CORMOBIONTA

 

Il mondo vegetale è composto di un’immensa varietà d’organismi la cui composizione varia da entità monocellulari quindi molto semplici, ad entità pluricellulari molto complesse.

Nei vegetali unicellulari, la singola cellula esplica tutte le funzioni vitali, dalla nutrizione alla riproduzione. Nei vegetali pluricellulari le cellule dello stesso individuo esplicano diverse funzioni.

I vegetali pluricellulari possiamo raggrupparli, considerando il corpo vegetativo, in due diversi gruppi: vegetali composti dal TALLO e vegetali composti dal CORMO.

Il corpo vegetativo detto Tallo è formato da una struttura semplice non differenziata in tessuti e organi, ma nelle forme più evolute si possono distinguere parti che svolgono funzioni diverse che prendono il nome di rizoidi, per una struttura avente funzione di radice, cauloidi per una struttura avente funzione di fusto, filloidi per una struttura avente funzione fogliare.

Le tallofite comprendono i seguenti tipi: PHAEOPHYTA (alghe brune) - RHODOPHYTA (alghe rosse) - EUTALLOPHYTA (alghe verdi).

Il corpo vegetativo detto Cormo è formato da una struttura complessa le cui cellule si raggruppano a formare tessuti e questi possono raggrupparsi a formare organi, che sono deputati a svolgere le varie funzioni d’assorbimento delle sostanze nutrizionali, trasporto delle stesse, respirazione, riproduttive. Fa eccezione il gruppo delle ARCHEGONIATA il cui corpo vegetativo è in una situazione intermedia fra il Cormo e il Tallo.

Il Cormo vive in ambiente sub-aereo e necessita di un sistema di trasporto dei liquidi dal terreno alle zone d’utilizzazione. Detto trasporto può avvenire semplicemente da cellula a cellula o esistono nella pianta cellule ben differenziate a tale scopo, ma si tratta sempre di un tessuto conduttore inesistente nelle piante inferiori.

L’assorbimento del nutrimento comporta un’assunzione notevole d’acqua e questa in sovrappiù deve essere eliminata mediante sistemi regolatori, sorge così la necessità di differenziare un opportuno sistema. Vivendo in un ambiente esterno, la pianta, deve difendersi dalle avversità, ma nello stesso tempo, essere in comunicazione con il mondo esterno. Questi meccanismi comportano un sistema di cellule molto differenziate e differenziazione molto spinta per quelle piante che vivono in ambienti estremi. In genere, dal punto di vista evolutivo, si assiste ad un graduale passaggio da tallo a cormo.

Carattere fondamentale è comunque la pluricellularità.

Le Cormobionta sono aplodiplonti, con prevalenza del gametofito, nelle meno evolute, poi con prevalenza dello sporofito, nelle più evolute. Nelle Tallobionta in genere, una volta formatosi, lo zigote si staccava dalla madre e dava vita allo sporofito. In alcune (Rodophyta) non era olopotenziale, per cui restava attaccato alla madre a spese della quale si nutriva. Anche qui lo zigote resta attaccato al gametofito per un certo tempo e a sue spese si nutre, fino a staccarsi ma è sempre olopotenziale.

Dallo zigote si forma l’embrione che sussiste sulla pianta madre e che darà origine poi a quella specie di piantina che si vede aprendo un seme di fagiolo.

Diverso è il possibile sviluppo dell’embrione.

Nei muschi, dallo zigote si origina lo sporofito sul gametofito, che aveva differenziato l’apparato per la fecondazione. Ma con l’evoluzione prende a dominare lo sporofito e su di esso si origina il gametofito, all’interno del quale troviamo uno sporofito di II generazione. Ciò è molto utile per la difesa del giovane sporofito. La quercia è lo sporofito adulto; i fiori sono il gametofito (qui a sessi separati), che con la fecondazione darà origine a quello che chiamiamo seme, nel cui interno, l’embrione è lo sporofito di II generazione. Detto embrione si staccherà e cadendo a terra genererà una nuova quercia e cioè uno sporofito. Inversamente che nei muschi, è lo sporofito a nutrire il gametofito e a dominare talmente da dare origine ad un nuovo sporofito, l’embrione, sul vecchio sporofito.

Dovendo il cormo vivere in un ambiente sub-aereo, esso si è molto trasformato, detto fenomeno è legato all’aggrupparsi delle cellule nelle tre dimensioni dello spazio e al fatto che esse sono uninucleate.

Le Cormobionta sono classificate in base all’importanza dello sporofito, seguendo la lenta evoluzione dello stesso.

Differenziazione cellulare

Le cellule delle Cormobionta sono uninucleate. Cellule cenocitiche le troviamo limitatamente ad alcuni tessuti, ma mai a costituire un individuo completo. Esempi di cenociti sono il lattice delle Euphorbie e quello del Papavero. Nell’Euphorbia troviamo degli apocizi (le cellule sono plurinucleate per successiva moltiplicazione dei nuclei non seguita dalla comparsa della parete cellulare), mentre nel papavero troviamo dei sincizi (le cellule plurinucleate sono divenute tali per riassorbimento della parete cellulare). I cenociti sono quindi esclusivi di tessuti secretori.

Le cellule uninucleate, raggruppandosi, danno diversi tipi di tessuti.

Parliamo ora di tessuti, poiché le cellule che si sono riunite hanno una parete cellulare unica, comune ad entrambe, detta lamella mediana. Nei funghi abbiamo solo pseudotessuti perché le cellule si saldano conservando ognuna la propria parete.

Nel corso dell’evoluzione, le cellule si differenziano e più cellule concorrono ad una stessa funzione, con una stessa differenzazione, per cui il tessuto può considerarsi come un aggregato di cellule aventi stessa struttura, funzione, forma, origine. Più tessuti confluiscono a dare gli apparati. (Nel linguaggio comune il significato dei tre termini, tessuti, organi, apparati si è molto ampliato, per cui non sono più tre entità in stretto ordine gerarchico; scientificamente le denominazioni possono essere accettate con riserva).

Meristemi

Parlando di tessuti, siamo di fronte a cellule differenziate che prendono origine da una cellula o un gruppo di cellule che diconsi MERISTEMI. Il meristema è qualcosa di più di un tessuto, ma non è nemmeno un organo, nel significato di cui detto sopra. Caratteristica dei meristemi è di avere un’attività moltiplicativa esaltata e sono quindi responsabili dei centri d’accrescimento intercalari, subterminali, ascellari e apicali.

Anche nelle Tallobionta troviamo meristemi di due cellule appaiate, come quelli a fontana delle alghe rosse e quelli con filamento protettivo, ma sono tutti limitati nell’accrescimento.

Nelle Cormobionta il Meristema ha subito un’evoluzione notevole, conserva le prerogative dei meristemi embrionali anche se dislocato in varie parti lontane fra loro, per cui è possibile parlare d’embriogenia continuata. Il seme e l’embrione sono totalmente costituiti da meristema embrionale che successivamente si divide in due e poi più masse, che si localizzano in varie parti, caratteristicamente all’apice di rami e radici. Il M. embrionale si è diviso in più M. primari. E’ questa la causa prima della metameria vegetale, cioè di quell’insieme di fattori che permette l’ottenimento di una nuova pianta da talee o margotte, che fa sì che le diverse entità di una stessa pianta agiscano indipendentemente nelle mutazioni. (Negli animali, metameria è solo ripetizione di parti: i due concetti sono molto diversi). E’ anche questa la differenza col mondo animale regolato da una centralizzazione delle parti, mentre qui siamo in una “confederazione”.

Stabilito che per M. intendiamo un insieme di cellule che si moltiplicano all’infinito e originariamente non sono differenziate, lo possiamo considerare, se non un apparato, almeno un organo, tenuto conto dei vari tipi di tessuti cui può dare origine e del fatto che può anche costituire un essere intero, l’embrione. Embriogenia continuata è proprio la capacità d’infinita moltiplicazione. Le cellule in grado di moltiplicare sono variamente dislocate, ma discendenti dirette delle embrionali. Tenendo sempre come base l’evoluzione, possiamo classificare in vario modo i Meristemi.

Il M. ha acquistato nel corso del tempo un sempre maggiore potere prospettico. Il M. intercalare si poteva moltiplicare in una sola direzione ed era inoltre unicellulare; l’apicale ha maggiori possibilità d'accrescimento; quello di due cellule abbinate, eventualmente dislocato in più parti ha un potere prospettico ancora maggiore. Si passa poi dalla posizione intercalare, fra due masse limitanti che non si moltiplicano, all’apicale, attraverso i sistemi intermedi di M.subterminale con apice tricoforo protettivo. Nelle piante superiori è apicale, pluricellulare, e si moltiplica liberamente in tutte le direzioni; nella radice c’è invece qualcosa che ricorda l’apice tricoforo e precisamente la cuffia pileoriza o caliptra che lo protegge mentre si addentra nel terreno.

Nelle Bryophita il M. è limitato, ridotto, a scarsa attività e se indefinito è però intercalare; nelle felci insorgono M. apicali ed indefiniti.

Strutturalmente parliamo di M. ad iniziale unica (cioè fatto da una sola cellula che accrescendosi darà l’intera pianta) e ad iniziale multipla (con centro d’accrescimento di più cellule e maggiore potere prospettico). Se ad iniziale unica, in genere la cellula è tetraedrica, con una faccia convessa. Si moltiplica allora lungo le sole tre facce piane, ma le cellule non nascono contemporaneamente, ma successivamente, così si limitano a vicenda nella crescita e non hanno mai lo stesso grado di sviluppo, ma una sarà grande, l’altra media, mentre la terza sarà appena formata. Daranno così origine ad un fusto a tre coste ritorte da destra a sinistra o viceversa, a seconda della direzione d’accrescimento. E’ questo un fenomeno ben evidente nelle piante inferiori, dove in corrispondenza delle coste s’inseriscono anche le “foglioline”. Successivamente si ha una modificazione nella regolare successione moltiplicativa delle tre cellule, ragion per cui al loro sviluppo caotico, corrisponde una tendenza a dare lamine o foglie e cioè a raggiungere una simmetria bilaterale. Due cellule prevalgono sulla terza e si rompe la simmetria, principio questo generale per l’evoluzione, che nelle piante non si perde mai del tutto, mentre nei mammiferi sì (ipotesi a favore di una continuità fra il mondo vegetale e quello animale).

Per il M. ad iniziale multipla, non tutte le cellule daranno lo stesso tipo di tessuto, ma già nel M.si ha una sorta di specializzazione verso un tipo o un altro. Si possono perciò individuare vari campi istogeni che distinguiamo in: dermatogeno in posizione esterna che originerà l’epidermide, pleroma in posizione centrale che darà il cilindro centrale, il periblema che originerà la corteccia. Questi tre campi costituiscono un M. primario che si trova nell’apice vegetativo le cui cellule staccandosi da detto apice formeranno altri M. primari: il protoderma, il desmogeno, il M. fondamentale. Oggi è preferibile parlare di: un istogeno fondamentale che dà origine al parenchima; uno detto protoderma per coprire la pianta; e uno detto procambio che darà il sistema conduttore. La questione degli istogeni è però dibattuta fra chi annette loro importanza puramente topografica e chi invece dà loro valore più profondo.

Per la proliferazione del M., le cellule daranno origine a fusti e foglie e in genere fusti ramificati. Per i M. ad iniziale unica, potremo avere rami, ma mai due uguali, causa la cellula tetraedrica; non avremo mai un’isodicotomia, ma anisodicotomia; per i M. ad iniziale multipla, potendo più elementi proliferare contemporaneamente avremo anche isodicotomia. D’altra parte i nuovi elementi formatisi (supponiamo i rami), non hanno uguale possibilità di sviluppo, uno può restare atrofico. Inoltre i vari settori non moltiplicano con la stessa velocità. Esaminando i rapporti fra fusto e rami laterali, osserviamo che quando prevale il fusto avremo un allungamento notevole di esso e rami ridotti (conifere: abeti, larici). Se crescono più velocemente i rami laterali, avremo un fusto ad accrescimento lento, superato in altezza dai rami (ramificazione simpodiale es: quercia). Quella dell’abete è monopodiale ed è caratterizzata dal proliferare continuo della parte centrale, l’altra è simpodiale con proliferare continuo dei settori laterali e discontinuo e lento nel settore centrale.

Lo stesso possiamo trovare nelle infiorescenze racemose e botritiche. Da notare che spesso la crescita varia con la stagione.

I M. li possiamo classificare a seconda della durata. Abbiamo M. indefiniti, che crescono sempre, come nell’abete, talvolta invece il M. si segmenta per un poco, poi la sua carica meristematica cessa, e contemporaneamente cessa anche la crescita della zona di pianta in cui si trova. Tale è il caso delle foglie, che hanno dimensioni determinate e costanti.

In genere il M. all’apice di rami e fusti è indefinito, a meno che non si trovi in un fiore, il M. è allora bloccato e il ramo non si accrescerà più. Il papavero, che ha il fiore all’apice del fusto, una volta fiorito cessa il proprio ciclo vitale, perché il suo M. è definito.

In genere, se il fiore blocca il fusto, la pianta è annua; infatti, nelle piante perenni non troveremo mai fiori apicali. (ad es. le pigne sono su rametti laterali) e i loro M. sono indefiniti.

Si passa gradualmente da un sistema ad embriogenia continuata ad uno ad accrescimento definito; ciò è parallelo a quanto avviene negli animali, qui come nelle piante erbacee si tende ad una centralizzazione; le piante erbacee sarebbero più evolute proprio perché bloccate. L’albero di Giuda (Siliquastrum) è filogeneticamente più vecchio del pisello.

