SPERMATOPHYTA

Sono piante provviste di semi, aplodiplonti, eteromorfe, con alternanza di gametofito e sporofito. Lo sporofito, predomina sul gametofito, sia per lo sviluppo sia per struttura e, diversamente che nelle felci, sempre completamente autonomo dal gametofito.

Il gametofito è ora protetto dallo sporofito, in definitiva si potrebbe considerare parassita il gametofito femminile, che è completamente protetto, mentre il gametofito maschile vive in parte a contatto con l’esterno. Avvenuta la gamia, si origina uno zigote e da questo un embrione che è nutrito dallo sporofito ed è contenuto in uno speciale apparato detto seme che permette la sua conservazione per lungo tempo ed è dotato di sostanze di riserva, necessarie all’embrione durante la sua vita latente. La formazione del seme è caratterizzata dalla disidratazione molto spinta, così da passare da 90-95% d’acqua ad un 10-15%, il che provoca un rallentamento del metabolismo. Il nuovo essere, per riprendere a funzionare del tutto, deve assorbire acqua, ecco perché compare, quando seminiamo un seme, la radice. Da questo momento, siamo di fronte al nuovo sporofito, fatto da fusto, radice, foglie, con la parte sporigena attaccata alla parte aerea e sempre più protetta. È una catena che ci porta infine ad uno sporofito con gli apparati sporigeni chiusi, gametofito chiuso, zigote ed embrione chiusi, fino ad avere sporofito di I generazione, gametofito, sporofito di II generazione uno dentro l’altro, nello stesso individuo. Lo sporofito domina nettamente. Gli apparati sporigeni sono diversi per struttura e sessualità; sono prodotti su rami speciali, ad accrescimento definito; si va sempre più accentuando la riduzione dell’apparato meristematico, fino ad aversi il fiore ermafrodita, terminale, su ramo bloccato.

La differenziazione sessuale è ora a livello delle foglie. Ecco allora i macrosporofilli trasformati, portanti le parti destinate a proteggere le spore e gametofito, sottoforma d’ovuli protetti da tegumenti, che racchiudono una cavità con dentro il macrosporangio e le macrospore, in un qualcosa che ricorda lo sporocarpo. Il tegumento corrisponde all’indusio; nelle Angiosperme la parete sarà molto spessa ed è detta nucella.

Gli apparati sporigeni maschili sono fatti in modo da emettere il loro prodotto all’esterno; si formano delle microspore che si provvedono di parete spessa e danno il polline che, emesso dal microsporangio, è portato sulla parte femminile. Si forma, ora, il tubo pollinico e si ha la vera fecondazione.

È tutto un mondo che va evolvendosi con estrema celerità, attraverso vari tentativi, tutti tendenti all’Angiospermia, cioè alla protezione della parte femminile.

Carattere fondamentale delle Spermatophyta è il seme, che ha l’importante caratteristica di ibernare, ciò gli permette d’avere vita latente nel periodo secco. La latenza, specialmente nei luoghi aridi, può essere di 4-5 anni e la germinazione avviene poi, alle prime piogge e allora, il ciclo vitale deve compiersi in un brevissimo tempo. Si è riscontrato che semi poliploidi hanno capacità germinativa molto prolungata.

Le spermatophyta sono divisibili in cinque sottodivisioni che distinguiamo in base a differenze fisiologiche, morfologiche, biochimiche. Sono molto antiche, già molto sviluppate nel Devoniano medio, segno che erano d’origine molto più antica. Difficile è trovare l’antenato. Da scartare le felci, non solo per la diversa struttura, ma perché più o meno contemporanee. Probabilmente abbiamo un antenato comune da cui sono partite le due linee parallele di felci e spermatophyta.

Le spermatophyta, sono poi così diverse fra loro da non poter avere un unico antenato, sono perciò un gruppo polimetrico; distinguiamo un progenitore comune per Conifere e Licopsida; un altro per Filicopsida e le altre spermatophyta. Siamo di fronte ad un sistema monofiletico, polimetrico. Da criticare la classificazione di comodo in Angiosperme e Gimnosperme, in base all’esistenza o no di fiori, il che comporterebbe Conifere e Cicadee insieme; il significato dei due termini è utilitario, non sistematico. Per gli apparati sporigeni, le possiamo dividere in: fillosporee se sono portati su entità che sono foglie trasformate e in stachiosporee se gli ovuli sono portati su uno strobilo (conifere). Ci sono però, piante con ambedue le caratteristiche.

Importante è l’Angiospermia, cioè il tentativo di proteggere in vari modi, seguendo diversi modelli di diverso successo, gli ovuli e sottrarsi all’ambiente esterno; in base a ciò, erano un tempo distinte in: Gimnosperme, ad ovuli nudi e Angiosperme, ad ovuli racchiusi nell’ovario, ma oggi questa netta distinzione è superata e non ha alcun valore sistematico.

PTERIDOSPERMOPHYTINA       (sottodivisione)

Sono piante fossili e così definite in quanto hanno le foglie simili alle felci. Hanno apparati sporofillici senza foglie perianziali proprie, cioè senza calice e corolla, per cui gli ovuli sono a contatto con l’esterno. Il legno secondario è omossilo, fatto quindi dalle sole primitive tracheidi con parete terminale a becco di flauto e perforate.

Sono macrosporofillata, con macrosporofilli pennati e non riuniti in strobili, ma con asse centrale e le foglie laterali a disposizione pennata, il tutto direttamente portato dal fusto. Le foglie sono grandi e si ritiene che la fecondazione avvenisse per mezzo di spermatozoi cigliati, ma essendo fossili, nulla si sa con precisione.

Le due classi in cui vengono suddivise sono affini ma abbastanza diverse.

Le Pteridospermopsida, con struttura più primitiva, dal Devoniano medio, giungono fino al Triassico; le Caytoniopsida, dal Triassico arrivano fino al Giurassico, quasi come se derivassero le une dalle altre.

 

Pteridospermopsida

Sono fra i primi fossili trovati e perciò noti da lungo tempo. Dapprima furono note le grandi foglie, tipo felci, poi si trovarono anche dei semi che si ritennero appartenenti ad entità diverse e furono considerati come Angiosperme. Perfezionandosi gli studi, si vide che i semi avevano delle ghiandole sulla cupola e sulle foglie. Poi furono trovate foglie con i semi attaccati e allora si fu certi di trattarsi di una sola pianta, chiamata dapprima Cycadophylicea, per avere le foglie una cuticola simile a quella delle Cycas e foglie simili a quelle delle felci.

Il fusto aveva protoxilema mesarco, carattere arcaico, accrescimento secondario ben evidente e tracheidi con caratteristiche punteggiature areolate nella parete radiale. Le foglie erano grandi a prefogliazione circinnata, molto suddivise, con spessa cuticola di tipo spermatophytico.

I microsporofilli erano caratteristici in alcuni gruppi; i microsporangi erano, infatti, raggruppati o liberi; talvolta formavano sinangi privi d’apertura, cioè sempre exanulati. I sinangi erano spesso di forma strana, in un genere a forma di bicchiere, con gli sporangi tubuliformi saldati fra loro a dare una sorta di calice contenente le spore. Talvolta il “bicchiere” si chiude in cima; è un sistema strano solo in apparenza, perché essendo rivolti in basso si aveva con facilità la dispersione delle spore.

