le nuove opere di don Gianni erano operanti, ma tutto quello che aveva la bella età di 60/70 anni era in decadenza.

 

Dal 1992 tutto l’edificio si sta rinnovando con la spesa di ingenti somme, affidandoci unicamente alla generosità dei parrocchiani. Con coscienza chiara è stato fatto di tutto una programmazione oggettiva. Circa la comunità dei parrocchiani, tutti sanno cos’è stato e cos’è il dopo Concilio e quanto i fedeli siano oggi apatici e lontani. Con coloro che sono impegnati nella comunità , sia con don Gianni e poi con don Franco, c’è tutto l’impegno possibile per presentare a tutti una vita parrocchiale fondata sull’accoglienza evangelica, un culto solenne e partecipato e una testimonianza dei valori essenziali quali la speranza e la carità per i molti poveri che bussano alla porta.

 

Non mancano nuove iniziative secondo le esigenze dei tempi: accoglienza degli immigrati, delle comunità orientali e presentazione della fede Cristiano Cattolica . Per questo ospitiamo un gruppo di immigrati latino americani, la comunità Copta Ortodossa Egiziana, ed è in preparazione , nei nuovi locali che completano il vecchio edificio (sia per abitazioni che per attività) una biblioteca-libreria che diventerà un cuore della parrocchia: il cuore delle idee e valori. Nuovo è il gruppo scout d’Europa (F.S.E.), nuovo il gruppo Ministri delle S.Comunioni accanto alla Caritas ed alla antica Confraternita. Il gruppo catechisti e la Legio Mariae Presidium Turris eburnea e Regina Pacis operano nel campo apostolico e catechistico. In risposta alle scelte dei vari Arcivescovi che in questo ultimo ventennio si sono avvicendati, nuovi impulsi si accolgono e altre attività si mettono in cantiere.

 

 

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