La foglia è un esempio di M.definito; in essa ne esistono due. La foglia si forma dapprima come M. apicale, simile ad un bitorzolo lungo il fusto. Questo M. produce una piccola quantità di cellule e poi cessa di funzionare e viene definito come apice precursore. Alla base di esso, compare un M. intercalare basale che prolifera, mandando via le cellule più vecchie verso l’esterno e formando la lamina, poi il picciolo ed eventualmente le stipole.

L’accrescimento è basipeto per cui le cellule più giovani si trovano più vicino al fusto. Cessa poi la sua attività; se questa si arresta prima della formazione del picciolo, si hanno le foglie sessili. La sua proliferazione avviene in modo vario ed in genere si accresce bene in larghezza (lamina), meno in altezza, ancor meno in spessore. Quindi prevale l’accrescimento pleuroplastico (in larghezza) con alcune eccezioni. Nella Welwischia le foglie si accrescono indefinitamente in lunghezza, così da dare “serpenti” di qualche chilometro in cento e più anni; solo che a un certo punto la parte più distale secca, ma conosciamo resti secchi di 800 - 900 anni di età (si tenga conto che questa strana pianta ha poi solo due foglie).

Per la segmentazione possiamo parlare di M. embrionali della pianta giovane; man mano che questa si accresce, una parte di dette cellule di M. si distanzia e va a localizzarsi nelle varie parti a costituire i M. primari che hanno continuità genetica con quelli embrionali.

I M. secondari sono invece fatti da cellule differenziate che dopo un certo tempo sdifferenziano e riacquistano caratteri di M.. Servono per costituire quei tessuti secondari che compaiono con l’invecchiare della pianta. M. secondari sono CAMBIO e FELLOGENO e anche quelli che compaiono nelle ferite. Anzi il fellogeno è un M. a gradino. Nelle Liliacee abbiamo un tessuto particolare. Consideriamo una Liliacea arborescente (Dracaena) che avrà un accrescimento del primo anno. Successivamente, esternamente, si forma una nuova zona che darà nuovi fasci vascolari e poi, sempre esternamente, se ne formeranno altri, smettendo di funzionare le zone più interne. Dette zone sono di M. secondario, perché derivato da cellule che si sono sdifferenziate, e a gradino perché le cellule che si riproducono, qui si spostano man mano verso l’esterno.

Anche il cambio rientra fra i M. secondari; il cambio è una zona interposta fra floema o libro e xilema. È costituito ad anello continuo di cellule. La cellula cambiale si divide in due tangenzialmente, e di queste, l’esterna si differenzia come floema e l’interna resta meristematica; la successiva cellula si differenzia in una cellula xilematica verso l’interno e una meristematica. Al progressivo aumento della massa legnosa, ecco insorgere una divisione radiale e le due cellule figlie conservano ambedue le proprietà meristematiche. Così l’anello cambiale può allungarsi e distendersi.

Tessuti

I tessuti (T.) sono formati da gruppi di cellule che hanno uguale origine, funzione, morfologia, per cui hanno una struttura istologica abbastanza costante.

Parliamo di T. semplici e composti, a seconda se sono composti da un solo tipo o da più tipi di cellule.

Il T. semplice ha una funzione ben precisa ed in genere una sola; i T. composti possono prendere origine da più meristemi e compiere più funzioni contemporaneamente (il tessuto conduttore xilematico non solo trasporta liquidi, ma dà anche sostegno alla pianta).

A seconda della costituzione e della funzione distinguiamo: T. parenchimatici, epidermici, secretori, meccanici, peridermici, conduttori. 

Tessuti parenchimatici

È un tessuto formato da cellule poco differenziate, tondeggianti, con membrana sottile, sono molto attivi e tutta la pianta giovane è costituita da questo tipo di tessuti, che poi verranno sostituiti, col passare del tempo da altri. Dipendono dal M. fondamentale o primario che dà origine a cellule che si differenziano poco, per cui possono originare M. secondari. Hanno diverse funzioni per cui li distinguiamo in:

Parenchima clorofilliano, che costituisce le parti verdi della pianta; nelle sue cellule troviamo abbondanti cloroplasti con clorofilla in un denso protoplasma, il nucleo è grosso, forma amido primario, che poi viene trasportato idrolizzato in altri tipi di parenchima come amido secondario di riserva; lo troviamo nelle pareti esposte alla luce.

Parenchima di riserva, in zone lontane dalla luce, mai verde; è bene visibile nella patata, dove tutte le cellule, bianche, contengono amido di riserva, evidenziabile con la soluzione jodo-jodurata; le sue cellule hanno parete sottile e tutto il lume cellulare è occupato dall’amido contenuto in plastidi detti leucoplasti e amiloplasti; nella carota è invece rosso per la presenza di cromoplastidi.

Parenchima acquifero, abbondante nelle piante grasse, ricco di acqua e sali, ha parete sottile, grossi vacuoli pieni di liquido, per resistere alla siccità dei climi aridi e desertici.

Parenchima aerifero, in piante acquatiche ove ampi spazi intercellulari garantiscono il galleggiamento, come nel picciolo delle foglie di Eichornia crassipes. Lo possiamo anche trovare in quella parte destinata alla formazione delle spore, nelle felci; le sue cellule hanno parete sottile, citoplasma non molto evidente e nel complesso una scarsa differenziazione.

Tessuti epidermici

Si trovano alla periferia della cellula, nel primo periodo di vita della pianta e le permettono la sopravvivenza. Costituiscono l’epidermide, che ha lo scopo di isolare la pianta dall’esterno, mantenendo nello stesso tempo gli scambi, per cui qua e là troviamo cellule particolari dette stomi. Ha anche il compito di impedire che l’acqua sfugga all’esterno, ma nello stesso tempo deve evitare un eccesso di umidità. I suoi compiti sono perciò molto vasti.

Partendo dall’esterno troviamo uno strato cuticolare con cutina e cere, uno strato sottocuticolare, poi la parete primaria, la lamella mediana. La cuticola ha spessore variabile, discreto nelle piante mediterranee per la scarsità estiva di acqua, fenomeno da cui dipende la piccolezza delle foglie. Altri mezzi di rivestimento, che in genere accompagnano la cuticola sono in genere cere in strati più o meno abbondanti a costituire quella che in genere è detta pruina, dal frutto prugna, caratteristicamente glauco per la cera.

 Altri mezzi di difesa verso l’esterno sono i peli o tricomi, semplici, ramosi, stellati, scutati, ghiandolari, urticanti. Possono essere anche uni o pluricellulari, o ancora più complessi, talvolta con una parete sporgente a forma di grappolo (luppolo), producenti varie sostanze. Ancora da ricordare sono le papille, estroflessioni epidermiche, responsabili della sensazione vellutata dei petali di rosa; rientrano anche fra le produzioni epidermiche gli aculei delle rose, che si distinguono dalle spine (foglie trasformate in relazione a condizioni climatiche) perché facilmente asportabili al contrario di queste ultime. Dobbiamo ancora ricordare le palee delle felci (squamette sulla rachide) formate dal confluire di più peli e importanti come mezzo diagnostico in sistematica. A seconda dei tipi di peli presenti, parliamo di diversi tipi di rivestimento: pubescenti (pochi peli sparsi), tomentosi (peli molto vicini), lanosi, irsuti (peli ruvidi), setolosi, appressati, paleacei (felci). Quando l’epidermide è senza peli, dicesi glabrescente.

Anche le cellule stomatiche rientrano fra le produzioni del tessuto epidermico; le troviamo sparse nella foglia e in genere le chiamiamo stomi. Gli stomi sono molto importanti, in quanto permettono l’organicazione del carbonio, la traspirazione e la respirazione.

Accanto ad essi, si ricorda per certi gruppi (Hepaticopsida) i pori stomatici, aperture fisse, non regolabili. Gli stomi sono generalmente costituiti da due cellule, fra cui resta un’apertura regolabile detta ostiolo e sono accompagnate da cellule annesse (alcuni parlano perciò di apparato stomatico), al di sotto del quale troviamo un’ampia camera sottostomatica. Nelle piante viventi in clima ostile, gli stomi si trovano al fondo di cripte stomatiche, che spesso sono ricoperte di peli (oleandro). In genere sono situati sulla pagina inferiore delle foglie e sulle parti verdi del fusto. Eccezioni: nelle piante acquatiche sono sulla pagina superiore; nelle foglie aciculari su ambedue i lati e il loro numero è variabile da specie a specie, da foglia a foglia. La parete delle cellule è permeata di forellini detti ectodesmi, che permettono la traspirazione anche quando l’ostiolo è chiuso. Detto passaggio di gas dicesi traspirazione peristomatica.

Di notte gli stomi sono chiusi, di giorno sono aperti e la loro attività è più intensa, in relazione all’assunzione di anidride carbonica e ossigeno per la nutrizione e la respirazione.

Le cellule stomatiche sono solo parzialmente ispessite nella parete; questo permette il loro dilatarsi, per variazione della pressione nel lume cellulare. Supposto che nel lume si eserciti una pressione, questa farà allungare le due cellule a contatto con la parete, questa dilatazione avviene sempre in senso verticale. Di tutte le cellule epidermiche, solo queste possiedono cloroplasti e sono perciò in grado di formare amido che viene immediatamente idrolizzato. Ciò porta ad un aumento di pressione osmotica ed a un conseguente richiamo di liquido dalle cellule vicine, che inturgidendo provocano l’apertura dello stoma. Ciò spiega perché gli stomi siano chiusi di notte, quando non avviene la formazione dell’amido per mancanza di luce.

Un altro tipo di tessuto epidermico (ma non epiderma, perché al buio) è quello che riveste la radice e che si dice rizoderma. È questa la parte immediatamente sopra la cuffia pileoriza; c’è presenza di peli ed ha un breve periodo di vita, perché subito sostituita da un altro tipo di tessuto. I peli radicali sono estroflessioni del rizoderma, in numero di circa 1000 per mq servono per assorbire acqua e sali dal terreno. Sono unicellulari, digitiformi, con nucleo alla sommità arrotondata. Hanno citoplasma denso, fatto importante perché l’assorbimento di acqua avviene proprio in funzione della differente pressione osmotica. I peli radicali ben presto desquamano come del resto il rizoderma; la radice è ora protetta dallo strato sottostante o esoderma. Sono cellule con la stessa origine delle precedenti, ben difese dall’ambiente esterno in quanto suberificata, sebbene non in modo tale da uccidere le cellule. Tutti questi tessuti prendono origine dal M. detto protoderma.

Tessuti secretori

Li troviamo inframmezzati agli epidermici. Possono essere T. secretori interni (versano internamente i prodotti elaborati), ed esterni; possiamo avere anche singole cellule o masse ben differenziate. Rientrano fra gli esterni i peli ghiandolari urticanti o papillari e i nettari. Sono questi nettari ad attirare gli insetti e a permettere la fecondazione incrociata. Ne troviamo fra le Labiate, le Ranuncolacee, (fossette nettarifere) mentre nelle Asclepiadacee i nettari racchiudono completamente l’insetto portatore del polline. Per i tessuti secretori interni, dobbiamo separare le cellule secretrici dai tessuti veri e propri. Le cellule secretrici sono in gran numero e fra le più importanti ricordiamo quelle della canfora, disperse nel mesofillo delle foglie.

I tessuti secretori interni possono essere sottoforma di tasche (il secreto è emesso in una formazione a fiasco, dovuta alle cellule del tessuto stesso) o come canali (resiniferi). Chiamansi schizogeni quei tessuti secernenti sostanze senza che le cellule siano distrutte. Il loro secreto confluisce in uno spazio intercellulare che aumentando darà ad un certo punto un canale. Sono tali i canali resiniferi di conifere e ombrellifere. Il canale è qui ben evidente e non si oblitera mai. Tasche e canali lisigeni formano il secreto a spese delle cellule che muoiono e a spese delle quali si forma il canale (Es: l’Eucaliptus che produce una sostanza sterilizzante; infatti, sotto di essi non cresce nulla). Nell’epicarpo degli agrumi, troviamo i canali schizolisigeni in cui, non solo si ha emissione del secreto in spazi intercellulari, ma il canale si forma in parte anche a spese del contenuto cellulare delle cellule, che vanno in lisi, vicino alle secretrici.

I canali laticiferi sono ben diversi, qui siamo in presenza, non come prima di gruppi di cellule, ma di cenociti, distinti in apociziali (il nucleo si moltiplica ma non si formano le pareti) e sinciziali (si riassorbe la parete cellulare). Sono variamente dislocati nei vari gruppi e nelle varie parti della pianta; la loro presenza o assenza non ha significato tassonomico. Gli apociziali sono anche detti laticiferi non articolati e possono essere non ramificati (Ortica, Cannabia) o ramificati (Euphorbia). Per i Laticiferi sinciziali si notano ancora setti che vanno scomparendo o resistono fra un cenocita e l’altro; possono essere anastomosati, cioè uniti a formare una specie di maglia. Quelli anastomosati (due o più laticiferi uniti fra loro a reticolo) li troviamo in lactuca o nel treto del papavero, dalle cui incisioni si ricava l’oppio contenente la morfina. Laticiferi non anastomosati li troviamo nel Chelidonius maius, il cui latice ha colore rossastro e seccando diventa marrone. Il latice può avere valore industriale (latice di Hevea brasiliensis ottenuto facendo incisioni a spina di pesce lungo il tronco dell’albero). Il latice è in definitiva il contenuto del cenocita e troviamo in esso nuclei, amido, cloroplasti, sostanze terpeniche varie responsabili del colore bianco. Nel latice dell’Euphorbia, i granuli d’amido sono molto diversi da quelli dell’oppio e questo è un sistema pratico per accorgersi d’eventuali sofisticazioni.  