I macrosporofilli non erano molto modificati, portavano ovuli con una cupola alla base, intera o frastagliata, con ghiandole uguali a quelle che c’erano sulle foglie. Nell’ovulo o giovane seme, era possibile distinguere tre tegumenti o “testa”, detti sarcotesta, sclerotesta ed endotesta. Questa notevole difesa era probabilmente in relazione ad un’ibernazione. Nel punto d’incontro dei tre tegumenti s’individuava una camera pollinica in cui penetrava il granulo pollinico, attraverso un’apertura detta micropilo.

Dentro i tegumenti si ha la parete dello sporangio, dentro le spore. Si ritiene che la fecondazione, avvenisse sulla pianta, ma poteva forse avvenire quando l’entità era staccata, sebbene fosse più probabile la prima ipotesi, per la presenza della camera pollinica.

Per il significato ed omologia dell’ovulo, immaginiamoci una foglia di Robinia pseudo-acacia. Si ritiene che la cupola e i tegumenti derivassero da una foglia pennata, dove la foglia apicale era l’ovulo, per riduzione progressiva della foglia stessa. Avevamo così una foglia impari pennata, dove la pinna terminale era l’ovulo. Ora per accorciamento progressivo dei tratti di rachide fra le pinne laterali, si aveva una loro conversione verso la base dell’ovulo. Per saldatura attorno all’ovulo, si aveva la cupola.

Ricordiamo i generi Lyginopteris oldamia, nota come tronco, mentre i suoi semi si dicevano appartenere a Lagenostoma lomaxi, fino a quando non furono trovati semi e tronchi insieme; della Neropteris heterophylla, si trovò che dal tronco partivano le fronde e alla loro base c’erano i semi.; così Oliver Scott, nel 1903 aveva trovato tronco e semi; nel 1904 a Kingston si trovarono foglie e semi, e fu possibile, in tal modo, ricostruire la pianta.

 

Caytoniopsida

Risalgono al Triassico e Giurassico. Avevano foglie rettinervie, pennate o palmate, quindi, come modello, erano abbastanza evolute. I microsporofilli, erano portati da pedicelli in posizione apicale a gruppi di cinque o sei. Ogni microsporofillo è un sinangio di quattro entità (tetrapteri) e tetraloculari. Il polline era fatto da una massa centrale e da due sacche laterali vuote, aerifere, per aumentare il galleggiamento, e che ritroveremo nelle Conifere. I macrosporofilli erano formati da tante pinne fertili, esse si piegavano al margine e si saldavano; si aveva così un’entità chiusa a parte di un piccolo forellino basale. Sulla pagina interna della pinna, si trovavano gli ovuli, protetti. Ciò è valida per ciascuna pinna, per cui si aveva un insieme d’entità fertili. Gli ovuli erano ben differenziati, il granello pollinico poteva entrare attraverso il micropilo e germinare (impollinazione micropilare). È un’angiospermia parziale perché la cavità non è completamente chiusa; inoltre non è la foglia tutta che si racchiude, come nelle piante superiori, ma sono le singole pinne. È un modello che sarà poi, abbandonato.

Quando le Caytoniopsida furono scoperte, si ritennero antenate delle Angiosperme, ma si vide subito che l’angiospermia era parziale e la cavità non era chiusa; che non si aveva un ovario, perché non era tutta la fronda a ripiegarsi, ma solo una pinna; che l’impollinazione era ancora micropilare, direttamente sull’ovulo e non stigmatica, come sarà nelle Angiosperme. È però un gruppo importante perché ci dice che già da ora, si ha tendenza a racchiudere gli ovuli in una cavità.

Sono affini alle Pteridospermopsida, ma è difficile trovare loro discendenti, dato che siamo ancora di fronte a sinangi; modernamente si è messo in evidenza che questi singoli tetrapteri e tetraloculari ricordano un po’ le antere, per cui sarebbe considerabile come modello per la realizzazione di detta entità.

CYCADOPHYTINA

Sono quasi tutte piante fossili, con soli nove generi e presenti in Italia con la sola Cycas d’origine orientale. È una linea conservatrice che ha avuto enorme sviluppo nel passato e che va pian piano scomparendo. Le specie tropicali sono difficili da coltivarsi, più facili gli esemplari orientali.

Il legno secondario è omoxilo, di sole tracheidi. Le foglie sono grandi, estese.

Caratteristica è, al centro della corona di foglie, la corona di fronde fertili, che nascono alternativamente, un anno si ed uno no.

La parte fertile della fronda è quella basale, quindi è qualcosa di molto diverso dalle Pteridospermophytina, dove l’ovulo era la pinna centrale apicale e le foglie basali erano a protezione con la cupola; qui la parte alta è difensiva, la basale fertile. Spesso la parte sterile si è trasformata e saldata in squame e porta alla base due ovuli.

Hanno apparati sporofillici senza foglie perianziali proprie. I macrosporofilli sono in gruppi o in strobili di tante squame saldate insieme, o anche soli gruppi di fronde a corona all’apice del fusto.

La fecondazione avviene per mezzo di spermatozoi cigliati, che non nuotano più in un liquido esterno, ma in quello prodotto dalla pianta nella camera archegoniale

 

Cycadopsida

Sono piante fossili del Triassico, ma giungono fino a noi. I fossili sono ben conservati, specialmente le foglie, per cui ci è possibile vedere come non siano molto trasformate; è perciò una linea conservatrice.

Sono piante dioiche, con individui maschili separati dai femminili; i maschili, da noi, sono piuttosto rari. Il fusto è colonnare, talvolta di soli 15-20 cm., altre volte fino a 1-2 m. All’apice si trovano le foglie, sterili, grandi, espanse, consistenti perché abbondantemente cutinizzate; per l’anatomia, troviamo, meristemi apicali definiti o no, il che comporta la comparsa di due grandi gruppi a fusto ramificato monopodiale o simpodiale; nel I caso il meristema è indefinito e ogni anno si accresce senza soste, non solo in altezza, ma dando anche una nuova corona di foglie o di fronde alternativamente, anzi si ha dapprima la produzione di una corona di squame appuntite all’apice, corte, ridotte; l’anno dopo, dà la corona di foglie, l’anno dopo ancora, la corona di foglie fertili, poi il ciclo ricomincia.

Il fusto a ramificazione simpodiale è in relazione al meristema bloccato, producente all’apice strobili maschili o femminili e poi cessa di funzionare. La funzione accrescitiva, è ora assunta da brevissime ramificazioni laterali, pressoché invisibili, da cui il nome di simpodiale, dato che sono i rami laterali ad accrescersi.

Le prime corrispondono alla famiglia delle Cycadaceae, le seconde alla Zamiaceae.

Il fusto giovane è un’eustele, con diversi fasci circolari, collaterali, equidistanti, con floema e xilema sullo stesso raggio, protoxilema endarco. Il midollo è grande, abbiamo canali mucipari danti mucillagini abbondanti. L’accrescimento secondario comporta un anello continuo di xilema.

Interessante è il caso delle radici; sono molto ridotte, perché fin da giovanissime, attaccate da batteri che ne provocano la necrosi. Nelle zone necrotiche s’impianta la Anabaena cycadearum, una cyanophyta. È un’alga azotofissatrice, formante degli agglomerati notevoli che danno alla radice il singolare aspetto coralloide. Queste radici sono inoltre superficiali, perché devono fissare azoto atmosferico. È una simbiosi importantissima. L’apparato radicale ridotto, comporta spesso l’abbattimento per opera del vento, per questo motivo, dette piante si difendono non raggiungendo mai altezze eccessive.