Tessuti meccanici

Sono presenti in quasi tutte le Cormobionta e si formano nel corso dell’evoluzione ontogenetica e cioè quando la pianta ha raggiunto dimensioni tali da avere bisogno di sostegno. Oltre a dare sostegno a rami e fusti, possono proteggere certe parti come semi e frutti. Sono in genere rigidi, ma anche elastici nel contempo (liana). Nel corso dell’evoluzione insorgono due tipi fondamentali di tessuto meccanico e cioè il collenchima, elastico e poco rigido e lo sclerenchima, rigido e poco elastico.

Il collenchima si trova nella parte esterna della pianta, nella zona corticale delle piante erbacee; è costituito da cellule vive, poliedriche o prismatiche, con membrana ispessita agli angoli e lungo gli spigoli e questo conferisce alla cellula, resistenza, elasticità e flessibilità. La parete quindi è ispessita, ma non in modo omogeneo, è più ispessita nei punti d’incontro con le cellule vicine. Sono caratteristici perciò gli ispessimenti angolari; gli scambi cellulari avvengono dove la parete non è ispessita. Mancano o sono ridotti gli spazi intercellulari. L’elasticità è dovuta alle zone non ispessite della parete; le cellule sono vive proprio per l’alternarsi degli ispessimenti, che permettono gli scambi.

Altro fattore distintivo è la presenza d’emicellulosa e anche cellulosa, ma mai lignificazione. 

 Si forma dal parenchima e lo troviamo prevalentemente nella parte corticale delle piante dove può formare un anello continuo o essere presente solo in certe zone, in corrispondenza di coste o angoli. Nelle Lamiacee è localizzato agli angoli del fusto, sotto forma di quattro cordoni, per cui il fusto appare tetragonale.

Non compare nelle Briophytonta, è presente in tutte le Stelophytonta.

Lo sclerenchima è costituito da cellule morte, la parete è fortemente ispessita e lignificata; il contatto con le cellule vive è mantenuto grazie a porocanali ben evidenti in un primo tempo, poi anche questi canali sono otturati e la cellula muore. A differenza del collenchima, la parete cellulare è costituita da cellulosa impregnata da lignina; il lume cellulare è piccolo.

Si divide in due tipi: fibre e sclereidi.

Le fibre sono cellule allungate, talvolta fino a 4 m. (fibre tessili); le sclereidi sono cellule isodiametriche e intervengono nell’impedire lo schiacciamento di parti più tenere o per dare consistenza ai semi.

Le fibre si trovano nel fusto e nei rami; diconsi fibre xilematiche se trovansi nello xilema oppure floematiche se nel floema o perivascolari o corticali, sempre a seconda della posizione. Le fibre si trovano talvolta sparse a costituire isole, come nella corteccia. Sezionandola troviamo, infatti, delle isole di 10 - 20 fibre costituenti un cordone a decorso longitudinale. Non le troviamo con disposizione continua, perché altrimenti la corteccia morirebbe. Fibre floematiche importanti sono quelle del lino, suscettibili di sfruttamento. Spesso le fibre assomigliano talmente ai tessuti vascolari che difficile ne è l’identificazione; si parla allora di fibro-tracheidi ecc. Per le fibre tessili, si provvede alla loro separazione mediante macerazione. Le cellule delle fibre hanno in comune la lamella mediana costituita da sostanze pectiche; dette sostanze sono divorate dal Bacterium felsineum che si trova nelle acque di macerazione e permette così la loro separazione.

Le sclereidi sono cellule di difesa di fiori, frutti, foglie. Sono isodiametriche e le distinguiamo in brachisclereidi, corte e proprie della pera; macrosclereidi di dimensioni notevoli, presenti nel nocciolo della pesca a difesa del seme; osteosclereidi, allungate nelle foglie; astrosclereidi, nelle foglie con significato diagnostico.

Tessuti peridermici

Si differenziano da quelli fin qui considerati, d’origine embrionale o primaria, per essere invece derivati da M. secondario, cioè da cellule già differenziate che ad un certo punto riprendono la propria attività meristematica. È rotta perciò la continuità genealogica con l’embrione. Altro carattere è il loro formarsi in loco e il loro diverso destino, proprio secondo l’ubicazione.

Sostituiscono l’epidermide, quando questa cessa di funzionare; hanno perciò funzione di difesa. Compaiono però solo nelle cellule perenni, dato che si formano solo al secondo anno di vita (nelle piante annue la difesa è affidata alla sola epidermide). Si trovano esternamente alla pianta a formare una parte di quella che volgarmente dicesi corteccia, in cui entrano anche tessuti vascolari, il sughero è un tipico esempio e può sostituire l’epidermide in gran quantità.

Esternamente al fusto abbiamo uno strato epidermico sottile che si desquama, al di sotto del quale troviamo il primo dei tessuti peridermici: il fellogeno. È costituito da una o più file di cellule che si moltiplicano e verso l’esterno producono sughero o fellema e verso l’interno il felloderma, di tipo parenchimatico. Il fellogeno è quindi un meristema che dà due tipi di tessuto, analogamente al cambio. Il fellogeno costituisce un anello continuo sotto l’epidermide e deriva da cellule parenchimatiche differenziate che hanno riacquistato proprietà meristematiche. Queste cellule, talvolta possono avere anche vacuoli e perciò agire quali riserva della pianta e quindi hanno una differenziazione discreta; nonostante ciò sono in grado di sdifferenziare; le cellule interessate possono essere o quelle direttamente sotto l’epidermide o anche cellule corticali poco profonde.

Una volta formatosi, questo meristema produce due tipi di cellule: una cellula di fellogeno si divide tangenzialmente e delle due cellule figlie una diversifica e l’altra no, alternativamente. Avremo così in modo alternato, la formazione di una cellula di fellema verso l’esterno e una di felloderma verso l’interno. Ingrandendosi il fusto con questo sistema, il fellogeno, si spezzetta in tante parti e nella massa si notano crepe raggiate. Solo a questo punto, altre cellule parenchimatiche riacquistano proprietà meristematiche e danno un fellogeno più interno al precedente, il fellogeno viene così ad essere un meristema a gradino che funziona per un certo tempo, poi muore e viene sostituito da altro. Ciò comporta che il nuovo fellogeno si forma dentro il felloderma originato dal precedente; la differenziazione progressiva è diretta dall’esterno all’interno.

Il sughero o fellema (termine preferibile in quanto in Italia, si intende come sughero la corteccia della quercia da sughero) è molto caratteristico. Le cellule del sughero hanno una parete primaria e una secondaria, di tipo cellulosico, contenenti la suberina, sostanza grassa che si deposita a lamelle sulle fibrille, all’interno della parete primaria, molto raramente anche all’interno della secondaria. La parete si ispessisce sempre più e le cellule muoiono. Il sughero, è fatto quindi di cellule morte. Queste cellule sono impilate e si parla di disposizione istoriata. Il fellema si forma in tutte le piante, con spessore variabile ed ha funzione di difesa.

Il felloderma ha una struttura diversa, perché in fin dei conti siamo di fronte ad un parenchima clorofilliano che poi subisce una perdita dei cloroplasti e diventa di riserva mantenendo pareti sottili. Nel complesso non è molto differenziato ed è proprio per questa scarsa differenziazione che in seno ad esso può formarsi il fellogeno secondario.

Se l’anello di sughero fosse esteso uniformemente, senza interruzioni, la pianta non avrebbe più possibilità di scambi con l’esterno e morirebbe, per cui si sono differenziate piccole fessure longitudinali o punti, cioè forellini rotondi che si susseguono regolarmente nel fusto, nei rami e sono chiamate lenticelle. Si formano da parenchima, talvolta in corrispondenza degli stomi; formandosi poi il fellogeno e poi ancora il sughero con le cellule impilate, ad un certo punto la lenticella si chiude. Questo fenomeno avviene però lentamente, per cui le piante e le loro parti, quanto più sono giovani, tanto più alto è il numero di lenticelle funzionanti che possiedono (si vedono bene sui rametti di ippocastano). 

Accrescendosi il fusto, il sughero si fessura. Queste screpolature, possono essere a coste come nell’olmo, a placche come nel platano, insomma è caratteristico per le varie specie, sia come forma, spessore, tempo di caduta. Le parti che si desquamano e cadono sono dette ritidoma. Dapprima si ha una desquamazione, poi distacco, ma talvolta detto distacco può essere molto lento come nei pini, o molto rapido come nei platani. Se il ritidoma si distacca dopo molto tempo, in genere si distaccano anche zone più interne e non solo il sughero. Ogni volta che si forma un nuovo strato di sughero, tutto ciò che è esterno ad esso desquama.

Talvolta le piante sono ferite o il fusto si rompe, è perciò necessario arginare la rottura, si ha allora la formazione di tessuti cicatriziali. Qual è la natura di detti tessuti ? Il problema è aperto. La soluzione più probabile è che siano cellule parenchimatiche che differenziano in cellule peridermiche, senza moltiplicare, se la ferita è limitata in spessore; se la ferita è più profonda si ha invece una proliferazione con conseguente comparsa di zone meristematiche secondarie.

Tessuti conduttori  

Sono T. complessi e possono avere origine embrionale o da meristemi primari e anche secondari.

Insorgono nel corso dell’evoluzione allorché le piante, avendo acquistato la possibilità di vivere in ambiente subaereo, devono necessariamente provvedere al trasporto dei liquidi. Li troviamo così in tutte le Cormobionta, ma sempre con una differenziazione graduale: si va così dal primitivo aquixilema delle Briophyta ai complessi floema e xilema delle Stelophytonta.

Aquixilema

 È il primo tipo di tessuto conduttore che troviamo essere apparso nelle Briophyta, le prime piante viventi in ambiente subaereo, per la maggior parte della loro vita. È fatto da cellule non molto allungate, con parete scarsamente differenziata, con lume cellulare evidente. Non deriva mai da cambio, ma da cellule parenchimatiche che si differenziano notevolmente per condurre i liquidi, sebbene ancora a distanza ravvicinata. La conduzione, oltre tutto è lenta perché le cellule sono vicine e vive, cioè attive; non si ha la necessità di veri e propri canali di trasporto. È un tessuto poco efficiente; le cellule, ma non tutte, sono in genere con parete poco ispessita e vaste sono le zone in cui detto ispessimento manca, contrariamente a quanto avverrà per le piante superiori. Talvolta le cellule dell’aquixilema possono avere compiti di accumulare liquido, per cui si riducono ad un grosso vacuolo centrale, il tutto con parete molto sottile.

Troviamo l’aquixilema nei filloidi degli Sfagni, nel Polytrichum, nella parte inferiore della lamina fogliare delle Hepaticopsida. Localizzato in certe parti ben distinte, lo troviamo anche in alcune Lycopsida fossili giganti. Sono ispessimenti detti parenchinos che troviamo anche nelle Conifere.

Aquixilema è presente anche nelle cellule dei peli di Drosera e interviene nella produzione di “succhi gastrici” atti a digerire gli insetti. Infatti dentro i “tentacoli” di questa pianta, troviamo un tessuto molto simile allo xilema, ma che è interpretato come Aquixilema perché le pareti presentano ispessimento alternato.

Xilema

Lo xilema o legno è un tipo di tessuto conduttore che ha la caratteristica di funzionare come tale per alcuni anni, poi cessare e fare solo da sostegno (parte più scura dei vecchi tronchi in sezione trasversale).

Lo distinguiamo in vari tipi secondo l’origine. Lo xilema primario deriva da meristema embrionale; il protoxilema deriva dal procambio; il metaxilema, dai meristemi primari localizzati fuori dell’embrione; il deuteroxilema, o xilema secondario, prende origine dai meristemi secondari. Comunque sia nato, tutti hanno una struttura più o meno simile. È un tessuto composto e complesso, fatto cioè, da elementi di vario tipo.

Troviamo, infatti, veri elementi xilematici, elementi conduttori veri e propri circondati da parenchima; fibrotracheidi e parenchima, parenchima del raggio, elementi addizionali quali latticiferi, canali resiniferi, isole di sclereidi isodiametriche. Questi elementi hanno una parete longitudinale molto lunga, mentre le pareti terminali sono corte. Questa parete orizzontale, corta, può essere obliqua o a becco di flauto: gli elementi che la rappresentano sono tracheidi; oppure detta parete può essere orizzontale ed individuare così le trachee. Tracheidi e trachee sono ben distinte, anche per la diversa perforazione della parete terminale; le prime, infatti, presentano una serie di forellini alterni, le seconde presentano un numero di fori più limitato, al massimo due. Nelle tracheidi, la parete nelle zone forate, non si forma mai, mentre nelle trachee si ha dapprima la parete completa che solo successivamente si riassorbe in certi punti, con un qualcosa sul tipo del sincizio. Detto riassorbimento non avviene per tutte le cellule delle trachee, ma solo per alcune, così che si ha un succedere di cellule con parete perforata ed altre con ancora la parete completa.

Nelle Conifere troviamo solo tracheidi (fusti omoxili) mentre nelle Angiosperme troviamo trachee e tracheidi (fusti eteroxili).

Le pareti laterali sono di vario tipo ma senza quelle differenze che presenta la parete terminale. Le pareti laterali giovani sono poco lignificate, quelle più vecchie lo sono maggiormente. Questa lignificazione interessa sia la parete primaria sia la secondaria ed avviene col processo d’impregnazione, per cui la lignina si deposita negli spazi intermicellari e interfibrillari della cellulosa, in grande quantità. Il processo di lignificazione avviene in modi diversi per cui possiamo distinguere elementi anulati, in cui abbiamo tanti anelli sovrapposti, non a contatto fra di loro; elicoidali con zone non lignificate; scalariforme quando la progressiva riduzione delle zone non lignificate fa sì che tutta la parete sia lignificata con spazi non lignificati piccoli a formare delle sorte di lenticelle, oppure la parete può presentare delle punteggiature e la lignificazione essere molto più complessa.

Nella parete primaria, ci sono i porocanali che si continuano nella secondaria con le punteggiature. In corrispondenza della punteggiatura, gli elementi microfibrillari presentano un andamento disordinato, slargandosi, oppure nel caso più generale, formando attorno alla punteggiatura un cercine di cellulosa (punteggiature areolate). In corrispondenza della punteggiatura, (che ci possiamo immaginare come un foro, attraversante la parete primaria, oltre che la secondaria e terminante con la lamella mediana, che appartiene pure alla punteggiatura dall’altra parte), sulla lamella mediana si trova una zona ispessita, detta toro, fiancheggiata da due parti, una sopra l’altra sotto, che sono invece molli. Questo fatto permette lo spostarsi di detto “tappo” ora a chiudere una punteggiatura, ore quella opposta. Si noti che i cercini si incontrano a becco di rondine e che il toro potrebbe essere una valvola per favorire l’ascesa dei liquidi in una trachea piuttosto che in un’altra. 

Altri elementi circondano il vaso conduttore e costituiscono il parenchima xilematico che permette allo xilema di vivere a lungo. È fatto da cellule un po’ allungate longitudinalmente e correnti attorno a quelle dei vasi; la sua ragione d’essere è nella nutrizione dello xilema e per il suo intervenire attivamente nello scambio fra le varie parti dello xilema. È pure affiancato al parenchima del raggio e cioè a quel parenchima che si trova in corrispondenza dei raggi midollari (le crepe nelle “rotelle” del legno morto dei vecchi alberi).

Il parenchima del raggio provvede al nutrimento del legno; mentre il parenchima xilematico ha andamento longitudinale rispetto all’elemento xilematico, questo ha andamento ortogonale, cioè ha decorso orizzontale ed in genere è fatto da più file di cellule. Facendo sezioni longitudinali radiali (passanti per il centro del cerchio del fusto) vediamo tutti questi elementi in tutta la loro lunghezza; in sezione tangenziale (longitudinale ma tangente al cerchio) li vediamo solo parzialmente.

Quando viene la cattiva stagione, la pianta cessa notevolmente di assorbire liquidi dal terreno; il legno provvede allora alla chiusura dei propri elementi conduttori, grazie al parenchima del raggio che invia nei vasi delle formazioni tipo ernie, attraversanti le punteggiature e confluenti insieme, ad otturare il lume del vaso. Nella successiva primavera, nelle piante di uno o due anni d’età, queste formazioni erniarie dette tille, sono riassorbite e i liquidi possono di nuovo passare. Dopo i tre anni, le tille diventano stabili e il vaso è ora perfettamente e definitivamente otturato, quindi non ha più funzione conduttrice.

Ancora nello Xilema, dobbiamo elencare i canali laticiferi, resiniferi e le isole sclereidi. Ricordiamo ancora che lo Xilema è attivo per un po' di tempo, poi muore e cessa di funzionare come tessuto conduttore . Fin quando è vivo, è di colore chiaro e dicesi alburno, quando muore scurisce e dicesi duramen. Questa differenza di colore si può vedere nelle “rotelle” ricavate da vecchi tronchi; lavorando una porzione di legno al limite tra alburno e duramen, si possono fare oggetti artistici, per metà bianchi e per metà marrone scuro. Quando diventa duramen ha essenzialmente funzione di sostegno. Ancora da ricordare è che il legno non si comporta tutto l’anno allo stesso modo, ma la sua vita è legata al passaggio delle stagioni, alla temperatura, e all’acqua, agenti quali fattori limitanti. Alle nostre latitudini, la stagione delle piogge primaverili favorisce la presenza d’elementi xilematici, ed in genere conduttori piuttosto grandi; man mano che andiamo verso l’estate che è più siccitosa, il legno differenzia vasi sempre più piccoli. L’insieme viene ad avere una disposizione ad anello, con la parte più marcata rappresentante il legno attivo di primavera; ogni anello corrisponde ad un anno di vita e al suo alternarsi di stagioni, da cui la possibilità di contare gli anni d’età della pianta ed anche di trarre deduzioni climatiche da un primo e sommario esame del legno.    

Floema

Detto anche libro, è un tessuto adibito al trasporto dei liquidi già elaborati, che convoglia nei punti d’utilizzazione e di riserva ed ha uno sviluppo limitato rispetto allo xilema È fatto di cellule a parete tenue, non lignificate; sono più o meno simili alle parenchimatiche. Hanno diversa origine e, come per lo xilema, possiamo distinguere un proto, meta e deuterofloema.

È anch’esso, come lo xilema, un tessuto composto di elementi conduttori veri e propri, parenchima, canali laticiferi e resiniferi, elementi di sostegno. Come elementi veramente conduttori troviamo i tubi cribrosi, fatti da più cellule sovrapposte, con le pareti trasverse provviste di tanti piccoli forellini, detti cribri, la parete divisoria trasversa è detta placca cribrosa, ed è tenue, salvo che nella zona dei cribri. Anche le pareti sono tenui, non ispessite e senza nulla di particolare. Importante è che sono cellule vive, infatti, in periferia, addossato alla parete troviamo il citoplasma.

Lo xilema è fatto da cellule morte lignificate: il floema è fatto da cellule vive, a parete sottile, con citoplasma in periferia.

Unite a queste cellule troviamo le così dette cellule compagne, di natura parenchimatica. È certo che provvedono al nutrimento, ma forse anche al trasporto di sostanze verso zone periferiche o verso l’alto, mentre le cellule conduttrici o floematiche vere e proprie servirebbero per condurre le stesse sostanze verso il basso o verso i lati, per nutrire le cellule compagne.

Troviamo inoltre fibre floematiche sclerenchimatiche, il cui compito è di circondare il vaso per difenderlo e impedirne lo schiacciamento. Nel lino troviamo dette fibre di natura cellulosica. Anche qui troviamo un parenchima floematico interposto fra i vari elementi.

Il floema può essere localizzato o fra i vari elementi conduttori o lontano da essi, fra le fibre: ha funzione trofica.

Il parenchima del raggio è ben riconoscibile perché ha andamento radiale. Troviamo ancora canali laticiferi e resiniferi.

È necessario tenere presente che il floema non è ben definito nei confronti della corteccia, ma anzi si confonde talmente con essa da essere soggetto a desquamazione nelle placche di ritidoma.

Ha un’attività più breve dello xilema (che per alcuni anni funziona come tessuto conduttore e poi, come tessuto di sostegno), durando solo due tre stagioni vegetative e poi viene o desquamato, o molto compresso dal nuovo floema che si è formato per cui non è più in grado di funzionare.

La sua funzionalità è affidata ai cribri, cioè a quei piccoli forellini che d’inverno si chiudono. Questa chiusura avviene in quanto la parete dei cribri è fatta di cellulosa, sostanza che si rigonfia in acqua, occludendo il foro. Sarebbero anelli di cellulosa che, a seconda dell’idratazione si rigonfiano e quindi si dilatano.

Fasci vascolari

In genere Xilema e Floema sono affiancati, e sono questi due tessuti affiancati, percorsi da corrente ascendente e discendente, che costituiscono il fascio vascolare. Si possono avere solo fasci xilematici quando il floema è indipendente; è questo il caso della radice, in cui lo xilema ha nel complesso aspetto di croce greca, con ai quattro angoli i “tondini” di floema, il complesso è detto arca ed è costituito da fascio xilematico indipendente dal floematico. Nella radice abbiamo quattro fasci xilematici indipendenti, uniti al centro e cioè quattro arche, da cui una radice del genere dicesi tetrarca. I fasci floematici diconsi anche fasci cribrosi, se sono affiancati ai xilematici, si parla di fasci cribro-legnosi. Il rapporto fra floema e xilema può essere assai vario, abbiamo così fasci collaterali (1-2-3), uno chiuso (1) nelle monodicotiledoni, uno aperto (2), perché abbiamo una zona cambiale intermedia, nelle dicotiledoni; bicollaterali (3-4) con due fasce floematiche esterne e una interna.

I tessuti nelle Cormobionta

Da quanto detto è possibile dedurre che siamo di fronte ad una evoluzione istologica.

Nelle Briophytonta c’è solo parenchima, solo nelle piante superiori compaiono nuovi tessuti, in relazione all’adattamento all’ambiente subaereo. Non solo abbiamo un’evoluzione relativa ai vari gruppi sistematici, ma i singoli tessuti passano da tipi più semplici, come il parenchima fatto da un solo tipo di cellule, a tipi più complessi, come il floema con tanti diversi elementi.

Le piante hanno inoltre delle tendenze e i tessuti differenziati ne rappresentano la realizzazione più o meno efficiente.

Le Cormobionta hanno tendenze a svincolarsi dall’acqua per quanto riguarda la riproduzione, ma questo comporta un assorbimento e relativo trasporto dell’acqua, per cui ecco necessariamente l’insorgere di tessuti specializzati per una rapida ascesa ed utilizzazione di essa. Nelle Angiosperme il trasporto è particolarmente attivo.

Questa evoluzione istologica è da tenere presente.

Talvolta abbiamo ritorno a condizioni di vita precedente, causa adattamenti secondari. Esempio tipico le ninfee, che pur discendenti da piante aeree, sono tornate in acqua e hanno differenziato tessuti molto evoluti, come il parenchima acquifero e nello stesso tempo hanno popolato una superficie che le altre piante avevano lasciato libera.

I vari tipi di tessuto dei gruppi sistematici saranno considerati più avanti, per ora basta tenere presente che si ha una graduale e progressiva evoluzione verso il migliore adattamento possibile alla vita in ambiente subaereo.

Origine evoluzione classificazione delle CORMOBIONTA

Le Cormobionta sono tutte quelle piante che normalmente vediamo intorno a noi e comprendono quelli che volgarmente chiamiamo muschi, felci, cycas, palme, monocotiledoni e dicotiledoni. 

Le Cormobionta sono molto antiche; conosciamo fossili di 400 milioni di anni fa, ma dette piante hanno un livello evolutivo tale che la loro origine è ancora molto più antica nel tempo.

Tra le piante più antiche di cui si parla, è l’Aldanophyton dell’ultimo Cambriano (di essa abbiamo solo un’impronta da cui i dubbi), che potrebbe appartenere alle Licopsida.

Certo è che le Licopsida sono le più antiche, perché ad esse appartiene senza ombra di dubbio, un fossile a struttura conservata, australiano, risalente al Siluriano, chiamato Baragwanathia. Più moderne sono fra le Rhyniopsida i generi Yarravia e Zosterophyllum. Si deduce che nel Siluriano esistono già due linee filetiche, le Licopsida e le Rhyniopsida.

Nel Devoniano abbiamo un’esplosione evolutiva e si rileva la presenza di molte Pteridophyta e alcune Spermatophyta. Questo fatto ci dice che le Cormobionta si erano già ben affermate ed erano già così evolute da avere diverse linee filetiche. Nel Mesozoico si estinguono vari gruppi, ma appaiono le prime piante con fiori, prima una dicotiledone e poi una monocotiledone.

Per l’origine delle Cormobionta, le teorie sono molteplici e lo studio dei fossili non conferma né smentisce le varie teorie.

Due sono le classi di teorie: teorie monofiletiche e teorie polifiletiche.

Il progenitore unico, nelle teorie monofiletiche, è stato indicato da alcuni nelle Phaeophyta. Le Cormobionta, però hanno un chimismo assai diverso; là c’è clorofilla a e c, sostanze non amilacee extraplastidiali; qui invece abbiamo una diversa clorofilla, sostanze amilacce intraplastidiali.

Morfologicamente le differenze sono ancora maggiori; le Cormobionta hanno parti con flagelli apicali, mentre là erano laterali, uno pleuro e l’altro acronematico, mentre qui sono acronematici.

Le Cormobionta raggiungono solo l’aplodipontismo, mentre là abbiamo diplontismo; ne deriva che le Phaeophyta sarebbero più evolute come ciclo ontogenetico, per cui dovremmo ammettere che una evoluzione regressiva ha dato origine alle Cormobionta. Là poi il diplontismo è stato raggiunto a spese del restare in acqua, mentre qui l’ambiente è sempre subaereo.

Da cui non si può accettare una origine delle Cormobionta dalle alghe brune; il loro antenato è da ricercarsi fra le Clorophyta.

Infatti, troviamo fra le Cormobionta e le Clorophyta molti punti di contatto: in ambedue abbiamo clorofilla a e b, amido intraplastidiale e con uguale processo di formazione; i pirenoidi delle Clorophyta sono presenti, fra le Cormobionta, solo nel gruppo delle Antoceropsida, che hanno pure un numero molto basso di cloroplasti, come il gruppo delle alghe; gli spermatozoi delle Cormobionta sono provvisti di apparato cinetico con flagelli acronematici e nelle Briophyta i flagelli e gli spermi sono molto simili a quelli delle alghe verdi.

Fra le Clorophyta distinguiamo due gruppi: uno a cellule uninucleate e l’altro polinucleato (cenocitico) rappresentato dalla classe delle Syphonales. Le Syphonales si differenziano anche per avere raggiunto il diplontismo e per essere strettamente legate all’acqua. Le Chetoforales invece, avevano una evoluzione modesta e potevano resistere a lunghi periodi di siccità, le cellule non erano mai cenocitiche e in esse si poteva trovare uno sforzo verso l’ambiente subareo.