L’accrescimento è molto lento, probabilmente per il ridotto assorbimento di sostanze nutritizie.

La prefogliazione è parzialmente circinnata; la rachide ha, infatti, prefogliazione diritta e sono le pinne ad averla circinnata.

Sezionando lo stipite, abbiamo due fasci a protoxilema mesarco; si spiega ciò ammettendo che nel passaggio alla struttura secondaria si è avuto un incontro dei due protoxilema, per cui è qualcosa di simile ad una stele anfifloica.

Mentre nelle felci avevamo sori, sporangi e spore libere nel terreno dove germinavano a dare il gametofito, qui le spore germinano sul macrosporofillo, qui si sviluppa pure il gametofito, qui si ha la fecondazione, qui si hanno i semi; insomma tutto è attaccato alla fronda. Solo il seme maturo si stacca e mentre prima potevamo considerare i macrosporofilli indipendenti dall’apparato riproduttore, qui anche gli apparati riproduttori sono sul macrosporofillo.

Come già detto, i macrosporofilli sono a corona, all’apice del fusto o in strobili, grandi anche 50-60 cm. Gli strobili sono fatti da un asse centrale attorno al quale sono i macrosporofilli, formati da un supporto centrale detto stipite, ovuli basali, parte apicale fusa che protegge gli ovuli fino a maturità, quando va in disfacimento; ritroviamo anche qui, la parte sterile e la fertile che avevamo visto nelle fronde.

Ogni ovulo è ortotropo, nonostante le apparenze contrarie; è provvisto di un tegumento ben vascolarizzato, dentro cui si trova il macrosporangio o nucella, voluminoso, massiccio, a parete non monostromatica, come invece era nelle felci. I tegumenti rappresentano l’indusio trasformato, la nucella è nome indicante anche la parete del macrosporangio contenente le spore. La parete del macrosporangio è saldata ai tegumenti, eccetto che nella parte apicale, dove c’è una camera pollinica, nel cui interno, troviamo le cellule madri delle spore, danti quattro macrospore impilate, a diverso sviluppo, di cui tre degenerano. Ne resta una sola, la più grossa e la più interna, che germinerà e darà il gametofito femminile. Sviluppandosi più come parte trofica, che come parte fertile, lascia sotto la camera pollinica, dentro la parete del macrosporangio, una camera archegoniale. Abbiamo quindi un tegumento con micropilo, apertura su cui giunge il granello di polline che penetra nella camera pollinica sottostante; questa è immediatamente seguita e quindi separata dalla parete del macrosporangio, cui fa seguito la camera archegoniale, che è la parte fertile e trofica di quell’entità che è il gametofito femminile che ha occupato, sviluppandosi, tutta la parte interna del macrosporangio.

Il gametofito è ora formato da una parte trofica voluminosa, dapprima cenocitica e poi cellularizzata detta endosperma primario, verso l’alto troviamo, infossati nell’endosperma, due archegoni, fatti ciascuno da una grossa oosfera, con piccoli residui costituiti da una cellula del ventre e due del canale. Quindi, l’oosfera è infossata nell’endosperma, protetta dalla parete del macrosporangio, da cui è separata dalla camera archegoniale, che successivamente, si riempirà del liquido in cui nuoteranno gli spermatozoi, e dai tegumenti più esterni. L’oosfera è grossa circa ½ mm. per cui è visibile ad occhio nudo.

I microsporofilli sono squamiformi o peltati, ultima trasformazione della squama. Sono riuniti in strobili, costituiti da tante squame, sotto ognuna delle quali ci sono i microsporangi o sacche polliniche. Solo da questo momento è lecito parlare di nucella e di sacche polliniche, non per i gruppi inferiori. Dette sacche sono poste al lato dorsale della squama, cioè verso il terreno, per cui le spore escono facilmente, quando questa si apre. Le microspore, si possono già definire come granulo pollinico. Presentano un notevole indurimento della parete esterna, ulteriormente protetta da strati di sporopollenina. A maturazione, la microspora si stacca, ma è incerto se si stacchi come tale, cioè ancora uninucleato, o se si siano già avute moltiplicazioni del nucleo, per cui potrebbe essere già detto gametofito femminile. Staccatosi, è trasportato sulla parte femminile, processo detto d’impollinazione, cioè, un semplice trasporto e ben distinto dalla fecondazione. Per questo processo d’impollinazione, molte microspore vengono sprecate, ma qualcuna arriva sul micropilo, ma sempre a contatto con l’esterno. Sul micropilo si trovano sostanze che attirano il granulo nella camera pollinica sottostante. Iniziano ora, le trasformazioni e si ha, dentro la parete del granello, la formazione di due cellule protallari rudimentali, residui della parte trofica, ben presto affiancate da una cellula vegetativa e da una cellula anteridiale, la prima sottintendente alla parte trofica in seguito a regressione delle protallari; la seconda destinata a produrre i gameti maschili, cioè a funzione germinativa.

1- micropilo  2 – camera archegoniale   3 – granulo pollinico

4 – nucella    5 – oosfera    6 – endosperma

 

È la parte trofica che prolifera per prima, rompendo la parete del granello e formante il tubetto pollinico, più o meno flessuoso, con pareti sottili, detto anche budello pollinico; formatosi, esso va ad accollarsi alla parete interna dei tegumenti, spinge, facendo forza, fino a forare la parete del macrosporangio ed entra nella camera archegoniale. È un sistema propulsore a spinta dal dietro. Durante questo processo di spinta, la cellula vegetativa ha provveduto ad accrescere il tubetto, mentre l’anteridiale ha dato una cellula parietale che va in disfacimento, poi una cellula madre degli spermi, che sembra però formarsi dentro la camera stessa, per cui avremo durante la spinta, solo attività vegetativa. Dentro la cellula madre si ha una cariocinesi, che porterà alla formazione di due grossi spermatozoi, con una fila evidente di ciglia, elicoidalmente disposte; sono spermatozoi nudi, cioè senza parete cellulare e sono i più grossi spermatozoi che si conoscano, misurando circa 300 micron.

Quando sono maturi, il granello si sfascia, gli spermatozoi sono liberati dentro la camera archegoniale, nuotano liberamente nel liquido interno e dirigendosi verso l’archegonio vi penetrano e fecondano l’oosfera, che è infossata nell’endosperma. In genere si ha la fecondazione di una sola oosfera, se di due, in seguito una degenera e l’embrione è sempre unico. Il gametofito maschile è in definitiva ridotto al tubetto pollinico con le due cellule protallari regredenti, più la cellula vegetativa, più l’anteridiale che darà la cellula madre degli spermi, più la cellula parietale rudimentale. Inizia qui la riduzione del gametofito maschile, che poi si ridurrà a soli tre nuclei.

La fecondazione è qui ancora operata da spermatozoi, per cui si ha apporto al nuovo essere anche di una parte citoplasmatica maschile, fatto importante se è vera la trasmissione di certi caratteri ad opera del citoplasma. Si ha, cioè una fecondazione di nucleo e citoplasma, mentre nelle piante superiori, avvenendo la fecondazione solo per mezzo dei nuclei spermatici, solo la madre sarebbe responsabile di certi caratteri citoplasmatici.

La differenza con le felci, in cui si avevano spermatozoi nuotanti, è che qui la “nuotata”, avviene in un liquido interno, prodotto dalla pianta stessa nella camera archegoniale.

Nel corso del tempo, la camera archegoniale scompare, allorché insorge la fecondazione per nuclei spermatici. Fino a quando ci sarà la camera, il budello pollinico resta di tipo propulsore, spingendo la parte basale del granello, poi, diventerà vettore, cioè si ribalterà la sua posizione, il granello resterà fuori e attraverso il tubo, andranno sulla parte femminile solo i nuclei.

Per le affinità, sono un gruppo singolare, perché macrofillata, ma con strobili, carattere questo più proprio delle microfillata, mentre le macrofillata portano le parti fertili sopra o sotto la foglia. Sono considerabili allora quale gruppo sintetico in grado di dare origine alle Conifere da un lato e alle Angiosperme dall’altro, in teoria, almeno. In pratica la loro discendenza e molto incerta; è un gruppo quindi di notevoli possibilità evolutive, solo che non le ha sfruttate, è rimasto primitivo, con scarsa progenitura.

L’ordine delle Cycadales è rappresentato da piante viventi, con pochi generi; i macrosporofilli sono pennati con 2-8 ovuli marginali, le foglie sono pennato-sette con un’unica articolazione. Nella famiglia delle Cycadeaceae, i macrosporofilli sono pennati, con alternata formazione di una corona di foglie sterili e una di fertili, a spirale, con meristema indefinito, attorno alla cima del fusto. Comprende il solo genere Cycas, pianta gerontogea, cioè dell’Eurasia e Africa.

Le Zamiaceae hanno macrosporofilli squamiformi con due ovuli basali, in strobili, con accrescimento definito per lo strobilo terminale; alla base dello strobilo insorge una gemma laterale di notevole vigore in grado di spostare lateralmente lo strobilo, per cui il fusto è sempre diritto, anche se l’accrescimento è dato da gemme laterali (simpodiale).

Ricordiamo i generi Zamia, americana; Encephalartos, africana, di 3-4 m. d’altezza e tronchi di 25-30 cm. di diametro; Macrozamia, australiana, la sola specie presente in quel continente.

Le Nilssoniales, fossili estinte dal Cretaceo superiore, per cui già quando le Angiosperme sono ben sviluppate. I macrosporofilli sono peltati, cioè con una parte fertile centrale, al centro di una squama circolare, da cui pendono due soli ovuli.

 

Pentoxylopsida

Sono piante fossili, poco conosciute. Devono il loro nome alla costituzione della stele, a cinque fasci legnosi. Sono comuni nei terreni giurassici dell’India e solo in questa regione sono stati trovati, per cui hanno avuto sviluppo limitato in tutti i sensi. Il fusto è una stele molto singolare in cui abbiamo cinque elementi xilematici, più o meno triangolari e fatti così da avere protoxilema verso l’esterno, ma mesarco. È una posizione strana e si pensa che avessero protoxilema endarco che per ulteriore sviluppo della parte xilematica sia stato spostato verso l’esterno. Sarebbe perciò un prodotto secondario. È una caratteristica che ne permette l’immediato riconoscimento.

Hanno foglie abbastanza lunghe, intere, inserite su brachiblasti lineari (macroblasti sono i rami lunghi, brachiblasti quelli corti, prodotti dalle Conifere, su cui s’inseriscono le foglie).

Hanno strobili più o meno simili alle coccole dei cipressi, brevi, ovoidali, portati in gruppo, per cui si ha come un’infiorescenza di strobili.

Gli ovuli sono sessili, addensati insieme; non è stata evidenziata la camera pollinica, forse perché sono fossili o molto più semplicemente, perché non c’era.

Il fascio vascolare si prolunga fino alla base dell’ovulo, forse per il motivo che il seme aveva una parte carnosa esterna.

In definitiva è un gruppo strano, con fusto molto sui generis.

Hanno stomi simili alle Bennettitopsida; gli strobili, anche se in infiorescenze, li accomunano alle Cycadophytina. Non sono considerabili quale gruppo a sé; restano da spiegare varie cose, come la mancanza della camera pollinica. Dove andava a finire il polline? Dove si sviluppava il gametofito? Sono fossili esclusivamente indiani.

 

Bennettitopsida

Gruppo molto importante, ma solo fossile. Appaiono nel Triassico e arrivano fino al Cretaceo. Hanno fusto colonnare od ovoidale. Portavano all’apice una corona di fronde; nel suo interno era un midollo ampio, cosa comune d’altre Cycadophytina. Le foglie sono pennato-sette o indivise, mai foglie pennato-composte, ma sempre semplici, anche se sempre profondamente suddivise. Carattere nettamente distintivo, è che sono monoiche, cioè con i due sessi sullo stesso individuo.

I macro e i microsporofilli, diversi dalle foglie normali, erano disposti a spirale all’apice del tronco. Ambedue s’inserivano come ramificazioni laterali, su un asse centrale. I microsporofilli erano inseriti su una sorta di fronda pennata, con le sacche polliniche inserite sugli assi secondari, da giovani erano revoluti e solo da vecchi s’aprivano a maturazione raggiunta. Le sacche erano in numero variabile. All’interno della corona di fronde, spesso circondate da una serie di brattee ligulate, troviamo i macrosporofilli, spiralati e formanti uno strobilo. Nel loro insieme le parti femminili davano un complesso, in cui le varie parti s’inserivano a spirale su un asse centrale, da cui partivano peduncoli portanti l’ovulo provvisto di un micropilo molto allungato. Interposte, vi erano brattee sterili interseminali. Era un insieme chiuso, tondeggiante, per il toccarsi delle brattee, da cui sporgevano i micropili. Viste dall’alto, le brattee interseminali, erano rotonde, a stretto contatto fra loro; nel punto d’incontro di tre di esse, c’era uno spazio libero da cui usciva il micropilo.

 

È una sorta d’angiospermia, perché l’ovulo era protetto; avendo la colonna micropilare sporgente, si realizzava l’impollinazione senza che gli ovuli venissero mai a contatto con l’ambiente esterno, diversamente da quanto avveniva nelle Caytoniopsida; anche qui è un’angiospermia incompleta; è un modello che ha avuto successo, ma solo in quel periodo, mentre è quello delle Caytoniopsida quello da cui deriva l’angiospermia moderna.

Hanno avuto successo ed è il gruppo più avanzato della sottodivisione, ma non hanno dato discendenti; sono una linea a fondo cieco.

Le Cycadophytina, sono in definitiva anch’esse una linea a fondo cieco, che ha dato una linea che è giunta fino a noi con le Cycas, le Zamie, e altre, e l’altra, le Bennettitopsida, che hanno avuto un successo notevole, ma si sono estinte, pur essendo abbastanza evolute, forse per essere arrivate al limite delle loro possibilità.

Le possiamo interpretare quale gruppo sintetico: le parti fertili sono sia ad inserzione apicale, direttamente sul fusto, sia in strobili apicali, per cui abbiamo i due tipi, fillo- e stachiosporee. Sono piante monoiche e dioiche, sono quindi, un poco, la sintesi di Conifere e Angiosperme, ma malgrado ciò, non ci sono discendenti. Questo fatto singolare è da mettersi in relazione col modo di vita, cioè col debole apparato radicale che rende difficile, non solo il raggiungimento di una notevole altezza, ma lo stesso approvvigionarsi delle sostanze necessarie.

CONIPHEROPHYTINA

È un nome collettivo per indicare Cordaitopsida, Ginkgopsida, Taxopsida, conifere vere e proprie, un insieme, cioè, di piante molto diverse, ma strettamente affini. Le Ginkgopsida sono le ultime con fecondazione per opera di spermatozoi cigliati.