Sarebbero queste le dirette antenate. Alcuni affermano che in questo gruppo non troveremo esseri evoluti, perché questi non sarebbero altro che le Cormobionta (che noi classifichiamo a parte), considerabili come Clorophyta giganti. Dalle Clorophyta avremmo perciò l’evolversi della linea conservatrice delle Carophyta da un lato e dall’altro la linea evoluta delle Cormobionta. Altri autori prevedono l’esistenza di gruppi intermedi di antenati, ma questo fatto non è confermato da alcun reperto fossile.

Ammettendo la teoria polifiletica, dovremmo distinguere fra le Cormobionta più linee filetiche, si individuano così gruppi con foglie grandi, detti macrofillata e altri con foglie piccole detti microfillata; oppure potremmo prendere come base gli apparati riproduttori e distinguere gruppi con apparati sporigeni isolati, detti stachiosporee, tipo Osmunda e gruppi in cui gli apparati sporigeni sono portati sulle foglie, detti fillosporee.

Sono tutte piante viventi in ambiente subaereo e a tal uopo trasformate; così da piante che assorbivano direttamente acqua, siamo ora di fronte a un trasporto dalle zone di assorbimento a quelle di utilizzo; il passaggio da un sistema idrico statico ad uno dinamico, avviene per gradi.

L’ambiente aereo è meno ospitale di quello acquatico, da cui il differenziamento di mezzi di difesa.

Il passaggio porta poi a un notevole differenziarsi degli apparati sporigeni. La gamia era dapprima subordinata al trasporto da parte dell’acqua, ma ora si sviluppano sistemi più efficienti che permettono la fecondazione anche in assenza d’acqua, che prima invece era un fattore determinante al punto che in sua assenza non avveniva alcuna gamia.

Le Cormobionta si suddividono in tre gruppi: Briophyta, Pteridophyta e Spermatophyta, raggruppabili in Briophytonta e Stelophytonta (comprendente gli ultimi due). Le Briophytonta hanno un trasporto idrico limitato; le Stelophytonta l’hanno molto attivo.

La tendenza filogenetica importante è la graduale predominanza dello sporofito sul gametofito.

Nei muschi, il gametofito è fatto da rizoidi, cauloide e filloidi; lo sporofito è filamentoso e alla sua estremità si allarga a formare l’urna o sporangio e vive sul gametofito e non è capace di vita autonoma.

Nelle felci il gametofito è indipendente ed è ridotto ad una laminetta cuoriforme molto piccola; vive nel terreno e da esso, avvenuta la fecondazione, nasce la prima radice e la prima fogliolina. La radice provvede al nutrimento di tutta la pianta. Lo Sporofito, è la felce che noi vediamo, ma anche qui lo sporofito dipende dal gametofito, sebbene solo nei primi momenti di vita.

 Nelle piante superiori il gametofito è subordinato allo sporofito; le cose si sono capovolte, ma sempre gradualmente. Questo ci dice che la direzione dell’evoluzione è nel senso in cui si ha predominanza dello sporofito.

Mentre nei muschi, gli spermatozoi sono trasportati dall’acqua, per le piante superiori si differenziano modi più complessi di trasporto. Il gametofito si riduce sempre più, mentre viene protetto, perché in esso avremo il primo sviluppo della nuova pianta. Il gametofito è completamente occultato nello sporofito, chiuso, non più a contatto con l’ambiente esterno. La fecondazione avviene in modo diverso, con la microspora che cade sullo stimma, dà un tubo pollinico, e differenzia due nuclei di cui uno provvede alla fecondazione, mentre l’altro si fonde con altri nuclei femminili e servirà per nutrire l’embrione futuro.

Il periodo più delicato è quando la microspora (il granello di polline) si separa dalla pianta madre, ma è ben difesa dall’ambiente grazie alla sporopollenina, difficilmente distruttibile. Oltre a ciò i gametofiti maschili e femminili, sono portati dallo sporofito (il gametofito viene a essere il fiore con ovario e polline delle piante superiori). Siamo in grado di vedere un completo occultamento del femminile e parziale per il maschile (il polline è molto abbondante per assicurare in ogni caso la fecondazione). Intanto si realizza la difesa dei primi stadi di sviluppo, perché è dentro il gametofito che si forma lo sporofito di seconda generazione, difeso da quello di prima generazione. Non solo si ha la formazione dello sporofito di seconda generazione, ma contemporaneamente di tutte quelle sostanze che serviranno a nutrirlo. Un sistema di difesa efficiente dell’apparato femminile è la formazione di un ovario, anzi di più tipi di ovario. Abbiamo così l’ovario supero e l’ovario infero, racchiuso nel talamo che si è curvato e saldato al frutto, così da difenderlo e talvolta si è arricchito di sostanze nutritive, come nella mela, dove la parte che mangiamo è il talamo ingrossato e il torsolo è il vero frutto del melo. La difesa è stata logicamente raggiunta attraverso vari modelli di cui solo alcuni si sono rivelati vantaggiosi e sono stati perciò applicati su vasta scala, vedi i numerosi tentativi di Angiospermia.

In ogni caso, la tendenza comune alla protezione, è indice importante di una loro comune origine. Anche il bilancio idrico dinamico non è stato raggiunto in un sol colpo; troviamo, infatti, un Aquixilema come primo tentativo in grado di provvedere ad un primo trasporto di liquido a distanza ravvicinata, nelle piante inferiori, ma a un certo punto cessa di trasportare liquidi e lo troviamo nelle Anthoceropsida, adibito alla dispersione delle spore. Nelle felci le cose sono più evolute, perché nel “fusto” troviamo una massa centrale, detta stele, adibita al trasporto, ed essa è costituita al centro da xilema ed esternamente da floema. La stele si sviluppa lentamente verso sistemi più efficienti, man mano che procediamo nella evoluzione.

Per la classificazione, ci si basa sul livello evolutivo raggiunto e principalmente a seconda dei mutui rapporti gametofito-sporofito. In base a questo parliamo di Briophyta, Pteridophyta e Spermatophyta; per il bilancio idrico, distinguiamo le legioni delle Briophytonta e delle Stelophytonta.

Si ricorda che questa è una delle tante possibili classificazioni, altre possono essere fatte a seconda dell’importanza che si danno alle varie manifestazioni evolutive. 

 

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BRIOPHYTONTA

 

È questa una legione costituita da una sola divisione, le Briophyta, comprendenti tre classi: Anthoceropsida, Hepaticopsida, Bryopsida.

 Sono pluricellulari, con cellule uninucleate. Sono piante terrestri, anche se alcuni rappresentanti, come il Fontinalis, vivono in acqua, ma è un adattamento secondario. Hanno conquistato l’ambiente subaereo in modo ridotto; possono anche vivere in ambienti particolari, come sui muri, sugli alberi; date le loro dimensioni, non sono in grado di vincere la competizione con le piante superiori, sono però molto resistenti a condizioni limite come in luoghi con scarsa illuminazione. Le troviamo anche in alta montagna ove sono in grado di completare il proprio ciclo vegetativo nella breve stagione estiva alpina, che invece non permette la fioritura ad altre piante.

Sono piante autotrofe, talvolta entranti in simbiosi con funghi per approvvigionarsi di acqua nelle avverse condizioni. Sono aplodiplonti, carattere comune a tutte le Cormobionta. Hanno ciclo eteromorfo, grazie allo sviluppo diverso del gametofito e dello sporofito, fatto questo che troviamo già nelle Feophyta, che distinguiamo in Iso e Eterogenerate. Il gametofito, autonomo e ben sviluppato, prevale nettamente sullo sporofito, che ha dimensioni più ridotte e dipende dal gametofito. La fase sporofitica è fase transitoria rispetto alla gametofitica.

Sono piante piccole che non hanno realizzato un sufficiente sviluppo del tessuto vascolare e quindi non possono trasportare l’acqua lontano; non c’è, infatti, un vero e proprio tessuto vascolare, ma solo poche cellule destinate a trasporto ravvicinato. Possiamo parlare di aquixilema vero e proprio solo in pochi esemplari; nella maggior parte abbiamo cellule che trasportano l’acqua assorbita dai rizoidi, da un punto all’altro per osmosi. Solo se il trasporto deve giungere ad un'altezza discreta, compare l’aquixilema in certe Anthoceropsida, che esaurisce ben presto il suo compito di trasporto e servirà poi per la dispersione delle spore e chiamasi elaterio. Dal punto di vista dell’assorbimento, si possono dividere in due gruppi, a significato funzionale non sistematico. Parliamo così di Briofite ectoidriche, in cui il trasporto avviene da cellula a cellula, senza specializzazioni; qui il gametofito è così ridotto che qualunque sua cellula può assorbire direttamente acqua dall’ambiente; sono le più primitive.

L’altro tipo sono le Briofite endoidriche che sono più complesse; in esse troviamo un piccolo fusto, talvolta di altezza discreta, come nel Polytrichum che in Nuova Zelanda raggiunge i 20-25 cm. di altezza e anche da noi è fra i muschi più alti.

Le dimensioni sono varie, ma in genere ridotte; accanto a quelle che in qualche modo si elevano dal suolo, abbiamo anche quelle che vi aderiscono, per cui dimensionalmente dobbiamo considerare la loro estensione e non la loro altezza. Nella Marchantia polymorpha abbiamo lamine fino a 50-60 cm. di lunghezza a decorso orizzontale, ma solo in ambienti privi di specie competitive.

Possiamo distinguere allora specie a sviluppo ortotropo (in altezza) e plagiotropo (in estensione). Un muschio ortotropo ha simmetria raggiata, uno plagiotropo ha simmetria bilaterale. Le parti si modificano in relazione alla nuova simmetria; i filloidi della Marchantia si riducono a piccole squame, mentre i rizoidi si spostano lungo tutto il fusto per permettere l’assorbimento diretto. Lo stato plagiotropo è più evoluto dell’ortotropo, in armonia con la legge generale dell’evoluzione riguardo alla simmetria.

Il gametofito ortotropo è fatto di parti analoghe alle parti delle piante superiori, da cui derivano i loro nomi: importante è però ricordare che qui tutto è aploide, mentre fra le piante superiori tutto è diploide. La corrispondenza a radice, fusto e foglie dello sporofito diploide, qui troviamo rizoidi, cauloidi, filloidi riferibili al gametofito aploide (col suffisso “oide”, indichiamo qualcosa che assomiglia alle corrispondenti parti delle piante superiori, ma non è con esse omologo).

Analogamente, tutte le funzioni delle piante superiori, sono qui compiute da un gametofito aploide; così il rizoide assorbe acqua dal terreno, il cauloide fa da impalcatura, i filloidi compiono la fotosintesi. Però se la funzione corrisponde, molto diverso è il grado di evoluzione raggiunto. Nei filloidi non ci sono gli stomi, stomi e pori stomatici si trovano nel cauloide. La lamina della Marchantia, anche se verde ed appiattita, è un fusto, provvisto di pori stomatici. La ventilazione associata ad appiattimento delle parti fogliari la si raggiunge solo nelle Stelophytonta.

La fecondazione avviene solo in mezzo acquatico, anche se, nella maggior parte dei casi, è sufficiente la rugiada notturna. Una volta avvenuta la fecondazione abbiamo lo zigote che diventa embrione e poi sporofito dante le spore che daranno origine al gametofito.

Le parti riconoscibili nello sporofito sono, un punto di attacco o piede, un filamento più o meno lungo detto seta, che serve per portare verso l’alto lo sporogonio che produce e disperde le spore, grazie proprio alla seta. Nello sporogonio troviamo le cellule madri delle spore in un tessuto sporigeno; le spore sono disperse grazie all’aquixilema che differenzia elateri oppure mediante un sistema di dentini che si aprono.

Lo sporofito ha un certo grado di sviluppo, ma alla maturità si blocca e differenzia lo sporogonio. Nelle Anthoceropsida l’accrescimento dello sporofito è indefinito, ma anche dovuto a meristema intercalare, per cui non è molto efficiente; ciò però permette allo sporogonio di conservare la possibilità di dare spore.

Le spore sono disperse in ambiente subaereo con modalità diverse a seconda dei gruppi; avvenuta la dispersione, esse germinano dando il gametofito e ricominciando il ciclo.

Sono piante molto antiche, ma di difficile fossilizzazione, perché facilmente vanno in decomposizione. Pochi sono i fossili, alcuni a struttura conservata; è stato trovato uno sporogonio abbastanza simili agli attuali ma risalente al Devoniano inferiore, per cui si può dedurre che non sono piante derivate da evoluzione regressiva di altre. Ciò che importa, è che nel Devoniano c’erano già Hepaticopsida e Briopsida con fossili simili agli attuali, per cui la divisione dei due gruppi deve essere molto antica. Esistevano quindi due linee filetiche che si sono mantenute sino ad oggi. Per quanto riguarda l’origine delle Briophyta, unica divisione delle Briophytonta, la più esatta è quella che le fa discendere dalle Clorophyta. L’altra teoria, per cui sarebbero felci o Pteridophyte che hanno subito una evoluzione regressiva, non trova conferma nei reperti fossili. Dobbiamo considerarle come una divisione non nata per evoluzione regressiva, ma solo come gruppo originatosi molto anticamente e con scarso potere prospettico. È affine alle Pteridophyta ma la loro eventuale comune origine è da situarsi molto lontana nel tempo. Già nel Devoniano era presente con due linee filetiche, giunte sino a noi senza troppe mutazioni.

Per le Anthoceropsida non conosciamo alcun fossile, è inoltre un gruppo sintetico, perché riunisce in sé i caratteri degli altri due, sebbene sia azzardato considerarlo quale loro progenitore, sempre per la mancanza di fossili. Certamente abbiamo un antenato comune o per lo meno simile a quelli delle altre due linee, che avevano più possibilità di fossilizzare. Le Anthoceropsida e le altri classi, fanno parte della divisione delle Briophyta, che consideriamo quale linea conservatrice che non ha dato discendenti. Pensiamo che dalle Clorophyta, per una prima dicotomia, si sia avuto da un lato la divisione delle Briophyta e dall’altro tutte le altre Cormobionta.