È un gruppo che ha avuto un vastissimo successo e popola vaste regioni del globo terrestre, formando foreste di vario tipo, pinete, abetine, lariceti, ecc. in tutti e due gli emisferi.

Hanno apparati sporofillici senza foglie perianziali proprie. Il legno secondario è omoxilo di sole tracheidi, per cui sono abbastanza basse nel livello evolutivo. Non sempre i macrosporofilli sono portati in coni, ma spesso anche in modo da costituire un insieme biforcato o pluriforcato come nel Ginkgo, oppure l’ovulo è isolato e provvisto d’arillo carnoso come nel Taxus.

Le foglie sono sempre di modeste dimensioni e rientrano fra le microfillata. Una certa eccezione è rappresentata dal Ginkgo, che essendo un fossile vivente, ha le foglie più grandi, come appunto gli esemplari fossili del gruppo stesso.

Per la fecondazione, nulla si sa per le Cordaitopsida; per le Ginkgopsida c’è ancora un certo apporto di citoplasma maschile, avvenendo per spermatozoi; per le Conifere si ha solo apporto del nucleo maschile. Il tubetto pollinico è ancora propulsore nel Ginkgo, poi diventa vettore. Sono queste le principali differenza fra i gruppi.

 

Cordaitopsida

Sono da considerarsi il primo gruppo, non solo perché le meno evolute, ma perché gruppo sintetico che riunisce in sé certe caratteristiche degli altri gruppi e avente per questo una notevole potenzialità evolutiva.

Compaiono nel Devoniano medio e all’inizio del Mesozoico si estinguono, pur avendo avuto un notevole successo. Non sono molto comuni come fossili, ma sono comunque ben conservate.

Erano grosse piante, colonnari, alte 20 m. e costituenti vere foreste imponenti. Presentando poi, un ampio midollo, si pensa che vivessero in un ambiente favorevole.

Le foglie, erano in spirale, parallelinervie, senza costa centrale, non sappiamo se terminassero con forma tonda o a punta, avevano però i margini paralleli e alla base, erano dicotomicamente divise.  È un sistema che si ritroverà nel Ginkgo, con la differenza che qui il sistema dicotomico si slarga a ventaglio. Non si ha mai una nervatura centrale.

Gli strobili maschili e femminili, sono formati da poche entità, nel maschile c’erano brattee esterne sterili, in zona centrale apicale c’erano i microsporofilli. Le brattee erano fatte in modo simile alle foglie, con nervature parallele, terminanti a coda di rondine, con costa centrale; nella biforcazione s’inserivano i microsporangi. Per ogni strobilo avevamo diversi sporofilli. Il modo particolare della loro struttura, secondo alcuni, è in discordanza con quella della foglia, perché qui, in definitiva esiste una costa centrale ben vascolarizzata e provvedente a nutrire i microsporangi. Si pensa che siano entità interpretabili come un asse centrale, portante all’apice i microsporangi e resasi alata in un secondo tempo. Questa teoria è giustificata dal fatto che i granelli pollinici debbono essere dispersi e le ali, contro cui il vento urta, servono ottimamente allo scopo.

Anche la parte femminile, è organizzata in strobili e provvista di brattee sterili con l’asse dello strobilo che porta da uno a quattro macrosporofilli con all’apice uno o due ovuli. Ciascun macrosporofillo è costituito da un lungo peduncolo con all’apice gli ovuli e una piccola appendice lungo il peduncolo stesso, appendice interpretata come residuo di una parte fogliacea; cinque o sei di queste entità costituivano uno strobilo. Si ha una sproporzione notevole fra il picciolo e la parte fogliacea appendicolare; il fatto che qui è ridotta, sarebbe conferma che nel maschio si ha parte assile con ali laterali, non una foglia particolare; in definitiva sia in maschi che femmine si avrebbe la scomparsa più o meno spinta della parte fogliare, in relazione ad una maggiore facilità di dispersione, come sembrano confermare anche le microspore provviste di più sacche periferiche vuote per il galleggiamento nell’aria.

Il lungo peduncolo, cui stanno attaccati gli ovuli pendenti, si ritroverà nelle Ginkgopsida, dove gli ovuli sono ortotropi, mentre nelle Taxopsida si ha un solo ovulo isolato, come spesso anche qui.

Diverse sono state le possibilità evolutive del gruppo, ma è difficile dire quali Conifere siano da esso discese direttamente. E un gruppo sintetico, di piante molto evolute, derivate da un antenato comune anche alle Conifere.

Unico antenato comune possibile sembrano essere le Licopsida, dove c’è il sistema dicotomico, gli ovuli solitari, peduncolati. Le Licopsida fossili, erano poi piante colonnari molto grandi. D’altra parte non hanno niente in comune con Pteridospermophytina e Cycadophytina, perché sono macrofillata, mentre qui le foglie sono sempre piccole, se non altro al confronto con quelle.

È un nuovo modello evolutivo, scomparso, ma che ha avuto successo per certi sistemi organizzativi.

 

Ginkgopsida

 È un gruppo che avuto molto successo, ma oggi una sola specie è sopravvissuta, la Ginkgo biloba, spontanea in Asia e coltivata da noi. È dioica e fatto strano, è che nell’orto botanico dell’Università di Genova, gli esemplari sono tutti maschili, i femminili non attecchiscono, mentre a Firenze succede il contrario. Risalgono al Permiano inferiore e giungono fino a noi. Il fusto è elevato, piuttosto grande, con esemplari di 300-400 anni. Hanno macroblasti e brachiblasti, rametti più piccoli su cui sono inserite le foglie. Le foglie sono disposte a spirale sui piccoli rametti, differenziati e sono o nastriforme o flagellate, senza costa centrale. Nel Ginkgo a foglie flagellate, abbiamo le dicotomie basali che poi divergono a ventaglio; nelle foglie nastriformi dei fossili le nervature sono parallele. Le foglie possono essere sessili o picciolate; il picciolo è ben sviluppato nel Ginkgo, nei fossili no. Il midollo è piccolo. Le gemme sono singolarmente provviste di perule che finiscono poi per cadere.

Le piante sono dioiche, ma ci vogliono circa 20 anni per vedere che sesso abbia l’individuo nato dal seme. I maschi portano strobili amentiformi, pendenti, ciascuno fatto da un numero alto di microsporofilli. Ogni microsporofillo ha una parte di sostegno, due microsporangi o più, ovoidali, sormontati da un proseguimento di forma triangolare. È qualcosa di simile all’antera, solo che nell’antera manca questa sorta d’appendice apicale, residuo del microsporofillo. È interessante perché ci fa vedere come uno stame non sia altro che un microsporofillo trasformato. Nei microsporangi o sacche polliniche, si producevano i granuli pollinici, che erano privi di sacche, fatto in accordo con le Taxopsida, diversamente che per gli altri due gruppi. I granuli pollinici vanno a depositarsi sul micropilo, penetrano nella camera pollinica, proseguono nel loro sviluppo, nel modo visto anche per le Cycas. Il tubetto pollinico s’impianta nella camera pollinica, spinge il pezzo basale dentro la camera archegoniale, a volte sfrangiandosi in più frange e prendendo contatto con la nucella per fini nutrizionali. Arrivato nella camera archegoniale, si sviluppano, al solito, gli spermatozoi cigliati. L’ovulo corrisponde in pieno a quello delle Cycas, anche per struttura. La parte femminile, comprende macrosprofilli, fatti da un insieme completamente fertile, salvo il cercine. Sono provvisti di un supporto più o meno lungo, bi o pluri-forcato all’apice, portante due ovuli ortotropi. Detti ovuli presentano in basso un cercine anulare e sopra, ancora parte fertile. La parte basale è provvista di due cordoni vascolari che vascolarizzano separatamente i due ovuli. Si è discusso sul significato del cercine che si pensava residuo fogliare del macrosporofillo, analogo al dente delle Cordaitopsida. Si è visto non essere possibile sostenere questa tesi, perché è una caratteristica mancante in certi fossili e anche nella Trichophyta, la più antica delle Ginkgopsida. È perciò una struttura sviluppata successivamente.