Per quanto riguarda la classificazione dei muschi, due sono le tendenze. Si possono dividere in tre classi, come qui fatto, o solo nelle due classi di Hepaticopsida e Briopsida, comprendendo fra le prime le Anthoceropsida.

Qui ammettiamo tre entità tassonomiche: Anthoceropsida, Hepaticopsida, Briopsida.

Anthoceropsida

Le Anthoceropsida sono un gruppo male rappresentato; sono, infatti, pochi generi e poche specie, rinvenibili in varie zone della terra, non continue fra loro.

Il gametofito si differenzia da quello d’altre piante della legione, perché è costituito da tante piccole lamine, disposte a rosetta attorno ad un punto centrale. Il gametofito ha una struttura omogenea e perciò può essere detto talliforme ed è costituito da cellule tutte uguali, eccetto alcune più profonde costituenti delle cavità.

Troviamo qui parenchima clorofilliano, ma con limitato numero di cloroplasti; è questo un carattere arcaico, poiché già presente nelle Clorophyta, troviamo ancora dei pirenoidi, fatto unico fra le Cormobionta. È proprio il limitato numero di cloroplasti e la presenza eccezionale di pirenoidi a confermare la loro derivazione dalle Clorophyta. Da notare ancora è che il gametofito ha un numero basso di cloroplasti, mentre lo sporofito ne ha esattamente il doppio, quasi che si fosse avuto un raddoppio anche di queste entità, oltre che dei cromosomi.

Troviamo aperture stomatiche, ma non veri stomi, perché, pur assomigliando per anatomia agli stomi veri, essi presentano la cavità piena di una sostanza gelatinosa, in cui s’impianta una Cianophyta del genere Nostoc. Potremmo essere di fronte ad una simbiosi mutualistica.

Per quanto riguarda gli apparati riproduttori, notiamo la presenza di gametangi.

Da notare che si definiscono Archegoni i gamentangi femminili e Anteridi i gametangi maschili.

Nelle Anthoceropsida i gametangi maschili e femminili sono sempre infossati e perciò protetti; è questo un fatto evoluto, inesistente o parziale negli altri gruppi. I gamentangi sono d’origine ipodermica, cioè sono fatti dalla parte più interna del parenchima, fatto questo che diverrà importante per la sistematica delle felci. È proprio la presenza di gametangi infossati e la loro origine che portano a fare delle Anthoceropsida una classe ben distinta.

Gli anteridi si trovano in cavità ripiene di mucillagine ed in genere sono appaiati, sono provvisti di peduncolo e quando sono maturi, si rompe la lamina protettiva verso l’esterno, per cui gli spermatozoi fuoriescono favorendo così la funzione riproduttiva.  Per gli anteridi, possiamo parlare di una vera camera o cavità anteridiale, quale entità ben differenziata.

L’archegonio è lageniforme, cioè fatto a fiasco, forma che ritroveremo in altri gruppi. Distinguiamo in esso una base slargata o ventre e un collo; il tutto è infossato in una lamina. Nel suo interno troviamo l’oosfera o gamete femminile; gli spermatozoi, nuotando, penetreranno attraverso il collo, raggiungeranno l’oosfera fecondandola.

Avvenuta la fecondazione, lo zigote si moltiplica e da in breve un embrione, più o meno sviluppato, che è lo sporofito giovane che si accresce. Da giovane è filamentoso ed unico; da adulto, si divide in due parti a forca, con al centro un terzo filamento, non sempre presente, chiamato columella. È allungato, più o meno cilindrico; in esso è possibile distinguere una parte basale o piede, un brevissimo caule o seta. Il piede è un corpo emisferico che sta impiantato sul gametofito, da cui trae nutrimento.

 Lo sporofito è molto singolare perché possiede un meristema intercalare ad accrescimento indefinito, nella zona fra piede e sporogonio, mentre in tutte le altre Briophyta è definito e apicale. Questo meristema dà lo sporogonio verso l’alto. Lo sporogonio persiste a funzionare come tale per lunghissimo tempo, mentre negli altri gruppi, una volta apertosi a maturità, muore.

Talvolta è stato osservato che il piede perfora il gametofito, s’impianta nel terreno e vive indipendentemente; è questo un primo tentativo d’indipendenza dello sporofito ma succede solo in alcuni individui. Possiamo considerare questo un modello che prelude al successivo sviluppo della radice ed è l’unico caso del genere fra le Briophyta. Ciò che è interessante osservare, è come certe strutture compaiono occasionalmente in alcuni individui e poi si ritrovano nelle piante superiori.

Nello sporogonio non sono ben distinte le parti fotosintetiche e le parti fertili, la prima avrebbe funzione trofica, la seconda sporigena. Nella parte trofica, inferiormente, troviamo gli stomi, nella parte più interne, fertile, troviamo il tessuto sporigeno. Mentre nella maggior parte delle piante la formazione delle spore avviene negli sporangi, in questo gruppo le spore si formano in sporogoni più o meno complessi; là le spore nascono da cellule madri derivanti da una sola cellula archesporiale, mentre qui abbiamo molteplici celle, simili alle cellule madri, costituenti nel complesso quello che chiamiamo appunto tessuto sporigeno.

Nello sporogonio troviamo una zona più interna detta endotecio e una più esterna detta anfitecio; il tessuto sporigeno può formarsi indifferentemente dall’una o dall’altra parte, proprio perché mancando una distinzione fra parte fertile e no, manca anche una distinzione nella origine del tessuto.

Lo sporogonio può essere a forca (con due denti) o a forchetta (con tre denti) dove il dente centrale è la columella.; si è notato che quando il tessuto sporigeno deriva da anfitecio, esiste pure la columella, che deriva dalla trasformazione dell’endotecio; quando manca la columella, allora il tessuto deriva da endotecio.

Queste due diverse possibilità differenziano nettamente le Anthoceropsida da tutti gli altri gruppi.

Il tessuto sporigeno ha il compito di produrre le spore, esso dà allora origine alle cellule madri delle spore e contemporaneamente ad aquixilema cioè al tessuto che trasporta l’acqua a distanza ravvicinata. Dopo che l’aquixilema ha funzionato per un po’ di tempo come tale, si trasforma negli elateri, necessari alla dispersione delle spore. Spore ed elateri hanno quindi comune origine da tessuto sporigeno. Le Anthoceropsida sono autotrofe, non presentano mai fenomeni di simbiosi con funghi endofitici, come le Hepaticopsida.

Sono distribuite un po’ ovunque, ma soprattutto ai tropici; sono però limitate a pochi generi, con esemplari in numero ridotto; si trovano spesso in ambienti limite sia in zone con stillicidio sia nelle savane; non conosciamo fossili, ma senza dubbio sono molto antiche; sono affini alle Hepaticae più che alle Briopsida, ma sono in realtà considerabili quale gruppo sintetico con caratteristiche delle une e delle altre.

 

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Hepaticopsida

Sono un gruppo piuttosto grande, con più di 9000 specie, di svariate forme e dimensioni, a volte così piccole da impiantarsi sulle foglie delle piante tropicali.

Hanno gametofito aploide ben sviluppato e dominante sulla fase diploide. Nasce come piccolo filamento detto protonema, che ben presto muore, dando origine a quelle parti che costituiscono il gametofito adulto. Il gametofito può presentarsi sotto due forme, foglioso o frondoso, ambedue i tipi sono a simmetria bilaterale (diversamente dalle Anthoceropsida, dove la simmetria era raggiata). Il gametofito foglioso è eretto quindi ortotropo, quello frondoso è strisciante sul terreno, quindi plagiotropo.

Le Hepaticae con gametofito foglioso ortotropo, sono sempre ascendenti, mai adagiate al suolo; il gametofito presenta un cauloide eretto o ascendente con filloidi, inseriti lungo tre serie; abbiamo tre tipi di filloidi, i laterali ampi e il terzo, intermedio, molto più piccolo e di tipo particolare, chiamato anfigastro.

Ciò è in relazione alla presenza di un meristema ad iniziale unica, la solita cellula tetraedrica con base curva, che si moltiplica lungo le tre facce piane e si ritiene che si abbia una proliferazione destra e sinistra maggiore di quella centrale che prolifera più lentamente e origina gli anfigastri.

In sezione il fusto, che è a tre coste, ha la forma di un triangolo con i filloidi più grandi a destra e a sinistra e in cima gli anfigastri, che si trovano dalla parte ventrale, cioè quella che guarda il terreno. (nelle piante superiori, tipo felci in su, è detta parte ventrale quella che guarda in alto e dorsale quella che guarda verso terra)

Le Hepaticae a gametofito foglioso ortotropo hanno anche struttura omogenea, sono piccole laminette clorofilliche ad un solo strato di cellule.

Le Hepaticae a gametofito frondoso plagiotropo, si adagiano sul suolo e parallelamente a questo si sviluppano. (la Marchantia forma quelle lamine verdi che si trovano nei luoghi umidi). Hanno struttura eterogenea, anche perché queste lamine non sono le foglie, bensì il cauloide trasformato.

Ciò comporta una notevole differenza con le precedenti ed una simmetria che al massimo può essere bilaterale, ma che, il più delle volte, manca del tutto.

Troviamo una fila di cellule, sotto di cui esistono altre ad andamento ortogonale, rispetto al precedente; sotto queste si trova un altro strato di cellule allungate, prive di cloroplasti, a funzione di riserva e considerate come aquixilema. Si possono vedere al naturale, perché i puntini che compaiono sulle foglie, (es: Marchantia) non sono altro che i punti d’attacco delle sottostanti cellule clorofilliane e il reticolo, sempre ben visibile sulla foglia, è dovuto alla camera d’aria fra una cellula clorofilliana e quella vicina. Troviamo anche un poro stomatico fisso.

Nelle Hepaticae meno evolute, il gametofito è ortotropo, nelle più evolute è plagiotropo, senza simmetria.

Gli archegoni rappresentano i portatori e generatori dei gameti femminili. Sono terminali, cioè all’apice di un supporto, o dorsali. Nel corso dell’evoluzione, per accrescimento di particolari parti, talvolta si ha il ribaltamento e l’archegonio migra nella parte ventrale, tipo ovario sotto il fiore.

Gli anteridi sono di regola dorsali, ed è importante, perché vediamo qui realizzata una difesa della parte femminile mentre la parte maschile è lasciata libera di diffondere nella migliore maniera e più rapidamente possibile, gli anterozoi.

Per la propagazione, si hanno dei propaguli a scodella, all’interno dei quali si formano tante piccole lenti pluricellulari, che distaccandosi, daranno la nuova pianta.

Lo sporofito ha accrescimento definito, cioè limitato; distinguiamo in esso piede e seta. Si origina da un meristema apicale definito, che darà lo sporogonio, a vita limitata (diversamente che nelle Athoceropsida).

Il tessuto sporigeno deriva dall’endotecio, perciò è d’origine profonda. Manca la columella. Il tessuto sporigeno, non solo dà le spore ma anche quelle particolari cellule che servono per la loro differenziazione e che sono gli elateri. Gli elateri sono costituiti da cellule con ispessimenti elicoidali, igroscopici, che, attorcigliandosi in ambiente umido, spingono fuori le spore. Da notare che gli elateri, pur essendo di origine affine alle spore, non derivano da elementi conduttori, come nell’Anthoceros.

Nelle Briopsida è possibile vedere che lo sporogonio è protetto da una capsula, derivante dall’archegonio e perciò aploide, detta caliptra.; anche qui c’è qualcosa del genere. L’archegonio si accresce per un po’ di tempo, poi resta alla base dello sporofito e forma una specie di piccola membrana detta vaginale, residuo dell’archegonio dilacerato. Il numero di cromosomi è piuttosto basso, cioè n=8+1, numero fisso per tutto il gruppo, da cui la sua omogeneità e impossibilità di mutare, quindi non erano una linea filetica con grande potere prospettico.

La simmetria bilaterale è caratteristica fondamentale delle Hepatiche; abbiamo quivi un modello che in definitiva deriva dal diverso sviluppo delle tre entità della cellula tetraedrica; sviluppandosi due facce di più rispetto alla terza, la simmetria per forza diventa bilaterale. Nei muschi avremo invece, nel fusto, la formazione di tre coste più o meno uguali, perciò la torsione sarà a destra o a sinistra, secondo il senso di riproduzione della cellula tetraedrica; qui la simmetria è triraggiata. La simmetria delle epatiche comporta la possibilità di una sola serie di filloidi o di due serie uguali fra loro più una terza diversa; nelle Briopsida, invece, i filloidi sono tutti più o meno uguali fra loro e disposti lungo un’elica, corrispondente allo sviluppo delle tre coste.

Altri caratteri fondamentali delle Hepatiche, riguardano i filloidi. Essi sono ridotti o a piccole squame, allorché il caule si appiattisce oppure, nella maggior parte dei casi, sono monostromatici, cioè di una sola fila di cellule; i filloidi in definitiva, sono regrediti e la loro funzione è stata assunta dal caule. In genere non abbiamo mai appiattimento e ventilazione contemporaneamente.

Lo sporofito è ad accrescimento definito; i gametangi sono in posizione dorsale o ventrale o terminale, ma sempre superficiali; così anche gli anteridi, quando sono infossati, si trovano sempre in una cavità dovuta alla superficie che si è invaginata e che non è mai chiusa, a differenza di quanto avveniva nelle Anthoceropsida.