L’ovulo apicale, è fatto dall’esterno, dai tegumenti, camera pollinica, cellule archesporiali danti la cellula madre delle spore, in genere unica, che darà poi le quattro spore, di cui tre degenerano e una sola si sviluppa a dare il gametofito femminile, costituito da una parte trofica o endosperma primario e da una o due grosse oosfere, provviste dei residui dell’archegonio, cioè le due cellule del collo e quella del ventre, come nelle Cycas. La fecondazione interessa ambedue le oosfere, ma l’embrione è sempre uno. Il Ginkgo si distingue nettamente dalle Conifere per non avere assolutamente strobili, dato che i microsporofilli sono in amenti, cioè organizzati in unità pendenti e non erette; i macrosporofilli sono isolati, ma l’essere a corona ce li potrebbe far considerare, come residui di uno strobilo ridottissimo. Anche nelle Taxopsida, gli ovuli sono isolati, senza strobilo vero e proprio; nel Ginkgo, quindi, troviamo dei caratteri che lo accomunano ad altri gruppi della sottodivisione.

 

Coniferopsida

Sono una classe di piante, che non solo ha abbondantemente colonizzato il mondo antico, ma abbondantemente popola il moderno; le troviamo nei due emisferi, ai tropici, sulle montagne, nei paesi nordici, ma anche in Nuova Zelanda, con diversi e numerosi generi. Hanno fusto elevato, a ramificazione monopodiale, con accrescimento apicale, superante in vigore e altezza quello laterale. Anche nel pino ad ombrello, abbiamo sempre un punto di meristema, più alto di tutti; il tipo monopodiale per eccellenza, resta però l’abete.

Abbiamo macroblasti e brachiblasti, i primi portanti i secondi e i secondi, portanti le foglie. In Cipresso e Cryptomeria, invece, le foglie sono portate direttamente sul fusto; nel Cedro sono ben evidenti i brachiblasti. Il protoxilema è endarco, cosa che si avvicina alle Dicotiledoni nella struttura primaria a fasci collaterali. Come struttura secondaria, abbiamo profonde trasformazioni, con l’insorgere di un cambio interfasciale, che dà un anello continuo di cambio, che proliferando, dà anelli concentrici di floema e xilema. Questa struttura è presente in tutte le Conifere, dato che sono tutte perenni, sia le altissime Sequoia, sia le basse, come lo Juniperus montana, sia striscianti sul terreno, come il Podocarpus australe.

Esaminiamo una struttura secondaria in sezione trasversale, longitudinale tangenziale e longitudinale radiale.

Nel primo caso è possibile vedere il contatto fra il legno di primavera e l’autunnale, per la differenza delle cellule. Il legno di primavera e abbondante, a cellule grandi, con tracheidi a lume molto grande. Quando l’umidità diminuisce e si va verso la stagione secca, diminuisce il lume delle tracheidi. Si nota una perfetta concordanza fra struttura del legno e clima.

Nella sezione, si possono notare i raggi midollari, parenchimatici, di diversa lunghezza e visibilità, a seconda del loro ordine e del momento di formazione. Si nota pure il canale resinifero, con una parte centrale lacunare, circondata dalle cellule secernenti e più esternamente, da cellule difensive, per impedire lo schiacciamento.

Nella seconda sezione sono evidenti le abbondanti tracheidi, il canale resinifero, molte strutture che appaiono lenticolari e che non sono altro che i raggi midollari tagliati. Sono fatti di cellule parenchimatiche e talvolta racchiudono al centro un canale resinifero; le cellule parenchimatiche hanno, caratteristicamente un allungamento in senso radiale. Presenti, sono le punteggiature, che sono le aperture che permettono il collegamento fra una tracheide e quella vicina. Sono strutture già descritte nella parte generale ed essenzialmente formate da una lamella che separa le tracheidi tra loro. Intorno alla punteggiatura, vi è un ispessimento di cellulosa, detto cercine, che conferisce alla cellula un aspetto a coda di rondine, con in mezzo la lamella mediana, che ha la parte centrale ispessita, questa è detta toro. Diverse sono le ipotesi sull’utilizzazione di questo complesso. In condizioni normali, quest’insieme permette normalmente il passaggio di sostanze da una tracheide all’altra, ma qualora si necessiti di una maggiore spinta d’ascesa, il toro, cioè la parte centrale ispessita della lamella mediana fa da valvola, andando ad ottundere la perforatura di una delle due tracheidi, cosicché l’acqua passa per una sola delle due, e il liquido riceve maggiore spinta.

Nella terza sezione si possono vedere le tracheidi con le punteggiature che hanno ora un aspetto tondeggiante dato il taglio, il canale resinifero, il raggio midollare di cellule allungate in senso radiale e di cellule parenchimatiche, dirigentisi alla periferia. Questa sezione è di difficile preparazione perché è assolutamente necessario che passi per il centro esatto.

Posseggono midollo piccolo, in accordo con la loro altezza e la vita in ambienti non molto ospitali.

Le foglie sono inserite o tutte sui rami stessi o tutte sul brachiblasto; nel primo caso con disposizione decussata o verticillata, nel secondo caso a spirale. Sono aghiformi, lineari, talvolta corte come nel Cedro, squamiformi nel Cipresso, più espanse nel Podocarpus.

Eseguiamo l’anatomia della foglia più tipica: l’ago di pino.

Dall’esterno troviamo un’epidermide, riconoscibile dalla mancanza di cloroplasti, ricoperta da uno strato spesso ed abbondante di cutina. Sotto di essa, troviamo uno strato ipodermico o ipoderma meccanico, fatto da cellule di sostegno, fibriformi, allungate in senso parallelo alla nervatura. Sono cellule a parete ispessita, perciò sclerentimatiche. All’interno, abbiamo ancora, la vera e propria parte parenchimatica clorofilliana, ricca di cellule con cloroplasti, la cui parete s’introflette per brevi tratti; le pareti delle cellule vicine, sono introflesse in posizione corrispondente e opposta, si realizza in questo modo, una maggiore aerazione, all’interno del parenchima clorofilliano, si vedono le tracce delle nervature, individuate da uno strato esterno detto endodermide. È fatto da una sola fila di cellule, a disposizione circolare. Nel suo interno, troviamo il tessuto di trasfusione, esclusivo del gruppo, fatto da parenchima di riserva e aquixilema, ricchi di sostanze di riserva contenute in cellule albuminifere, che devono il nome all’aspetto delle sostanze presenti, dall’aspetto simile all’albume d’uovo. All’interno del tessuto di trasfusione, troviamo i fasci cribro-legnosi, accoppiati con floema e xilema. Spesso, intercalati perpendicolarmente a questo parenchima, troviamo canali resiniferi di tipo schizogeno, cioè fatti da cellule sempre secernenti.

Gli strobili sono unisessuali, cioè a sessi separati, ma portati sulla stessa pianta. I maschili sono fatti da brattee a funzione protettiva e da squame fertili portanti le sacche polliniche (sono presenti in numero di 2-20). Sono portate nella parte dorsale della squama, cioè nella pagina inferiore, per facilitarne la dispersione. All’interno delle sacche si producono le microspore, che poi si trasformano in polline. Quando il polline si distacca, non è più considerato microspora, ma già gametofito maschile, perché in esso, abbiamo generalmente, più di un nucleo. Il trasporto del polline è facilitato dalle due sacche aerifere vuote, laterali, nate per estroflessione della parete e che servono per aumentare la superficie di galleggiamento. Portato dal vento sul micropilo della parte femminile, penetra nella camera pollinica. Esso possiede ora un nucleo e anche una o due cellule protallari piccole ed un’altra di grandi dimensioni che subito si divide in due, dando la cellula vegetativa a funzione trofica e la cellule anteridiale, deputata alla riproduzione.

La cellula vegetativa produce il tubetto pollinico che s’accresce enormemente, penetra attraverso la nucella, si ramifica abbondantemente per assorbire nutrimento e viene a contatto con l’oosfera. È ormai un tubetto pollinico vettore.

La cellula anteridiale dà una cellule parietale e una cellula madre degli spermi, che darà i nuclei spermatici, in numero di due, entrambi utilizzati, per cui si parla già di doppia fecondazione.

Gli strobili femminili sono molto piccoli da giovani, mentre da adulti assumono grandi dimensioni e sono ciò che noi chiamiamo pigne. Si accrescono in tre anni, poi cadono. Sono fatti da brattee sterili e squame fertili, il tutto inserito sull’asse dello strobilo, a spirale. La brattea sta sotto, la squama è attaccata sopra ad essa. Talvolta possono essere completamente saldate fra loro, e talvolta completamente fuse. Le brattee al momento opportuno si aprono, allorché giunge il granello pollinico, poi si richiudono e restano così fino al momento della disseminazione.

La squama porta gli ovuli, ortotropi, ma nel corso dell’evoluzione si può avere un ribaltamento verso il basso, non dovuto mai al ribaltamento del supporto dell’ovulo, per cui questo non è anatropo, ma sempre ortotropo; la posizione verso il basso è dovuta al ribaltarsi della squama.

Nell’ovulo abbiamo dall’esterno: tegumento, micropilo, camera pollinica, nucella, cellula madre delle spore, che dà origine a quattro spore, di cui una sola matura e darà il gametofito femminile o protallo o endosperma primario di cellule apolidi a funzione esclusivamente trofica. Troviamo in esso due oosfere, sormontate dai soliti residui archegoniali di canale e ventre; le oosfere possono essere anche più numerose. Con la fecondazione, n’è interessata una sola, e se più, l’embrione è sempre uno, le altre cellule degenerano. La fecondazione è semplice, è utilizzato un solo nucleo spermatico, ma si è visto, in rari casi, che la fecondazione può essere doppia, cioè uno dei due nuclei feconda l’oosfera e l’altro va ad unirsi alle cellule residue dell’archegonio; abbiamo così, un insieme diploide che prolifica e dà cellule a funzione trofica. È interessante perché preludio alla comune e normale fecondazione delle Angiosperme. Dalla fecondazione si ha poi l’embrione.

Tra l’impollinazione e la fecondazione, possono passare anche varie settimane.

Gli strobili cosa rappresentano filogeneticamente ? Si è affermato che corrispondano perfettamente a quelli delle Licopsida, oggi però si preferisce interpretarlo come qualcosa che corrisponde ad una sorta d’infiorescenza. Esaminiamo la parte femminile.

Si è visto che nei fossili si aveva un asse centrale portante alla base una brattea, ma nell’ascella si ha un ramoscello che porta la squama, nella parte inferiore di essa c’è l’ovulo.

Ad un certo punto (2), l’asse del ramoscello è scomparso e la squama è direttamente inserita nell’ascella. In (3) la squama si è completamente saldata alla brattea; si è così raggiunta la condizione moderna con un processo d’annullamento seguito da saldatura. L’ovulo che vediamo sopra la squama, e perciò in apparente posizione contraria rispetto la condizione del maschio, è frutto di uno slittamento e in definitiva ovuli e sacche polliniche hanno la stessa posizione, inferiormente alla squama. È uno slittamento filetico, per cui pur mantenendosi sempre la stessa topografia, si è raggiunto un completo sistema protettore.

Anche per l’anatomia, le cose corrispondono; infatti, nella squama, la parte floematica (tratteggiata), è situata superiormente, la xilematica inferiormente, a contatto con lo xilema della brattea, che ha il floema nella sua parte inferiore, come nella foglia.

I semi maturano lentamente, in genere ci vuole più di un anno, il che permette la comparsa di un nuovo ramo; anzi talvolta gli anni sono tre e troviamo tre pigne, d’età diverse, inserite sullo stesso ramo, la più vecchia in basso, la più giovane in cima. Ciò denota una notevole lentezza nel reagire ai processi indotti dalla fecondazione. Spesso il seme è alato; le ali sarebbero trasformazioni della parte periferica del seme stesso o deriverebbero dalla squama fertile. Ciò che è interessante è che nel seme abbiamo tegumenti seminali, endosperma primario ed embrione; i tegumenti appartengono alla generazione sporofitica primaria, l’endosperma è di natura gametofitica, l’embrione è lo sporofito secondario. È importante perché nelle Angiosperme avremo tegumenti ed embrione, ma non più la parte gametofitica, perché qui la parte trofica insorge a seguito della doppia fecondazione. L’embrione può avere uno o più cotiledoni, rappresentati dal ciuffettino di foglie in cima ai pinoli appena nati.

I coni o strobili fruttiferi femminili sono caratteristici da gruppo a gruppo (es: pino, cedro, sequoia, cryptomeria, cipresso); a maturità si aprono e lasciano cadere i semi. Solo nel ginepro le “palline” restano chiuse; in esse le squame e le brattee sono carnose e diconsi galbuli.

Comprendono vari ordini:

Lebachiales: fossili del Carbonifero, rari.

Voltziales: fossili, ben rappresentati fino al Mesozoico, molto comuni.

Pinales: possiamo ricordare diversi esemplari attuali che raduniamo nelle famiglie delle

Taxodiaceae: fra queste si ricordano le Sequoia. La Sequoia dell’orto botanico dell’università di Genova è stata piantata nel 1835. Sono fra le piante più longeve, sembra oltre 4000 anni. Anche il Taxodium è fra le Conifere messicane più antiche. La Metasequoia si ricorda come esempio di fossile vivente, infatti, era un fossile di comune ritrovamento fino all’Eocene. Si riteneva estinta, quando fu scoperta in una valle cinese con circa 100 esemplari, in tutto simili ai fossili. I semi furono piantati in diversi orti botanici e parchi. Come specie e dystica, se ci si riferisce ai fossili, cryptostroboides se attuale.