Nelle piante più evolute si realizza una difesa dell’archegonio; compaiono membrane costituenti il perianzio, ancor prima della fecondazione. Il perichezio avvolge più archegoni insieme; una volta avvenuta la fecondazione, si formano dentini a ciambella, a cercine e formano poi una lamina che involge tutto l’individuo ed è detta pseudoperianzio. È questo il primo esempio di come la fecondazione si ripercuota su varie strutture, sia cioè accompagnata da un’ondata umorale che porta alla formazione di nuove strutture protettive.

Possiamo trovare funghi endofitici, ossia delle micorrize, che insediandosi nella pianta sostituiscono i rizoidi; siamo di fronte ad una simbiosi, molto utile per la pianta.

Sono abbondanti e presenti un po’ ovunque; amano condizioni d’umidità accentuata, ma non sono mai acquatiche. Risalgono al Devoniano superiore; sono più affini alle Anthoceropsida, ma anche a certi gruppi delle Briopsida ovvero degli Sfagni.

Per quanto riguarda l’evoluzione delle singole parti, dobbiamo ricordare che abbiamo uno sviluppo notevole del gametofito a scapito dello sporofito, diversamente che negli altri due gruppi.

Per la classificazione, alcuni comprendono fra queste anche le Anthoceropsida; altrimenti vi è una certa uniformità di vedute, con tre gruppi principali: Jungermanniidae (le più primitive), Sphaerocarpidae (intermedie), Marchantiidae (le più evolute).

Jungermanniidae

Il gametofito si presenta frondoso, in genere sempre a struttura omogenea. Anche i rizoidi sono solitamente omogenei, ma talvolta possono mancare, in relazione al fatto che la loro funzione è assolta da funghi endofitici costituenti micorrize. Può esistere uno pseudoperianzio, insorgente dopo la fecondazione.

Lo sporogonio ha forma ovoide, peduncolato; si apre con quattro valve che a maturità fanno uscire le spore, fatto questo favorito dalla presenza di elateri igroscopici. Altro carattere importante è che i gonotoconti, cioè le cellule madri delle spore sono tetralobati, il che comporta una differenziazione delle spore, una per lobo, come una sorta di predestinazione, già a questo livello.

Le Jungermanniales sono le più abbondanti; sono epifite o epifilliche, cioè entità a ciclo rapido, data la breve vita delle foglie. Hanno possibilità di gametofito plagiotropo, per questo si adagiano sulla foglia.

Nelle Aerogininae troviamo gli archegoni in zona apicale e in alcune gli sporogoni sono dorsali; ricordiamo la Pallavicinia, molto simile all’Hepaticides, fossile del Devoniano superiore; la Symphogina in cui c’è un tentativo di aquixilema, giacché nel cauloide troviamo delle cellule molto allungate. Interessante è il genere Cryptotallus, privo di clorofilla in seguito alla sua estrema specializzazione. La sua vita è, infatti, strettamente legata ai funghi che vivono con esso. La simbiosi è tale che il Cryptotallus ha perso completamente l’autotrofia, ma d’altra parte non è nemmeno eterotrofo, siamo di fronte ad una simbiosi, come se il Cryptotallus si lasciasse “imboccare” dal fungo.

Le Calobryales hanno gametofito foglioso autotrofo con una simmetria quasi raggiata.

Sphaerocarpidae

Le Sphaerocarpidae hanno gametofito frondoso, come le Marchantiidae. Hanno struttura omogenea, con o senza i filloidi; anche i rizoidi sono omogenei; è sempre presente lo pseudoperianzio.Qui manca la deiscenza, quindi lo sporogonio non si apre per mezzo di valve, ma, essendo indeiscente, solo disfacendosi libera le spore. Ciò rappresenta un vantaggio per le spore che dalle sostanze in esso contenute e liberate con la marcescenza, traggono nutrimento per la germinazione. Mancano di elateri, ma troviamo delle piccole cellule sterili; ciò in relazione al fatto che gli elateri non servirebbero, dato che lo sporogonio è indeiscente.

Troviamo i generi: Sphaerocarpus, dallo sporogonio sferico e Riella.

Marchantiidae

Le Marchantiidae hanno gametofito frondoso e plagiotropo, infatti, si adagia sul suolo, come una lamina su cui si trova una sorta di reticolo con maglie esagonali e un piccolo puntino al centro. Ciò è in relazione con la struttura della lamina. Il gametofito possiede uno strato superiore non epidermico, perché possiede cloroplasti, anche se, in definitiva, assolve le funzioni dell’epidermide. Sotto troviamo un insieme di camere intervallate da colonne di cellule che, nella zona intermedia, non giungono mai al tetto; solo alcune vi giungono e danno il reticolato, cioè le maglie. Questa è una struttura singolare, in relazione all’abbondante ventilazione di queste piante. La camera è a contatto con l’ambiente esterno grazie ai pori stomatici, fissi, che appaiono come punti neri, al centro dell’esagono, maglia del reticolo.

Ogni poro stomatico è fatto da 16 cellule, cioè da quattro cerchi di cellule, essendo ogni cerchio formato da quattro cellule, che sono sfasate di 90° e sembrano perciò sovrapposte. È una disposizione caratteristica; sono cellule tutte cloroplastiche, come anche il pavimento della camera aerifera, sotto al quale troviamo poi cellule allungate, senza cloroplasti, ricche di sostanze oleose in masserelle ed in genere di varie sostanze di riserva.

Queste cellule molto allungate, parallelamente alla superficie della lamina, sono interpretate come aquixilema.

Il complesso strutturale è molto avanzato, ma è dovuto al caulidio, mentre le foglie sono piccole squame esterne alla lamina.

Abbiamo due tipi di rizoidi: uno ha struttura omogenea, mentre l’altro ha una parete provvista di una caratteristica scultura interna.

Nel complesso hanno una struttura piuttosto evoluta, cioè complicata, ma è da tenere presente che le lamine così complesse sono dei caulidi trasformati e che le vere foglie sono piccole squamette sulle lamine stesse.

Per quanto riguarda l’apparato riproduttore, hanno sempre pseudoperianzio, talvolta così sviluppato da avvolgere tutto lo sporogonio. Quest’ultimo è sferico od ovoidale, portato da un peduncolo più o meno lungo, può anche essere molto ridotto e anche parzialmente infossato. La sua parete è mono-, bi-, pluristratificata, fatto molto importante. Detti sporogoni sono sempre deiscenti, ma a volte questa deiscenza è tardiva, per cui può restare chiuso anche per un anno e mezzo. La deiscenza può avvenire per mezzo di denti o con una rottura circolare, che troveremo anche negli Sfagni.

Gli elateri possono essere presenti o no, se la deiscenza è molto tardiva, gli elateri scompaiono.

Si dividono in vari ordini: nelle Merchantiales, la Marchantia polymorpha è molto comune e si trova ovunque vi sia stillicidio ed è rappresentata da lamine verdi, variamente ramificate, correnti parallelamente al terreno e strisciante su di esso. Sono caratterizzate dal particolare apparato riproduttivo.

Dal gametofito si ergono degli “ombrellini”, i gametangiofori, distinti in archegoniofori, se femminili e anteridiofori se maschili. L’ ”ombrellino” deriva da una lamina che per successive dicotomie si divide in tante parti, in genere otto. Questi lobi si dispongono a dare una specie di formazione circolare. Gli anteridi sono dorsali, infossati nel corpo, sono a fiasco e fra uno e l’altro, troviamo camere aerifere ben evidenziate.

Gli archegoniofori sono sempre lobati; all’inizio gli archegoni sono situati lateralmente, ma poi la parte centrale cresce enormemente, per cui gli archegoni sono costretti a migrare centralmente. Fra i lobi, una lamina detta perichezio, involge diversi archegoni, che presentano un ventre con una grossa oosfera e un collo attraverso il quale penetrano gli spermatozoi.

Avvenuta la fecondazione, si accresce per un poco la parte dell’archegonio costituente la parete, poi l’accrescimento cessa, la parete si rompe e resta come vaginula alla base dello sporogonio.

Il ciclo vitale si compie così dalla spora che origina il protonema, che darà quindi il gametofito con gli anterodiofori e archegoniofori, che a loro volta daranno origine rispettivamente ai gameti maschili o spermatozoi e ai gameti femminili o oosfere. Avvenuta la fecondazione, si ha lo zigote e quindi l’embrione da cui originerà lo sporofito con sporogonio e tessuto sporigeno, produttore delle spore, con o senza elateri.

I nomi un po’ singolari degli individui di questo gruppo, sono dovuti al botanico fiorentino Redi, che essendo aiutato nei suoi studi dalle ricche famiglie della città, per gratitudine, mise i cognomi di queste alle piante che scopriva. Ricordiamo Targiona; Reboulia rara; Marchantia comunissima. Le Ricciales (dalla nobile famiglia fiorentina dei Ricci), non hanno né anteridiofori né archegoniofori, ma anteridi e archegoni infossati nel gametofito, che è così percorso da tante strie, corrispondenti agli archegoni infossati. Consideriamo questo gruppo come derivati dalle Marchantiales e differenziatosi per l’insorgere di mutazioni successive.

 

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Bryopsida

Sono quei vegetali comunemente conosciuti come Muschi. Popolano abbondantemente tutti gli ambienti della terra, anche quelli ostili. Contano circa 15.000 specie, di difficile determinazione sistematica.

Il gametofito è piuttosto complesso. Dalla spora nasce un filamento detto cloronema, fatto da cellule quasi uguali, con cloroplasti e setti traversi; da questo filamento si origina una differenziazione cellulare, compaiono cellule a setti obliqui, accanto a quelli con setti traversi; mentre queste ultime sono clorofilliche, le prime non hanno clorofilla e si approfondano nel terreno, assorbendo sali. Questa differenziazione è detta caulonema, entità che assieme al cloronema costituisce il protonema, da cui iniziano a sorgere i primi elementi del gametofito. Il protonema ha vita effimera e muore allorché si formano gli elementi primari; resta ora solo il gametofito adulto.

Questo fatto è in relazione all’instaurarsi di più meristemi lungo il protonema. Questi centri d’accrescimento plurimi diconsi gemmule e da essi si origineranno le altre parti. Le gemmule sono costituite da meristema apicale ad iniziale unica, cioè con la solita cellula tetraedrica. È questa che forma il gametofito adulto. Distinguiamo in esso l’insieme filamentoso costituito dai rizoidi assorbenti, cui segue il caulidio o fusticino, con all’apice il meristema ad iniziale unica. Lungo il fusticino troviamo i filloidi.

Nel complesso è una struttura simile a quella delle piante superiori, con la differenza fondamentale che qui abbiamo un gametofito aploide, mentre nelle piante superiori tutto è riferibile allo sporofito diploide.

I rizoidi sono fatti da un’unica fila di cellule sovrapposte, assorbono acqua e sali dal terreno e li cedono al cauloide o caulidio e possono avere diverso aspetto. Il cauloide è ora semplice, ora complesso, se semplice è fatto di cellule allungate verticalmente al centro e isodiametriche in periferia, se complesso distinguiamo epidermide, strato meccanico sottostante, strato di riserva e strato conduttore. Detta conduzione avverrebbe nei due sensi, per cui le cellule più centrali e conducenti verso l’alto, sarebbero aquixilema.

I filloidi hanno una struttura diversa a seconda dei gruppi, talvolta semplice, talvolta più complessa, ma sempre priva di ventilazione. Nel Polytrichum, il più evoluto, troviamo una lamina basale e sopra una serie longitudinale di cellule costituenti una sorta di palizzata a decorso verticale, ma non chiuse verso l’alto. Al margine della foglia troviamo delle ali che si chiudono su se stesse, chiudendo così il tessuto a palizzata; quando il clima è secco, sono chiuse, se è umido, sono aperte.

I filloidi vanno dal tipo monostratificato al pluristratificato, con tutti i tipi intermedi, ma sempre senza ventilazione.

La cellula meristematica apicale tetraedrica si moltiplica secondo tre facce; in genere va in senso orario, per cui si ottiene un fusto a tre coste, con andamento elicoidale.

Normalmente all’apice del caulidio si formano gli apparati riproduttori, perciò si parla di acrocarpi se i gametangi sono all’apice di esso e di pleurocarpi se sono situati all’apice di ramificazioni laterali. Quando abbiamo acrocarpi, l’accrescimento della cellula apicale meristematica è bloccato, se abbiamo pleurocarpi, sono bloccati solo gli apici delle ramificazioni laterali, non il caulidio principale.

Attorno ai gametangi, abbiamo la possibilità di vedere i filloidi modificarsi a formare il perichezio, non omologo.

Spesso, in mezzo agli anteridi, troviamo strutture filamentose con uno slargamento apicale, dette parafisi, analoghe a quelle presenti negli archi delle Septomycophyta, solo che nei funghi provvedono alla dispersione delle spore, mentre qui, fra i muschi, disperdono gli anterozoi. Troveremo parafisi del genere pure tra le felci, dove sono intercalate a sporangi.

Dagli anteridi escono gli anterozoi che fecondano l’oosfera contenuta negli archegoni, con formazione dello zigote e relativo embrione, da cui deriverà lo sporofito. È uno sporofito solitario, provvisto di piede, seta, sporogonio, che con il piede s’impianta nel gametofito.

Lo sporofito ha accrescimento definito e spesso il piede è portato da una struttura detta pseudopodio.

Nelle Hepaticae l’archegonio restava alla base come vaginula, qui nel suo interno si forma l’embrione, poi si rompe in due parti di cui una resta alla base e l’altra va all’apice a dare la caliptra, che è così una parte di gametofito in cima allo sporofito. Serve come difesa, ma manca negli Sfagni.

Talvolta la seta si manifesta come collare, ma lo sporofito è sempre portato in alto dalla particolare struttura gametotofitica che chiamasi pseudopodio e che si accresce dopo la fecondazione e dentro l’archegonio. Ciò che importa è che i muschi hanno fatto il notevole sforzo di portare, in qualche modo, verso l’alto, lo sporogonio, per favorire la dispersione delle spore. Nello sporogonio troviamo una parte sterile detta apofisi e una parte fertile, ovoidale e sostenuta da filamenti; esternamente, vi è una sorta d’epidermide con stomi simili a quelli delle piante superiori, sottostante la quale è una zona con cloroplasti e verso il centro, cellule allungate conduttrici. Verso l’alto il tessuto clorofilliano si slarga a dare le ampie camere aerifere. La parte fertile ha al centro una columella che si ricongiunge, in basso, con la parte sterile, grazie ai filamenti delle camere aerifere. La parete più esterna, tappezzata di tessuto sporigeno, è detta sacco esterno, mentre quella che riveste la columella costituisce il sacco interno. (da ricordare che, nonostante il nome “sacco”, sono in realtà le pareti esterne e interne di un unico sacco che si è invaginato a dare la columella. Il tessuto sporigeno che riveste internamente il tutto, forma le spore. In zona terminale, questa zona fertile, forma un anello di diversi strati. Più internamente, vi è il peristoma, fatto da un anello e due serie di dentini, che se sono in due serie, si distinguono in endo- ed eso-stomio. Al di fuori abbiamo un cappuccio che chiude tutto il complesso ed è detto opercolo, si stacca quando lo sporogonio è maturo e fa uscire le spore. I dentini, entrando a contatto con l’ambiente ed essendo igroscopici, si aprono e permetteranno la dispersione delle spore. In genere i dentini sono estroflessioni del peristoma (anello più interno) o di cellule qualunque.

Il tessuto sporigeno può originarsi da endotecio o dall’anfitecio, (nelle Hepaticopsida solo da endotecio).

Lo sporogonio può avere o no peristoma e opercolo; si definisce cleistocarpo quelli privi di dette strutture e stegocarpo quelle che le hanno.

Per quanto riguarda la trofia, tutte queste piante hanno rizoidi ben evidenti con cui assorbono; mancano micorrize e possono mancare gli elateri in relazione alla presenza o assenza della columella.

Per la filogenesi, sono un gruppo molto antico. Fino ad alcuni anni fa, non si conoscevano fossili antecedenti al Paleozoico, ma poi è stata trovata una capsula del Devoniano inferiore. Questo ritrovamento è importante perché lo sporogonio trovato è del tutto simile all’attuale, quindi l’attuale stato evolutivo era già raggiunto nel Devoniano, con ciò si conclude che sono molto antiche e che non si possono considerare derivate dalle felci per evoluzione regressiva; semplicemente siamo di fronte ad una linea conservatrice.

Come affinità, le Bryopsida, stanno un po’ a se; si può ammettere un antenato comune che avrebbe portato a due linee filetiche, le Bryopsida da un lato e dall’altro le Athoceropsida e le Hepaticopsida. Una certa affinità si può considerare fra le Andreiidae e le Hepatiche per la deiscenza dello sporogonio

Sono un gruppo ben individuato di 15.000 specie e circa 700 generi, distribuiti ovunque, nelle regioni aride, a livello del mare, sull’Himalaya, a temperature molto basse e in zone con lunghi periodi di siccità.

Si classificano in tre sottoclassi: Sphagnidae, Andreaeidae, Bryidae.

Sphagnidae

Le Sphagnidae sono un gruppo rappresentato da un solo genere, lo Sfagno che comprende diverse specie. Vive relegato sugli alti monti e manca nella zona equatoriale; lo troviamo in zone di media latitudine come relitto glaciale del quaternario. Il loro ambiente è la palude, ove possono subire processi di carbonizzazione dando origine alla torba e quindi a terreni torbosi molto fertili. Le torbiere sono diffuse nelle zone fredde d’Europa, soprattutto in Polonia; sono queste le zone in cui gli Sfagni si erano maggiormente diffusi durante le glaciazioni. La torba è acida ed è ottima per la coltivazione delle orchidee.

Gli Sfagni costituiscono dei grossi ammassi, alti anche più di un metro, che sono chiamati “cavallati”.

Sono caratterizzati dalla mancanza di una vera seta, rappresentata da una strozzatura fra piede e sporogonio che è portato in alto da un filamento detto pseudopodio, d’origine gametofitica e sviluppatosi dopo la fecondazione, di sotto all’archegonio.

Lo sporogonio è in genere un’entità di forma sferica, mancante di capsula e peristomio; all’apice della sfera troviamo un punto di rottura prestabilito, rappresentato da un anulus (una sorta d’anello) con opercolo.

La mancanza del peristomio (o peristoma) è in relazione alla particolare dispersione delle spore. Nello sporogonio, la parete della columella si raggrinza, esercitando così una pressione che determina il distacco dell’opercolo e la dispersione delle spore.

L’endotecio dà origine alla sola columella, mentre tutto il resto dello sporogonio e cioè l’archesporio, deriva da anfitecio.

Il protonema è costituito da una laminetta, appiattita; i filloidi sono costituiti da due tipi di cellule, clorocisti e leucociti.

Le clorocisti sono piccole cellule clorofilliane costituenti i filloidi, all’interno delle quali troviamo i leucociti, cellule grandi senza clorofilla, con tanti fori per mezzo dei quali possono imbibirsi d’acqua, lentamente, e altrettanto lentamente cederla; questa loro caratteristica è sfruttata, quando gli sfagni morti, formano la torba per le orchidee, che necessitano di una costante umidità.

Andreaeidae

Le Andreaeidae sono un piccolo gruppo localizzato in zone montane e fredde. Si suddividono in tre generi e 70 specie. Lo sporogonio è ovoidale, l’apertura per mezzo di quattro o sei valve, la caliptra mancante o al più molto ridotto, li ricollegano alle Hepaticae. Differente è l’origine del tessuto sporigeno e della columella. Hanno sporofito senza seta, sorretto da uno pseudopodio, sporogonio oblungo cilindrico, con caliptra ridotta, privo di peristoma ed opercolo, che si apre per 4 - 8 fessure longitudinali. Columella e archesporio sono originati dall’endotecio, come nelle Bryidae; il protonema può essere filiforme o nastriforme.

Bryidae

Le Bryidae hanno sporofito con seta, sporogonio sferoidale o cilindrico con varie forme, in genere senza pseudopodio e per lo più con caliptra. Possono essere provviste (stegocarpi), o mancanti (cleistocarpi), d’anulus, opercolo, peristoma. Columella e archesporio derivano da endotelio; il protonema è normalmente filamentoso. Sono circa 14500 specie che popolano tutte le parti del mondo, con affinità verso gli altri due gruppi.

Si dividono nei tre ordini: Bryales, Buxbaumiales e Polytricales.

Le meno evolute ma le più diffuse sono le Bryales. Hanno peristoma fatto da 2-3 strati di cellule; endostomio ed esostomio derivano da strati uguali e da essi derivano i dentini che sono estroflessioni della parete cellulare.

Ciclo della Funaria hygrometrica: dalla spora si originano cloronema e caulema, il cui insieme costituisce il protonema, da cui originano le gemmule, centri d’accrescimento ad iniziale unica; dal proliferare di queste si originano i rizoidi e i filloidi ed infine il complesso del gametofito adulto con rizoidi, cauloidi, filloidi e apparati riproduttivi. Gli anteridi sono intervallati da parafisi e a maturità si aprono e fuoriescono gli spermatozoidi di forma allungata e attorcigliata, con due flagelli. L’archegonio è fatto a fiasco, con una parte basale slargata detta ventre e un lungo collo; al centro troviamo l’oosfera. A maturità le cellule del ventre e del collo secernono varie sostanze, fra cui acido malico, che attrae gli spermatozoidi, uno di essi penetra e percorre il lungo collo sino all’oosfera fecondandola, si forma quindi lo zigote e poi l’embrione. L’archegonio si accresce, fino a quando non si rompe in due parti, di cui una resta alla base dello sporofito a costituire la vaginula e l’altra resta sulla cima dello sporofito a dare la caliptra. Si forma ora lo sporofito adulto, con piede, seta e sporogonio, la cui parte sterile è fatta da cellule allungate con funzione di conduzione, avvolte da un’epidermide con stomi. La parte fertile comprende il sacco interno e l’esterno, la columella, l’opercolo, l’anello, il tutto coperto dalla caliptra. Lungo i sacchi troviamo il tessuto sporigeno, che darà le spore che saranno espulse per raggrinzimento della columella.

Le Buxbaumiales, ordine dedicato a Buxmann, hanno il peristomio fatto da 2-5 strati di cellule, con eso ed endostomio derivanti da due strati distinti; la capsula ha simmetria bilaterale. Sono tre generi e 22 specie, nessuna rinvenibile in Italia.

Le Polytricales, sono il gruppo più evoluto delle Bryophyta, e raggiungono il massimo sviluppo in Nuova Zelanda, dove si può camminare in mezzo a praterie di muschi alti 20-30 cm. altezza enorme per un muschio.

Il peristoma è costituito da più strati, ma i dentini sono in una sola serie, formati non più da estroflessioni di pareti cellulari, ma da cellule ispessite ad U, unite tra loro.

Gli sporogoni sono provvisti d’epifragma all’apice della columella, cioè di uno zaffo che si chiude e che raggrinzandosi, permette la fuoriuscita delle spore. L’epifragma ha simmetria raggiata o bilaterale.

Sezionando un fusticino, troviamo uno strato di “epidermide”, anche se non è tale, in quanto non deriva da protoderma, dato che qui non c’è meristema ad iniziale multipla. Sotto questo strato, troviamo cellule a parete ispessita e sotto uno più abbondante di cellule amilifere. Sotto troviamo lo strato compatto, costituito da cellule allungate con parete spessa e parete apicale obliqua, dette steroidi o leptoidi e un terzo tipo di cellule dette idroidi. Il nome di steroidi è dato in quanto si ritengono avere funzione di sostegno; leptoidi in quanto ritenute per una funzione di conduzione dall’alto verso il basso (il nome deriva da leptoma=floema), mentre gli idroidi servirebbero per una conduzione dal basso verso l’alto.

I filloidi sono di tipo particolare, laminari, con ali al margine. Nella parte centrale, senza ala, troviamo file di cellule a decorso verticale, sovrapposte a costituire una sorta di palizzata, che serve per aumentare la superficie assimilante; è una palizzata aperta, ma che può chiudersi, grazie alle ali igroscopiche. Esse sono in grado di ovviare ad eccessi di traspirazione. È un espediente per avere gli stessi vantaggi delle piante superiori, senza per altro avere la complessa struttura degli stomi. Sono 16 generi e 370 specie, diffuse anche da noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Anthoceropsida Hepaticopsida Bryopsida
Forma e simmetria del gametofito Forma a rosetta Simmetria raggiata Ortotropo foglioso
 Plagiotrpo frondoso
 Simmetria bilaterale o senza
Simili alle piante superiori
Simmetria triraggiata
Struttura del gametofito
(cauloide)
Omogenea talliforme con cellule contenenti mucillagine aperture stomatiche Origine dal protonema
sezione triangolare
pori stomatici
Cloronema e caulonema formano il protonema meristema iniziale unica
Posizione dei gametangi Infossati protetti da mucillagine Terminali dorsali o ventrali

acrocarpi all’apice
pleurocarpi laterali

Origine gametangi Ipodermica parenchima più interno    
Struttura filloidi prive foglioso ortotropo omogenea
frondoso plagiotropo eterogenea
Privi di ventilazione
Dispersione spermatozoi Per rottura della lamina protettiva della cavità Sono a contatto con l’esterno
per gli anteridi dorsali
Tramite le parafisi
Struttura sporofito Biforcato o triforcuto se presente la columella Parte fertile interna Piede seta sporogonio
Meristema sporofito Intercalare indefinito Apicale definito Apicale definito
Columella Non sempre presente Mai presente Presente

                     parte sterile
sporogonio
                     parte fertile

Non c’è distinzione fra parte
Fertile e sterile. La fertile se Esterna dà l’esotecio, Interna dà l’endotecio
Originato da endotecio Sterile:Epidermide con stomi, cloroplasti e
tessuto conduttore
Fertile con columella
Stomi nello sporofito Presenti nella parte basale presenti presenti
Tessuto sporigeno da endotecio non c’è columella
da anfitecio  c’è la columella
Endotecio dà origine agli elateri parte fertile esterna dà il sacco esterno, l’interna il sacco interno, l’insieme il tessuto sporigeno.
Aquixilema Il tessuto sporigeno dà origine ad aquixilema che poi origina gli elateri.   Presente come tessuto conduttore nel cauloide
Elateri Derivano da aquixilema Presenti come cellule elicoidali che spingono fuori le spore  
Simbiosi Nella mucillagine con
Cyanophyta: Nostoc
Con funghi endofitici sostituenti i rizoidi  
Vaginula   presente alla base dello sporofito parte dell’archegonio Presente deriva dall’archegonio
Caliptra   In alcuni casi è presente sullo sporofito Presente deriva dall’archegonio
Perichezio   Presente con membranelle che attorniano l’archegonio Formato da foglie trasformate
Pseudoperianzio   Presente dovuto al rivestimento dell’archegonio da parte di una membrana Presente dopo la fecondazione
Struttura rizoidi   Possono essere assenti Semplici cellule una sull’altra
Gemmule     Presenti nel protonema
Parafisi     Filamenti slargati all’apice, servono alla disper-
sione degli anterozoi
Pseudopodio     Presente nel piede, porta in alto lo sporogonio
Apofisi     Parte sterile dello  sporogonio
Peristoma     Anello sulla parte fertile con o senza dentini chiuso dall’opercolo
Opercolo     Racchiude la parte fertile si apre per fare uscire le spore