Pineaceae: cui appartengono i generi Abies, Larix, Pinus, Cedrus. Quest’ultimo in genere coltivato, perché spontaneo solo in Himalaya. L’Abies è spontaneo da noi come Abete bianco, appenninico; in Sicilia c’è l’Abies nebrodensis. Da ricordare che tutti gli abeti mediterranei, pur essendo molto diversi morfologicamente, sono interfecondi, per cui siamo di fronte a tanti singameoni. L’abete rosso o Picea abies o Picea excelsa, dai rami penduli, è comune sulle Alpi; restano rari gli esemplari sull’Appennino tosco-emiliano. Del genere Pinus, numerose sono le specie; il Pinus pinea o pino da pinoli o pino domestico o pino italico forma le pinete di Viareggio, di Ravenna, di S.Rossore, di Migliarino; il Pinus cembra con cinque aghi per brachiblasto, il Larice con foglie decidue e presente sulle Alpi anche ad alte altitudini.

Cupressaceae: ricordiamo lo Juniperus phoenicea o cedro licio o ginepro fenicio che presenta il fenomeno dell’eterofillia, con foglie aciculari o squamiformi, in relazione allo sviluppo; il Cupressus sempervirens, il Cupressus macrocarpa (California), il Cupressus lusitanica (Messico), il Cupressus arizonica (Arizona).

Cephalotaxaceae: rappresentante è il Podocarpus che ha strobili ridotti a due soli ovuli.

 

Taxopsida

Sono ben distinte dalle altre conifere. Il Taxus baccata è l’unico rappresentante in Italia. È un albero, talora arbusto, molto longevo che risale al Triassico superiore. La più grande differenza con le Conifere è nella mancanza di canali resiniferi.

Le foglie sono, distiche, lineari, falcate con inserimento a spirale o decussato, senza differenza fra macro e brachiblasti; per torsione però, le foglie appaiono disposte in un piano, con una specie di pettine dai due lati del rametto.

Gli strobili sono sempre all’ascella delle foglie; il femminile, ha un solo ovulo apicale. I maschili hanno brattee basali decussate e lungo l’asse s’inseriscono i microsporofilli che possono essere di due tipi: dorsoventrali isosporangiati, se fatti da squame che sotto portano i macrosporangi; peltati perisporangiati se sono a mo’ di scudo con ai margini le sacche polliniche. La differenza non ha valore sistematico. Il polline non ha sacche; la fecondazione avviene per mezzo di nuclei spermatici, diversi per dimensione, uno grosso utilizzato ed uno più piccolo; è esempio verso una tendenza ad una specializzazione della fecondazione, diversamente che nelle Coniferopsida.

La parte femminile è molto ridotta. Si pensa che in origine si avessero dei veri strobili, anche se ora il tutto è ridotto al solo ovulo, isolato, ortotropo, cioè eretto, cosa che ci ricorda il Ginkgo, solo che qui avevamo due ovuli. Ora abbiamo un solo ovulo con supporto e quindi, è un modello che si è ancora più ridotto.

Una volta fecondato, l’ovulo si trasforma in seme; via via che avviene la maturazione, attorno all’ovulo compare un anello carnoso rossastro, prodotto dall’asse di sostegno dell’ovulo e che lo avvolge da tre lati: è chiamato arillo. La disseminazione è ornitocora; infatti, l’arillo, ricco di sostanze nutritizie e di colore rosso, è appettito dagli uccelli che, cibandosene ne favoriscono la disseminazione. Da notare che la pianta è velenosa, mentre l’arillo è edule. La veneficità è la ragione per cui sia poco diffusa, essendo stata abbattuta nei luoghi di pascolo.

Le Taxopsida hanno affinità con le Coniferophytina, pur essendo a sé stanti per il biochimismo (velenosità), per la mancanza di sacche polliniche; si considerano nate per riduzione dalle Coniferopsida, più antiche. Già nelle Conifere si aveva riduzione degli strobili (Ginkgo) femminili, qui è molto più spinta.

Le Coniferophytina, sono in definitiva un gruppo ben “affiatato”, ma con quattro classi ben distinte, dapprima con fecondazione per mezzo di spermatozoi, poi con fecondazione per nuclei spermatici. Da tenere presente, ad ogni modo, che non sono classi sullo stesso piano e nemmeno le une discendenti dalle altre, ma sono derivate da dicotomie successive di una linea originaria comune. Il progenitore è ignoto e anche quali siano gli effettivi rapporti filogenetici fra loro. Un antenato potrebbe ricercarsi fra le Licopsida, cosa che non potrebbe essere contraddetta, ma neppure confermata; in ogni caso sono da escludersi dalla linea filetica delle Conifere, le Cycadophytina e le Pteridospermophytina, per cui la scelta, ci resta o fra le Licopsida, o in un essere ignoto.

CHLAMIDOSPERMOPHYTINA

Hanno apparati sporofillici con foglie perianziali, cioè hanno i fiori. È un fiore primitivo, con un abbozzo di perianzio.

Il legno secondario è eteroxilo, qui compaiono per la prima volta le trachee (in alcune felci, ci sono casi d’eteroxilia).

I macrosporofilli sono molto trasformati, fatti da entità isolate o costituenti delle infiorescenze; anche i microsporofilli sono diversi da quelli finora visti.

La fecondazione avviene per nuclei spermatici.

Sono arbusti, suffrutici, liane, sarmenti, fusti volubili ecc.; mancano dello stadio arboreo. Il tronco più alto è nella Welwitschia, dove arriva a 1- 1,5 m. le foglie sono opposte verticillate, talvolta enormi ad accrescimento continuo.

I fiori sono unisessuati, cioè ogni fiore ha un suo sesso. Questo è un fatto che porta il problema, se lo stato dioico sia più primitivo o no dello stadio monoico.

I fiori maschili costituiscono infiorescenze, ciascuno è costituito da un perianzio di due pezzi, con le sacche polliniche saldate insieme fra loro a costituire dei sinangi. Troviamo anche dei sinandri, perché più sinangi possono saldarsi fra loro in una nuova entità, il sinandrio.

Il fiore femminile ha una parte perianziale propria, con uno o due ovuli, ciascun portatore di due tegumenti, di cui il più interno è provvisto di una colonna micropilare che sporge fuori del tegumento più esterno. È una facilitazione per la cattura del granello pollinico. Siamo però in presenza, ancora di un ovulo, non di un ovario.

Dall’ovulo deriva il seme, poi l’embrione con due cotiledoni; questo ci dimostra che la riduzione numerica dei cotiledoni è un fatto che procede con l’evoluzione, per cui le monocotiledoni sono le piante più evolute.

Lo sviluppo delle foglie ha messo in chiaro una differenza sostanziale del gruppo. Così nelle Ephedrales abbiamo un solo meristema apicale definito che dà foglioline minute (solo apice precursore); nella Welwitschia invece, siamo in presenza di un meristema basale indefinito, responsabile delle foglie larghe 15-20 cm. che si dipartono a destra e a sinistra del tronco e crescono come due lunghissimi nastri.

Volendole inserire in una linea filogenetica, le cose si complicano. Hanno caratteristiche primitive nettissime, ma non abbiamo fossili. Sono vicine sia alle Conipherophytina sia alle Angiosperme, ma la cosa più probabile è che siamo di fronte ad una linea conservatrice laterale, come per lo Psilotum. La teoria della linea conservatrice è appoggiata dall’aversi tre generi distinti, sparsi in diverse regioni del globo e così distinti che c’è chi le considera tre classi o addirittura due, con Gnetum ed Ephedra insieme e separata le Welwitschia. Noi consideriamo una sola classe e distinguiamo in essa tre ordini: Welwitschiales con la Welwitschia, dalle enormi foglie nastriformi e per il meristema basale indefinito; le Ephedrales con l’Ephedra, dalle foglie minutissime, quasi invisibili, ridotte al solo apice precursore; le Gnetales con lo Gnetum.